Su Fotografie, Fotopagine e Fotocose.
Un post di Giulia Cocchella.
Voglio fotografare le nuvole, disse Alfred Stieglitz quasi cent’anni fa.
Prese in mano la sua Graflex, si mise in posa (lui, il cielo no, si mettesse un po’ come voleva, il cielo) e da quel momento io credo che la storia della fotografia abbia preso una piega diversa.
I suoi Equivalents li pubblicò in serie, accostandoli ad altre fotografie che ritraevano particolari del mondo naturale: li espose insieme a formare un discorso per immagini che fosse, appunto, equivalente al suo sentire.
li espose insieme a formare un discorso per immagini
Penso a questi orizzonti, a questi intenti così lontani nel tempo, quando guardo le fotografie di Patrizia Traverso. È chiaro che si potrebbe fare un lungo elenco di differenze, ma mi pare di ritrovare lo stesso desiderio di narrazione per accostamento, nonché l’intenzione di usare la fotografia non solo come documento, ma soprattutto come mezzo per ritrovare lo stupore di fronte al già visto, si tratti di un cielo di nuvole o di una palma in mezzo al deserto.
“Più che fotografa pura, mi reputo assemblatrice”, dice di sé Patrizia Traverso.
Le sue Fotopagine sono in effetti accostamenti di fotografie e testi letterari, poetici, filosofici: le foto, piegate come le pagine di un libro aperto, sono montate su telai di acciaio che fanno da supporto anche alle parole scritte. Siamo invitati a leggere immagini, a leggere parole e a sfogliare pagine che si offrono, ma non si muovono: lo scatto è pur sempre l’istantanea di un momento che resta immobile.
Siamo invitati a leggere immagini, a leggere parole e a sfogliare pagine che si offrono, ma non si muovono:
Anche la serie Fotocose ha origine da un’idea combinatoria: oggetti e fotografia.
L’oggetto evoca il ricordo e lo rafforza, gli conferisce una terza dimensione, mentre per noi che guardiamo, che non conosciamo bene la storia, genera incidenti fantastici, narrazioni supplementari.
È bello lasciarsi guidare e poi perdersi in questi percorsi del ricordo e del sogno.
Fotografa di parole, l’hanno definita, ma anche dell’ineffabile, del vento, di ciò che non si mette in posa. Fotografa di suggestioni dai versi di Giorgio Caproni, cui ha dedicato, insieme a Luigi Surdich, “Genova ch’è tutto dire”: un sensibile lavoro fotografico, a metà strada tra l’illustrazione nel suo significato più ampio e la poesia per immagini.
Siate curiosi: andate a vedere.
L’invito implicito è trovare collegamenti: fili sottili tesi tra le immagini e le parole, tra gli oggetti e le immagini, che legano ciò che vediamo a ciò che sappiamo di noi, utilizzando un processo che a pensarci bene è quello tipico della memoria.
“Lo scatto è l’attimo che hai colto e che memorizza l’istante”, dice Patrizia della fotografia, “la messa a fuoco precisa di un’idea”, gli fa eco Stieglitz da lontano.