La moglie di un soldato tedesco di Sabrina Branchi Franz dice che è giusto, bisogna farlo per il bene della patria, per la nostra Germania. Come ogni mattina gli ho lasciato la divisa pulita sopra il letto. Quando non la indossa sembra diventare un’altra persona, un padre amorevole che gioca ai soldatini insieme a nostro figlio Thomas. Gli racconta che la sua uniforme è magica perché l’aiuta a sconfiggere gli orchi malvagi. Gli è sufficiente metterla indosso per diventare ancor più forte e coraggioso sebbene non sia lui a dettare le regole. È una guardia ubbidiente e responsabile, qualunque gesto o azione gli vengono ordinati di fare procede senza biasimare perché è un bravo soldato e come tale non si fa troppe domande, non ricerca inutili spiegazioni. Deve soltanto agire in un certo modo, in quel modo considerato da chi sta ben al di sopra di lui come l’unica soluzione possibile ed efficace. Thomas lo ammira e vorrebbe poter avere anche lui una divisa dai simili poteri così da diventare ubbidiente quando mi fa arrabbiare. Ogni sera quando torna a casa il mio caro marito mi bacia sulla fronte, accarezza il viso del nostro bambino e poi ci mettiamo a tavola per cenare. Ogni tanto senza che se ne accorga lo osservo e mi viene in mente proprio la sua favola dell’uniforme magica: “Chissà a quante persone quella bocca calda e carnosa che mi bacia alla mattina e alla sera avrà urlato, umiliato e sputato contro? E le sue mani grandi e forti che fa scorrere lungo la mia pelle nei nostri momenti d’intimità quante frustate avranno dato? Quanti individui avranno impiccato? A quanti esseri umani avranno sparato? Non lo so, meglio non sapere; preferisco pensarla anch’io come la fiaba dell’eroe che salva il suo popolo dai mostri cattivi. Adesso sono stanca e per giunta ho mal di piedi per via di quel paio di decolté nuove. Finisco di riassettare la cucina, metto a dormire il mio piccolo e mi distendo sul divano accanto a Franz.
Il 27 gennaio, Giorno della Memoria, uno spettacolo itinerante di parole, musiche e installazioni, ci aiuterà ancora una volta a riflettere su quanto accaduto, sulla necessità di ricordare, di mantenere vivo il passaggio di generazione in generazione della conoscenza dei fatti, delle conseguenze, del grado di disumanità che è stato possibile e che è sempre potenzialmente ripetibile. Una responsabilità, quella della memoria, che ci coinvolge tutti. Lo spettacolo Lo spettacolo si intitola Countdown ed è organizzato da Arcigay con la collaborazione dell’Accademia Linguistica di Belle Arti, dell’Università di Genova e di Officina Letteraria Gli allievi di primo livello, insieme ad alcuni maestri di Officina e scrittori genovesi, hanno scritto i testi dello spettacolo. Gli allievi del laboratorio Grammatica delle Storie, condotto da Emilia Marasco, sono: Sabrina Branchi, Claudia Baldracco, Cecilia Campani, Nadia Carì, Silvia Casaccio, Cristina Colombo Bolla, Elena Gallia,Patrizia Minetto, Marcello Mistrangelo. Hanno lavorato su alcuni passaggi dello studio “The ten stage of genocide” di Gregory H. Stanton. Hanno scritto brevi, a volte brevissimi monologhi, e ne hanno prodotti più di quanti servissero per lo spettacolo per entrare profondamente in un clima. I racconti Ne pubblichiamo alcuni, fino al 27 gennaio, come nostro piccolo contributo al Giorno della Memoria. Quelli selezionati per lo spettacolo sono sul sito www.omocausto.it Leggi i racconti. Dove e quando? Lo spettacolo sarà domenica 27 gennaio 2019 alle 17.30 all’Albergo dei Poveri, piazzale E. Brignole, Genova.
Questo che puoi leggere di seguito è uno dei racconti finalisti al concorso “Scrivere apre i corsi”, organizzato da Officina Letteraria per l’anno 2018/2019. I racconti possono essere votati utilizzando il pulsante che trovi in fondo all’articolo. Potrai votare ogni racconto una sola volta, fino alle 24:00 di domenica 23 settembre 2018. Al termine del concorso, l’autore del racconto che avrà ricevuto più voti, vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di scrittura di 1° livello La grammatica delle storie. A questo link puoi leggere tutti gli altri racconti in concorso. Buona lettura! Scrivere il futuro di Silvia Casaccio “Che fatica, come ho potuto lasciarmi convincere a raggiungere la vetta di Pianfoglia” pensò Bianca mentre si arrampicava per lo stretto sentiero. Gli unici rumori a farle compagnia erano i propri passi veloci sui ciottoli disconnessi e i battiti del suo cuore. “Ecco quel che capita a stare a sentire il vecchio pazzo Sam”. Bianca da qualche tempo era ossessionata dalla conoscenza del futuro e si era rivolta esasperata al vecchio del paese. “La strada per la conoscenza è piena d’insidie. Arriva alla vetta più alta ed interroga il dio Chiochio” aveva risposto Sam. “Chi sarebbe Chiochio?” provò a chiedere inutilmente Bianca. “Non arriverò mai prima che faccia buio. Forse la fatica è già una prima insidia da superare, così come saper dominare l’ansia”. La pazienza è un’arte che va allenata poco alla volta e Bianca sapeva che era un suo limite. Avrebbe voluto conoscere l’evoluzione dei propri studi, le aspettative di vita dei suoi cari. A nulla erano valse le parole di suo padre: “il presente è l’unico tempo che puoi vivere”. Nel frattempo il cielo si stava facendo sempre più cupo e uno strano vento le accarezzava il viso. Era tardi per tornare indietro, doveva resistere ancora un po’. Dopo una mezz’ora di salita Bianca giunse finalmente al punto più alto della montagna, dal quale poteva dominare tutta la costa sottostante. “Ci siamo, è il momento di interrogare il dio di Sam”. Quali parole avrebbe dovuto pronunciare per farlo? La ragazza si guardò dentro per cercare la giusta ispirazione ed infine urlò a gran voce “Chiochio svelami il futuro!”. Bianca si mise in ascolto e proprio in quel momento il vento prese forma tramutandosi in uccello “Chi sei?” tuonò. “sono un’anima in cerca della propria rotta” “Hai avuto fede e coraggio ad arrivare fino qui. Sei libera di scrivere il tuo futuro” e svanì tra le nuvole. Bianca rimase turbata ed incerta del significato di quelle parole ma tornò a casa più serena. Il suo futuro restò sì un mistero e questa volta lo accettò.
Questo che puoi leggere di seguito è uno dei racconti finalisti al concorso “Scrivere apre i corsi”, organizzato da Officina Letteraria per l’anno 2018/2019. I racconti possono essere votati utilizzando il pulsante che trovi in fondo all’articolo. Potrai votare ogni racconto una sola volta, fino alle 24:00 di domenica 23 settembre 2018. Al termine del concorso, l’autore del racconto che avrà ricevuto più voti, vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di scrittura di 1° livello La grammatica delle storie. A questo link puoi leggere tutti gli altri racconti in concorso. Buona lettura! Scrivere apre i porti di Annalisa Aiello “Vorrei rivederti in un giorno d’estate”. Iniziava così la sua lettera, scritta in corsivo stretto. L’inchiostro inverdito dal freddo d’inverno, una macchia di caffè all’angolo. Un cerchio sbavato e perfetto, due lacrime a capoverso. Erano già passate sei intere stagioni e non lo si vedeva tornare, tanto da dubitare che fosse davvero mai esistito. Iniziava così la lettera di Giova, -in un giorno d’estate- e d’attesa. Qualcuno partiva dal porto sotto la scogliera, trascinando una valigia dalle ruote plasticate. Qualcuno ancora dava un ultimo bacio, un abbraccio. Giova rimase a guardare la vita sotto i suoi occhi, riflettendo sul significato della parola “porto”. Chi partiva, in effetti, qualcosa portava con sé. Ma non sono più le cose che si lasciano, quando si parte, rispetto alle cose che si portano? “Un Porto è soltanto un Lascio di un ottimista, pensava.” E attendeva ancora. Alcuni pescatori amatoriali ormeggiavano le piccole imbarcazioni ai pilastri, sbrogliando le reti intricate di nodi e pescame. Una linea sottile divideva la strada trafficata dal pontile poco vicino. Una macchina nera si fermava un istante a respirare l’odore del sale mischiato alla pelle, per poi ripartire verso la città intasata. Un’aria di calma e malinconia si appoggiava ai capelli di chi si salutava per l’ultima volta. Una folata di vento strappava un cappello rosso ad una bionda e lo trascinava verso la strada. L’architettura di una partenza sembrava fatta di cose che lottano per cambiare strada, per invertire le rotte e – una volta aperto-, un porto non era altro che un costato fatto di vita che viene, battente. Giova strinse la sua lettera fra le mani, stropicciandola appena.
Questo che puoi leggere di seguito è uno dei racconti finalisti al concorso “Scrivere apre i corsi”, organizzato da Officina Letteraria per l’anno 2018/2019. I racconti possono essere votati utilizzando il pulsante che trovi in fondo all’articolo. Potrai votare ogni racconto una sola volta, fino alle 24:00 di domenica 23 settembre 2018. Al termine del concorso, l’autore del racconto che avrà ricevuto più voti, vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di scrittura di 1° livello La grammatica delle storie. A questo link puoi leggere tutti gli altri racconti in concorso. Buona lettura! La questione di Giovannamaria Daccà D’in s’un acquarello antico una fanciulla s’intravedea. Ella l’infinito scorciava ed una rondinella, lì presente, le annunciava la fatidica nova primavera. Ella, Cercopiteca, era una giovine sposa promessa, che attendea sommessa il ritorno del suo amato, invano con lo sguardo cercato. Il baldo giovine in questione di nome facea Atteone. Egli, garzone alla bottega del maniscalco era stato, ma, arrivati gli Ussari a depredare il villaggino, costretto fu a salir sul primo galeone, che lo avrebbe tratto di fuori la questione. All’amata, accorsa subito al porto, egli promise, in un bagno di lacrime s’intende, che la fortuna avrebbe cercata e, trovatala, ad ella si sarebbe ricondotto per salvarla da tutto quel bailamme. La damigella, rimasta al villaggio sotto il giogo ussaro, costretta fu a lavorare alla filanda e, presto, con un ussaro avrebbe dovuto sortire, perdendo così il poco tempo che avea al vespro per sperare ancor nel suo dolce futuro maldestro. Trascorse erano alcune primavere e di Atteone nemmeno un bel veder. Dunque, miei cari curiosi lettori, qui vi si dispiegherà la solinga vicenda dell’astante giovinetta, che si credea perduta… oh ma qual disdetta! Ogne mattina, compresi i dì di festa, Cercopiteca al lavoro si recava lesta e mesta. Certo sì, ella alla filanda tenea qualche comare a cui gli affanni confidare, ma, in vero, la damigella era proprio una solinga fringuella. Ella, non volendosi ad un ussaro maritare, un piede si sarebbe fatta amputare! Con ogne inganno ella evitava le fiere, sciagura di tutte le paesanelle più fiere. Tuttavia, la primavera nova arrivò e all’orizzonte si scorse, ahimè giammai fosse, un epoichia di ussari arrivare. Allora tutti si diedero un gran da fare: e briga e tira e molla, i nuovi ussari anche sta volta la spuntaron e le sabine rattaron. Qual gaudio fu a Cercopiteca, tuttavia, nello scoprir che la Bendata cieca mai è… Al finir si dice che la sbarbatella rapita fu dal suo Atteone, che in salvo la portò da gran birbone!
Questo che puoi leggere di seguito è uno dei racconti finalisti al concorso “Scrivere apre i corsi”, organizzato da Officina Letteraria per l’anno 2018/2019. I racconti possono essere votati utilizzando il pulsante che trovi in fondo all’articolo. Potrai votare ogni racconto una sola volta, fino alle 24:00 di domenica 23 settembre 2018. Al termine del concorso, l’autore del racconto che avrà ricevuto più voti, vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di scrittura di 1° livello La grammatica delle storie. A questo link puoi leggere tutti gli altri racconti in concorso. Buona lettura! 4 settembre 2010 di Maurilio Tavormina Sono le 19 e 41 e il pensiero di lei mi ha appena sconquassato come se fossi stato tamponato da un blindato portavalori. Ho dovuto accostare la mia Duna come per scendere e constatare il danno. Parabrezza annebbiato dalla salsedine, litoranea deserta e il vento che rincorre sabbia e lattine vuote su questo straccio d’asfalto. Un’altra estate pugnalata a morte da Settembre. Come ha fatto lei con me, lei che per me era sacra come una vacca in India. Colpa di quell’idiota dagli occhi a mezz’asta anche da sobrio e la camicia da boscaiolo pure al mare. Ma assomigliava a Guccini quando abitava in via Fabbri 43 ed è per quello che me l’ha portata via. Recitava la parte di un novello Thoreau, tutto alpeggi e legna da tagliare, ferrate, formaggio di malga e grandi silenzi con daini e caprioli. Ma non disdegnava la villa al mare dei suoi vecchi e i loro conti in banca. E Sara amava i conti in banca forse più di Guccini e adorava chi fingeva di non averli. Io non ho mai finto, non ne avevo bisogno. Credevo che tenere un diario aiutasse a buttare fuori i propri pensieri, ma sono fesserie: la penso sempre. E allora sì, ora la penserò ancora più forte, penserò ai nostri giorni, ai nostri posti, alle nostre parole, penserò a tutte queste cose e le affiderò a quel gabbiano laggiù che pare ubriaco di salmastro ma è solo annoiato dal vento. Ecco, proprio ora scompare dietro il promontorio. La cercherà e la troverà perché i pensieri non li puoi fermare e arrivano sempre a destinazione. La troverà, forse in baita, ad aspettare il sosia di Guccini perso tra i boschi a parlare con i lupi, o forse sul pizzo di un monte, a chiedersi come c’è finita lì, lei, la mia vacca indiana senza più India. E quando, perduta nei suoi orizzonti senza blu, vedrà quella nuvola a forma di gabbiano, le arriverà il mio pensiero e si ricorderà del nostro mare, della nostra Fiat Duna giallo positano, di me e di quanto le ho voluto bene. La radio passa il tormentone dell’estate, fuori tempo massimo. E pure per me si è fatto tardi.
Questo che puoi leggere di seguito è uno dei racconti finalisti al concorso “Scrivere apre i corsi”, organizzato da Officina Letteraria per l’anno 2018/2019. I racconti possono essere votati utilizzando il pulsante che trovi in fondo all’articolo. Potrai votare ogni racconto una sola volta, fino alle 24:00 di domenica 23 settembre 2018. Al termine del concorso, l’autore del racconto che avrà ricevuto più voti, vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di scrittura di 1° livello La grammatica delle storie. A questo link puoi leggere tutti gli altri racconti in concorso. Buona lettura! Gli occhi di tutti i porti del mondo di Manuel Masia Il rollio lieve del traghetto l’aveva fatta addormentare sulla mia spalla. Il vecchio la vide abbandonare il capo, mi sorrise e io ricambiai sornione. Il russare sommesso di lei scatenò fra noi un’ilarità complice che soffocammo a stento. Quando l’uomo ebbe a riprendersi mi disse che eravamo una bella coppia. La conoscevo da una manciata di giorni appena, ma glissai. «Italians.» Si assicurò e, a sua volta, mi informò che era tedesco, Monaco di Baviera (si aiutò con entrambe le mani: «insomma, giù di lì»). Feci due calcoli sulla base delle sue rughe: era forse ventenne ai tempi della guerra. Mi risparmiai ulteriori illazioni. La posa dimessa, il volto ordinario, fissava con un accenno di sorriso qualunque cosa rientrasse nel suo campo visivo, ora che la notte restituiva dagli oblò ciechi i soli riflessi del ponte. Nel suo inglese più duro del mio, ma meglio attrezzato, mi informò che ogni anno si prendeva qualche mese per viaggiare, con pochi soldi, da quando era rimasto vedovo. («Mi spiace.» Mi uscì d’istinto. La sua fisionomia si deformò in un «e per cosa?»). L’anno prima si era portato appresso il nipote novenne, dormendo per ostelli. Lo confrontai ai suoi connazionali che migravano sempre in riviera: gli stessi luoghi, le medesime tratte, come oche selvatiche, ma con meno spirito di adattamento. Mi raccontò di altri viaggi, e della prima volta che aveva visto un paese straniero: appena sbarcato incontrò una donna che «aveva gli occhi di tutti i porti del mondo», o almeno mi suonò così. Le chiese informazioni pure senza averne bisogno, pure con il ricordo della moglie annodato in gola. Lui non parlava altro che tedesco e lei gli sorrise senza capire né ribattere. Restarono a fissarsi per qualche minuto, infine lei lo salutò con il suo unico auf wiedersehen. «Immagino non l’abbia più rivista.» Arrischiai. Rise delle cose che avevo ancora davanti a me. «Ogni volta che arrivo o ritorno.» Disse. «In tutti i porti del mondo.»
Questo che puoi leggere di seguito è uno dei racconti finalisti al concorso “Scrivere apre i corsi”, organizzato da Officina Letteraria per l’anno 2018/2019. I racconti possono essere votati utilizzando il pulsante che trovi in fondo all’articolo. Potrai votare ogni racconto una sola volta, fino alle 24:00 di domenica 23 settembre 2018. Al termine del concorso, l’autore del racconto che avrà ricevuto più voti, vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di scrittura di 1° livello La grammatica delle storie. A questo link puoi leggere tutti gli altri racconti in concorso. Buona lettura! Caspar e Nicola insieme a Lina di Silvia Fanti Carolina, Lina per chi c’era ancora, aveva appena notato una strana somiglianza. “Mah… Dai… E me ne sono accorta anch’io che son del ‘25 e ho fatto fino alla terza elementare, sono scampata alla guerra e alla Spagnola, ho racimolato una vita da serva, prima in casa dei padroni a Milano e poi, qui, in casa mia.” – Parlava in italiano e a bassa voce, per farsi un po’ di compagnia. La sua sedia a rotelle sul balcone era comoda, immobile, rassicurante; adesso, nel sole smorzato di Settembre, Lina riusciva a distinguere di fronte a lei il monte Caio. “Ecco: un monte, sul monte quel bell’uomo di spalle e tutt’intorno il vuoto.” – ricordava quel quadro che le aveva fatto vedere sua nipote Sara, quando ancora andava all’università e studiava sui libri tedeschi. “I tedesc, i tedesc…” – Lina ripeteva in dialetto. Ed ora ecco l’altro quadro sul computer del soggiorno: questa volta una donna, anche lei piantata su un monte, come un faggio, con il nulla addosso. “ L‘è me mà …” – Lina aveva riconosciuto sua mamma, Maddalena. Aveva forse sedici anni quando sei tedeschi erano arrivati nel borgo e l’avevano presa in ostaggio con sua zia Domenica. Volevano oltrepassare il monte senza che i partigiani, nascosti nei boschi, li uccidessero. Lei e sua zia dovevano guidarli e diventare il loro scudo. Senza troppi fronzoli, s’incamminarono. Passato Solaro, la Chiesa e Cà d’Orsett, incontrarono sua madre con le vacche, di ritorno dal pascolo. Maddalena pregò di condurli al posto della figlia: Lina tornò a casa. Una sera e una notte senza l’odore della mamma: la cucina e la camera si trasformarono in due stanze; il padre in un uomo con la barba grigia e disordinata; Paolo, suo fratello, in un bambino biondo. “E me mà l’era sul mont” – Lina concluse prima di appisolarsi.
Questo che puoi leggere di seguito è uno dei racconti finalisti al concorso “Scrivere apre i corsi”, organizzato da Officina Letteraria per l’anno 2018/2019. I racconti possono essere votati utilizzando il pulsante che trovi in fondo all’articolo. Potrai votare ogni racconto una sola volta, fino alle 24:00 di domenica 23 settembre 2018. Al termine del concorso, l’autore del racconto che avrà ricevuto più voti, vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di scrittura di 1° livello La grammatica delle storie. A questo link puoi leggere tutti gli altri racconti in concorso. Buona lettura! Vogliamo tutti la stessa cosa di Anna Caruccio Oggi il decollo non è stato perfetto. Lo sguardo allarmato di Pago, però, mi è parso eccessivo. Con uno che ha le mie ore di volo, si può stare tranquilli. Se gli avessi detto anche della vista appannata, mi avrebbe costretto a restare a terra. Il colpo di Risso, dritto in mezzo agli occhi, continua a farsi sentire. Non è la prima volta che lo vedo arrabbiato, ma ieri sera era fuori di sé. “Smettila di provocarlo!”, Pago me lo dice sempre. “Siete due tipi pericolosi, solo che lui segue le regole del gruppo. Tu e le tue idee strane non arriverete da nessuna parte”. A parte che le mie idee non sono poi così strane, ma non capisco perché, desiderare più di casa e cibo, debba diventare un problema per il gruppo. “Alla fine vogliamo tutti la stessa cosa”, ripeto ogni volta a Pago. È quello che ho detto anche a Risso ieri sera. Ma lui non l’ha presa bene. Non mi sono neanche accorto di aver oltrepassato il confine del suo spazio. È lì che è partito il colpo da peso massimo. Figuriamoci se ci sta ad essere paragonato a un tipo come me che se ne sta tutto il giorno in giro e mai una volta se ne torna a casa con qualcosa da mangiare. “Come speri di mettere su famiglia?”, anche questo mi dice Pago. “Già ti vedo. Un altro inverno da solo!”. Certe volte sembra mia madre. Poi però a lui piace ascoltare i miei racconti quando torno nel gruppo. “Vedi? A qualcuno basta quello che porto a casa io”, gli dico, “non sarò mai solo”. Siamo fortunati. Da quassù c’è molto da vedere, molto più di vermi e pesci. Sono sicuro che ci prova anche quella donna laggiù. Anche lei avrà voglia di guardare più lontano possibile e più cose possibili. Ma quando non sei un gabbiano e non hai le ali, ti accontenti della cima di una roccia. Mi dà soddisfazione essere invidiato dalla donna laggiù. Lei che non si accontenta di portare a casa la pagnotta, lei che non colpisce in mezzo agli occhi chi invade il suo spazio. Ma si sa, lei appartiene a una specie più evoluta della mia
Dopo aver letto i numerosi racconti arrivati, Officina Letteraria è lieta di annunciare i 7 finalisti che si contenderanno il premio del concorso “Scrivere apre i corsi”. La commissione dei docenti di Officina Letteraria, presieduta dalla coordinatrice dei laboratori Ester Armanino, ha selezionato i seguenti racconti: I finalisti Ecco i finalisti del concorso, in ordine alfabetico: Annalisa Aiello Anna Caruccio Silvia Casaccio Giovannamaria Daccà Silvia Fanti Manuel Masia Maurilio Tavormina I racconti posso essere letti cliccando sul link di ogni nominativo. Potrai votare il tuo racconto preferito fino alle 24:00 di domenica 23 settembre 2018; potrai anche votare più di un racconto, ma ogni racconto potrà essere votato una volta sola. L’autore del racconto che riceverà più voti entro il termine previsto vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di scrittura La grammatica delle storie. Buona lettura! Leggi tutti i racconti.
Scrivere apre i corsi! Concorso di scrittura per vincere il laboratorio di 1° livello di Officina Letteraria L’immagine Scrivere vuol dire tradurre ciò che vediamo in parole, fare risuonare gli stessi sentimenti che proviamo noi in chi ci legge. Questo è lo spirito con cui Officina Letteraria indice il contest “Scrivere apre i corsi!”. I nostri corsi e laboratori, quest’anno, nascono sotto lo slogan “Scrivere apre i porti”, rappresentato dall’evocativa illustrazione di Nicola Magrin. Per noi, l’immagine dell’aria che circola tra le pennellate acquose, lo sguardo che spazia lontano da un punto alto, rappresentano un punto di vista che va oltre la ristrettezza di vedute, quello di chi scrive storie. Ma dietro un’immagine, ci sono mille significati e interpretazioni. Ti chiediamo perciò di scrivere un racconto ispirato alla nostra immagine. Il contest Scrivi un racconto ispirato all’illustrazione di Nicola Magrin “Scrivere apre i porti”. Il racconto deve essere di massimo 2.000 battute, spazi inclusi (leggi qui come controllare il numero di battute del tuo racconto). L’autore del racconto giudicato migliore, dai docenti di Officina Letteraria e poi dai voti del pubblico, vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di 1° livello “La grammatica delle storie”, tenuto da Emilia Marasco. Come si vince? I racconti che partecipano al concorso verranno letti dalla giuria composta dai docenti di Officina Letteraria. I 7 racconti che verranno giudicati migliori, accederanno alla seconda fase. Durante la seconda fase, i racconti verranno pubblicato sul sito di Officina Letteraria e potranno essere votati dai lettori. Il racconto che riceverà più voti entro il termine indicato, sarà il vincitore. Date e modalità di partecipazione Per partecipare: Invia il tuo racconto entro le 24:00 del 7 settembre 2018, via mail all’indirizzo laboratori@officinaletteraria.com. Il racconto deve essere in formato word (.doc), .rtf, o pdf (non protetto da copia), di massimo 2.000 battute spazi inclusi. Il 10 settembre 2018, verranno resi noti i 7 racconti selezionati dalla giuria. I racconti saranno pubblicati sul sito di Officina Letteraria. I racconti in gara potranno essere votati fino alle 24:00 del 23 settembre 2018. Per ricevere più voti, potrai condividere il tuo racconto su Facebook, Twitter, Instagram o chiamare i tuoi amici e parenti uno per uno. I voti verranno raccolti direttamente sul sito di Officina Letteraria. Allo scoccare della mezzanotte del 23 settembre 2018, verranno contati i voti dei 7 racconti in gara. Il 25 settembre 2018, durante la presentazione dei laboratori a Officina Letteraria, verrà reso noto il racconto che ha ricevuto più voti. Vuoi provare a vincere anche tu l’iscrizione gratuita al laboratorio di 1° livello di Officina Letteraria? Invia ora il tuo racconto! [button type=small link_url=”mailto:laboratori@officinaletteraria.com?Subject=Invio racconto per il concorso Scrivere apre i porti”] INVIA IL TUO RACCONTO [/button]
Nicola Magrin ha realizzato per Officina Letteraria l’immagine del manifesto promozionale dei laboratori 2018/19, Scrivere apre i porti. Pittore di Monza, conosciuto anche nell’editoria per le sue evocative copertine tra cui Le otto montagne di Paolo Cognetti (Einaudi), l’opera di Primo Levi (Einaudi) e di Tiziano Terzani (TEA), è coautore di Il Cane, il Lupo e Dio con Folco Terzani (Longanesi) e la sua ultima mostra La traccia del racconto, attualmente in corso, è ospitata dal Centro Saint-Bénin di Aosta. Acquerellando uomini e donne in cammino, la montagna e i suoi abitanti, fino alle recentissime balene, Nicola Magrin accoglie l’imprevisto tipico di questa tecnica e dà forma a idee trasparenti, corpo alla luce, mescolando colori raffinati ed essenziali in uno stile del tutto personale e riconoscibile. Gli abbiamo fatto alcune domande. Nicola Magrin: accogliere l’imprevisto L’acquerello non puoi sempre controllarlo, devi lasciarlo camminare, devi affidarti. Occorre aprirsi per diventare liberi da paure e pregiudizi. Come hai interpretato lo spunto Scrivere apre i porti? Negli ultimi anni i miei acquerelli sembrano voler tracciare una mappa di emozioni date da esperienze a stretto contatto con la natura. Una sorta di diario dove le immagini prendono il posto delle parole per suggerire o svelare le tappe di un cammino, di una crescita personale. È come se quest’acqua sporca seguisse l’avanzare dei miei pensieri. Bagno la carta, creo miscugli di colori in ciotole per la colazione e, a un certo punto, nel momento in cui adagio il pennello sulla superficie so che l’avventura ha inizio perché l’acquerello non puoi sempre controllarlo, devi lasciarlo camminare, devi affidarti. Occorre aprirsi per diventare liberi da paure e pregiudizi. Penso che se si vive insieme a tanti libri non si sarà mai soli, si potrà essere solitari, ma non soli. I libri ispirano il tuo lavoro? Hai degli autori di riferimento? Penso che se si vive insieme a tanti libri non si sarà mai soli, si potrà essere solitari, ma non soli. E penso che l’età migliore per crearsi dei maestri sia da bambini, quando si ha un bagaglio emozionale e culturale ancora leggero e non appesantito dagli studi, dai consigli degli amici, degli adulti. I primi acquerelli che ricordo di aver visto sono stati quelli di Pinin Carpi, di Paul Klee e di Hugo Pratt. Esistono nella mia libreria degli autori ai quali sono particolarmente affezionato, rileggere le loro parole a volte mi aiuta a focalizzare meglio un’idea, un’immagine. Penso a Mario Rigoni Stern, Ernest Hemingway, Thomas Merton, Maxence Fermine, Chaim Potok, Lalla Romano e Hugo Pratt. Come nasce una tua copertina? Dopo aver saputo il titolo del libro e letto una breve sinossi, mi lascio guidare dal mio istinto creando tre immagini che possano soddisfare il gusto mio, dell’editore e dell’autore. I miei strumenti di lavoro sono carta Arches 300 gr, un pennello cinese, tre ciotole che riempio con un colore più o meno diluito e un bel secchio di acqua freschissima. Nessuno schizzo preparatorio ma solo la volontà di collegare mente-cuore-mano e far scivolare così il pennello sulla carta… che forse diventerà una nuova copertina. Grazie, Nicola Magrin. E a voi, quale storia ispira l’immagine del manifesto? Scrivetela in 2000 battute per vincere l’iscrizione al nostro laboratorio di 1° livello La grammatica delle storie. Qui il regolamento del concorso.
Officina Letteraria è un laboratorio, lo abbiamo sempre detto. Per scrivere non occorre solo la famosa cassetta degli attrezzi ma occorre vivere, stare nel mondo, osservare, percepire, sentire. Scrivere significa essere coscienti dei diversi punti di vista e poi sceglierne uno. Perché Scrivere apre i porti di Emilia Marasco ed Ester Armanino Le isole più piccole possono nascere in una notte e sparire in una notte. Laggiù, sotto il mare, tutte le terre emerse s’incontrano. Siri Ranva Hjelm Jacobsen, Isola Scrivere significa sperimentare che le storie possono cambiare corso, che si può azzardare, che quello che sembra impossibile può realizzarsi. Vuol dire sperimentare il coraggio, saper stare molto vicini al dolore. Scrivere offre la possibilità di vivere molte vite. È fare spazio a noi stessi e agli altri e capire che lo spazio non è qualcosa di rigido, ma di modellabile e adattabile. Ecco perché scrivere apre i porti. Perché il porto è e deve rimanere il luogo dell’approdo e della sosta, lo spazio dell’incontro e dello scambio. In cui fermarsi per poi ripartire, a cui fare ritorno. Di spostamenti è fatta la storia dell’umanità e di viaggi reali o immaginari è fatta la narrazione. Gli altri portano storie che ci permettono di capire meglio anche la nostra storia. Questo difficile momento di attualità impone di scegliere un punto di vista. Ecco, noi gente di scrittura, come la gente di mare, lo abbiamo scelto: Scrivere apre i porti. Abbiamo anche un’immagine di forte ispirazione che rappresenta questa scelta: l’aria che circola tra le pennellate acquose di Nicola Magrin, lo sguardo che spazia lontano da un punto alto, un punto di vista che va oltre la ristrettezza di vedute e che è quello di chi scrive storie, di chi guarda a ciò che accade senza timori e si dispone alla ricezione mentre il vento diventa forma, creatura alata, e porta in dono il pensiero libero.
Quando ero bambina mia mamma mi ha insegnato a leggere i libri evitando le introduzioni, le prefazioni e qualsiasi ricerca sull’autore: “Sono cose che devi fare quando hai finito la lettura” mi diceva “un testo deve essere letto senza pregiudizi”. Così, complice la mia ignoranza su Jennifer Egan, mi sono avvicinata al suo ultimo lavoro, Manhattan beach (Mondadori, 2018), in modo naif. Ecco la mia impressione. Leggendo “Manhattan beach” di Jennifer Egan di Ilaria Schizzi Le aspettative Approcciarmi al libro in modo disilluso è stato un bene, perché se avessi saputo che si tratta dell’opera di una vincitrice di Premio Pulitzer, avrei avuto forse delle aspettative troppo alte. Il libro è gradevole, molto interessante e davvero ben tratteggiata la sua ambientazione nella New York a cavallo tra la grande crisi e la seconda guerra mondiale, uno dei punti di forza del romanzo. La vita di Anna in un mondo maschilista Un incipit avvincente, narrato dal punto di vista della protagonista, Anna Kerrigan, che conosciamo ancora bambina e di cui seguiremo la crescita mentre cercherà di affermarsi in una società maschilista e discriminatoria. Anna è certamente il personaggio più interessante e meglio delineato del libro, per quanto neanche lei si sottragga a quello che sembra uno dei punti deboli del testo: i personaggi compiono azioni apparentemente non motivate dal loro carattere o dal loro vissuto, ma solo dalle necessità della trama. Così abbiamo un personaggio che lascia New York per trasferirsi in un’altra città, un altro che si allontana dalla famiglia, altri che diventano amanti, senza che se ne comprendano le reali motivazioni. Ho sentito la mancanza dei sentimenti che muovono le azioni di ogni personaggio. Lo stile La narrazione di alto livello si dipana non solo attraverso il punto di vista di Anna, ma anche attraverso quello di suo padre Eddie e di Dexter Styles, un gangster con cui quest’ultimo entra in rapporto di affari. Interessante il punto di vista di diversi personaggi, anche se risultano leggermente piatti. Conclusioni Quindi un libro con scelte stilistiche che possono riscuotere pareri discordanti nei gusti dei lettori. Nel complesso, un romanzo interessante (specialmente nella prima parte), con certi passaggi davvero coinvolgenti. Dall’autrice, mi dico, è lecito aspettarsi qualcosa di più. Aspettiamo curiosi il prossimo romanzo! Voi l’avete letto, che ne pensate?
Perché scrivo? Chi frequenta Officina Letteraria sa che da questa domanda inizia il percorso di consapevolezza e di formazione dell’allievo/scrittore. Tanto che Officina stessa custodisce gelosamente le risposte, e l’alternanza e la riproposizione della risposta e della domanda ai singoli allievi vanno a costituire dei punti di passaggio nel percorso formativo. Il “Perché scrivo” quindi non è solo un simpatico tormentone, o un’etichetta dallo sfondo arancione, che introduce e promuove l’ immagine e l’attività di Officina Letteraria. Dietro a questa piccola domanda (solo due parole e un punto interrogativo) si ingarbuglia, dipana e articola una infinita varietà di scelte, bisogni, aspettative, competenze, capacità, emozioni, pensieri, azioni, memorie, punti di vista, moltiplicate per tutte le persone, differenti per età, vissuti, esperienze che si trovano a frequentare un luogo (in questo caso lo spazio di via Cairoli) accomunate dal desiderio di alimentare e far crescere e dare spazio all’esperienza della scrittura. Il gruppo di incontro Curiosamente anche per coltivare una pratica intima come la scrittura siamo istintivamente portati a cercare un luogo di formazione, non solo per apprendere, ma per condividere, perché nella specificità dell’aula l’esperienza del gruppo ha rimandi significativi per i singoli. Ma allora, mi viene da pensare, se questo spazio di confronto e condivisione ha una sua valenza può anche avere un suo luogo. Un suo orario. Un suo gruppo, che non ha bisogno dei criteri legittimi della formazione, ma nel quale si possono incontrare le persone che frequentano i corsi da anni, come i nuovi arrivati, chi frequenta i laboratori e chi il corso sul romanzo, chi ha già un libro nel cassetto e si è disegnato già la copertina, chi si sorprende ogni volta che gli esce una frase dalla penna. Chi sono? Mi chiamo Elisabetta Marasco, e sto proponendo un gruppo di incontro dal titolo “ Perché scrivo?”. Un gruppo dove incontreremo gli altri, e forse anche un po’ noi stessi. Punti di incontro, spunti creativi, punti critici, punti di vista. Sono un counselor a mediazione corporea e collaboro da un paio di anni con Officina Letteraria. Partendo dal lavoro delle Classi di esercizi di Bioenergetica, ho intrapreso un percorso di ricerca sul processo creativo come opportunità per muovere energie, porci in una migliore connessione con noi stessi, migliorando così la qualità di vita, per noi e in relazione con gli altri e di conseguenza con un impatto positivo sulla società, aspetto da non trascurare. Come partecipare ai gruppi di incontro La partecipazione al gruppo a tema “Perché scrivo?” è gratuita; unico pagamento richiesto è la quota associativa di 5€ all’associazione Officina Letteraria, che avrà validità fino al 30 settembre dell’anno in corso (quindi che varrà una volta per tutti gli incontri a cui si partecipa). Gli incontri si svolgeranno il martedì sera dalle 20:30 alle 22:30, e hanno bisogno di un numero minimo di 6 partecipanti. Occorre iscriversi entro una settimana dall’inizio. [button type=small link_url=”mailto:iscrizioni@officinaletteraria.com?Subject=Iscrizione Gruppo di incontro perché scrivo”] Prenota il tuo posto al prossimo incontro[/button] Per informazioni e quant’altro questo il mio numero 338 4478930. Io ci credo un sacco. Spero anche voi. Elisabetta Marasco