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Impressioni da un laboratorio: “Incontrare i personaggi”

Di Martina Morando. Officina Letteraria @ Teatro della Tosse – 11 dicembre 2021. L’arte è correre dei rischi. Ce lo ha svelato Enrico Campanati durante il Laboratorio di scrittura creativa “Incontrare i personaggi“, che si è svolto a Teatro della Tosse l’11 dicembre 2021 con Emilia Marasco ed Ester Armanino, che ancora una volta hanno saputo restituire la bellezza e la complessità del saper raccontare, a trecentosessanta gradi. Non a caso, per l’ultimo incontro dell’anno prima del ritorno nel 2022 del ciclo “Scrivere è spaziare”, l’appuntamento si è svolto tra il palco e la platea della Sala Dino Campana. Quale posto migliore, in effetti, per incontrare un personaggio se non in quella dimensione, tra reale e onirico, propria di un teatro? Dove un personaggio si esprime proprio di fronte a noi, così vicino da poter essere quasi toccato, ma mai davvero posseduto? In quel luogo magico, intimo e insieme condiviso, dove le voci e il rumore dei passi rimbombano nelle nostre menti, e le dimensioni – dentro, fuori; luce, buio – si annullano creando uno spazio sé stante? È proprio lì che abbiamo conosciuto personaggi affascinanti, tutti magistralmente interpretati da Enrico Campanati: passaggi estrapolati dall’Antigone, così come da Il Natale di Henry; realtà che vengono create, dal nulla, di fronte a noi… e che da noi vengono poi sentite, lette, interpretate. Ma se interpretiamo, come faccio, io che scrivo, ad essere sicura che il mio personaggio non venga frainteso?, chiede un’allieva attenta. Era la preoccupazione persino di Platone, che rifiutava il racconto orale proprio per timore che il suo pensiero venisse distorto, e che per questo prediligeva la forma del dialogo – botta e risposta – di modo che niente potesse essere travisato. Arriva pronta la risposta di Campanati: L’arte è correre dei rischi, e proprio qui sta la sua forza. Enrico Campanati Quando scriviamo, aggiungono le nostre maestre, dobbiamo essere pronti a lasciare che chi legge prenda dal nostro racconto ciò che può, ciò che desidera, ciò che in quel momento gli serve. Persino un personaggio, in fondo, può essere tanti personaggi: a prescindere da come la nostra mente l’aveva pensato, può sempre diventare qualcos’altro – vuoi perché le storie, ci dicono Emilia ed Ester, non sai mai dove ti portano, vuoi perché ogni lettore ha il diritto di conoscere un personaggio al pari di come potrebbe conoscere una persona nel mondo reale, fuori da libri e sceneggiature. Ogni carattere, preferenza, descrizione sarà sempre declinata alla nostra percezione, alle nostre esperienze pregresse, alle nostre convinzioni e al nostro modo di interfacciarci all’altro in quel preciso istante – nessun essere umano è mai uguale a sé stesso, questo ce lo insegnava già Pirandello. I nostri personaggi non sono altro che rappresentazioni; sono interlocutori che nascono dall’urgenza di raccontare, di comunicare, di condividere, di conoscere, di esplorare luoghi, punti di vista, angolazioni. I personaggi sono un esercizio di empatia e hanno, in fin dei conti, un solo scopo: quello di aprire un dialogo con l’altro e, in quello scambio, ritrovare un po’ di noi stessi.

Intervista a Michela Murgia: di Chirù e del suo Profilo Facebook

I fatti sono questi. Michela Murgia è una narratrice e, quindi, ama imbrogliare le carte: mischia il passato con il futuro, il digitale con l’analogico, il reale con la finzione. Mi è capitato di leggere i suoi articoli, parecchi post e un paio di romanzi. L’ho anche sentita parlare sul palco, alla Notte degli Scrittori. Quando l’ho fermata nel foyer della Sala Gustavo Modena, le ho detto le solite cose che si dicono in quelle occasioni: mio suocero era sardo, la fregola, gli stagni di Santa Giusta. Poi le ho detto che mi era proprio piaciuta quella cosa che la scrittura è necessaria come lo scatto del topo. Cioè, come l’ultimo balzo del topo, preso nell’angolo. Insomma, vedete: io m’incarto e invece lei la dice bene, questa cosa del topo braccato con la scopa. Prima ancora di scriverla, la pensa bene e, quindi, la racconta bene. In pratica, la narra. Perché, al netto delle etichette, Michela Murgia è proprio una narratrice. Di quelle da storie davanti al caminetto. O da sedia in un cortile assolato, se preferite. Ma non divaghiamo. I fatti sono questi: Michela Murgia è talmente narratrice, che i suoi personaggi le scappano dai libri. E, per la precisione, scappano su Facebook. Proprio così. Il suo prossimo romanzo, per Giulio Einaudi editore, uscirà martedì 10 novembre 2015, ma Chirù, il diciottenne che cede il proprio nome al libro, si è già aperto un Profilo Utente Facebook. E si è fatto un sacco di amici. Michela Murgia, dando la notizia dalla propria Pagina Ufficiale Facebook, ha citato Salinger. Qualcuno avrà pensato ai sei personaggi di Pirandello, altri a una mera attività di Social Media Marketing. Ma il dato resta: c’è il personaggio di un romanzo ancora inedito che sta raccontando qualcosa di sé. Qualcosa che, prima, nessuno poteva sapere. Qualcosa che, anche dopo aver letto il romanzo, nessuno potrebbe sapere. Qualcosa che sta al di fuori delle pagine del libro, perché sta dentro a una Pagina di Facebook. Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira. (Il Giovane Holden, J. D. Salinger, cap. III) Che io sappia, è la prima volta che accade in questa forma e con questi tempi e, anche se non lo fosse, mi è sembrata una cosa interessante, quantomeno curiosa. Immerso come sono nella mia “Bolla Social”, fatta di comunicazione, libri e LEGO, pensavo ci fossero un sacco di articoli in merito, un mare d’interviste all’autrice e all’editore. E invece no. Così ho stuzzicato il Bot di Einaudi via Twitter, lui ha risposto e lei, Michela Murgia, non solo ha accettato di essere intervistata, ma mi ha pure telefonato. Ed eccoci qui, con l’intervista: Fruttero e Lucentini attribuivano enorme importanza ai nomi dei loro personaggi tanto che hanno redatto un tomo che, successivamente, è diventato un long seller intitolato “Il libro dei nomi di battesimo”: ci racconti perché hai scelto il nome Chirù? I genitori sanno bene che i nomignoli dati ai figli sono spesso parole deformate, quelle che da bambini non riuscivamo a pronunciare bene. Chirù è un nome dato in quel modo e richiama la parola ghiro perché è un dormiglione. È semplice da ricordare e non significando niente non è traducibile. Non è irrilevante avere un titolo che può restare immutato nelle traduzioni estere. Questo esperimento del Profilo Utente Facebook di Chirù (ora trasformato in Pagina per rispettare le policy) è frutto di un pensiero strategico o di una notte insonne? Di un gesto istintivo che ho fatto a luglio scorso quando ho consegnato l’ultima stesura del libro. Ancora con tutti i personaggi in testa, ho faticato a staccarmi in particolare da questo ragazzo, che nel libro è un personaggio più narrato che narrante, e a cui sentivo di dovere qualcosa di più. Ho aperto il profilo e ho cominciato a postarci senza sapere bene dove andare a parare. Dai gruppi di Anobii alle bacheche di Pinterest: le discussioni social intorno ai libri si moltiplicano. Posso chiederti perché hai scelto proprio Facebook? Perché è il mezzo con cui ho maggiore dimestichezza, il più immediato e il più multimediale. Twitter in questo senso è un mezzo di vecchia concezione: frequentato da pochi e soprattutto da addetti ai lavori, è uno spazio prediletto dai mediatori e raggiunge un numero minore di lettori. FB invece in questo è insuperabile. Si parla molto di narrazioni crossmediali ed enhanced eBook: Chirù ci sta portando in questo territorio o sono fuori strada? Credo siano categorie che interessano più chi osserva per studio queste narrazioni che non chi le compie. Per me è naturale cercare di raccontare con tutte le forme di comunicazione possibili, anche intersecandole. Non credo sia vero che quello che sto facendo con Chirù non lo ha mai fatto nessuno, ma se fosse vero me ne meraviglierei moltissimo. Chirù posta, fotografa, interagisce (non a monosillabi). Di solito, risponde in meno di un’ora. Come riesci a gestire tutto? Divertendomi. Se mi annoiassi non riuscirei a seguirlo e credo che non seguirebbero lui sulla pagina. Riguardo alla Pagina di Chirù, hai parlato di “Gioco di Ruolo”: dimmi che da ragazza giocavi a Dungeon & Dragons e guadagni subito 5 D20 di nuovi fan. Molto peggio. Ho giocato per dieci anni in una community di GDR online di ambientazione medieval-fantasy. È stata una palestra, perché non c’erano gli avatar, ma solo la parola scritta: quello che c’era esisteva nella misura in cui si era in grado di descriverlo. Senza dubbio Chirù è debitore a quell’esperienza e a quella nostalgia, che ogni tanto ancora mi prende. Com’è fatto il cervello di una scrittrice che riesce, sia nei tempi dilatati di stesura di un romanzo, sia nella quotidianità di una Pagina Facebook, a indossare comodamente i panni di un ragazzo di diciotto anni? Chi ha detto che sono comodi quei panni? Chirù è un personaggio letterario

biasetton

Scrivere, letteralmente: intervista a Francesca Biasetton.

Ha scritto i titoli di testa per La leggenda del pianista sull’oceano e il payoff delle Olimpiadi invernali di Torino. Conosce l’alfabeto arabo e quello latino. Ha esposto in Austria, Germania, Iran, Pakistan e lavorato con i principali brand della moda italiana. Mescola diversi saperi, tra calligrafia, illustrazione e arte.  È Visiting Professor presso la NABA e, dal 2011, Presidente dell’Associazione Calligrafica Italiana. Francesca Biasetton, di tutte queste cose, difficilmente vi parlerà, perché, come molti suoi concittadini genovesi, è una persona riservata cui bisogna estorcere le informazioni (che, più pacificamente, trovate sul suo sito). Capirete, quindi, come quanto leggerete dopo non sia resoconto della classica intervista organizzata via email o al telefono, ma, più che altro, il frutto di un’amichevole chiacchierata. Nei vicoli di Genova, intorno a un tavolo, davanti a un tè. Sappiamo che sei una lettrice forte: che libro hai sul comodino? Dopo anni di escursioni in terra straniera – e in lingua straniera – un classico: Gadda, La cognizione del dolore. Le discipline creative, come calligrafia e scrittura, si possono insegnare? Si può insegnare la tecnica, si possono dare consigli per l’ascolto, ma sentire, in modo personale, è qualcosa che fa parte del nostro essere unici. Scrittura a mano (e corsivo) stanno scomparendo: cosa perderanno le prossime generazioni? Tempo, con l’illusione di averne guadagnato: il tempo dell’immaginazione, dell’apprendimento, del pensare, del progettare. Perderanno la possibilità di tradurre il proprio pensiero in modo personale. Abbiamo (ancora) presente la differenza tra un manoscritto e un testo digitato? La distanza emotiva tra una lettera d’amore e una email d’amore? Si dovrebbero tenere in tensione creativa i diversi strumenti, evitando di essere nostalgici rispetto al passato o eccessivamente fiduciosi nel digitale. Si dovrebbero tenere in tensione creativa i diversi strumenti, evitando di essere nostalgici rispetto al passato o eccessivamente fiduciosi nel digitale. Pensare e scrivere: a mano, a macchina, al PC. Quanto incide il mezzo sul contenuto? Scrivere utilizzando il PC ci ha abituati a pensare velocemente, con la possibilità di cambiare facilmente: copia e incolla, fai e disfa: non esistono più la brutta e la bella copia, distinte una dall’altra. Nel mio lavoro mi occupo di forma piuttosto che di contenuto e so che c’è la possibilità di correggere, cambiare, trasformare quello che è stato creato a mano, una volta acquisito con lo scanner. Ma quando si lavora a un originale non c’è margine d’errore, occorre un’altissima concentrazione. La funzione dell’illustrazione rispetto a un testo: didascalia, supporto o pari dignità? Dipende dal contesto, dall’immagine/illustrazione e da cosa si desidera comunicare. Mi piacciono molto le illustrazioni “sintetiche” che lasciano a chi le guarda ampie possibilità di “completarle”. Viceversa, quando un’immagine è molto descrittiva, ci si può concentrare sui numerosi dettagli, e perdersi. Ci hanno detto che odi le font script: il Times New Roman corpo 11 ti piace? Corpo 10; le font script sono un falso, un vorrei ma non posso, un imbroglio: se si vuole rendere un testo speciale, quindi scritto a mano, perché utilizzare una font che imita questa unicità, senza essere unica? Esistono anche macchine che scrivono “a mano”: il destinatario dovrebbe sentirsi offeso da questa finta “preziosità”. Per anni hai scritto migliaia di parole e, adesso, stai sperimentando l’asemic writing? Di che si tratta, esattamente? Scrittura illeggibile, testo aperto, immagine astratta: mette il fruitore in equilibrio tra leggere e guardare. Per me, che ho seguito un percorso di apprendimento della calligrafia formale, studiando i modelli storici, e professionalmente ho scritto “a comando” per i clienti, è stato uno sviluppo naturale: liberarsi delle forme codificate, del testo e, in un primo tempo, anche dai colori. Rompere le regole, ma solo dopo averle apprese. Qual è l’editore italiano con il format grafico che ti piace di più? Mi piace l’impronunciabile 66thand2nd. E sono nostalgica per il minimalismo di Einaudi. Scriveresti un libro intero? Preferirei fare le figure. Il manoscritto formale, il “buono alla prima”, senza possibilità di sbagliare, non appartiene al mio temperamento. Però potrei fare un manoscritto asemic… Hai scritto su carta, vestiti, mobili, corpi, biciclette: il prossimo obiettivo? Tornare a scrivere sui muri, grandi dimensioni. E poi un desiderio che ho da tempo, lavorare con un danzatore: quando ho iniziato a scrivere in grandi dimensioni è sorto spontaneo questo desiderio, perché scrivere “nello spazio” è una sorta di danza, i movimenti non sono più circoscritti al tavolo da lavoro, diventano ampi; mi piacerebbe “dialogare” con un danzatore. Ma anche disegnare di più, bic su carta. Se potessi scegliere, l’opera di quale autore contemporaneo vorresti illustrare? Thomas Bernhard, vorrei saper rendere quel suo modo di criticare, così ironico e autoironico, incalzante. Mi viene in mente un gioco di negativo/positivo, dove si vede un’immagine che, osservata attentamente, ne rivela altre. Ci fai un autografo? Con la tastiera?