Le onde, Virginia Woolf: recensione

Recensione di Ester Armanino. La persona che ami è per il 72.8% acqua. Il motto del designer inglese Alan Fletcher coglie l’essenza più intima di “Le onde”. Un libro “che ha il tempo come materia e l’essere come struttura” (Nadia Fusini) ma anche e soprattutto un libro sull’acqua, intesa come componente principale della nostra vita e del nostro pensiero (lo “stream” della coscienza). La vita rappresentata in “Le onde” è lo stato liquido e mutevole dell’esistenza: l’infrangersi del nostro mare interiore contro la durezza della materia solida, delle cose che restano immutate nel mondo. I sei personaggi di “Le onde” si relazionano tra loro e spesso non si comprendono, si amano e si odiano, si separano nel tentativo di scindersi e distinguersi come gocce, però poi inevitabilmente si cercano, hanno bisogno l’uno dell’altro non solo per trovare forma e confini del proprio essere – come l’acqua in un contenitore – ma anche per poter mescolare le proprie vicende di uomo o donna in una soluzione dove il “solvente” è la comune condizione umana, elevata a memoria collettiva. Fingiamo che la vita sia una sostanza solida, a forma di globo, che facciamo girare tra le dita. Fingiamo di poter ricavare una storia semplice e logica, in modo che quando un argomento è liquidato – per esempio l’amore – possiamo passare in buon ordine al prossimo. Così, come in una fotografia dimenticata tra le pagine, si ha l’immagine delle mani di Virginia che intrecciano le storie dei personaggi in una ghirlanda che poi lasciano andare lungo il fiume, in balia della corrente. Uno spazio apparentemente protetto, definibile almeno internamente , dove c’è moltissimo, l’esuberante quantità di stimoli e pensieri e metafore che fanno roteare la ghirlanda in un vortice su se stessa, minacciandola di sciogliersi da un momento all’altro. Tuttavia resta chiara una precisa volontà, qualcosa che passa dalla stelo di un fiore all’altro: non venire meno a quel patto – non di sangue ma d’acqua – stipulato nell’infanzia, e cioè di condividere ogni bene e ogni male della vita nell’amicizia. Perché lo consiglio a un lettore: La lettura di “Le onde” è una specie di travaso di sensazioni, pensieri, emozioni, che mette in contatto la sensibilità del lettore con quella di una delle più grandi autrici del secolo scorso, abbattendo i riferimenti di tempo e spazio, come solo l’arte riesce a fare. È un’esperienza di ciò che siamo e anche di ciò che è l’arte. “Quando scrivo non sono che una sensibilità”, appunta la Woolf nei suoi diari. Questa sensibilità permea da cima a fondo “Le onde”, e si trasforma in capacità di accogliere “la sensazione del canto del mondo reale” per farne letteratura, portando quest’ultima a livelli vertiginosi. Perché lo consiglio a uno scrittore: Per ascoltare la scrittura. Dice la Woolf, sempre nei suoi diari: “io scrivo a ritmo, non a trama”. E Marguerite Yourcenar, in un saggio del 1937, definisce “Le onde” come un “racconto musicale”, un brano per orchestra dove ciascun personaggio è uno strumento, e dove la sinfonia degli allegro dell’infanzia gradualmente cede il posto agli andante lento dell’età adulta fino alla vecchiaia. Penso possa essere molto utile, a chi scrive, tentare questo approccio. Accordarsi a un dettato interiore ed esteriore e cercare un ritmo. Per scrivere (e per vivere), questo ci trasmette Virginia Woolf, dobbiamo assecondare l’incontro-scontro tra due ritmi: quello più grande che ci contiene ed è ciclico, imprevedibile, eterno, e che non può essere cambiato ma solo percepito; quello del nostro sforzo individuale, misurabile e dispendioso, che possiamo scandire in modo personale, scrivendo la nostra parte oppure, per restare nella metafora, suonando il nostro assolo.