Macchine da sogni
Di Giulia Cocchella.
Immaginate un foglio bianco, poco più grande di una cartolina.
Immaginate di disegnare sulla sua superficie una serie di solidi geometrici, ciascuno con le superfici sue proprie, tanto che non è più possibile, a un certo punto, distinguere se ciò che state immaginando è a due o tre dimensioni.
Ora fate un piccolo taglio e aprite una porta nel foglio (sì, una porta).
La porta si spalanca su uno spazio che prima non potevate vedere, che prima non c’era. E ha inizio la storia.
“La porta si spalanca su uno spazio che prima non potevate vedere, che prima non c’era. E ha inizio la storia.”
Nascono così i Teatri di Guido Zanoletti, come un’evoluzione, un ampliamento delle sue opere geometriche. Guido, oltre alla carta, utilizza la fotografia, rielaborata, il legno in tavolette sottili per costruire lo spazio scenico e in fogli sottilissimi per sostenere gli astanti. Il risultato sono dei microcosmi, ciascuno con una storia fatta di ricordi di viaggio, momenti tra amici, scene di film, scatti rubati su un treno o all’inaugurazione di una mostra, accostati tra loro, racconta l’artista, quasi senza pensare. Eppure da questa assenza di intenzione iniziale nasce un senso, uno e centomila, uno per ogni persona che guarda e si lascia cadere in questi mondi, pervasi di inquietudine ma anche di ironia.
I Teatri (ciascuna tavola chiusa in una busta di plastica) sono quasi come i mattoni in casa Zanoletti, la occupano, la strutturano, tanto che a portarne via qualcuno per metterlo in mostra hai paura di toccare la chiave di volta. Sono impilati l’uno sull’altro a formare colonne, a occupare tavoli, a seguire il profilo dei muri: pagine tridimensionali di diario, ma un diario collettivo, universale, mai soltanto personale. Un diario che scrive ogni giorno, mi racconta la moglie dell’artista, o meglio ogni sera, quando a fine giornata Guido si mette al tavolo a lavorare al suo Teatro quotidiano.
Mentre le guardo, e le guardo ancora, penso che queste opere funzionano come macchine di sogni, perché generano storie utilizzando simboli, associazioni inconsce, perché come nei sogni tutto è possibile, persino sedersi al bar con noi stessi.
“Queste opere funzionano come macchine di sogni, perché generano storie utilizzando simboli, associazioni inconsce”
Ci sono anche dei personaggi ricorrenti, li riconosco da una tavola all’altra: chi sono? Come mai a loro è lecito spostarsi tra i teatri? A volte sono solo ombre identiche, che abitano spazi diversi.
Uscita dall’ultimo Teatro, risalita in superficie dal punto di fuga sino al primo piano, chiudo la porta di carta alle mie spalle. Scompaiono tutti gli astanti (li sento ancora parlare là dietro, ma non li vedo più). Rimane davanti a me un foglio la cui superficie è perturbata dal disegno di un cubo che sembra venir fuori. Poi nemmeno più quello: resta il foglio bianco, poco più grande di una cartolina.
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Leggi anche “Di cosa siamo fatti”, l’articolo di Emilia Marasco sulla poetica di Guido Zanoletti.
Vai all’evento sull’inaugurazione della mostra dedicata all’opera di Zanoletti.