La morte, che fino all’ultimo temiamo e ricusiamo, interrompe la vita, non la rapisce.
Verrà un giorno che ci riporterà una seconda volta alla luce… tutte le cose che sembrano perire sono soltanto mutate.
(Seneca, La dottrina morale)
Satollità
di Samantha Tortora
Milano, Stazione Centrale, ore 8;35.
Domenica. Tiro le ultime boccate alla sigaretta, la butto sulle rotaie e a passo veloce arrivo sul binario due schivando uomini d’affari, lacrime d’addio e trolley di giapponesi che vanno veloci come treni.
Il cielo azzurro è l’unica macchia di colore in fondo al grigiore della galleria, dei pilastri e delle volte in ferro nero.
Eccolo lì, rosso e grigio, puntuale, in attesa dei suoi passeggeri. Sembra dire guardate come sono imponente, sono il più fiero di tutti. Mi ricorda l’astronave di Star Wars del Luna Park, solo molto più grossa; portami via, a 400 km all’ora, più veloci del vento.
Salgo gli scalini, sperando di trovare un po’ di sollievo nell’aria condizionata. Il mio posto è l’ A3.
A3, A3… ripeto nella mente lungo gli stretti corridoi, rendendomi conto di essere salita dalla parte sbagliata del treno. Mi fermo al vagone ristorante per un caffè, stamattina non sono neanche riuscita a berlo.
Ora sono più reattiva, continuo la mia ricerca. A 7, A 5, A 2, eccolo A3. Mi lascio cadere sul sedile, con la valigia ancora sulle gambe, non è pesante e posso tenerla come scudo verso gli altri. Stringo la maniglia forte con entrambe le mani e chiudo gli occhi.
Mi Chiamo Allegra Izzo, ho 19 anni e sto tornando a casa, l’arrivo è previsto alle 12:41, in tempo per il pranzo organizzato da papà.
Bologna, ore 9:40.
Mi sto godendo la pelle della poltrona, sono allergica a quelle in tessuto, mi repellono coi loro rifiuti dei passeggeri precedenti: forfora e pidocchi, sudore, pellicine, unghie, residui di cibo, anche sangue che esce da minuscoli tagli.
La pelle è figa e igienica, anche nei ristoranti dovrebbero eliminare le sedie in tessuto.
Intorno a me ci sono altre sette poltrone, tutte occupate ma separate da una giusta distanza che ti permette di evitare di parlare coi compagni di viaggio.
Sistemo la valigia sopra di me e sfilo dalla borsa il libro che mi ha regalato Andrea, La dottrina morale di Seneca.
Non lo ricordo, nonostante la maturità classica di Giugno, o meglio, non avevo notato la saggezza e la contemporaneità che la caratterizza. Me l’ha fatto scoprire Andrea, dopo che facevamo l’amore io abbracciavo il cuscino e lui leggeva e traduceva dal latino, il libro appoggiato sulle mie natiche.
Inizio a leggere, inciampo nelle frasi su cui discutevamo, penso a noi. Il suo modo di scoparmi, le sue fissazioni sull’ideale femminile e la sua “intellighenzia harvardiana” hanno iniziato a darmi l’angoscia. Maledetto schiavo della libidine.
Provo a dormire.
Firenze, ore 10:48.
L’andamento soporifero del treno è cessato e mi sveglio di soprassalto con un filo di saliva che bagna il mio mento. Sono sudata, i miei capelli lunghi e biondi scaldano come una coperta, ma hanno il vantaggio di coprirmi le orecchie a sventola. Mi osservo nello specchietto attaccato sulla parete alla mia sinistra, tocco il mio viso con l’indice e il medio: la fronte spaziosa, le sopracciglia dritte e sottili, le guance rosse, il girocollo di perle e zaffiri che è il secondo regalo di Andrea. Non è proprio il mio genere, ma lui vuole che lo diventi.
Maledetto schiavo dell’ambizione.
Il mio cuore batte troppo veloce.
Roma, ore 11:45.
Andrea avrà aperto gli occhi da poco, forse è sotto la doccia che canta col suo inglese impeccabile e fastidiosamente americano. Senza fare colazione pranzerà con le polpette che ho cucinato ieri sera, permettendomi però una piccola variazione: ho sostituito i pinoli con polvere di nocciole. Andrea le adora, ma è gravemente e meravigliosamente allergico alle nocciole. Non dimenticherò mai quando gli ho spalmato una manata di Nutella sulla faccia, nel giro di pochi minuti il suo viso è diventato gonfio e rosso.
Il collasso circolatorio e la morte avverranno nel giro di pochi minuti.
Shock anafilattico.
Nessuno sentirà la tua mancanza Andrea, maledetto narciso insicuro. Ti ho fatto un favore, e ti ho dato la possibilità di giocare un’altra partita.
Io sono innocente e la mia coscienza è limpida.