Sesto racconto del nostro laboratorio estivo di Apricale 2016.
Un gioco di ruolo narrativo durato cinque giorni.
Ciascuno dei personaggi, delineati con una sorta di “binomio fantastico”, aveva il compito di scoprire e raccontare la storia di uno degli altri personaggi. Come? Scopritelo leggendo!
Il barone rampante (oppure no) e l’oste onesto (oppure no)
di Licia Valente
Mi sono appoggiato alla balaustra sul sagrato della chiesa. La gente è più bella vista dall’alto. Ricci arruffati, cocce pelate che brillano al sole, ventri gonfi sotto bazze di tordo.
Ride il gatto, è disgustoso mentre ammicca e si prende confidenza, quasi fosse uno di noi.
Chi siamo noi?
Ero un barone, lo so per certo, ché non mi piace star appresso agli altri, né gli altri amano avvicinarsi a me.
Chi sono gli altri?
Cavalieri, mocciosi, chierici derelitti, musici e contesse decaduti hanno steso sulla piazza le loro vite senza più orme una vicina all’altra. Siamo fantasmi appesi al campanile, in balia del vento che non viene a portarci via.
La porta del castello stride con le rondini, si apre su un giardino ombroso che guarda il borgo dall’alto, come me.
Senza più una storia che segni il mio confine, provo a immaginarne altre, una per ogni testa.
Qual è la tua, oste che ti dici onesto?
Le tue spalle piccole si sono posate come un velo sulle pietre aguzze. Hai dormito il sonno dei giusti e ti sei svegliato che non eri più tu.
Sarai davvero onesto?
Dal fondo del mio nulla ormai perduto suona una nenia antica:
L’oste onesto si muove lesto. Non è mai mesto l’oste onesto.
Ha le mani fini e sottili, di chi sa dove vuole metterle le mani, e dove tenerle fuori.
In sogno, dita simili, di donna, si infilano nel solco della memoria e della mia schiena. “Diritto, devi stare diritto”. La voce che risale da lontano, gira intorno a una tavola imbandita, non ha volto né nome.
L’oste sorride a tutti, non separa mai le labbra. Non dice, lascia dire. Annuisce spesso, quasi annotasse un parere da prendere in prestito. Per lui, siamo solo passanti dentro una taverna senza nome o luogo, in una notte senza memoria, uno a fianco all’altro, lo sguardo fisso alla bicicletta appesa al campanile, che nessuno la può rubare.
Seduto al lavatoio, l’oste fissa il vuoto e stringe le mani l’una dentro l’altra.
Dove vuoi tornare, oste onesto?
Un oste è onesto solo se non è un oste.
Dalla mia balaustra, osservo la lapide su cui vorrei leggere chi sono stato. Una voce straniera fende l’aria alle mie spalle. Mi inchino d’istinto.
“Bonjour mademoiselle l’artiste”, e son già pronto a balzare sul parapetto, di nuovo in alto, lontano.
L’ amazzone del popolo che ho davanti non è certo demoiselle, ha mani ruvide con cui si carezza le guance cosparse di vene sottili.
– Bonjour, mi dice.
– Vous n’êtes donc pas l’artiste?
– Eh bien non. Sono l’ostessa, per servirvi, Monsieur.
– È incredibile c’è qui tra noi smemorati anche un oste, forse onesto, o almeno comme ça il dit.
Forse lo conoscete?
– Monsieur mio caro, mi dice allora lei, tout le monde le sait che un oste è onesto solo se non è un oste!
Ride così argentina che mi scappa la voglia di saltar sul mio poggio. Ha fianchi larghi e seni poderosi che tiene a bada con le mani mentre ride.
E’ desiderio quello che provo? Ho avuto un grande amore? Forse mai.
– Ditemi però, Madame, lo avete mai conosciuto, voi, un oste onesto?
– Oh moi? Bien sur, certo che sì.
Questo sette di luglio non c’è la luna, che se l’è mangiata il gatto, dopo la lucertola.
Lei è tornata sotto la mia balaustra. Da lì mi ha detto del suo amore perduto in una notte di nera magia.
Oste, hai avuto più di una vita e più di un volto. Eri tu quel giovane delicato e buono, per davvero hai amato e per amore hai abbandonato altezze e distanze.
Svelato è il tuo mistero, oste onesto: fosti Alberico, nobiluomo innamorato di una scalcinata forestiera senza passato o blasone. Nel borgo fu l’incontro, per lei lasciasti onore e lustro appesi al gran camino delle feste, nel castello ai piedi del monte.
Al borgo passò la strega quella notte e quando tornasti a questo borgo appeso, le campane non si mossero a salutare il tuo ritorno d’eroe senza trofeo.
Ti dissero allora che se n’era andata.
La notte del 3 di Luglio, quella volta. la strega rubò a lei, straniera, la memoria e a te l’amore.
Senza una parola, era fuggita a un passato che credeva per sempre perduto, mentre il gatto rideva, tenendo tra le unghie la vostra storia, come un topo che muore.
Senza più nome né amore, cercasti un luogo straniero e ti facesti oste tu stesso, a eterna memoria del sogno fuggito.
Sei davvero onesto, oste, perché oste davvero non sei.
Per questo sei tornato qui, a cercarla una volta ancora. E sei rimasto tu, questa volta, prigioniero tra le fauci della strega e del gatto.
Mi guarda sconsolato, quel nome davvero non è più il suo.
“Non sono più io quell’uomo, io sono l’oste portami via al mio banco e al mio grembiule.”
Lei spunta da dietro le mie spalle,
– Sono io. Sono qui.
La seguo scendere lenta, verso di lui.
È una stella che scende dentro gli occhi spalancati di lui.
Sono quattro ora le mani intrecciate e hanno la forza dell’edera, per non lasciarsi più.
Il gatto ulula dal fondo del pozzo.
– Finalmente ti ho trovata, le sussurra lui.
– Sono io che ho ritrovato te.