l’Allenamento dello scrittore: l’esperienza di Michele De Negri

di Michele De Negri. Ho fatto da cavia. Ed ha funzionato, per quanto mi riguarda. Sono stato invitato alla lezione sperimentale de L’allenamento dello scrittore, un nuovo corso che prenderà piede (letteralmente) a Officina Letteraria a partire dal 3 Dicembre. Mi sono presentato in abbigliamento poco consono all’attività ginnica, e ho apprezzato di poter consumare il riscaldamento comodamente il felpa e jeans. Niente tute o scarpe costose: e questo è il primo punto a favore dell’allenamento letterario. Abbiamo avuto un assaggio di tutti i 4 moduli che comporranno il corso: bioenergetica, relazione, suggestioni video e lavoro sulla voce. Ci riscaldiamo. Muoviamo il corpo, ci inseguiamo e ci imitiamo. Respiriamo. Dalla mente al corpo. A metà degli esercizi, il gruppo si divide in due: metà è isolata, e non messa a conoscenza delle azioni degli altri atleti. Io sono in questa metà. Ci richiamano nella stanza, e assistiamo a una performance. Una mimesi, in un certo senso, messa in atto dagli altri partecipanti: cercano di emulare ciò che hanno appena visto lontano dai nostri occhi. Guardiamo gli atleti, che agiscono ciò che hanno visto: che hanno interpretato. Dal corpo agli occhi. Ora noi interpretiamo ciò che abbiamo visto. Copiamo una copia, traduciamo una traduzione. Dagli occhi alla mente, di nuovo. E ora il passaggio più sorprendente: dobbiamo scrivere. Certo, perché siamo pur sempre a Officina Letteraria. “Scrivete cinque righe, non di più, su ciò che avete visto. Su ciò che avete capito”. In questo momento trascriviamo la nostra traduzione, che è a sua volta l’interpretazione compiuta da un’altra persona, di qualcosa che non abbiamo visto. È uno studio dell’ignoto guidato, che va dai piedi alla carta. Dal corpo, agli occhi, alla mente, alla penna. E ritorno. Dobbiamo ridare corpo alla mente e alla scrittura, perché è un allenamento, ed è fisico. Quindi leggiamo; dalla penna agli occhi di chi legge, alla voce che dà corpo alla nostra mente. Il movimento di cinque persone, che diventa cerchio, poi occhio che guarda, poi mente che traduce; poi occhio che vede, mano che scrive, bocca che legge. È un circolo piacevole nel quale perdersi. E il momento della lettura ad alta voce è davvero catartico e necessario: per sentire vibrare nell’aria ciò che abbiamo provato. Una nota di merito va al sottofondo musicale. All’età di quindici anni frequentavo un corso di disegno. Il primo giorno, la direttrice ci disse: “noi lavoriamo con la musica; non perché crediamo che possa essere di ispirazione, ma perché aiuta a focalizzare”. La frase mi rimase molto impressa, perché sfatava il mito di mus(ic)a ispiratrice; ma è una frase vera. La musica concentra, dà un inclinazione ai nostri pensieri. Respirare, guardare, scrivere e leggere sopra le note di David Lang è certamente un’esperienza piacevole. La musica bussa alle orecchie e arriva nella testa, dove si stanno mescolando tante cose: movimenti, visioni, interpretazioni, scritture. La musica inclina il piano, e fa scontrare tutto, si unisce in un’unica massa critica. E esce qualcosa, perché è troppo per poter stare stretta tra le pareti del cranio. Dal corpo, agli occhi, alla mano, per le orecchie alla voce. Ho partorito un dialogo tra una mano e una testa. Non so se sia una buona cosa, ma è uscita. Meglio fuori che dentro, dice Shrek, e sono d’accordo. Le parole vanno sudate, come le tossine e liquidi durante una maratona; la parole vanno espulse con un allenamento: quello dello scrittore. Maggiori informazioni su L’Allenamento dello Scrittore!

L’Allenamento dello scrittore: l’esperienza di Marta Traverso

di Marta Traverso. Posso confessarti un segreto? La risacca mi fa impazzire. Passerei ore a guardarla. Quel movimento leggero del pelo d’acqua sui sassolini, una manciata di centimetri avanti, una manciata indietro. Così uguale, scandita, ripetibile. L’aria entra ed esce dai nostri polmoni con lo stesso ritmo: per questo, respiro più volentieri vicino al mare. Come se l’aria, lì dove si fa più bagnata, la si potesse toccare. Nel resto del mio tempo, prendo a esempio quei pesci tanto cari a David Foster Wallace e chiedo in giro dov’è aria, cos’è aria. Solo che, a differenza dei pesci, non ho branchie che respirino senza chiedermi il permesso. Ho due narici e una bocca, come te, e non saprei dire cosa colleghi una all’altra, finché una briciola di cracker scavalca l’epiglottide – che bel suono ha, epiglottide – e mi fa tossire, e per un attimo i miei apparati interni si confondono, mi disorientano. Tutto questo centra abbastanza, con la scrittura. Ventisei lettere, una manciata di segni d’interpunzione, un numero indefinito di vuoti riempiti da uno spazio bianco: così uguali, scanditi, ripetibili. Quella stessa risacca può incattivire tutt’a un tratto, si gonfia nel vento, si lascia sommergere da fiotti di schiuma senza un senso e riduce le spiagge a una crosta. Quella risacca è un raffreddore, il naso che perde il suo ritmo e alluviona un continuo starnutire. Nessuno mi aveva avvertita, prima di Elisabetta Marasco, che finché respiro con la bocca chiusa l’aria cattiva mi continuerà a circolare dentro. Come i momenti in cui l’idea per una storia c’è, e le parole per dirla, sta tutto lì, eppure. Esiste al mondo un essere più spaventoso di un foglio bianco? Nel mio primo Allenamento dello scrittore ne ho tenuto uno tra le mani, un paio di minuti, passato di mano in mano, quelle di Cesare Viel e delle compagne e compagni accanto a me. Il foglio bianco si è accasciato sulle mie ginocchia, è come con gli animali domestici, hanno più paura loro di te che tu di loro, ma non lo sai. Dopo qualche istante, ha preso a respirare al mio stesso ritmo, quello della risacca mentre non piove. Poco dopo, ma ancora non lo so, camminerò guidata dalle Augenblick con il passo lento della risacca. Si è addormentato, ora, e un foglio bianco che dorme fa meno paura. Potevo approfittare di lui a mio piacere: farne una pallina, coriandoli, un aeroplanino, o vomitargli addosso colpi di grafite che diventano poesia. Invece no. La risacca era calma. Gli ho accarezzato i capelli, al foglio bianco. Uno dei gesti più intimi che esistano. Quante persone, tra quelle che conosci, ti concedono di accarezzare loro i capelli? Io l’ho fatto, erano castani, cortissimi, non lavati da un po’. Erano i capelli di un personaggio che non avevo mai visto prima. Se non avessi respirato in quel modo, non lo avrei visto mai. Ho fatto piano, per non svegliarlo. Ho respirato ancora, e quel foglio è diventato lui, senza darmi il tempo di accorgermene. Quando l’ho lasciato andare, ha sollevato un ciuffo di aria. Maggiori informazioni su L’Allenamento dello Scrittore!

L’Allenamento dello scrittore: l’esperienza di Camilla Tomiolo

di Camilla Tomiolo. Meg Ryan aveva paura di volare. Non so perché quest’immagine si fa presente nella mia mente, mi dico. È un fotogramma di un film degli anni novanta che guardavo da bambina, quando avevo l’influenza. Comunque, Meg Ryan aveva paura di prendere un aereo, l’aereo per Parigi, l’aereo che avrebbe cambiato la sua vita, in meglio. Siamo tutti in cerchio, senza scarpe, stiamo con una mano sulla pancia e una sul petto. Respiriamo. Ci concentriamo sul sù e giù. In silenzio. Così in silenzio che perfino il tic-tic dell’orologio di qualcuno sembra un rumore fortissimo. Non sembra nemmeno di essere a Officina Letteraria, penso. Stiamo facendo Bioenergetica. C’è una insegnante, Elisabetta Marasco, che ci parla e si prende cura dei nostri corpi dicendoci di fare cose semplici, così semplici da sembrare strane. Tipo respirare, che é una cosa che io spesso mi dimentico di fare, durante la giornata. Mi dimentico che lo sto facendo. E così mi dimentico di un sacco di altre cose: mi dimentico di osservare le persone, di osservare le cose, di ascoltare i suoni, di immaginare. Fa paura, penso. Sentire così, sentire di più, non essere distratti, invasi dai mille pensieri devo stare qua, devo andare là, devo fare questo, devo fare quello. È Cesare Viel a dircelo. Siamo sempre tutti in cerchio. Sarebbe bello, dice, poter mettere un po in pausa quell’Io giudicante. Risatine complici di sottofondo, fosse facile! Provateci, continua lui. Provate a non sentirvi in dovere di fare nulla, nulla di performativo, nulla di stupefacente. Abbiamo in mano un foglio di carta bianco, una cosa piccola, normale, ma che, con questi occhi più grandi, in questa calma, sembra una cosa nuova, piena di possibilità. Ma noi non dobbiamo fare nulla di stupefacente. Ed è così che l’emozione riesce a sgusciare in mezzo alle anse perennemente presenti dell’ansia da prestazione. Così, io vedo le ombre delle mie dita su quel foglio bianco e mi dico che va bene così, mi incanto ad osservarle. Se avessi dovuto pensarmela non ci sarei mai arrivata. Così, i fogli bianchi che ci facevano paura, adesso ce ne fanno un po’ meno. Lasciarsi andare non é facile. Io di solito ci riesco solo tra i mobili di casa mia. E invece ora… Meg Ryan aveva paura di volare, la creatività é un po’ un volo. Verso qualcosa che non conosciamo, qualcosa di noi che non conosciamo. C’è sempre la vocina che si mette di mezzo: ehi, tu! Ma che cosa stai facendo? L’Allenamento dello Scrittore serve ad andare oltre. Ecco quello che é successo ieri sera, a Officina Letteraria, grazie a tutti gli artisti, maestri nel loro campo, presenti. È talmente successo che alla fine mi sono ritrovata, guidata dalle due performer Alessandra Elettra Badoino e Marina Giardina del gruppo Augenblick, a fare, insieme ad altri, una piccola azione teatrale su cui un altro gruppetto di noi ha scritto delle bellissime cose, tutte diverse, tutte con all’interno qualcosa di personale, di nuovo. Tutto il processo creativo era completo. Maggiori informazioni su L’Allenamento dello Scrittore!

Flemma di Antonio Paolacci a Officina

Domani, sabato 31 ottobre alle 18:00, verrà presentato presso la sede di Officina Letteraria “Flemma”, il nuovo romanzo di Antonio Paolacci (edizioni Morellini). L’incontro con l’autore sarà moderato da Emilia Marasco e arricchito dalle letture di Maurizio Patella e dal dj set di Maurizio Mongiovì. L’estrema provincia italiana e una città in mutazione, una rete di storie che si pedinano a distanza, tra una Bologna ogni giorno più ostile e l’apparente monotonia di un paesino del Cilento. Un attore squattrinato che recita monologhi satirici. Un’agente di polizia destinata a scontrarsi tragicamente con lui. Un piano balordo di rapina. Un tredicenne che scopre le possibilità della violenza. Genitori che s’interrogano sul destino dei loro figli. Un’aspirante fumettista che lotta con i propri fantasmi. Un ragazzo che soffoca nel formalismo di provincia fino a concedere alla propria rabbia di attecchire… Un romanzo scritto al presente, permeato di sonorità rock e pop, che procede per frammenti, immagini e suggestioni, per raccontare una storia di solitudini, irrequietezze e sguardi perplessi, in cui i bambini non sono innocenti, gli adulti sono privi di risposte, i trentenni si chiamano ancora “ragazzi” e tutti, in qualche modo, sembrano incapaci di gestire la loro stessa realtà.

4.000 storie d’amore | La Biennale dei Giovani Artisti di Milano

Avreste mai desiderato leggere un libro che si adattasse ai vostri gusti del momento? Una storia con un finale leggero, se la cena vi fosse rimasta ancora sullo stomaco. O un incipit piccante, se non avete più voglia del solito “C’era una volta”. Bene, noi l’abbiamo fatto; e con noi intendo il Collettivo Caratterimobili. Ma andiamo per gradi. Tutto comincia alla lezione di Officina Letteraria di un lontano maggio, in cui ci viene segnalata l’iniziativa: è la Biennale dei Giovani Artisti, che ha una sezione Letteratura alla quale ci si poteva candidare come artisti della Liguria. Abbiamo detto perché no, partecipiamo. Sulla scia dell’entusiasmo formiamo un collettivo: lungimiranti, lo chiamiamo Caratterimobili (sì, metà va scritta in corsivo). Al via del progetto, il collettivo conta una decina di membri entusiasti di condividere le proprie opinioni su un gruppo di messaggistica istantanea. Lentamente l’incantesimo si spezza: l’incombente esame di maturità per alcuni, gli sbalzi umorali, la pubertà, l’Estate. Sono tutti sintomi tipici dell’under 35, età sotto la quale ogni membro del gruppo doveva stare. Per fortuna c’è chi si sente vecchio dentro, e i pochi matusa rimasti affrontano la partenza del progetto al tavolino di un locale, davanti a un piatto di lasagne al pesto e a una parmigiana. Al tavolo ci siamo io; Irene Buselli: “grammatica” da studi classici che vuole fare la matematica; Ester Armanino: architetto, scrittrice, maestra di Officina Letteraria — ma principalmente capogruppo del Collettivo Caratterimobili; Tilahun Bertocci, giovane grafico che ha conosciuto l’approssimativa struttura del progetto circa un’ora prima della consegna, e ha dovuto dargli una forma. Il concept di questa edizione era chiaro e semplice, No food’s land. Ovvero: no, cibo, di, terra; Goggle Translator ci dà suggerimenti random. Expo 2015, il pianeta Terra, ma soprattutto: quando si mangia? Siamo partiti dal metabolismo. Si è pensato a un libro da mangiare (magari stampato su carta da zucchero), poi in ordine sparso: calorie, chilocalorie, la differenza tra una caloria e una chilocaloria, libro-gioco, bestiari magici, lasagne alla parmigiana, consegna entro Luglio, estate. Qualcosa, in un modo o nell’altro, ne è uscito fuori. Il risultato è una piccola antologia di short-stories a forma di menù. Il titolo è Restoryant, e anche qui c’è il corsivo in mezzo al nome. Restoryant è un ristorante letterario, dove non si serve cibo, ma storie: che sono poi il cibo della nostra mente. Così il menù si articola nelle classiche portate: antipasti, primi, secondi, contorni, dessert, caffè o amari per concludere. Ogni portata può avere 4 diversi sapori, scelti in base ai gusti del commensale. E sono queste scelte che comporranno la storia in base alle ordinazioni prese dal cliente. Un antipasto piccante è certamente un rimedio contro gli stereotipi, ma può comunque condurre a un secondo insipido, se la suspence non è ben dosata. 4 gusti di storie, in un certo senso storie d’amore, che si intrecciano in 6 diverse portate, con la possibilità (tuttora inesplorata) di 4.096 combinazioni di intreccio. E così, il 19 Ottobre, Restoryant (ricordatevi il corsivo in mezzo) ha debuttato in Sala Dogana a Palazzo Ducale, insieme ad altre 3 opere degli artisti selezionati a rappresentare la Liguria: Nuvola Ravera, Leonard Sherifi, Stefano Tirasso. Se vi sbrigate, fate ancora in fretta a vederlo. Ci è venuto anche in mente di girare un video per presentare il progetto, perché 4.096 storie che collimassero dall’antipasto al caffè non ci sono bastate. Dopo l’inaugurazione in Sala Dogana, la sera del 20 Ottobre al Count Basie Jazz Club di Genova, riservata ai 100 artisti dall’Europa e dal Mediterraneo ospiti della Pre-Biennale di Genova. Qui si sono tenuti i reading di tutte le opere letterarie partecipanti alla Biennale dei Giovani Artisti. Due copie di Restoryant deliziosamente confezionate dalla case editrice dei sogni Pulcinoelefante, sono poi in viaggio verso Milano; e se non hanno trovato traffico in tangenziale, sono già appoggiate a un tavolino sopra una tovaglia rossa alla Fabbrica del Vapore. Le porte hanno aperto il 22 Ottobre, dove Mediterranea 17 Young Artists Biennale sarà visitabile fino al 22 novembre. Per il progetto Restoryant si ringrazia: Emilia Marasco e Officina Letteraria. Edizioni Pulcinoelefante di Osnago, Alberto Casiraghy e Roberto Bernasconi. Per il video: Sara Sorrentino, Renato Carpi, Alessandro Bellagamba SDAC Genova. Grazie a Sara Fedele, Martina Bavastro, Letizia Castellazzi per esserci “state”, anche solo con il cuore.  

Penne Rosa a Genova

Si apre domani alla Sala Consiliare del Municipio IV il festival Penne Rosa, con un dibattito sulla scrittura a cui parteciperanno Donatella Alfonso, Sara Boero e Sara Rattaro. Penne Rosa è il primo festival delle scrittrici genovesi, organizzato dalle librerie indipendenti di Genova. Una bellissima iniziativa tutta al femminile e “a chilometro zero” per promuovere la lettura sul territorio. Gli incontri, a cui parteciperanno anche le maestre di Officina Emilia Marasco, Ester Armanino, Barbara Fiorio, Rosalba Troiano e Gaia De Pascale, si concluderanno il 27 novembre. Di seguito il calendario completo degli eventi.  Una bellissima iniziativa tutta al femminile e “a chilometro zero” per promuovere la lettura sul territorio. Giovedì 15 ottobre, Sala consiliare Municipio IV Media Val Bisagno Dibattito: Scrivere a Genova Autrici: Donatella Alfonso, Sara Boero, Sara Rattaro Venerdì 16 ottobre, Libreria Libro Più, Pontedecimo Presentazione: Storia naturale di una famiglia Autrice: Ester Armanino Venerdì 16 ottobre, Libreria Sottosopra, Portoria Dibattito: Creare famiglie creative Autrice: Emilia Marasco Sabato 17 ottobre, Libreria Ali di carta, Struppa Presentazione: Adelante Autrice: Silvia Noli Mercoledì 21 ottobre, Libreria Marassi Libri Presentazione: Correre è una filosofia Autrice: Gaia De Pascale Giovedì 22 ottobre, Biblioteca Campanella, Prato Presentazione: Racconti colpevoli Autrice: Elisabetta Rossi Sabato 24 ottobre, Municipio IV Media Val Bisagno Presentazione: Cha-U-Kao Autrice: Rosalba Troiano Martedì 27 ottobre, Libreria Finisterre, Pré Presentazione: La melodia sibilante Autrice: Claudia Piano Giovedì 29 ottobre, Biblioteca Italo Calvino, Sori Presentazione: Il sogno di Pandora Autrice: Sara Boero Venerdì 30 ottobre, Libreria Mastro Libraio, Certosa Dibattito: Raccontare la Resistenza Autrice: Donatella Alfonso Sabato 31 ottobre, Libreria Libro Più, Pontedecimo Presentazione: Nessuno mai potrà + udire la mia voce Autrice: Deborah Riccelli Martedì 3 novembre, Biblioteca Lercari, San Fruttuoso Presentazione: La melodia sibilante Autrice: Claudia Piano Mercoledì 4 novembre, Libreria Finisterre, Pré Presentazione: Quella striscia di cielo sopra la testa Autrice: Lucia Tartaglia Giovedì 5 novembre, Libreria Mastro Libraio, Certosa Presentazione: Falene Erotiche Autrice: Ornella Pozzolo Venerdì 6 novembre, Libreria Marassi Libri Presentazione: Tears in Hell da Crimini sotto il sole Autrice: Arianna Destito Sabato 7 novembre, Libreria Ali di carta, Struppa Presentazione: L’acero delle stelle Autrice: Marina Salucci Mercoledì 11 novembre, Libreria Libro più, Pontedecimo Presentazione: Adelante Autrice: Silvia Noli Sabato 14 novembre, Libreria Mastro Libraio, Certosa Presentazione: Quella striscia di cielo sopra la testa Autrice: Lucia Tartaglia Martedì 17 novembre, Libreria Sottosopra, Portoria Presentazione: Il sogno di Pandora Autrice: Sara Boero Giovedì 19 novembre, Libreria Marassi Libri Presentazione: Vintage! Caccia al tesoro nel cassetto della nonna. Autrice: Cristiana Crisafi Giovedì 19 novembre, Biblioteca Italo Calvino, Sori Presentazione: Qualcosa di vero Autrice: Barbara Fiorio Sabato 21 novembre, Libreria Ali di carta, Struppa Presentazione: Niente è come te Autrice: Sara Rattaro Lunedì 23 novembre, Libreria Marassi Libri Incontro con Barbara Fiorio Martedì 24 novembre, Libreria Finisterre, Pré Presentazione: Storia naturale di una famiglia Autrice: Ester Armanino Giovedì 26 novembre, Laboratorio Migrazioni, Sarzano Sant’Agostino Dibattito: Il mestiere di scrivere al femminile Autrici: Barbara Fiorio, Deborah Ricelli, Marina Salucci Venerdì 27 novembre, nella cornice del Foyer del Teatro della Corte Tullio Solenghi presenterà Barbara Fiorio e il suo Qualcosa di vero

Tempora. Personale di Paolo Bonfiglio

C’è un uomo che cammina in mezzo a una foresta di tronchi d’albero. Sappiamo che avanza come si conoscono per istinto le cose ineluttabili, sappiamo che va avanti perché nessuno può davvero fare altrimenti. Ma la neve che ha lapidato il suolo – lastra bianca che solo un rovo buca come un ago storto – la neve lo radica a terra, lo sprofonda. È così che si muore, sembra dire. È così che questi pali neri, che sono alberi senza chioma, intrecciano il tessuto bianco e nero di una scenografia naturale e spietata. Che poi a ben vedere non c’è intreccio alcuno: la simmetria della natura è fatta di linee parallele, solitudine geometrica che va avanti all’infinito. In Mortale ho mischiato insieme le Langhe, un quartiere di Barcellona che è un esempio di quarto mondo e Sarajevo mi racconta Paolo Bonfiglio. Intanto, mentre parla, riempie di parallelepipedi il foglio che ha davanti. Mortale, realizzato nel 2009, è uno dei tre cortometraggi prodotti dall’artista insieme al musicista Mick Harris. “Animatic”, si dice, animazione più comic. Il termine non mi piace del tutto, chiarisce, ma è di questo che si tratta in sintesi. La prima collaborazione con Mick Harris però risale al lungometraggio Fragments, un cineconcerto. Ho ricevuto la musica composta da Harris e l’ho unita al mio archivio di immagini (fa un cenno in direzione della sua testa) Harris non ha composto la musica per i miei disegni, così come io non ho realizzato i disegni a partire dalla sua musica: si è trattato di un processo parallelo, fatto anche di aggiustamenti progressivi e reciproci. Io ascolto, caduta a capofitto in questo mondo che affascina solo a sentirlo raccontare, e intanto ripenso a quello che Paolo mi ha raccontato di sé. Da piccolo guardavo un mucchio di televisione, mi ha detto poco fa, cartoni animati belli e meno belli, ne guardavo un sacco. Mi immagino le Langhe – sono nato tra Acqui e Alba – , sono gli anni ’70. Mi immagino il freddo e la neve, il buio presto. Adesso che vive tra Parigi, le lezioni all’Accademia di Belle Arti di Genova e le sue Langhe, quando torna a casa quel tempo lo dedica alla scrittura. C’è troppo buio per dipingere a olio, spiega: Scrivo per ragioni ambientali Davanti alla stufa, con il buio dietro i vetri della finestra, la scrittura diventa un fatto determinato dalla stagione. Sorrido. E penso che questo bisogno di esprimersi praticando molti linguaggi (la scrittura, l’immagine in movimento, il disegno e la pittura) sia l’unico modo di assecondare un impulso narrativo che non dà tregua. Faccio tutto io, mi dice a un certo punto parlando dei suoi lavori teatrali. E non si tratta di mania di controllo, è chiaro, e nemmeno del desiderio pure comprensibile di esprimersi in tutti i modi che gli sono congeniali: è piuttosto un’assunzione di responsabilità totale. C’è un cane che rosicchia un teschio, lo fa per gioco. Ancora bianco e nero. Il teschio – la valigia piena di ossa è il bagaglio del passato, mi sussurra all’orecchio la Mater – il teschio può essere il mio, il tuo, il suo. Il teschio, le ossa, riguardano tutti noi mortali. E mortale può essere la memoria, rosicchiata, rosa, erosa. La scomparsa della memoria è il pericolo più grande Ed è già in atto. Lavoro moltissimo, adesso, mi spiega. Dice che vuole compensare quel periodo di spreco, lo chiama così, di esuberanza creativa in cui ha indugiato da ragazzo. Eravamo nichilisti, la mia generazione ha sprecato, ha vissuto interi anni con poca cura. Si trovava facilmente un impiego negli anni ’90, si poteva viaggiare. Adesso, mi dice, voglio fare bene animazione, e quando insegno, ci metto tutte le energie. Mi parla, ancora, di due nuove idee/immagini su cui lavorerà a breve: la danza dei corvi che si litigano la spazzatura a Les Halles e il movimento delle foglie secche sollevate dal vento – casuale sì, ma c’è una regola, mi assicura, l’ho scoperto facendo una sequenza fotografica, è straordinario. Mi parla di Mala Tempora, un progetto ampio che richiederà moltissimi anni di lavoro. Prima di Mala Tempora, mi spiega, tutto quello che c’è prima l’ho chiamato Tempora. Tutto questo è Tempora. In Officina Letteraria, dal 10 Ottobre al 22 Novembre. www.paolobonfiglio.altervista.org

Women’s Fiction Festival Matera 2015

Cara amica, benvenuta al Women’s Fiction Festival. Così leggo nella lettera contenuta nella cartellina rosa che mi consegnano all’ingresso della sala stampa delle Monacelle, via Riscatto numero 9/10. È il 24 settembre 2015. I miei occhi sembrano aver compiuto un salto spazio temporale sulla Luna: tutto qui è sorprendentemente bianco e un pò remoto. Io e le mie compagne di viaggio siamo sbarcate a Matera, la città dei Sassi. Staremo qui quattro giorni, assisteremo alla kermesse letteraria che da dodici anni riunisce decine di agenti letterari, editor, traduttrici, scrittrici e aspiranti scrittrici. Una collettività della lettura, come la definisce Alessandra Casella durante la serata conclusiva del festival. Una magnifica polarizzazione di addetti al mestiere del libro provenienti da tutto il mondo. Elizabeth Jennings, Maria Paola Romeo e Mariateresa Cascino sono le autrici di tutto questo, tre donne che lavorano nel mondo del libro e che credono che il futuro passi proprio da lì: aprite i libri, aprite il futuro. “Pochi libri cambiano una vita. Quando la cambiano è per sempre, si aprono porte che non si immaginavano, si entra e non si torna più indietro.” Christian Bobin Gli incontri. Panels. Quelli che trovo più interessanti sono le tavole rotonde con gli agenti letterari. Sono venuti qui da varie parti del mondo, specialmente da Inghilterra e Stati Uniti e sono tutti decisamente donne: Julia Churchill (AM Health Literary Agency), Penelope Holroyde (Penelope Holroyde Literary Agency), Vicky Satlow (Vicky Satlow Literary Agency), Christine Witthohn (Book Cents Literary Agency). A moderare le discussioni è la nostra agente italiana, direttrice editoriale del festival, Maria Paola Romeo (Grandi & Associati). Assisto munita di cuffiette per la traduzione, sono presenti in sala, infatti, le interpreti: lo scambio è così stimolante anche per via di questo colore e sapore internazionale. Si discute dell’attuale situazione del mercato editoriale italiano ed estero, di self publishing con case editrici digitali, da soli o assistiti da un agente letterario, di editoria tradizionale, di contratti editoriali, del futuro: ebook o carta stampata? Nel panel intitolato “Il nuovo mercato digitale in continuo cambiamento” si discute di come l’editoria oggi sia in trasformazione e di come sia difficile fare delle previsioni su quali saranno gli esiti di questo cambiamento. Gli ospiti a confronto sono Porter Anderson (giornalista specializzato nell’industria editoriale), Meghan Farrell (editor della Tule Publishing), Ricardo Fayet (Reedsy), Jane Friedman (consulente editoriale e esperta di digital media), David Gaughran (autore e esperto di digital media), Camille Mofidi (Kobo) e Maria Paolo Romeo (Grandi e Associati). Tra le altre cose, si parla di un articolo, uscito qualche giorno fa sul New York Times e intitolato: “La fine della rivoluzione digitale”. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, si può leggere, la previsione per cui nel 2015 le vendite di ebook avrebbero superato quelle del libro cartaceo non si è avverata, anzi. Gli ospiti del WFF mettono a confronto le loro idee a riguardo, le posizioni sono eterogenee e articolate, ma su un punto sembrano concordare: la rivoluzione digitale non è finita. Il mercato editoriale è molto frammentato e sta cercando nuovi modi di declinare se stesso. Inoltre sfuggono alle statistiche, usate per sostenere la tesi della fine della rivoluzione digitale, gli ebook di editori indipendenti e degli autori che si auto pubblicano su Internet, nonché i dati di Amazon, che notoriamente restano blindati. Focus. Ci sono, poi, incontri focus su “Come proteggere la tua privacy sui social media” con Adam Firestone. “Come promuovere il tuo libro su web” con Porter Anderson e Jane Friedman: lo scrittore diventa partner dell’editore nel processo di promozione del suo libro pubblicato, può sembrare un duro lavoro ma è così che funziona. “Come utilizzare Kobo writing life”, la piattaforma internazionale per auto pubblicare in digitale il proprio libro. Storie sull’editoria non occidentale. Particolare è l’incontro che viene spostato all’ultimo giorno con Manjiri Prabhu. Manjiri è una scrittrice indiana, è qui a WFF per parlare dell’industria editoriale in India. Manjiri è una donna sorridente e tenace: per tre anni ha provato a organizzare in India un Festival della letteratura a Pune al quale inizialmente partecipò solo una decina di persona. Ci mostra le foto della sala quasi completamente vuota nel 2013. Ci dice che se si cercano le persone offrendo loro eventi culturali di qualità, quelle prima o poi risponderanno. Ci mostra la foto del 2015: un applauso e molti sorrisi si accendono nella sala del WFF. Manjiri ce l’ha fatta. Ha portato quello che noi tutte qui amiamo anche a casa sua. Anche se è stato difficile. In India fino a poco tempo fa il numero di lettori era molto basso a causa della povertà e della scarsa alfabetizzazione. Oggi il mercato editoriale indiano è in forte crescita. Pitching! Durante le sessioni pomeridiane del WFF si svolge La borsa del libro, le aspiranti scrittrici possono prendere appuntamenti con gli editor e gli agenti letterari, dialogare con loro, illustrare il loro progetto di romanzo. Gli incontri non durano più di dieci minuti, in gergo sono chiamati pitch.A noi italiani sembra una parola strana, nella pratica si tratta di coppie di donne che dialogano sedute su grandi divani sparsi per i corridoi e le sale delle Monacelle. Molto suggestive a vedersi per chi passa di lì come me, un p0′ meno per chi sta esponendo il suo primo romanzo alla signora editor di turno! Ma si sa, dopo l’adrenalina, a volte, arrivano molte gioie. Sono presenti, sedute sui divani, editor di alcune delle maggiori case editrici italiane e sono state scoperte qui molte aspiranti scrittrici che hanno ricevuto proposte per un contratto editoriale a seguito di questo incontro. Workshop. Sempre durante il pomeriggio è possibile per gli iscritti al Women’s Fiction Festival partecipare a Workshop di scrittura creativa tenuti dalle due scrittrici e sceneggiatrici Flumeri e Giacometti: tre incontri di tre ore ciascuno tenuti in una bella sala abitata da poltrone bianche, due simpatiche e avvincenti conduttrici, slides illustrative e spezzoni di film, molte donne partecipanti e molti spunti per la costruzione di un personaggio. Le due autrici sono anche membri di EWWA ,

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I 10 libri che hanno fatto di te il lettore che sei

Il mio primo libro è stata una rielaborazione per bambini dell’Odissea. Non il primo libro che ho letto, ma il primo che ha avuto un significato. Mi affascinava il personaggio di Atena: astuta, coraggiosa, indipendente, probabilmente bisessuale, una mosca impertinente nel cervello di Zeus che dovette farsi spaccare il cranio per lasciarla nascere. Ognuno di noi lo ha, un primo libro. E un secondo, un terzo, un quarto. Per Giorgio Fontana e Marco Missiroli sono stati, rispettivamente, le storie di Topolino sceneggiate da Rodolfo Cimino e Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti. Non un piacevole ricordo d’infanzia o dell’adolescenza, ma il primo mattoncino che compone la loro identità di scrittori. Di lettori. Hanno scelto questo tema, nel presenziare al Festival della Mente di Sarzana: regalare ai fan, ai lettori, a chi li conosce di sfuggita o per nulla, i libri che hanno fatto di loro i lettori (e gli scrittori) che sono. I mattoncini del percorso letterario che li ha portati fin qui. I loro perché. Perché quella certa opera. Perché quella particolare attenzione alla forma, alla lingua. Perché la vita o la morte di quell’autore li ha colpiti così tanto. Perché quell’opera, quello scrittore, e non altri. Perché io Kafka e tu Carrère. Perché io Philip e tu Joseph (Roth). Perché Il vecchio e il mare e non Addio alle armi. Perché gli scrittori che ti hanno ispirato sono tutti uomini. Perché molti si sono suicidati. Perché alcuni, quando hai la fortuna di incontrarli, ti risultano così antipatici che vorresti non leggerli mai più. Perché, di altri, sei diventato amico. Li ascolto e mi chiedo quanto ci è voluto, per tirare fuori dal cilindro dieci libri (o giù di lì) a testa. Se sono venuti fuori di getto, d’istinto, o dopo lunghe peregrinazioni tra gli scaffali di casa, i taccuini, l’account su aNobii finché lo hanno tenuto aggiornato. Ammesso che l’abbiano mai avuto. Li ascolto e mi viene voglia di comprare tutti i loro libri e cercare una traccia, la traccia di quella volta che hanno pianto mentre il personaggio cieco di Carver disegnava una cattedrale. Di quella volta che hanno ringraziato Buzzati di aver scritto d’amore, mentre i grandi del suo tempo lo ritenevano un tema di poca dignità. Di quella volta che si sono fidati di Bernard Malamud e gli è andata bene, perché Malamud è uno di quelli che non tradisce mai il proprio lettore. Li ascolto e ripenso ad Atena, che questa cosa di Atena la vorrei raccontare a qualcuno. Mentre nella mia testa al mattoncino omerico se ne affianca un secondo, e un terzo, e un quarto. Li ascolto e credo che non ci sia modo più tenero per conoscere meglio una persona. Farla sedere e raccontare. Quale libro ti ha ispirato un viaggio, quale ti ha fatto venire voglia di scrivere, quale ti ha esaurito la scorta di fazzoletti, quale ti ha fatto addormentare alle tre di notte senza renderti conto che era passato tutto quel tempo. Io uno dei miei te l’ho detto, e chi mi conosce sa che non ho la confidenza facile. Vorrei tanto sapere i tuoi. Fai con calma, riflettici, dimmene uno, cinque, otto o dieci. Dimmi perché. Mentre lo dici, emoziónati. Altrimenti non funziona.

L’arabo del futuro di Sattouf

Ha lunghi capelli biondi, l’arabo del futuro, una boccuccia di rosa, occhi profondi e tondi. Si chiama Riad e nonostante i suoi due anni di età, questo nome gli è stato assegnato da molto tempo. Perché in Siria funziona così: i ragazzi, prima ancora di essere uomini, possono decidere il nome del loro primogenito maschio, prima ancora che esista, in una proiezione in avanti precoce e tutta al maschile. Così suo padre si faceva chiamare Abu Riad, “il padre di Riad”, prima di andare a studiare alla Sorbonne, prima di conoscere sua madre Clémentine alla mensa dell’università, prima di innamorarsene, prima, molto prima dei suoi occhi tondi, della sua boccuccia di rosa e di tutto il resto. Ci sono grandi aspettative che lo riguardano. Qualche volta Riad sogna di camminare in un lungo corridoio giallo senza soffitto e all’improvviso compaiono due tori che lo inseguono. Quando la speranza di salvarsi lo abbandona, una mano gigante lo afferra e lo porta in salvo: è la mano di suo padre. Si affida, Riad, come tutti i bambini. Cos’altro potrebbe fare? L’arabo del futuro di Riad Sattouf è uscito da pochissimo per Rizzoli Lizard in traduzione italiana, dopo aver venduto 200.000 copie in Francia ed essersi aggiudicato il Fauve d’or d’Angouleme 2015 come migliore opera. Lo cerco sullo scaffale, lo trovo (copertina nera e rossa, inequivocabile Gheddafi su sfondo di bandiere verdi) e come succede ad Alice con la tana del bianconiglio, ci cado dentro a capofitto. In Siria ero un francese, in Francia ero un arabo con un nome bizzarro dice di sé l’autore, e ci racconta proprio questa storia, una storia complessa di estraneità e di appartenenza, di regole apprese e sovvertite, di andate e ritorni tra la Francia, la Libia di Gheddafi e la Siria di Hafiz Al-Asad. E tutta questa materia complicata, intessuta di differenze culturali, di incomprensioni, di piccole e grandi violenze, ci arriva diretta come avessimo la pelle sottile dei bambini, senza spiegazioni, senza la possibilità di formarsi un’opinione univoca sulle cose, con quello spaesamento meraviglioso e terribile che accompagna le esperienze dell’infanzia. Ci arriva con forza e con leggerezza, grazie all’ironia che Sattouf, “scuola” Charlie Hebdo, riesce a trovare nell’ombra delle cose, anche quando non sembra possibile. E invece no, è possibile eccome. E si trova in libreria, comodamente tradotto nella nostra lingua. Io sono contenta di averlo letto. Riad Sattouf, L’arabo del futuro. Rizzoli Lizard 2015      

Non scrivere di me, Livia Manera Sambuy: recensione

Recensione di Marta Traverso. Incontra David Foster Wallace in un autogrill a due ore e mezza da Chicago. Un luogo così remoto che se non fosse per il suo accompagnatore Dan, a cui non sembra vero di poter conoscere di persona il suo idolo, Livia non lo avrebbe mai rintracciato. Mavis Gallant, invece, non sapeva chi fosse. È stato Mordecai Richler (quello de La versione di Barney) a spiegarle – con buona pace di Alice Munro – che era la più grande scrittrice canadese vivente. Oltre cento racconti pubblicati sul New Yorker, fra le altre cose. Livia e Mavis sono diventate ottime amiche, con il passare degli anni. Paula Fox la riceve in casa sua. Ha novant’anni, e fatica a ricordarsi cosa ha detto un istante prima. Suo marito Martin Greenberg, novantacinque anni, è al piano di sopra a lavorare a una traduzione di Von Kleist. Di sua nipote Courtney Love (sì, proprio lei, vedova Cobain) non ne vuole parlare. A onor del vero, sono molti i temi tabù, almeno in quella fase iniziale di diffidenza tra intervistatrice e intervistato. Finché scatta la scintilla, chimica, incontro di anime, chiamatelo come vi pare. Livia Manera Sambuy ha intervistato molti scrittori e scrittrici nei suoi viaggi lungo gli Stati Uniti, e si è sentita spesso dire: non parliamo di questo, né di quest’altro, «ti proibisco di scrivere di me». Da qui il titolo Non scrivere di me (Feltrinelli, 2015), Livia che socchiude la porta del suo mondo, ci lascia scorgere tra le valigie e i passi affrettati, da Parigi a New York, da Milano al Madagascar, in tasca il suo amore per la letteratura americana, uno dei lavori più belli che ci siano, il suo. So solo che è la mia vita, la vita di una persona che ha fatto del leggere il proprio mestiere. Anche Philip Roth era diffidente, tanto che la prima volta non volle neppure incontrarla. Quattordici ore (o giù di lì) di aereo e tutto quello che è disposto a concederle è una telefonata? Si è fatto perdonare con un invito a cena. Ne è nato un legame oltre ogni immaginazione, tanto da far dire a Roth “Avremmo dovuto incontrarci venticinque anni fa. Avremmo cambiato le nostre vite”, tanto da regalare a noi il documentario Philip Roth. Una storia americana, che Livia ha pazientemente diretto. Lei fu tra le prime persone a ricevere la notizia, con mesi di anticipo rispetto al resto del mondo: “Mia cara, è arrivato il momento di tirare giù la saracinesca e chiudere bottega. Perché abbia buttato via la mia vita con i libri e con le donne è un mistero” Ed è stato proprio Roth a suggerirle l’intervista a Judith Thurman, autentica ispiratrice del film La mia Africa. Lui l’ha conosciuta dopo averle scritto una lettera di ammirazione per la sua biografia di Karen Blixen. Sì, ricevere una lettera di ammirazione da Philip Roth. Quando Livia entra nell’ufficio di Joe Mitchell, nella sede del New Yorker, non le sembra vero che quell’anziano redattore così dedito al lavoro non pubblichi più nulla dal 1964. Il suo romanzo più celebre è la biografia di Joseph Ferdinand Gould, il bizzarro scrittore che traduceva poesie nella lingua dei gabbiani. Realmente esistito, googlare per credere. Poi James Purdy, il genio prigioniero di un’epoca in cui l’orientamento sessuale di una persona – se di dominio pubblico – poteva mettere in ombra tutto il resto. E di uomini nell’ombra scrisse, per tutta la vita. Livia lo ha incontrato una sera che c’era una forte tempesta di neve e, come tutti, anche James ha socchiuso davanti a lei un pezzetto del suo mondo. La sua valvola di sfogo fin dall’infanzia? Scrivere rabbiose lettere anonime che poi non spedisce. Il solo scriverle basta a rilassarlo, almeno per un po’.  E che emozione Richard Ford, mentre le racconta di quella volta che lui e Raymond Carver videro una ragazza bellissima uccidere e spiumare un’anatra a colpi di accetta, si guardarono l’un l’altro e dissero: «Scommettiamo che ti batto e arrivo prima io a metterla in un racconto?» «Scommettiamo di no?»

Il Giro d’Italia in 80 librerie

Ha un libro aperto sulla testa, il ciclista del Giro d’Italia in 80 librerie: le pagine a stretto contatto con la calotta che copre i pensieri, in un gioco di scambi, la copertina rivolta verso l’esterno, a riparare dagli urti come un casco. Un libro è un presidio di sicurezza, ci salva la testa sembra suggerire il logo di questa iniziativa, partita il 29 Maggio  da Tarvisio, in Friuli, per arrivare fino a Bari passando per Veneto, Emilia Romagna, Marche e Abruzzo. Si tratta di una staffetta ciclistica, culturale e ambientale, che coinvolge scrittori, musicisti, attori, librai, bibliotecari e professori in un percorso a tappe. Ogni tappa coincide con una libreria, oppure un teatro, una biblioteca o una scuola; per ogni città interessata dal Giro è stato pensato un calendario di eventi per la promozione della lettura. Perché associare libri e biciclette? Perché stanno bene insieme suggerisce lo stesso manifesto di Letteratura rinnovabile, l’associazione culturale promotrice. La letteratura è una fonte di energia inesauribile, in grado di rinnovarsi; il libro, per sua natura, vive della circolazione di emozioni e idee di cui è veicolo. Così la bicicletta trasforma e moltiplica la nostra energia di movimento e ci sposta nello spazio alla giusta velocità. Se la lettura richiede un tempo caratteristico, quello dell’ attenzione, lo stesso rivendicano il paesaggio e la riscoperta del territorio. Un elogio della lentezza? Anche. Insieme a un desiderio – cosciente, non detto, urlato, taciuto – di riprendersi il tempo per approfondire, per farsi un’opinione sulle cose. Il Giro comprende cinque soste speciali a Udine, Ferrara, Sant’Arcangelo di Romagna, Pesaro e Ancona, con Chi l’ha letto?, spettacolo teatrale itinerante. Sono previste Cinebiciclettate notturne, con proiezioni sui muri di chiese e palazzi, e gare di biglie sulla spiaggia. Partner, tra gli altri, la Federazione Italiana Amici della Bicicletta e la Federazione Ciclistica Italiana, che hanno progettato i percorsi migliori. Le tappe del Giro e i dettagli dell’iniziativa su www.letteraturarinnovabile.com e www.giro80.com

Il Salone Internazionale del Libro di Torino 2015

Appena entri nel Padiglione 1 del Salone Internazionale del libro a Torino, un fiume di gente ti scorre intorno, voci rimbombano dagli altoparlanti e lo sguardo si perde tra un caos di piedi che, a varie velocità, pestano la moquette rossa. C’è chi si dirige sicuro da un punto all’altro, chi schiva correnti contrarie, chi gironzola incuriosito tra i vari “mercanti”. Sono gli editori, espositori di pagine di carta stampata, diventano qui loro stessi i personaggi della storia: sono i creatori di tutto ciò che può essere sfogliato o, senza troppi romanticismi, i produttori del prodotto “libro”. “Cinque giorni, 340.000 visitatori, migliaia e migliaia di libri, 1.000 editori, 1.500 incontri, presentazioni e spettacoli con i più grandi scrittori e intellettuali del nostro tempo. Tema del Salone 2015 è “Le Meraviglie d’Italia”. Paese ospite la Germania con i suoi autori e la sua cultura. Un intero padiglione dedicato ai bambini e ragazzi, l’editoria digitale, i fumetti, i libri del gusto di CookBook… Non perderti il Salone delle Meraviglie!” si legge sul sito del Lingotto Fiere. Eppure da perdersi c’è eccome, in mezzo a tutti gli stand e gli incontri e i gadgets che poco hanno a che fare con il libro. Venire qui senza sapere bene cosa cercare, rischia di diventare una passeggiata molto stancante e priva di meta. Cosa dovrebbe differenziare una visita al Salone del Libro da una mera puntata in una di quelle grandi librerie di catena che si trovano oggi nelle nostre città?

Sogno quindi sono. Personale di Cinzia Ratto.

Lo spazio del sogno, per abitarlo, non hai bisogno degli occhi. Puoi tenerli chiusi, oppure aperti, puoi lasciare che si incantino senza guardare davvero, lasciarli posare su un ramo invisibile, avanti a destra. Cresceranno case sulla tua testa, spunteranno scale dai tetti per toccare il cielo, mentre un vento leggero mulina in aria pesci, foglie e cucchiaini da tè, a un passo dalle tue orecchie. C’è una donna che afferra una forchetta come fosse un’asta da atleta. Dove la porterà il salto? Sogno quindi sono, si intitola così la personale di Cinzia Ratto, in mostra in Officina dal 14 Maggio. Sogno quindi esisto: non basta il pensiero, sembra suggerirci, è il pensiero fantastico che ci rende vivi la reale esistenza in questo mondo è garantita solo dalla capacità di immaginare mondi altri. Cinzia Ratto è architetto, illustratrice, designer e insegnante, e anche se non la conosco – ci sfioriamo per un attimo in Officina Letteraria e l’attimo dopo è sparita – credo di averla vista in una sua tavola (si dice che a volte gli artisti nascondano ritratti di sé nelle loro opere). L’ho vista in sella a un monociclo, in equilibrio su una fune tesa tra le case come una corda da stendere, sotto i piedi la vertigine. Gli equilibristi sono creature in perenne movimento. Cinzia Ratto ha seguito corsi di illustrazione editoriale a Sarmede, Venezia, Torino, Milano, Macerata, confrontandosi con illustratori diversi. Ha pubblicato principalmente con editori esteri, come Nord Sud, Grimm Press e Templar Publishing. Quando tira forte il vento capita che i suoi personaggi volino via dalle illustrazioni insieme alle arance mature. O che le mongolfiere sollevino le case. O che alcune foglie, se sono leggere al punto giusto, non tocchino più terra e si inseguano in volo, gialle, aprendo nella pagina la terza dimensione. Quando i riquadri delle illustrazioni hanno le porte solo socchiuse, allora i personaggi possono entrare e uscire a loro piacere: è così che li trovi a vagare in mezzo al libro. Chissà che succede a tenere i libri aperti. Il mondo ci è dato in prestito scrive Cinzia parlando di sé, quindi è un luogo da abitare con cura, la cura che si riserva a ciò che si ama. Si può percorrerlo a piedi, in barca a vela, in compagnia di umani e di animali. Si può attraversarlo volando. La vita è sogno, diceva qualcuno. Sogno quindi esisto. Mostra personale di Cinzia Ratto, in Officina Letteraria dal 14 Maggio al 13 Giugno.

Il poeta dell’aria, romanzo di Chicca Gagliardo

Prima di iniziare a leggere Il poeta dell’aria sono andata su YouTube. Già, perché il blog di Chicca Gagliardo lo seguo da tempo, avevo presente la sua faccia, ma non avevo mai sentito la sua voce. Ho trovato un solo video in cui parla di questo libro, una breve intervista, con una frase che mi ha colpita: Ogni lettore troverà il proprio modo di volare. Il sottotitolo è infatti Romanzo in 33 lezioni di volo, e il protagonista è un poeta che dal suo cornicione osserva la città e ne respira l’aria. Quell’aria che è sempre con noi, anche quando non la sentiamo, quando “non tira un alito di vento” e invece l’aria c’è, e ci accompagna, in qualche modo. È grazie all’aria se le parole che pronunciamo arrivano all’orecchio di qualcuno, se i suoni del mondo vibrano al tocco del nostro timpano. L’aria è anche quella forza che le tiene su, le parole, le fa volare. Il poeta che mi insegna, giorno dopo giorno, a volare (sì, a me che sto leggendo, e se anche tu leggerai questo libro capirai il perché), ha imparato a scrivere da Anfibio, un poeta più anziano. Questi versi sono solo belli, nient’altro. (…) Sì, adesso si sente la tua voce, ma solo la tua voce. (…) Nell’aria ciò che scrivi e respiri diventa un’unica nota. (…) Giura che mai scriverai parole costrette a restare inchiodate sulla pagina. Tentativo dopo tentativo, il poeta Volatore dona vita a quella che Italo Calvino definì la poesia dell’invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili, la poesia del nulla. Chi si diletta di scrittura conosce bene questa sensazione. Volare con la mente, con la fantasia, perché è lì (nell’aria, appunto) che nascono le storie. Ed è solo uno dei molti modi e obiettivi in cui possiamo entrare in comunione con l’aria. Una lezione che il protagonista ci ricorda ben trentatre volte, con il suo tono fiabesco e disincantato, leggero. Ce lo ricorda sulla carta, che è fatta di materia e non di aria, vero, ma non c’è niente di male nel fermarsi ogni tanto, lasciarsi catturare da quello strano senso di vertigine, prendere fiato e poi ricominciare a volare. Basta un respiro per modificare il paesaggio dell’aria. Post Scriptum. Ho iniziato questa recensione citando il blog di Chicca, e siccome repetita iuvant, ti consiglio di volare fin laggiù, quando ne avrai voglia.