Le rane raccontano Lena Mohler Avevamo cercato dappertutto. Nei carugi, nelle case e anche nel Castello della lucertola. La cosa strana, era che la rete fosse ancora intatta. Niente danni. Niente strappi da dove avesse potuto fuggire. Dopo un bel po’ di tempo arrivò una bella cartolina dall’estero. Il disegno delicato assomigliava alla contessa di Apricale. Però non c’era scritto niente. Anni dopo, seguì una seconda cartolina. Anche quella volta senza scrittura. Vedendo la foto si capì come fosse fuggita un tempo; attraverso il tombino. Non si era mai più lasciata vedere ad Apricale, la rana che diventò una contessa. Le rane però ne cantano ogni sera. Una bambina ad Apricale Già da piccola mi sentivo una principessa, bella come la contessa di Apricale. Adoravo stare sotto una rete appogiata vicino alla piazza tra I carugi. Da lì, nascosta dal mondo, potevo studiare la vita del paese sensa essere vista da nessuno. Ogni tanto mi lasciavo risucchiare dalla vortice che c’era sotto di me. Non era un vortice vero, ma il disegno di un mosaico. Per me diventava realtà e di là immaginavo di viaggiare in tutto il mondo. Oggi sono cresciuta e faccio I viaggi, di cui ho sognato da bambina. Però non sono sicura se I viaggi di una volta, sognati sotto la rete, risucchiata dalla vortice, non fossero I più belli.
La via di casa di Angela Tenca Mi hanno consigliato di allontanarmi per un po’ dalla città, di vivere in un posto senza scarichi di macchine, con aria pulita e salubre. Né al mare né in montagna. Di fare una vita senza stress e un po’ di moto tutti i giorni, con moderazione. Apricale mi è sembrata la soluzione ideale. Il mio passo rimbomba nella notte del caruggio. Sopra i suoi sassi la mia ombra è ben visibile. Io non sono un fantasma e nessun fantasma mi insegue o mi aspetta dietro l’angolo. Sono tranquilla, serena, mi godo le notti solitarie svegliandomi solo per ascoltare il ritmo del mio cuore. La mia grotta è fresca e asciutta, forse una volta è stata una stalla per qualche animale ora ci dormo io tra queste pietre antiche. Antiche quanto? Chi ha costruito la prima casa di Apricale e perché? Forse dovrei studiare un po’ di storia. E come si sono accatastate le une sulle altre senza crollare mai? Quale geniale architetto riuscirebbe oggi a progettare un siffatto labirinto? Non è una storia questa o forse è una piccola storia d’amore per un posto fino a poco tempo fa sconosciuto ma che ha il magico potere di farmi stare bene. Di non farmi sentire mancanze che altrove sento forti. Devo chinare la testa per entrare nella mia grotta. Pochi centimetri più alta e non potrei starci. Pietre a vista lungo i muri, volte a botte per soffitti. Forse non era una stalla ma una cantina. Il vino è buono da queste parti. La mia ombra nel caruggio, sui ciottoli, mi mostra la via di casa. Oggi ho prolungato la mia passeggiata fino al cimitero. Ho voglia di piangere e mi sembra il luogo ideale per farlo. A quest’ora di pomeriggio di luglio sono sola. Non lo so neanche io perché ma sento che ho bisogno di lacrime. Piccole, tiepide, tranquille. Non lacrime di dolore né di felicità. Forse lacrime di tenerezza per le persone che non ci sono più, il loro ricordo mi commuove. I miei nonni, le mie zie, i miei animali anche. Lacrime di tenerezza per me. Si mi regalo qualche lacrima dolce perché me le merito. Perché nonostante tutto ci sono ancora, contenta di quello che sto facendo e del posto in cui mi trovo e mi meraviglio ogni giorno di essere viva. Anche questo mi commuove. Al mio cuore fa bene stare qui. La via di casa è conosciuta. Vado a letto nella mia grotta, prendo le medicine antirigetto e mi addormento.
La gonna della contessa di Clara Crovetto “La conosci la storia del baldacchino di Apricale?” esclama all’improvviso Gatto Bardo a Gatto Rosso, davanti alla loro biblioteca. “No ma invero non me ne importa gran che” di rimando lui. ”Fai male bello mio, è la più bella, intrigante, sanguinolenta storia della nostra Apricale, fatta di spie, di morti più o meno precoci, di battaglie legali, ma soprattutto di amori. E se ti dicessi che la gran contessa Cristina aveva un gatto grosso e rosso come te, ti attizzerebbe?” “ Ma non raccontare frottole, ammettiamo tu l’abbia visto in una foto: allora erano in bianco e nero, tutt’al più color seppia, COME FAI A SAPERE CHE ERA ROSSO?” “ Così sembra abbia scritto alla sua nipote- di rimando l’altro- quando era alla corte dello zar, ma sei troppo polemico, mi fai passare la voglia di raccontare”. “E vabbè, attacca un Do, e vediamo se mi intrighi” Gatto Bardo stupì l’amico, stupì assai: attaccò a sciorinare una lunga, lunghissima poesia, in rima baciata, come un vero cantore provenzale. “ La contessa Cristina era bella e un po’ pienotta, e perciò sopranominata la ‘Bassotta’.”. E così creò lì per lì, nella penombra della crosa che porta al Castello, un grande poema. Gatto Rosso era allibito: con la bocca semi aperta, il linguino fuori, e le orecchie moderatamente abbassate, seguiva il racconto rapito Da allora la stanza d’albergo detta Della Contessa, è la più ambita, con i due gattoni che si offrono per una foto ricordo sul lindo baldacchino bianco. Nasce, inoltre, nel borgo, un’ incantevole compagnia teatrale itinerante che, ancor ora, su tutta la costa ponentina ligure offre spettacoli in versi, nello stile degli antichi trovatori provenzali, che narrano di gesta, amori, motti frizzi e lazzi di quella terra.
Prefazione Apricale è un luogo del cuore per noi di Officina Letteraria, lo è da quel primo laboratorio quasi a fine estate nel 2012. Arrivare nella piazza di Apricale è come entrare nello spazio di una storia. Bisogna addentrarsi per i vicoli, salire e ancora salire, andare al vecchio frantoio, al castello della Lucertola, bisogna parlare con gli anziani e con i bambini, bisogna ascoltare quello che anche le pietre hanno da raccontare. Solo allora troveremo una storia. Per questo il laboratorio ha conservato nel tempo il titolo originario: Cercatori di storie. Chiudiamo l’anno pubblicando i brevi racconti di Apricale 2017 scritti da Alessandra, Angela, Clara, Cristina, Lena, Marco. Racconti nati da spunti e appunti visivi, racconti semplici e un po’ surreali, perché così si diventa quando si arriva ad Apricale. Marco, apricalese doc, si è assunto il ruolo di cronista del laboratorio e Lena, svedese che vive in Germania, ha partecipato anche come rappresentante della comunità di stranieri che frequentano il paese da tanto tempo. Lei ha imparato l’italiano per amore di Apricale. Leggi i racconti di Apricale!
Questo Natale, diciamo basta al solito libro acquistato all’ultimo minuto, al romanzo preso su Amazon che chissà-se-arriverà-in-tempo; basta alle domande tipo “cosa regalo a uno che legge tanto?”, oppure “ma questo l’avrà già letto?”, “è uscito un nuovo capitolo della Ferrante?”. Questo Natale, regala al tuo amico, fidanzata, compagno, marito, mamma, parente, pronipote, figlia e figlio quello che ha sempre sognato: un laboratorio di scrittura per ampliare la sua tecnica, esercitarsi in compagnia, e avere finalmente il dono più prezioso, il tempo per la sua passione! I laboratori di scrittura da regalare a Natale Ti proponiamo un elenco di laboratori di scrittura che puoi regalare al tuo creativo preferito. Sono laboratori brevi, che non richiederanno un impegno troppo lungo nel tempo; e soprattutto iniziano tutti dopo le feste, quindi non c’è pericolo che coincidano con gli ultimi giorni di ferie. “La mia storia” – laboratorio di scrittura autobiografica con Elena Mearini. 3 incontri, 18 ore, 300€. “La mia storia a Sori” – laboratorio di scrittura autobiografica con Elena Mearini e scrittori esordienti, presso la biblioteca civica di Sori. 7 incontri, 18 ore, 190€. “Dallo scrittore all’editore” – come pubblicare al meglio il romanzo che abbiamo nel cassetto. 7 incontri, 43 ore, 550€. “L’allenamento” – per coinvolgere il corpo nel processo creativo. 4 incontri, 16 ore, 250€. “Verso la terra incognita” – laboratorio di scrittura erotica con Pier Franco Brandimarte. Domenica 4 febbraio 2018, 6 ore, 90€. “Officina ragazzi a Sori” – laboratorio di scrittura per ragazzi dai 12 ai 16 anni. 10 incontri, 15 ore, 170€. “Le storie dentro le immagini” – scrivere racconti ispirati alle opere d’arte con Emilia Marasco. 6 incontri, 12 ore, 150€ (tariffa promozionale natalizia!). “Narrare la città vecchia e le sue storie” – scrivere di Genova e dei suoi vicoli, laboratorio “on the road” con Laura Gugliemi. Domenica 13 maggio 2018. 6 ore, 70€ (tariffa promozionale natalizia!). “Sua maestà la trama!” – come si costruisce una buona trama, a partire da un fatto realmente accaduto, con Sara Rattaro. Domenica 25 marzo 2018. 6 ore, 90€. Ma non finisce qui! Puoi scegliere di regalare un buono di importo libero, che potrà essere speso per qualunque attività di Officina Letteraria fino al 31 dicembre 2018. Per informazioni e pacchetti regalo, scrivi a: comunicazione@officinaletteraria.com
Antonio Paolacci è uno scrittore che, insieme ad altre cose, è anche docente per i corsi di Officina Letteraria (vedi “I ferri del mestiere” o “Una stanza tutta per sé”). Era da un po’ che non scriveva un romanzo: ci ha provato, ha scritto, ha cestinato migliaia di caratteri, ha riscritto. Poi ha deciso che basta, non avrebbe scritto più niente. Ed è lì che è nato “Piano Americano”, il suo ultimo romanzo-non-romanzo. Ce ne parla Valentina. Piano americano di Antonio Paolacci recensione di Valentina Morelli Matrioska. La bambola più piccola, quella da cui nasce tutto, è un romanzo. Si intitola Piano Americano, è un “libro divertente (…), sorretto da un plot decisamente inverosimile, con tratti di realismo magico e palate di metanarrazione.” Il cuore della bambola più piccola, il cuore del romanzo, è un video, un super8, il cui protagonista, Jakob Goliacci, ha due caratteristiche parecchio bizzarre. La prima: è semi-invisibile, ma non nel senso che è mezzo trasparente e che gli vedi attraverso. Jakob è anonimo al punto che ti dimentichi della sua presenza. Jakob rimane sul limitare della coscienza. Jakob passeggia sul bordo dell’oblio e se ne va, ed è come se non fosse mai venuto. A meno che non lo fotografi, o lo filmi: a quel punto sì che appare, a quel punto sì che entra prepotente nell’occhio di bue della consapevolezza, e quello che vedi ti sconcerta anche di più della sua evanescenza: Jakob è la copia esatta, ma più giovane, di un vecchio imprenditore e politico detto il Nano da giardino, il Puttaniere, il Merda o, anche, Eliogabalo, come l’imperatore romano morto a diciott’anni per abbuffata di perversioni. È Gaetano, il protagonista di Piano Americano, che per caso ferma Jakob sulla pellicola e lo scopre; è Gaetano che, insieme ai suoi amici, inventa un piano per sfruttare la straordinaria somiglianza dando il via a un circo narrativo costruito su situazioni surreali e comiche. Il giorno in cui smetto di scrivere per sempre è una tiepida domenica di metà maggio. Attorno al video di Jakob danzano tutti i personaggi: Gaetano, i suoi amici, i Servizi Segreti, Jakob stesso. A raccogliere il circo, la bambola media della Matrioska, ovvero le vicende di Antonio Paolacci Personaggio, autore del romanzo Piano Americano, che racconta di quando, di come e del perché ha finito con l’arrendersi, col decidere di non scriverlo più quel romanzo surreale e divertente con cui avrebbe voluto “sfondare il muro della narrazione consueta.” Avrebbe dovuto essere il mio lavoro migliore, il più estremo: l’ultima scommessa che mi sarei concesso, l’ultima volta che avrei puntato sulla letteratura. Se fosse andata bene, avrei espresso me stesso con inventiva sfrenata, fregandomene dei vincoli imposti dall’editoria contemporanea, dalle leggi di mercato, dagli ottusi sostenitori della ripetizione. Antonio Paolacci Personaggio, sul punto di diventare padre, si guarda allo specchio – letteralmente e metaforicamente – e decide che non ne vale la pena. La scrittura non mi porta più da nessuna parte, la vita fuori dalle pagine scritte invece sì. Ho pubblicato libri e racconti ed è stato sempre squallido confrontare la fatica del lavoro con il suo valore oggettivo, con il mondo esterno, con l’editoria da prodotto di massa, con il pubblico e la stampa. Stavo viaggiando in direzione dello spreco. Stavo lavorando da anni a un romanzo per niente: anni di lavoro che avrei lanciato ancora una volta nel vuoto pneumatico della comunicazione contemporanea. Attorno ad Antonio Paolacci Personaggio, che racconta del rifiuto da parte di editori e agenti che, pur apprezzando l’intelligenza del suo lavoro, non possono sostenerlo perché di sicuro indigesto per un pubblico abituato a storie ordinarie, c’è la terza bambola della Matrioska, la più grande, quella che avvolge tutto: è Piano Americano, il libro di Antonio Paolacci Autore, che disubbidisce alle regole, che osa, che punta sulla letteratura. La scrittura è per noialtri un’ossessione, un vizio, una condanna, una necessità e un nemico, come il tennis per Agassi. (…) Ogni riga che componiamo è un rovescio a due mani che ci dona stilettate di sofferenza e però continua a tenerci in gioco. (…) Ogni sera andiamo a letto chiedendoci se non dovremmo mollare e addio dolore, ma sappiamo che non lo faremo, che ci sveglieremo sul pavimento anche domattina con la schiena maciullata dalla nostra stessa stramaledetta ostinazione da grulli e torneremo sul campo da gioco, a rispedire dall’altra parte inutili parole all’Avversario, finché il tempo ci consentirà di farlo. Alla fine degli anni Cinquanta, Alfred Hitchcock, già re di Hollywood, decide di girare e produrre Psycho da solo: il film infrange ogni regola e tutti – produttori, critici, amici – sono convinti che non possa funzionare, che Hitchcock si debba attenere a ciò che il pubblico vuole, a ciò cui il pubblico è abituato. Ma Hitchcock sfida Hollywood, rompe gli schemi, va avanti convinto. Antonio Paolacci Autore, come Hitchcock, disubbidisce a chi crede di sapere cosa piace al pubblico, si esprime con inventiva sfrenata, fregandosene dei vincoli imposti dall’editoria contemporanea, dalle leggi di mercato, dagli ottusi sostenitori della ripetizione e scrive un libro tutt’altro che ordinario, un libro che non potrebbe essere più lontano da quanto il pubblico è abituato a leggere. Nel 1960 Psycho ha un successo fragoroso, è il maggior successo commerciale di Hitchcock, e la scena della doccia, simbolo della rottura, diventa la scena più famosa della storia del cinema. Nel momento in cui scrivo, Piano Americano, il libro di Antonio Paolacci a un mese dall’uscita, è già in ristampa.
Laura di Biase conquista il podio del Premio letterario Anna Osti, dedicato alla letteratura per l’infanzia e per ragazzi, e lo fa con un racconto che ha iniziato a scrivere durante uno dei nostri laboratori. Ne siamo orgogliosi e vogliamo raccontarvi come è andata, con la voce di Laura. Prologo Quando un maestro di Officina Letteraria parla è sempre bene starlo ad ascoltare. Così quando Anselmo (Roveda, docente di “Oltre le fiabe” ndr) ci ha proposto il gioco “scriviamo una storia con un segreto” ci siamo guardati, abbiamo fatto vagare gli sguardi sul soffitto, per fortuna alto così ci stavano tutti, e poi giù, a scrivere. Una paginetta striminzita, per me. Poi vado a casa, curiosa di vedere come va a finire questa storia fatta di gatti, puntini rossi e peli bianchi. E quando l’ho scoperto decido di inviarla al “Premio Anna Osti“, dedicato alla letteratura per l’infanzia. Incipit “Ciao, mi chiamo Artemisia. Non ditemi niente sul mio nome, non so cosa sia preso ai miei di chiamarmi così. Mi hanno detto che è il nome di una famosa pittrice. Sì, ma di quattrocento anni fa! Così mi faccio chiamare Mimì, non è che mi piace tanto, ma è sempre meglio di Artemisia. Ho nove anni, i capelli neri ricci e gli occhi blu come quelli di nonna Gina. Ho una sorella più grande, si chiama Dafne. Anche lei, che nome… E ho un segreto.” Questo era l’incipit del racconto che ho iniziato a Officina Letteraria durante una lezione di laboratorio. Non sapevo cosa ne sarebbe uscito, e invece? Epilogo E invece sono arrivata finalista al “Premio Anna Osti”: piccoli grandi dispetti tra sorelle e, alla fine, un segreto troppo difficile da raccontare. La buona struttura del testo, l’ottimo utilizzo del linguaggio, il ritmo incalzante, la forza delle emozioni suscitate: ogni aspetto del testo è funzionale ad una narrazione calibrata sullo sguardo tipico dei bambini che evidenzia una chiara capacità di osservazione del vissuto infantile. Questo ha detto di me la giuria. Grazie Officina Letteraria e grazie alla Giuria che ha scelto di giocare insieme a me con un gatto e i suoi peli bianchi! Laura di Biase
Fino a una settimana fa non avevo mai sentito parlare di Kent Haruf. Poi sono successe un paio di cose. Il 1 settembre, Robert Redford e Jane Fonda hanno ricevuto il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia e dopo la premiazione è stato proiettato Our souls at night, tratto dall’ ultimo romanzo di Haruf, di cui sono protagonisti. La cosa non mi ha impressionato più di tanto ma un amico, dopo la mia confessione di ignoranza, mi ha guardato come se fossi una che adotta cani solo per lasciarli sul ciglio dell’autostrada. Allora ho letto Le nostre anime di notte. Un piccolo miracolo. Le nostre anime di notte: ho letto il libro, non so se guarderò il film di Emilia Cesiro La trama Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare. Addie Moore e Louis Walters sono due vedovi sulla settantina, abitano nella cittadina di Holt, Colorado, a un isolato di distanza. Si conoscono da molti anni, ma non sono mai stati intimi. Una sera di maggio, prima che faccia del tutto buio, Addie va a trovare Louis e gli fa una proposta: andare a dormire da lei la notte, e parlare. Louis le risponde che ci deve pensare. Mentre osserva Addie tornare a casa, Louis raccomanda a se stesso di non essere precipitoso. Il giorno dopo, va dal parrucchiere, si fa sistemare i capelli, si fa radere e poi chiama Addie. Passano la notte insieme. E quella dopo. E poi altre ancora. La storia è questa: due persone che passano la notte insieme, per non stare da soli, sdraiate nello stesso letto, al buio, come buoni amici e si raccontano la vita, perché vogliono sapere tutto. Man mano che la relazione tra Addie e Louis si sviluppa in amore, la narrazione si allarga a comprendere qualche amico, le reazioni della cittadina (piccola, la gente mormora), le vicende dei rispettivi figli, l’arrivo del nipote di Addie, Jamie, una cagnolina abbandonata e poi adottata, e altre cose ancora che non dico perché sennò che lo leggete a fare… In realtà, anche a conoscere la trama, queste 170 pagine andrebbero lette perché, ripeto, sono un piccolo miracolo. Basta poco che un racconto del genere cada nel grottesco o nel melenso, e invece il risultato è delicato, luminoso e dolcissimo grazie a uno stile pulito, semplice, che non perde tempo nelle descrizioni o nell’uso delle virgolette, scivolando dal dialogo alla narrazione come evidenti conseguenze uno dell’altra e rivelando, senza aggettivi, un grande affetto per tutti i suoi personaggi. Non abbiamo fretta, disse lui. No, prendiamoci il tempo che ci serve. L’ultimo libro di Kent Haruf Il tempo è un elemento essenziale del romanzo. Nella Nota del traduttore, Franco Cremonesi (bravissimo) parla del senso di urgenza che pervade il romanzo. Haruf stava morendo mentre scriveva Le nostre anime di notte: si sente la necessità di completare la storia che ha dentro, ed è vero che questa urgenza informa il romanzo e i suoi personaggi. Però le cose hanno una loro naturale evoluzione, anche a settant’anni. Durante una delle prime notti, Louis si fa prendere, nelle sue domande, da una curiosità e una gelosia inopportune. Se ne rende conto e si dà dello stronzo. Addie conferma. Urgenza non significa essere precipitosi o avventati. Nel caso di Addie e Louis, urgenza significa rivendicare pacatamente il diritto a questo amore, alla sua naturale evoluzione e al futuro. Bello, no? Uno scrittore sta morendo e scrive un romanzo sul futuro. Note sparse Kent Haruf (1943-2016) oltre che romanziere, è stato un insegnante, un obiettore di coscienza durante la guerra del Vietnam, un bracciante, un bidello e un docente universitario. Ha pubblicato il suo primo romanzo a 41 anni. Le nostre anime di notte è stato un bel successo editoriale, e il libro più venduto in libreria nella settimana tra il 13 e il 19 febbraio 2017 Gli altri romanzi di Kent Haruf, pubblicati in Italia da NN Editore, sono Canto della pianura, Crepuscolo e Benedizione, che compongono la Trilogia della pianura. In comune hanno l’ambientazione nella cittadina immaginaria di Holt. Una mappa di Holt è allegata sia al cofanetto che raccoglie la Trilogia sia a Le nostre anime di notte. Qui Marco Denti, autore della mappa, spiega come ha fatto. Il film Le nostre anime di notte con Jane Fonda e Robert Redford, diretto da Ritesh Batra, sarà disponibile su Netflix il 29 settembre. Le recensioni vanno dal bellino al proprio bello. Qualcuno l’ha stroncato, qualcuno ha detto che se non fosse per l’aura dorata dei due protagonisti, non se ne sarebbe proprio parlato. Io l’abbonamento a Netflix ce l’ho e lo guarderò, anche se con un filino di preoccupazione, perché quell’atmosfera dolce e luminosa che pervade il romanzo è facile da rovinare. Nel caso, posso sempre rileggermi il libro.
Partendo dallo stesso incipit, regalato a Officina Letteraria da Marco Peano, 78 scrittori si sono cimentati in storie tutt’altro che simili. 78 racconti sviluppati in una forma brevissima (appena 2.000 caratteri), ognuno con lo stesso inizio, ma con un finale diverso e sorprendente. Sveliamo ora i cinque finalisti che potranno contendersi l’iscrizione gratuita al laboratorio di 1° livello “La grammatica delle storie”. La cinquina finalista del concorso “Loro chi?” Questi sono gli autori e i racconti finalisti (in ordine alfabetico): Nicolella Clizia, Lo scatolone La Rosa Dimitri, Il cappello Profumo Giovanna, Gemelli nella notte Schenone Eva, Dietro la porta Scuto Regina, Il salotto accanto al letto Sulla pagina Facebook di Officina Letteraria potete trovare i 5 racconti finalisti, che verranno ora sottoposti al giudizio del pubblico tramite un “Mi Piace”. Il racconto che avrà ricevuto più “Mi Piace” alle 12:00 del 24 settembre 2017, verrà giudicato vincitore. L’autore del racconto vincitore avrà diritto all’iscrizione gratuita al Laboratorio di scrittura di I livello “La Grammatica delle Storie”, che inizierà martedì 10 ottobre 2017. Gli altri 4 racconti finalisti avranno diritto al 15% di sconto sulla quota di iscrizione del laboratorio “La Grammatica delle Storie”. Grazie a tutti gli altri partecipanti, speriamo di rivedervi tra le pagine di Officina Letteraria, in altre occasioni! [button type=small link_url=”https://www.facebook.com/media/set/?set=a.1670055843056506.1073741846.254331254628979&type=1&l=b0d8e301ee”] VOTA IL TUO RACCONTO PREFERITO [/button] Lo scatolone di Nicolella Clizia Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4.30 del mattino. Qualcuno si sta avvicinando al suo appartamento le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi erano loro. Loro chi? Se senti dei passi alla tua porta nel cuore della notte le possibilità non sono molte: o sono gli alieni, o sono i tuoi figli madidi di droga e di sesso, o sono gli amici per il compleanno. Ma non è il mio compleanno, almeno credo. La luce del cellulare si spense, per un attimo silenzio, quel rumore incollato alla porta. Riprese a respirare, riprese anche il tramestio cauto, indecifrabile. Non ho figli, potrei essere ancora io quello che torna a casa carico di droga e di sesso, o almeno una delle due. I figli, il sesso. Invece era venuto via da casa di Chiara seguendo una strada semplice, apri la porta, scendi le scale, mandi un messaggio dal contenuto infame, e via, è fatta: basta discussioni sull’amarsi, la casa la spesa il lavoro la biancheria, cosa conta davvero. Basta sindromi premestruali. Ma adesso in quel buio, alle 4:30 del mattino, con qualcuno alla porta, se non fosse stato solo sarebbe stato diverso. Se lei fosse stata lì sarebbe stato tutto diverso. Invece Chiara era sul pianerottolo. C’è tutto, gli disse facendo l’appello delle sue cose con fare svalutativo: vestiti, libri, cianfrusaglie, macchina fotografica, le nostre fotografie. Ma disse nostre al rallentatore, mentre gli consegnava il cane al guinzaglio. Aveva molto insistito per un figlio, ma adesso non avrebbe potuto recapitarglielo con la stessa disinvoltura, un figlio. E mentre Giscardo, il boxer, lo sbavava lui fu rianimato da quel millimetro di esitazione, mi ami ancora, dimmi che è vero. Un figlio, adesso. Poi però la sua esaltazione si estinse. Lo scatolone più grande, quello con il computer, fu appoggiato a terra da Rodolfo, il vicino di sotto, fisico nucleare, talento per la musica, umorismo sottile, sguardo bruciante. Voce un po’ tanto nasale, se vogliamo dire tutto. [button type=small link_url=”https://www.facebook.com/OfficinaLetteraria/photos/a.1670055843056506.1073741846.254331254628979/1670056126389811/?type=3&theater”] Vota il racconto di Clizia [/button] Il cappello di Dimitri La Rosa Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4:30 del mattino. Qualcuno si stava avvicinando al suo appartamento, le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi: erano loro. Ed erano troppo vicini per poter pensare a qualcosa. Serviva tempo. Guardò tra le sbarre della finestra la strada buia. Lanciò due vasi che spaccandosi parvero spari. Lo scricchiolio leggero delle scale lasciò il posto ai tonfi pesanti della discesa frenetica. Aveva pochi minuti. Prese un coltello dalla cucina e cominciò a lanciare per terra i soprammobili, rovesciare sedie e tavoli, per tutta la casa fino ad arrivare al bagno, divenuto tempio della speranza. Si prese a pugni, si strappò i vestiti, diede una testata sulla vasca e si riempì di altri tagli lungo il corpo. Sudato, sporco, strappò la tendina della vasca e se la mise sulle spalle. Infine si trafisse la spalla e poi la gamba. Il sangue bagnava le piastrelle, mentre nascondeva tremante la lama nel sifone. Si inginocchiò proprio nel momento in cui una voce ovattata fuori dalla porta bisbigliava: mettiti quel cazzo di cappello ed entriamo. Prostrato davanti al cesso, infilò la testa nell’acqua, mentre pisciava sangue dalla spalla e attese. Poco. Un calcio sfondò la porta dell’appartamento. Due uomini entrarono. “No, cazzo!” “Cerchiamolo” I passi percorsero velocemente tutto lo spazio della casa. “L’hai trova…?” “Sono arrivati prima loro” alzando la tavoletta dalla sua testa. “E adesso chi lo dice al capo?” “Nessuno. Diciamo che non c’era,” richiudendola “andiamocene.” Aspettando che se ne fossero andati, pochi minuti dopo ritornò alla dignità. Si mise seduto e premendo con degli asciugamani le ferite pensò che doveva solo non morire dissanguato. Con mano inferma, si alzò appoggiandosi al bordo della vasca ed entrò in salotto, ora tempio della presa per il culo, in cui un uomo con la mano sulla maniglia, osservandolo, gli disse: “Ed io che credevo di aver dimenticato solo il cappello.” [button type=small link_url=”https://www.facebook.com/OfficinaLetteraria/photos/a.1670055843056506.1073741846.254331254628979/1670056243056466/?type=3&theater”] Leggi il racconto su Facebook [/button] Gemelli nella notte di Giovanna Profumo Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4:30 del mattino. Qualcuno si stava avvicinando al suo appartamento, le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi: erano loro. Ferma tra le lenzuola sudate, era così attenta ai rumori da percepire il brusio prodotto dalla fila di formiche che, ne era certa, marciava tra il lavandino e il barattolo del miele. La sua guerra personale la vedeva sconfitta: loro tornavano sempre. Le voci ora erano lì e non sapeva se fingere di dormire o affrontarle. Soffocò un urlo contro
Anche i letterati, ogni tanto, uno sguardo al cinema ce lo buttano. Sempre con quell’aria un po’ snob da “il libro era meglio”, ma ultimamente i titoli tratti da grandi romanzi best-seller sembrano essere sempre di più. Per fortuna, perché si parla di storie valide. Per sfortuna, perché noi lettori sappiamo già come certe storie vadano a finire. È stato proiettato il 4 settembre il nuovo film di Paolo Virzì, “Ella & John”. Sapete che è tratto da un libro? Proprio così, si tratta di “The Leisure Seeker” ed eccomi a farne una specie di recensione. The Leisure Seeker: il libro “The Leisure Seeker” di Michael Zadoorian è stato pubblicato dalla casa editrice Marcos y Marcos nel 2009 nella collana “Gli Alianti”. Dallo stesso autore, la casa editrice pubblicò “Second hand – Una storia d’amore”. La trama è abbastanza semplice: Ella e John sono due ottantenni malati, molto malati. John soffre di Alzheimer, mentre Ella porta dentro un tumore in stadio avanzato. Poi si stufano: i due coniugi si stancano di passare la loro vita tra pillole, pasticche e cicli di chemioterapia, e partono. Prendono il loro vecchio camper e imboccano la Route 66 da Detroit, diretti a Disneyland. Ci andavano spesso a Disneyland, con i bambini quando erano piccoli. Ella pensa che sarebbe bello tornarci almeno una volta, in quel parco di divertimenti, prima di morire. Già. Non ci sono mezzi termini, altri modi per dirlo: Ella e John stanno morendo, e lo sanno, e lo sappiamo anche noi che leggiamo fin dalla prima pagina. Questa consapevolezza rende la lettura del romanzo un mix tra “tanto so come va a finire” e “speriamo però che non succeda”. Non vi dico come va a finire, ma in entrambe le alternative c’è la certezza dei lacrimoni. La scrittura di Zadoorian è limpida, schietta, semplicissima. Forse, per mio gusto personale, a tratti troppo semplice, la punteggiatura ridotta all’osso; bene, però, perché insieme a due dolci vecchietti che attraversano l’America in camper, le figure retoriche sarebbero state decisamente troppo stucchevoli. Ad ogni cittadina che il camper di John attraversa, un nuovo capitolo, un nuovo spaccato della stra-vista vita on the road americana: diner, motel, attrazioni turistiche scadenti, hamburger. Soprattutto hamburger. Questo viaggio serve principalmente ad una cosa, cioè a porre una domanda al lettore. E la domanda è sempre quella: perché continuare a vivere malati, se si può morire bene? L’eterno dilemma del “non rianimatemi”, delle cure palliative, delle malattie mentali. Vi dirò che è difficile rispondere, neanche Zadoorian ci riesce secondo me, ma la domanda la pone molto bene. È bello, così, è bello tacere. Parlare rovinerebbe tutto. Per un attimo, potrei piangere dalla felicità. È per momenti come questo che amo tanto viaggiare, la ragione per cui ho sfidato tutti. Noi due insieme, come siamo sempre stati, senza parlare, senza fare niente di speciale, semplicemente in vacanza. Lo so che niente dura, ma anche quando ti rendi conto che qualcosa sta per finire, puoi sempre voltarti indietro e prendertene ancora un po’ senza che nessuno se ne accorga. In viaggio contromano: il dilemma del titolo Ho avuto il piacere di sentire Claudia Tarolo, editore di Marcos y Marcos, raccontare la genesi di questo romanzo. Qualche tempo dopo la pubblicazione di “Second hand”, alla Marcos y Marcos si chiedevano che fine avesse fatto il buon vecchio Michael Zadoorian. Lo hanno contattato loro, chiedendogli se aveva qualche nuovo romanzo nel cassetto. Michael ha risposta affermativamente, inviando in casa editrice “The Leisure Seeker”. Il manoscritto è capitato tra le sue mani in lingua originale, Claudia l’ha letto in un giorno e una notte, e subito ha capito che quel romanzo andava pubblicato. Se ne è innamorata a tal punto, che ha deciso di tradurlo lei stessa. Peccato per il titolo: “The Leisure Seeker”, un gioco di parole intraducibile, dove in inglese Leisure Seeker indica un noto modello di camper, ma soprattutto significa anche “il cercatore di divertimento”. Tagliando la testa al toro, si è lasciato il titolo originale, con l’aggiunta di un sottotitolo: “In viaggio contromano”. Perché cos’è il viaggio di questi due simpatici vecchietti, se non una corsa contro il tempo? Tutti gli chiedono di stare a casa, di curarsi, ma Ella e John vanno in direzione opposta, non verso la morte, ma verso la vita. Ripenso all’accappatoio rosso che avevo a ventisette anni, al suono delle zampine del nostro primo gatto Charlie sul linoleum della vecchia casa; all’aria arroventata intorno alla pentola di alluminio un attimo prima che i chicchi di grano diventassero popcorn. Rievoco questi particolari con la stessa frequenza con cui rievoco il giorno del mio matrimonio, la nascita dei miei figli o la fine della Seconda guerra mondiale. Il fatto davvero impressionante è che prima che tu te ne renda conto sono passati sessant’anni e hai in mente otto o nove eventi capitali accanto a migliaia di eventi assolutamente insignificanti. Come può essere? “Ella e John”: il film di Paolo Virzì Sempre Claudia Tarolo fu contattata un giorno da Paolo Virzì, lui le chiese “Se dovessi consigliarmi un libro da cui trarre un film, quale mi consiglieresti?”. La risposta è la pellicola che avremo modo di gustare nei nostri cinema dal 25 gennaio 2018. Intanto, c’è chi ha avuto modo di vederlo. Vi consiglio pertanto questa breve impressione di Sara Boero (sì, quella che insegna anche a Officina Letteraria), inviata di The MacGuffin che ha avuto modo di vedere la proiezione in anteprima e con il posto riservato. “John. Mi ami?” Strabuzza gli occhi. “Ma che domanda è? Certo che ti amo”. Viene più vicino a mi bacia. Sento il suo odore. Non sa proprio di buono, ma è pur sempre l’odore di mio marito. “Lo so”, gli spiego. “Volevo sentirmelo dire da te. Non me lo dici più molto spesso”. “Me lo dimentico, Ella”. “Lo so, John”. Porto l’altra mano sul suo visto. Bacio mio marito. Lo stringo a me e non aggiungo altro. Passano i minuti, e la notte sospesa si riprende i suoi occhi. È ora di alzarsi.
È la moda dell’estate, è l’animale più colorato e simpatico che in versione salvagente sta popolando le spiagge di tutto il mondo e le stories di Instagram: è il fenicottero, ora noto come “Pink Flamingo”. Ma il trampoliere rosa non è solo un tormentone passeggero, ma vanta una nobile storia letteraria. Vogliamo scoprirla? Etimologia Partiamo dall’analizzare l’etimologia del nome fenicottero, che deriva dal latino phoenicoptĕrus, e questo dal greco ϕοινικόπτερος, composto di ϕοῖνιξ –ικος, che significa “colore rosso, porpora” e πτερόν, ossia “ala”. Il nome inglese del fenicottero, “flamingo” proviene invece da tutt’altra radice. Deriva dal termine portoghese “flamengo”, che deriva dal provenzale “flamenc”, a sua volta derivante dalla parola latina “flamma”, che significa appunto fiamma, aggiunto al suffisso germanico -ing; flamingo significa quindi “di origine fiamminga”, ed è stato attribuito al fenicottero essendo presente negli acquitrini olandesi. Il fenicottero nei libri Alice nel paese delle meraviglie Ma veniamo al dunque! L’esempio più noto in cui il fenicottero compare in letteratura è certamente “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carrol. Nella celebre scena, Alice è costretta a una bizzarra partita di croquet, dove le mazze sono fenicotteri vivi, e le palline dei ricci. “Ai vostri posti!” gridò la Regina con voce tonante. E gl’invitati si sparpagliarono in tutte le direzioni, l’uno rovesciando l’altro: finalmente, dopo un po’, poterono disporsi in un certo ordine, e il giuoco cominciò. Alice pensava che in vita sua non aveva mai veduto un terreno più curioso per giocare il croquet; era tutto a solchi e zolle; le palle erano ricci, i mazzapicchi erano fenicotteri vivi, e gli archi erano soldati vivi, che si dovevano curvare e reggere sulle mani e sui piedi. Lewis Carrol ha riempito il suo romanzo di giochi di parole e rompicapi logici, e non è ben chiaro perché le mazze da croquet siano state sostituite con un pink flamingo. Probabilmente, la loro morfologia ha semplicemente richiamato a Carrol un facile accostamento. O forse no? Il mistero del gioco di parole “Scommetto che sei sorpresa, perché non ti cingo la vita col braccio”, disse la Duchessa dopo qualche istante, “ma si è perché non so di che carattere sia il tuo fenicottero. Vogliamo far la prova?” “Potrebbe morderla”, rispose Alice, che non desiderava simili esperimenti. “È vero”, disse la Duchessa, “i fenicotteri e la mostarda non fanno che mordere, e la morale è questa: Gli uccelli della stessa razza se ne vanno insieme”. “Ma la mostarda non è un uccello”, osservò Alice. “Bene, come sempre”, disse la Duchessa, “tu dici le cose con molta chiarezza!” “È un minerale, credo”, disse Alice “Già”, rispose la Duchessa, che pareva accettasse tutto quello che diceva Alice; “in questi dintorni c’è una miniera di mostarda e la morale è questa: La miniera è la maniera di gabbar la gente intera”. “I fenicotteri e la mostarda non fanno che mordere”, cosa ci avrà voluto dire il caro Lewis con questo accostamento? Analizziamo la versione originale del brano: “Very true”, said the Duchess: “flamingoes and mustard both bite. And the moral of that is: Birds of a feather flock together”. “Only mustard isn’t a bird”, Alice remarked. Neanche in lingua originale salta all’occhio un gioco di assonanze tra “flamingoes” e “mustard”. Appare però più chiaro il gioco con il verbo “bite”, ossia mordere: in inglese, infatti, “bite” è usato per descrivere un alimento piccante, e quindi se il peperoncino può mordere, in piccola misura può farlo anche la mostarda. Entra in scena Shakespeare Molti studiosi si sono accaniti sui giochetti logici scritti da Lewis Carrol. Il parallelismo tra il fenicottero e la mostarda in qualche modo richiama un brano de “La bisbetica domata” di Shakespeare, atto IV, scena III. GRUMIO Non so, ho paura che infiammi la bile. Che ne direste del manzo con la mostarda? CATERINA Un piatto che mangio proprio volentieri. GRUMIO Sì, ma la mostarda riscalda un po’ troppo. CATERINA E allora il manzo, senza la mostarda. GRUMIO No, così no. O prendete la mostarda o Grumio non vi darà neanche il manzo. CATERINA Allora tutt’e due, o solo una, quel che vuoi. GRUMIO Be’, allora la mostarda senza manzo. La battuta “la mostarda riscalda un po’ troppo” significa proprio che la mostarda è piccante, e quindi “morde” come i fenicotteri di Alice. Fino agli antichi romani A flamingo? Isn’t that a bird? What’s it for? “Un fenicottero? Ma non è un uccello? A cosa serve?” chiede Alice quando gli viene proposto l’animale rosa come mazza da croquet. Molti studiosi di Lewis Carrol non trovano significato nei fenicotteri usati in questo modo. Ma gli studiosi non mollano, perché i giochi di parole di Carrol sono a volte così impossibili, che viene voglia di risolverli. In più, il fenicottero è un animale abbastanza strano di per sé. Si sono sviluppate molte teorie, ma nessuno ha ancora capito perché i fenicotteri stiano in piedi su una gamba sola mentre mangiano. Ed ecco un fatto divertente: secondo Paul R. Ehrlich e i suoi allievi alla Stanford University, la lingua del fenicottero era venduta a caro prezzo nell’Antica Roma in quanto gustosa prelibatezza. “Gli imperatori romani la consideravano una delicatezza, e servivano lingua di fenicottero su un vassoio che includeva cervella di fagiano, fegato di pappagallo e interiora di lampreda”, dice Ehrlich. Pare che gli antichi poeti latini scrissero anche in difesa del povero fenicottero, come dimostrerebbe questo poema di Marziale: Dat mihi penna rubens nomen; sed lingua gulosis Nostra sapit: quid, si garrula lingua foret? Che tradotta è: Le rosse mie penne mi danno il nome, ma la nostra lingua gusta ai golosi: che sarebbe s’ella potesse cantare? Conclusioni? Non c’è più dubbio. Il fenicottero è stato bistrattato nell’Antica Roma, poi coprotagonista di un romanzo, e oggi oggetto di culto nei social media. Il perché di questo successo è inspiegabile, come il gioco di parole con la mostarda. Sitografia Enciclopedia Treccani. Le citazioni in italiano di “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” sono tratte da qui , versione a cura di Dino Ticli. Le citazioni originali di “Alice’s adventures in Wonderland” sono
Le storie sono la tua passione? Pensi di avere talento nella scrittura e vuoi migliorare la tua tecnica? Pensi di non averne, ma vorresti cimentarti con la grammatica della narrazione? La scuola di scrittura creativa Officina Letteraria lancia il concorso per vincere il Laboratorio di I livello “La Grammatica delle Storie”, tenuto dalla scrittrice Ester Armanino e arricchito da seminari specifici sul mondo della narrativa. “Loro chi?” – Il concorso Per poter provare a vincere il Laboratorio di scrittura di I livello, ti basta scrivere un racconto di 2.000 battute (spazi inclusi), partendo dall’incipit che ci è stato regalato dallo scrittore Marco Peano. L’incipit Ecco l’incipit da cui dovrai partire per scrivere il tuo racconto! Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4:30 del mattino. Qualcuno si stava avvicinando al suo appartamento, le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi: erano loro. Nota bene: il racconto dovrà includere l’incipit riportato di sopra, e l’incipit dovrà essere calcolato nel limite delle 2.000 battute (spazi inclusi). Come inviare il racconto Invia il tuo racconto (in formato .doc, .docx o .rtf) all’indirizzo laboratori@officinaletteraria.com, specificando nell’oggetto “Racconto per vincere il laboratorio di scrittura” e nel corpo della mail il vostro nome e cognome con la dicitura “Autorizzo Officina Letteraria a pubblicare sui suoi canali di comunicazione il racconto in allegato, di cui sono l’autore, nel caso in cui rientrasse tra i 5 finalisti”. Scadenze e date Il racconto va inviato via mail entro e non oltre le 24:00 del 10 settembre 2017; i racconti inviati oltre questo orario, non verranno presi in considerazione per il concorso. Martedì 12 settembre, in occasione dell’Open Day di Officina Letteraria, verranno annunciati 5 finalisti, selezionati dalla giuria composta dai maestri della scuola di scrittura. Finalisti I 5 racconti finalisti verranno pubblicati sulla pagina Facebook di Officina Letteraria, e su questo sito web. I racconti verranno giudicati dal pubblico tramite un “Mi Piace”. Il racconto che avrà ricevuto più “Mi Piace” alle 12:00 del 24 settembre 2017, verrà giudicato vincitore. L’autore del racconto vincitore avrà diritto all’iscrizione gratuita al Laboratorio di scrittura di I livello “La Grammatica delle Storie”, che inizierà martedì 10 ottobre 2017. Gli altri 4 racconti finalisti avranno diritto al 15% di sconto sulla quota di iscrizione del laboratorio “La Grammatica delle Storie”. Ora non vi resta che scrivere! [button type=small link_url=”mailto:laboratori@officinaletteraria.com?Subject=Invio racconto per concorso Loro Chi”] INVIA IL TUO RACCONTO [/button] Marco Peano è nato a Torino nel 1979. Si occupa di narrativa italiana per la casa editrice Einaudi. L’invenzione della madre (minimum fax 2015, premio Volponi Opera Prima, premio Libro dell’Anno di Fahrenheit) è il suo romanzo d’esordio.
Siamo arrivati al 2017, e sono cinque anni di Officina Letteraria. Abbiamo festeggiato con 120 soci e due nuove scrittrici esordienti, Clara Negro e Ilaria Scarioni. Clara ha pubblicato con Harper Collins e Ilaria uscirà con un romanzo per Mondadori a fine giugno. Intanto Giulia Cocchella sta per presentare il suo secondo libro per bambini; Andrea Fabiani è un poeta, anzi un poeta performativo, vi consiglio di seguire quello che scrive e fa. Cinzia Pennati ha aperto un blog che si è subito conquistato un pubblico. Anche Manuela Romeo ha pubblicato un romanzo con un piccolo editore ligure e Andrea Contini sta per uscire con una bella storia. Altri sono in lettura presso Editor e agenti. Insomma, c’è movimento. C’era una volta il duemiladiciassette 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Non solo romanzi, anche racconti o fiabe. Sta per uscire il Repertorio dei matti di Genova (Marcos y Marcos) curato da Paolo Nori e scritto da quattordici autori di Officina. In eBook, con Emmabooks, abbiamo la raccolta Oltre le fiabe, una bella antologia realizzata dal laboratorio di Anselmo Roveda, l’autore che dal 2012 cura i nostri laboratori sulla narrativa per l’infanzia e i ragazzi, e Sara Boero. Io e Ester Armanino abbiamo appena terminato il nostro primo laboratorio per un’azienda, Costa Crociere, un’esperienza interessante con un bellissimo gruppo. La condivisione dello spazio di Officina Letteraria con Elisabetta Marasco e le sue classi di bioenergetica ha dato vita a una collaborazione che si è concretizzata nel laboratorio Il diario del corpo, a Sori, condotto insieme a Eugenio Gardella. La scrittura è anche corpo, energia, voce. Ne curiamo tutti gli aspetti con l’aiuto di una maestra calligrafa come Francesca Biasetton, di musicisti, performer come Augenblick, di attori come Dario Manera, Pino Petruzzelli, Antonio Zavatteri. La scrittura è anche un territorio di relazioni perciò collaboreremo al progetto MIGRARTI di Suq Genova e abbiamo appena instaurato un’amicizia è una collaborazione con le donne marocchine dell’associazione La Palma. Potrei continuare, ma mi trattengo… Il 6 maggio abbiamo festeggiato con una giornata emozionante che ha dimostrato quello che ho cercato di raccontarvi in questi post di ricordi. Officina Letteraria è una comunità ed è uno spazio di passioni, di sogni e di risultati concreti.
Nel 2016 abbiamo presentato i nostri laboratori al Consiglio di Corso di Laurea in Lettere dell’ Università di Genova ottenendo il riconoscimento come crediti formativi. Forse per questo o forse perché cominciavamo ad essere un po’ più conosciuti, il numero di giovani che si avvicinano a Officina dal 2016 è aumentato in modo significativo. C’era una volta il duemilasedici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Nel 2016 abbiamo preso la decisione di affidare il laboratorio sul romanzo, il nostro terzo livello, quasi esclusivamente a editor, riservando agli scrittori il racconto di un’esperienza, i suggerimenti personali. Abbiamo individuato una guida del laboratorio, Antonio Paolacci, abbiamo mantenuto il contributo prezioso di Laura Bosio e abbiamo cominciato una prima collaborazione con Angela Rastelli, editor Einaudi. Laura Bosio è diventata una colonna portante della nostra scuola; tutte le persone di Officina che hanno pubblicato l’hanno avuta come maestra o l’hanno scelta come tutor. Nel 2016 è nata una collaborazione con la Biblioteca comunale di Sori e con Valeria D’Agata. Il laboratorio di Sori Apprendista scrittore ha avuto subito un gruppo di entusiasti e fedelissimi raccontatori di storie. Il laboratorio estivo ad Apricale è stato un divertente gioco letterario al quale hanno partecipato una decina di persone di varia provenienza, non solo dalla Liguria. Come sempre abbiamo lavorato nell’Atelier A e siamo stati ispirati dalla particolare atmosfera del paese. Nel 2016 è uscito il romanzo di Eugenio Gardella, Sei sempre stato qui (Frassinelli). Nel 2016 è nata Edicolibro, punto di scambio libri ma anche scambio di idee, luogo di reading e di socialità, in piazza della Meridiana. Dieci associazioni e diversi volontari ne garantiscono l’apertura.
Il 2015 è stato l’anno delle collaborazioni, degli eventi esterni a Officina, dell’apertura alla città. C’era una volta il duemilaquindici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Un gruppo, del quale facevo parte anch’io, composto da Giulia Cocchella, Andrea Fabiani, Federica Kessisoglu, Dario Manera, Ilaria Scarioni, Marta Traverso, Elena Mearini, ha avuto l’opportunità di collaborare con Approdo Arcigay in occasione di una importante mostra-convegno, alla Commenda di Prè, intitolata “Dimenticare a memoria”. Un lavoro di riflessione e di ricerca sull’Olocausto, un percorso di scrittura forte, emotivo, che ha lasciato una traccia profonda dentro di noi. Nel 2015 Ester Armanino ha guidato un collettivo di giovani di Officina, i Caratteri Mobili, in un lavoro sul tema del cibo per partecipare al Bando per la Biennale dei Giovani artisti del Mediterraneo. Il risultato è stato Re-story-ant, un racconto da comporre, con più di 4.000 combinazioni. Il gruppo è stato selezionato per partecipare alla Biennale a Milano nell’ambito di Expo 2015, e il lavoro di scrittura è stato presentato con un’installazione e un video realizzato da Alessandro Bellagamba, direttore della Scuola di cinema di Villa Bombrini. Abbiamo cominciato la collaborazione col gruppo Augenblick con un laboratorio legato al loro super-premiato video “Su misura”. Siamo tornati ad Apricale con il laboratorio Cercatori di storie. In occasione della riapertura dei corsi a settembre abbiamo allestito Il montaggio di una storia, riaprendo per un giorno l’ex edicola di giornali di Piazza della Meridiana. Il successo dell’iniziativa ci ha spinto a presentare al Municipio centro est un progetto per la riapertura dell’edicola. Intanto qualcuno cominciava a pubblicare: usciva l’Omino dei desideri di Giulia Cocchella. Giulia era stata nei laboratori di Officina, poi aveva proseguito il suo percorso autonomamente; il fatto che pubblicasse ci rendeva tutti orgogliosi. Sono quasi certa che anche gli aspiranti scrittori di Officina abbiano affidato un desiderio, forse un sogno, all’Omino creato da Giulia.