Secondo racconto del nostro laboratorio estivo di Apricale 2016.
Un gioco di ruolo narrativo durato cinque giorni.
Ciascuno dei personaggi, delineati con una sorta di “binomio fantastico”, aveva il compito di scoprire e raccontare la storia di uno degli altri personaggi. Come? Scopritelo leggendo il racconto del bambino americano (oppure no)!
Il bambino americano (oppure no) e la pittrice francese (oppure no)
di Roberta Bracco
Un gatto che parla. Wow! Come Puss in Boots di Shrek! Mi chiedo cosa abbiano tanto da preoccuparsi questi tipi assai più strani e incredibili di lui.
Certo, qualcosa non torna: dove può essere finita mum? Mi sarò addormentato mentre facevo la conta e lei sarà ancora nascosta da qualche parte? O forse mi avrà iscritto lei a questa specie di caccia al tesoro e salterà fuori solo alla fine?
Tanto sono libero, dai! Quasi quasi salgo un pochino sulla fontana, o corro fino agli orti fuori le mura o mi infilo sotto questo tavolo e vado a tirare la coda a quel cane che dorme, così magari trovo anche un compagno per giocare a palla più sveglio di questi.
“Nessuno ha qualcosa in contrario, giusto? Forse tu, bella signora dagli occhi azzurri?”
Silenzio, lei non mi guarda nemmeno.
“Il gatto ha detto che tocca a me trovare la tua storia, ma puoi fidarti sai? Io sono un vero esperto di storie. Conosco a memoria tutti i film di Walt Disney, non potrà essere così difficile trovare una storia per te.”
Ancora niente, proprio non c’è verso di smuoverla.
“Ehi, mi senti, sono qui in basso, non vedi? – ritento – Non fingere di non vedere che continuo a tirarti questa tua gonna nera, che ti fa sembrare una vecchia. Insomma, ti muovi, per favore? What’s up? Dobbiamo vincere la caccia al tesoro, ti vuoi decidere a darmi la mano? Magari se io trovo la mia mamma finisce persino che tu riesci a trovare il Principe Azzurro e diventi un po’ più felice…”
Fa una smorfia terribile. Per un attimo ho paura che voglia uccidermi proprio.
Ok, magari provo con una voce un pochino più dolce. “So che non ricordi niente, darling, ma non devi essere triste per questo. Pensa a me, che sono piccino e senza mamma e devo anche occuparmi di te. Preferirei scoprire come ha fatto quella bicicletta ad arrampicarsi fino in cima al campanile. Ma a noi ora tocca stare insieme. Quindi, let’s go. Il gatto ha detto che sei una pittrice francese. Perciò adesso noi ci sediamo a questo tavolino e tu fai un disegno per me. Se ti tira su posso darti un bacio, anche se io, di solito, non le bacio mica le ragazze!”
Si scosta brusca ma alla fine mi segue e dice qualcosa che non capisco, in una lingua che però ha un suono dolcissimo. Magari salterà fuori che questa tipa è una sirena e mi toccherà pure riportarla al mare.
Si mette al lavoro in silenzio e poi mi allunga un foglio.
Sussurra ancora qualche parola con quella sua voce che sembra far le fusa, non so perché, mi fa stropicciare tutta la faccia.
Quando mi riprendo, Quando ha finito guardo il disegno e non mi piace: ha fatto solo case arrampicate con forme strambe, buie come i suoi vestiti. ”Non puoi fare qualcosa di meglio? Non c’è nessun colore qui!”
Mi sa che devo averla offesa perché di colpo si mette a piangere e mi allontana “Laisse-moi tranquille! Non sai di cosa parli… Io… ho perduto tutti i miei colori…!”
“Cosa vuol dire perduti? You mean che non li trovi più?”
Non mi risponde. La tiro forte per un braccio, per convincerla ad alzarsi. Devo trovare un modo, comunque. Non può esistere una pittrice felice senza colori. “Stop crying, my friend! Ti aiuterò io a trovare i tuoi colori!”
Mi prende per mano, finalmente: questo è il momento di insistere.
“Vieni, muoviamoci di qui. Ho appena visto un passaggio segreto che ci porterà velocemente oltre queste case grigie di pietra, in un posto coloratissimo. Inizieremo a cercare da lì. Dammi la mano e non avere paura. È una via stretta e c’è puzza di pipì di gatto, ma tu sei magra e ci passi.”
Quando siamo dall’altra parte, le chiedo come fa la gente, secondo lei, a vivere in questo posto così piccolo senza McDonald’s, centri commerciali e neppure una gelateria. Mi sa che non capisce e non mi ascolta neanche: fissa i tetti delle case come se non fossero tutti uguali.
Anyway, mi sa che sta cominciando a sentirsi una vera pittrice: si è fermata a disegnare ancora. “Fa’ vedere un po’? Bello, questo! Wow! Sempre un po’ scuro, ma I love very much quella buffa casetta con mulino. La conosci?”
“Peut-etre”, sussurra, e sembra perplessa.
Intanto, eccoci fuori dalle mura. Finalmente un po’ di colori. “Ci arrampichiamo su quell’albicocco lassù per vedere le rondini?”, propongo, ma lei non mi pare affatto convinta.
Corro ad arrampicarmi – se non altro per mettere qualcosa nello stomaco, visto che lei a mangiare non ci pensa proprio – quando mi accorgo di qualcosa di strano.
“Un momento, guarda, non noti niente? Confronta il tuo disegno con questo angolo qui! Se provi a immaginare la tua casa piccina al posto di quest’albero, il luogo che hai disegnato è lo stesso. I tetti delle case vicine combaciano perfettamente, isn’t it? Non è che vivevi qui? Ma la casa che era al centro del disegno dov’è finita? Presto, dammi una mano a scendere. Dobbiamo rientrare in paese e chiedere notizie della casetta mulino. Sento che è la strada giusta, trust me.”
Rotolo a tutta velocità giù dal sentiero e mi infilo nella prima casa che vedo. Sono fortunato: trovo due vecchietti che di certo devono abitare qui da tanto tempo. “Scusate, siete di Apricale? Sapete dirmi se un tempo laggiù c’era una casetta con mulino?”
“Certo, bambino”, mi risponde gentile il signore, abbassando il giornale, “una casa abbandonata da prima che tu nascessi, però. È andata distrutta qualche anno fa, ma da tempo non ci viveva più nessuno. Era lo studio di una pittrice francese, divenuta molto famosa in questi ultimi anni. Non solo nel suo paese. Nadine Invernice. Ha abitato qui da noi per un po’ di tempo. Qui avevano vissuto i suoi nonni e qui è venuta a cercare ispirazione. Se n’è andata dopo che ha vinto un premio importante nel suo paese. L’hanno voluta a Parigi, all’Ecole du Louvre. Non voleva partire, ma era molto importante per la sua carriera. Qui aveva trovato anche un fidanzato, che l’ha seguita in Francia. Ci sono ancora due dei suoi quadri nella sala principale del castello sopra la piazza. Il nostro borgo è sempre stato molto orgoglioso di lei e non la dimenticherà di certo, poverina.”
“Dimenticarla? Poverina? Perché, cosa le è successo, dopo?”
“Ecco, in realtà, nessuno lo sa. Le sue tracce si sono perse a Parigi, il 13 novembre, la notte di quel brutto attentato al Bataclan. Tu sei piccino ma forse ne hai sentito parlare. Purtroppo il suo fidanzato è rimasto ucciso, ma di lei non si è saputo più nulla. Abbiamo tutti paura che per la disperazione abbia fatto una sciocchezza…”
Dopo il racconto del vecchio mi viene un’idea. Me la porto per mano in giro per il paese chiedendo a tutti: “Avete mai visto questa donna prima? Potrebbe essere Nadine Invernice?” Però scuotono tutti la testa. Niente, nessuno si ricorda di lei.
Mi resta un’ultima carta da giocare. Le stringo forte la mano, che si è a poco a poco ammorbidita intorno alla mia, e la costringo ad affrontare ancora una salita. “Entriamo nel castello” dico, spingendola piano davanti al quadro appeso alla parete. C’è un titolo: Autoritratto con colori e la donna dipinta non assomiglia per niente alla mia pittrice.
Eppure… forse…”Resta qui ad aspettarmi un attimo”, le chiedo, mentre giro intorno al castello alla ricerca del magazzino dei costumi teatrali di cui ho sentito parlare in paese.
Scelgo le stoffe più colorate e torno dalla mia bella amica triste. “Puoi indossare questi per me?”
Non capisce ma sorride e per una volta non devo insistere.
Le aggiusto un po’ i capelli come la donna del quadro, poi l’aiuto a indossare tutte insieme le mie stoffe colorate.
Cerco uno specchio e poi la riporto davanti alla tela.
Ecco la magia!
All’improvviso entra il custode del castello, si ferma a guardarla e grida forte il suo nome. In pochi minuti la sala si riempie di persone che vogliono festeggiare il ritorno di Nadine.
Il mio compito è finito, penso, la tua storia ti ha portato alle radici del tuo albero.
Lei si libera dall’abbraccio della sua gente, mi solleva e mi stringe forte a sé.
“Ti voglio bene, darling”, le sussurro in un orecchio e, chissà perché, non mi sorprendo nel vedere che i disegni nella mia mano stanno prendendo bellissimi colori.
“Ci vediamo dopo amica, adesso tocca a me ritrovare la mia storia!”