Leggo e penso: dovrebbe recensirlo un uomo, questo romanzo, un uomo che attende la paternità o che l’ha già incontrata; qualcuno che – quantomeno – non abbia appreso il significato della parola “genitore” solo per sentito dire.
Leggo e penso: dovrebbe proprio recensirlo qualcuno che non conosca di persona l’autore, che non abbia mai visto i suoi figli, a cui non sopraggiunga – pagina dopo pagina – l’istinto di richiamare alla memoria episodi, sguardi, voci.
Qualcuno che non fosse presente quel giovedì pomeriggio, quando Laura Bosio dedicò un’intera lezione del Laboratorio di II livello a scavare e arrampicare e passeggiare tra le sue prime righe.
Leggo ancora e capisco: sì, sto leggendo la storia di Eugenio e della sua famiglia, ma sto anche leggendo un romanzo. Una vita passata al setaccio, erosa di ciò che “non serve” e ricostruita in modo che abbia un inizio, uno svolgimento, una fine. Questo ci viene insegnato, anche questo, nei laboratori di scrittura. Vale per una storia inventata di sana pianta, vale se tutto è realmente accaduto. C’è una storia, ci sono parole che la raccontano, ci sono i personaggi. Ci “entri dentro” al punto che vedi con i loro occhi, cammini nei loro piedi, hai nausea e mal di schiena quando li hanno loro, aspiri il fumo delle loro sigarette, non riesci a dormire di fronte alla loro insonnia. Piangi e ridi con loro. Così che, a un certo punto, perde importanza il sapere se quanto stai leggendo sia stato reale, da qualche parte nel mondo, oppure no.
Bene. L’ho fatto. Sono pronta.
Sei sempre stato qui.
C’era una volta un uomo a cui piaceva tanto arrampicare sulle montagne, ma il suo corpo si è messo a fare i capricci e in montagna non ci poteva andare più.
C’era una volta una donna che voleva tanto un bel bambino, o una bella bambina, ma il suo corpo ha iniziato a farle i dispetti, ogni tanto le diceva che i suoi bambini stavano per arrivare, ma alla fine non c’erano mai.
Così l’uomo e la donna sono andati da due dottori tanto gentili. Il dottore della schiena ha dato all’uomo una medicina che gli ha permesso di tornare sulle montagne. Il dottore dei bambini, invece, ha detto alla donna che non sapeva più come convincerlo, il suo corpo, a non fare i dispetti. L’uomo e la donna erano tristi, perché volevano tanto dei bambini da portare con loro sulle montagne.
Poi, un bel giorno, alla donna è venuto in mente che esiste un posto dove i bambini li puoi andare a prendere, bambini che non hanno più il papà né la mamma, e che aspettano dei nuovi genitori.
Per andarci, l’uomo e la donna hanno dovuto chiedere il permesso e aspettare un po’ di tempo. Hanno incontrato molte coppie in attesa, proprio come loro.
Perché siete qui?, chiedevano. Anche i nostri corpi ci fanno i dispetti, rispondevano in molte.
In quel posto, però, non importava come fosse il loro corpo, né di che colore. È un posto magico dove abitano bambini magici. È un posto lontano, per arrivarci bisogna viaggiare molte ore, passare sopra nuvole, e città, e fiumi e montagne.
Bisogna anche firmare tanti documenti, e parlare con persone che fanno sempre le stesse domande. Quanti anni avete? Da quanto tempo siete sposati? Posso vedere la cameretta in cui dormirà il vostro bambino? Infine la domanda più profonda, profonda come il tuffo di testa in un oceano:
Perché volete andarci, in quel posto?
L’uomo e la donna hanno risposto a tutte le domande e si sono detti di aver fatto proprio bene. Hanno avuto paura, qualche volta: paura di non riuscire ad arrivarci, in quel posto; altre volte, paura di riuscirci, e che tutto fosse poi tanto difficile. Poi si ricordavano che laggiù c’era un bambino che stava dormendo nella sua culla, con i piedini scalzi, che li stava aspettando. Allora si sentivano un po’ meglio.
Dopo qualche tempo, l’uomo ha ricevuto una telefonata. Gli hanno detto che lui e la donna dovevano subito prendere un aereo perché qualcuno, in quel posto lontano, li voleva conoscere.
Prima di partire, hanno fatto una riunione di famiglia con i loro corpi, e hanno fatto promettere loro che d’ora in poi avrebbero fatto i bravi. Solo belle sorprese, basta dispetti, al nostro ritorno. I corpi lo hanno promesso, croce sul cuore.
Ancora un poco di pazienza, e vivranno tutti felici e contenti.