Recensione di Ester Armanino. La persona che ami è per il 72.8% acqua. Il motto del designer inglese Alan Fletcher coglie l’essenza più intima di “Le onde”. Un libro “che ha il tempo come materia e l’essere come struttura” (Nadia Fusini) ma anche e soprattutto un libro sull’acqua, intesa come componente principale della nostra vita e del nostro pensiero (lo “stream” della coscienza). La vita rappresentata in “Le onde” è lo stato liquido e mutevole dell’esistenza: l’infrangersi del nostro mare interiore contro la durezza della materia solida, delle cose che restano immutate nel mondo. I sei personaggi di “Le onde” si relazionano tra loro e spesso non si comprendono, si amano e si odiano, si separano nel tentativo di scindersi e distinguersi come gocce, però poi inevitabilmente si cercano, hanno bisogno l’uno dell’altro non solo per trovare forma e confini del proprio essere – come l’acqua in un contenitore – ma anche per poter mescolare le proprie vicende di uomo o donna in una soluzione dove il “solvente” è la comune condizione umana, elevata a memoria collettiva. Fingiamo che la vita sia una sostanza solida, a forma di globo, che facciamo girare tra le dita. Fingiamo di poter ricavare una storia semplice e logica, in modo che quando un argomento è liquidato – per esempio l’amore – possiamo passare in buon ordine al prossimo. Così, come in una fotografia dimenticata tra le pagine, si ha l’immagine delle mani di Virginia che intrecciano le storie dei personaggi in una ghirlanda che poi lasciano andare lungo il fiume, in balia della corrente. Uno spazio apparentemente protetto, definibile almeno internamente , dove c’è moltissimo, l’esuberante quantità di stimoli e pensieri e metafore che fanno roteare la ghirlanda in un vortice su se stessa, minacciandola di sciogliersi da un momento all’altro. Tuttavia resta chiara una precisa volontà, qualcosa che passa dalla stelo di un fiore all’altro: non venire meno a quel patto – non di sangue ma d’acqua – stipulato nell’infanzia, e cioè di condividere ogni bene e ogni male della vita nell’amicizia. Perché lo consiglio a un lettore: La lettura di “Le onde” è una specie di travaso di sensazioni, pensieri, emozioni, che mette in contatto la sensibilità del lettore con quella di una delle più grandi autrici del secolo scorso, abbattendo i riferimenti di tempo e spazio, come solo l’arte riesce a fare. È un’esperienza di ciò che siamo e anche di ciò che è l’arte. “Quando scrivo non sono che una sensibilità”, appunta la Woolf nei suoi diari. Questa sensibilità permea da cima a fondo “Le onde”, e si trasforma in capacità di accogliere “la sensazione del canto del mondo reale” per farne letteratura, portando quest’ultima a livelli vertiginosi. Perché lo consiglio a uno scrittore: Per ascoltare la scrittura. Dice la Woolf, sempre nei suoi diari: “io scrivo a ritmo, non a trama”. E Marguerite Yourcenar, in un saggio del 1937, definisce “Le onde” come un “racconto musicale”, un brano per orchestra dove ciascun personaggio è uno strumento, e dove la sinfonia degli allegro dell’infanzia gradualmente cede il posto agli andante lento dell’età adulta fino alla vecchiaia. Penso possa essere molto utile, a chi scrive, tentare questo approccio. Accordarsi a un dettato interiore ed esteriore e cercare un ritmo. Per scrivere (e per vivere), questo ci trasmette Virginia Woolf, dobbiamo assecondare l’incontro-scontro tra due ritmi: quello più grande che ci contiene ed è ciclico, imprevedibile, eterno, e che non può essere cambiato ma solo percepito; quello del nostro sforzo individuale, misurabile e dispendioso, che possiamo scandire in modo personale, scrivendo la nostra parte oppure, per restare nella metafora, suonando il nostro assolo.
Questo racconto breve è estratto dalla raccolta “Senza Amore” che ha inaugurato la collana Academy della casa editrice Emma Books. Le parole tabù che hanno dato origine al testo sono: passione, dolcezza, nostalgia, dolore e, ovviamente, amore. “A brandelli” di Federica Kessisoglu. La prima volta che lui la notò era seduto sui gradini della chiesa di fronte al supermercato COOP di via Lazio. Aveva appena finito di controllare i suoi sacchetti, soprattutto quello blu dell’IKEA dove teneva gli oggetti più ingombranti, fragili e preziosi. Un’asse di legno che aveva trovato appoggiata al cassonetto di corso Garibaldi, la statuina in porcellana del pagliaccio che era appartenuta a sua madre, una coperta di lana che gli avevano dato al dormitorio e che non aveva restituito. La borsa blu dell’IKEA era di gran lunga la più resistente tra tutte quelle che aveva avuto, doveva stare molto attento che non gliela rubassero. Era una mattina di fine febbraio e si stava godendo il tepore di un sole pallido e nuovo. Lei era là, in piedi, dall’altra parte della strada, che guardava alternativamente a destra e poi l’orologio. Stava aspettando un autobus con una busta della spesa stretta in una mano e la borsa a tracolla. Fu un particolare preciso che attirò la sua attenzione. Le dita sottili di un vento leggero le avevano sciolto la sciarpa di seta scoprendole il collo bianco e lungo Le dita sottili di un vento leggero le avevano sciolto la sciarpa di seta scoprendole il collo bianco e lungo: una calla, la calla bianca che strappò dal giardino dei vicini per portarla in dono a sua madre. La mamma lo rimproverò e lo punì. Pianse per ore senza capire la sua colpa. La prima volta che lei lo notò era seduta sulla panca di pietra del binario tre in attesa del treno. Quella mattina di marzo era fredda e soffocava una promessa di nuvole blu. Lo vide passare ricoperto di roba: uno zaino unto e sdrucito dal colore indefinibile appoggiato alla spalla destra, un grosso sacchetto blu dell’IKEA su quella sinistra, un altro sacco di tela stretto in una mano e una sporta di plastica mezza rotta legata allo zaino. Si rese conto di averlo fissato troppo a lungo e distolse lo sguardo. L’uomo si sedette all’estremità opposta della sua panca di pietra. Sistemò le sue cose con cura e attenzione di fronte a sé. Continuava a seguirlo con la coda dell’occhio e fu la lentezza studiata dei suoi movimenti ad attirare la sua attenzione. Le ricordò un maestro di Tai Chi. Si girò del tutto nella sua direzione quando lo scorse estrarre un piccolo libro dallo zaino. Il titolo era troppo lontano e, per quanto si sforzasse, non riusciva a distinguere le lettere. L’altoparlante della stazione annunciò il suo treno: il Regionale 342 per… Scattò in piedi anche se mancavano ancora una manciata di minuti prima del suo arrivo. L’uomo rimase seduto e continuò a leggere, gli occhi affondati nelle pagine. D’improvviso sollevò la testa e i loro sguardi si scontrarono. Trasalirono entrambi: la calla e il maestro di Tai Chi. «Le notti bianche di Dostoevskij» disse piano sollevando il libro. «Mi scusi?» «Credo che questa sia la mia cinquantesima ripassata.» Il treno arrivò in quel momento e si intromise di prepotenza. Vi salirono entrambi. Lei lo precedeva e scelse un posto libero accanto al finestrino. I suoi sacchetti occuparono tutte le altre sedute, tranne una dove si accomodò timido di fronte a lei. Aveva l’urgenza di finire una frase e iniziarne un’altra e ancora e ancora. Una signora con cappello maculato e soprabito coordinato gettava loro occhiate oblique. Le raccontò di Dostoevskij e delle Notti bianche, di come la bellezza lo tenesse fuori dai guai, di come il passato lo tormentasse e di come il presente fosse una distesa di acqua profonda e oscura. Lei lo ascoltava stupita, vedeva le sue mani sottolineare le parole, gli occhi chiari sempre alla rincorsa di immagini, la barba incolta e i capelli schiacciati dal berretto di lana blu, che si era tolto poco dopo essersi seduto di fronte a lei. Lei ricambiò parole e gesti. Raccontò della sua vita un po’ solitaria come quella dell’albero spoglio nel cortile. Il passato era prossimo e non la toccava, il futuro un punto di domanda sulla porta di casa. Il treno attraversò tunnel oscuri, luci sottili sui binari, mattoni di fuliggine, nero riflesso sui vetri. All’improvviso cielo e nuvole resero tutto più leggero. Si separarono con calma e sorrisi. All’improvviso cielo e nuvole resero tutto più leggero. Si separarono con calma e sorrisi. La prima volta che lui pensò a lei era una giornata bianca e silenziosa. La temperatura a zero gradi e la neve che cadeva leggera. Quella leggerezza si era fatta pesante quando aveva dovuto raggiungere i gradini della chiesa di fronte al supermercato. Con le mani gelide aveva spazzato via il soffice manto bianco per far posto a sé e alla sua casa racchiusa in zaino e sacchetti. La prima volta che lei pensò a lui si trovava in piedi di fronte alla finestra e fissava un cristallo sciogliersi sul vetro. «Starà bene?» Questo pensiero le sfuggì e arrivò dritto alla bocca dello stomaco. Afferrò la borsa e uscì. Lo trovò lì, lo sguardo perso in mezzo ai fiocchi che gli tingevano barba e berretto. Accanto a lui montagnole di neve nascondevano il suo privato. «Vieni con me? Ti offro un posto caldo dove poter leggere.» Sollevò la testa, la vide, poi si alzò. Si sistemò lo zaino sulla spalla e frugò in mezzo alla neve per afferrare i manici degli altri sacchetti. La seguì in silenzio. Si fermarono di fronte a un portone verde con due pomelli di ottone. Lei faticò un poco a trovare la serratura e a girare la chiave. Lui lo capì. La sua casa lo sorprese: era tutta colorata. Pareti, oggetti, tappeti, mobili. Lui la sognava spesso in bianco e nero. Lo fece accomodare su un divano di stoffa rossa con cuscini verde prato. «Ti
Un bravo scrittore deve scrivere tutti i giorni? Se sì, quante ore bisogna scrivere al giorno? Alzi la mano chi non si è mai posto questa domanda. Proviamo però con questa, più difficile: quante parole bisogna scrivere al giorno? Una cartella sono 1.800 battute, fate voi i conti in base al tempo, alle energie e all’ispirazione che quotidianamente potete dedicare. C’è chi ha trasformato la costanza nella scrittura in un gioco, forse un po’ sadico ma interessante: nel 1999 una ventina di scrittori californiani si sono radunati a San Francisco e si sono impegnati a scrivere, ciascuno, 50.000 parole in un mese. Calcolatrice alla mano, tenendo a mente i pochi dati numerici a disposizione e il fatto che (come ci insegna la filastrocca) 30 giorni ha novembre, significa una media di 1.667 parole al giorno. Da qui è nato NaNoWriMo, acronimo di National Novel Writing Month. Ogni anno, a novembre, scrittori di tutto il mondo si cimentano in questa sfida. Scrivere in un mese una storia di almeno 50.000 parole. Un giorno, un amico trova James Joyce riverso sullo scrittoio, in atteggiamento di profonda disperazione: «James, che cosa c’è che non va? È il lavoro?» James asserì, senza nemmeno alzare la testa. «Quante parole hai scritto oggi?» «Sette» «Sette? Ma James… è ottimo, almeno per te!» «Suppongo di sì, ma non so in che ordine vanno.» Il tema e il genere sono liberi, l’unico requisito è appunto la lunghezza. Chiunque può partecipare: basta iscriversi al sito web di NaNoWriMo e caricare man mano il proprio lavoro su un apposito spazio, che automaticamente produce il conto alla rovescia verso l’obiettivo delle 50.000 parole. NaNoWriMo è l’esperimento ideale per chi ha un romanzo in testa – o comunque un’idea narrativa di un certo spessore – ma per un motivo o l’altro ha sempre rimandato l’inizio della scrittura vera e propria. Ogni anno partecipano circa 200.000 persone, per un totale (dato riferito al 2010) di 2.872.682.109 parole scritte in un mese. L’obiettivo è ambizioso e non c’è tempo per fermarsi a valutare dove mettere la virgola, se quella parola lì è giusta o se la trama regge. Per la qualità della storia ci sarà tempo. Lo scopo di NaNoWriMo è dare valore alla scrittura di pancia, di getto. Non si vince niente, a parte una considerevole dose si soddisfazione personale: chi supera la sfida arriva alle 23:59 del 30 novembre con un romanzo fatto e finito, da revisionare prima di tentare la fortuna della pubblicazione. Dal 2006 a oggi, oltre 100 romanzi NaNoWriMo sono stati pubblicati da case editrici in vari Paesi. Chissà se Bukowski, Roth, Borges e così via ci arrivavano, a scrivere 1.667 parole al giorno.
In questo breve post, Federica Pontremoli svela lo spirito con cui intende condurre Scrivere un corto, il laboratorio sul cortometraggio in partenza il 16 novembre 2013. Piccolo film, grande impresa. di Federica Pontremoli Un cortometraggio è un piccolo film. Ma piccolo non significa facile, anzi. Fare un piccolo film è una grande impresa! E allora partiamo dalle fondamenta dell’impresa: la scrittura. Prenderemo una storia: una storia che avete dentro e che avreste sempre voluto raccontare, una storia che avete sentito da un amico e pensate che sia una buona idea per un film, una storia rubata dai racconti di nonni, zie, figli e nipoti. Oppure una storia che, semplicemente, vi siete inventati. Insieme faremo un percorso per costruire al meglio la struttura di questa storia, scegliere il miglior punto di vista, descrivere i personaggi e creare un copione che possa diventare un grande piccolo film di dieci minuti. Vedremo film lunghi e corti da cui impareremo a riconoscere la buona scrittura al di là delle immagini, inizieremo a scrivere poche righe per distinguere una buona idea da una meno buona. Poi scriveremo sempre più pagine per definire i nostri personaggi, poi scriveremo ancora più pagine per trovare un buon inizio, un buon finale… fino a quando avremo le migliori dieci pagine di sceneggiatura che mai avremmo potuto immaginare di scrivere. Dimentichiamo le definizioni di scuola, corso, seminario, laboratorio… Il nostro sarà un viaggio nel mondo delle idee in cui la scrittura sarà l’ultimo passo di un processo largo, creativo divertente e intelligente. Vai al laboratorio “Scrivere un corto”
Il vestito come racconto. di Emilia Marasco. Ho conosciuto Lo Spaventapasseri molti anni fa, mi sono subito appassionata alle linee, ai tessuti, all’immagine di donna che sostiene la creatività di un’impresa totalmente al femminile. A poco a poco è diventato un atelier di riferimento e un luogo di conversazioni intelligenti intorno a un tema solo in apparenza frivolo, l’abito. Il vestito copre, nasconde e svela. Il vestito è sempre un racconto, a ogni latitudine, in ogni cultura, un racconto che passa di donna in donna, di madre in figlia. Lo Spaventapasseri ora ha un negozio anche a Berlino e fornisce i suoi pezzi quasi unici a diversi negozi di abbigliamento in tutta Italia. La pagina Facebook è sempre ricca di spunti e iniziative. Come questa: Il mio vestito, una seconda pelle. Mercoledì 30 ottobre, insieme a Lo Spaventapasseri, abbiamo organizzato la Merenda Letteraria “Il mio vestito, una seconda pelle”, con letture sull’abbigliamento femminile. L’evento è aperto al pubblico, compatibilmente con lo spazio del negozio, è rivolto in particolare alle socie di Officina Letteraria, perché da quest’anno la nostra tessera dà accesso a un piccolo sconto sui capi della collezione de Lo Spaventapasseri. Con l’occasione, sarà possibile anche fare la tessera simpatizzante di Officina Letteraria (10 euro). Evento vietato agli uomini? No, naturalmente. I soci di Officina Letteraria potranno usufruire dello sconto, Natale arriverà presto. Soprattutto, gli uomini che amano la narrativa potranno ascoltare le letture e scoprire quante storie si nascondono tra i vestiti di un negozio come Lo Spaventapasseri.
Legittimatevi. Per scrivere occorre una motivazione, cioè un desiderio, un’esigenza che ha un’origine profonda dentro di noi. Occorre spazio, dentro e fuori. Uno spazio interiore, la stanza immaginaria dove raccogliamo le esperienze, le emozioni, i pensieri che ritorneranno nelle nostre storie. Uno spazio fisico, anche piccolo, un posto dove stiamo bene e dove possiamo scrivere indisturbati un po’ ogni giorno. Se pensate di non avere questi spazi a disposizione, di non riuscire a trovarli, di non avere abbastanza tempo, chiedetevi se avete risolto la questione più importante: vi legittimate a scrivere? Scrivere è spazio e tempo per sé, qualcosa che si concede a se stessi e che si trasformerà in spazio e tempo anche per qualcun altro, per chi leggerà, fosse anche un solo lettore. Perché non si scrive mai solo per sé. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Ha festeggiato da poco due anni ed è una casa editrice unica nel suo genere, nello scenario italiano, per due ragioni. Primo: Emma Books pubblica solo in digitale. Secondo: Emma Books si è posta l’ambizioso obiettivo di (citiamo testualmente dal sito) “intercettare e coinvolgere il variegato universo della lettura e scrittura femminili”. Il secondo anniversario di Emma Books coincide con la pubblicazione dell’ebook “Senza amore“, prima antologia di racconti a cura di allievi di Officina Letteraria. In questa occasione, abbiamo posto alcune domande a Maria Paola Romeo, agente letterario presso la Grandi & Associati e direttore editoriale di Emma Books. Emma Books ha da poco compiuto due anni. Puoi tracciare un bilancio di questa avventura? Siamo molto soddisfatti di come stanno andando le cose. Nell’attuale clima grigio dell’editoria italiana, la nostra crescita in termini di riconoscibilità, comunità di scrittrici e lettrici e di copie vendute è un raggio di sole. Mai avuta la nostalgia di non vedere i testi di Emma Books stampati su carta? Forse qualche autrice o lettrice “cartacea” vorrebbe avere un libro fisico tra le mani. Noi però siamo convinti che la bontà di un testo vada oltre il formato in cui viene proposto. Se il digitale, come pare dai numeri che ci arrivano dagli Stati Uniti, dove il fenomeno è ormai consolidato, consente di leggere di più grazie a prezzi più contenuti e a una diffusione più capillare, allora non vedo perché rimpiangere la carta. Fermo restando che il caro vecchio libro non scomparirà mai. Quanto contano, a tuo parere, i laboratori di scrittura nel percorso formativo di un autore? Grazie alla collaborazione con Officina Letteraria inauguriamo “Academy”, una nuova collana che ospiterà il lavoro degli allievi di alcune scuole di scrittura. Emma Books in questi due anni ha scoperto diversi talenti, ha dato spazio a molte voci nuove. Con questo spirito non potevamo non essere aperti ai “prodotti” dei laboratori. Detto questo, ciò che mi piace di più delle scuole di scrittura è che sono prima di tutto delle scuole di lettura… Qual è il racconto o romanzo al femminile che tutti dovrebbero leggere? (oltre a Emma di Jane Austen, of course) Il mio consiglio è leggere molto, moltissimo, romanzi di qualunque genere, da Alice Munro a Helen Fielding, italiani e stranieri. Esiste la ricetta per il “racconto d’amore perfetto”? Purtroppo non esiste la ricetta per niente (altrimenti saremmo tutti ricchi sfondati). Un consiglio, però, mi sentirei di darlo: per scrivere un buon romanzo d’amore bisogna raccontare con il cuore i sentimenti, le emozioni, non far percepire alla lettrice che tu, lo scrittore, ti senti superiore e in fondo non ci credi del tutto. Poi, pur rimanendo fedele ai canoni del genere romantico, inviterei chi scrive a trovare un proprio stile, una propria unicità; non tentare di scopiazzare libri analoghi. A scrivere “rosa” sono più brave le donne o gli uomini? Quali diverse sensibilità entrano in gioco? Questo è un tasto dolente, si discute parecchio se si possa parlare o meno di scrittura femminile. Senza addentrarmi, direi che anche gli uomini sanno scrivere meravigliose storie in rosa. Fino a qualche anno fa erano persino più bravi perché le donne cercavano disperatamente di emanciparsi dall’immagine della scrittrice di serie B. Ora questo pregiudizio è stato molto ridimensionato e anche le scrittrici possono serenamente raccontare tutte le storie d’amore che vogliono, come vogliono. Quanto contano realmente i social network nella promozione di un testo? Emma Books ha più di 1.000 like su Facebook, oltre 2.000 follower su Twitter e più di 300 follower su Pinterest: i social network da alcuni anni sono diventati un core fondamentale per chi scrive e pubblica storie. La promozione (sul web più che fuori dal web) continua a contare molto nella promozione dei libri (sia digitali sia cartacei). Accennavo in apertura alla comunità di Emma Books. Ecco, per noi è una risorsa fondamentale.
Un San Valentino “Senza Amore” è diventato un eBook. di Emilia Marasco. Rinunciare alle parole dell’amore per scrivere un racconto d’amore, questa era la consegna per il gruppo di scrittura che mi sono inaspettatamente ritrovata a condurre il giorno di San Valentino per sostituire una collega. La proposta è stata accolta con qualche perplessità, qualcuno ha riso, alla fine hanno cominciato a scrivere con l’aria di chi partecipa a un gioco di società. I giochi migliori sono serissimi e la scrittura, anche quando diverte, è una cosa seria così ora abbiamo il primo eBook di Officina Letteraria. Non solo, Officina Letteraria inaugura la collana Academy di Emma Books, l’editrice digitale diretta da Maria Paola Romeo, agente letterario della Grandi & Associati. Per ora cerchiamo di fare a meno del self publishing, abbiamo preferito rivolgerci a un editore, sottoporci a una valutazione e a un editing, un’esperienza che è parte integrante dell’apprendistato della scrittura. Gli autori dei quindici racconti che compongono l’antologia sono: Giulia Cocchella, Rossana Cirillo, Andrea Fabiani, Anna Maria Frigerio, Eugenio Gardella, Paolo Gerbella, Federica Kessisoglu, Dario Manera, Elena Marengo, Daniela Mascotto, Clara Negro, Elena Scappini, Ilaria Scarioni, Elisa Traverso, Marta Traverso. L’eBook “Senza Amore” è disponibile su Bookrepublic, Amazon, Kobo e su tutti i principali store.
Non abbiate paura. Saper uscire da una storia non è sempre facile ma, alla fine, con la vostra prima stesura in mano, che fare? Intanto lasciatela sedimentare per qualche giorno. Poi rileggete, correggete i refusi e la punteggiatura. Controllate che non ci siano ripetizioni, scegliete con cura i sinonimi. Verificate le possibili incongruenze. Eliminate gli aggettivi e gli avverbi inutili. Asciugate, pulite, limate. Non abbiate paura di rinunciare a una parola, a una frase. Non abbiate paura di riscrivere. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Stabilite la meta. Se scrivete un racconto dovete scegliere una strada, anche insolita ma dovrete seguire quella, senza deviazioni. Se invece scrivete un romanzo ci sarà la storia principale, poi ci saranno le storie dei personaggi, oltre quella del protagonista, e poi le storie che emergono dal contesto. Vi troverete davanti un reticolo di strade, principali e secondarie. Un romanzo è un viaggio, dovete avere presente la vostra meta e il tempo che stabilite di impiegare, potete concedervi qualche deviazione ma dovrete sempre ritornare sulla strada principale, non perderla di vista. A qualche altra possibile dovrete rinunciare, soprattutto alle scorciatoie perché il lettore non è stupido, se ne accorge. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Scrittori e lettori, libri e memoria. Venerdì 18 apre a Palazzo Ducale di Genova la seconda edizione della rassegna L’altra metà del libro, quest’anno dedicata alla Memoria. Gli scrittori ospiti hanno in comune, con voci diverse e diverse declinazioni, la scelta di raccontare storie personali, famigliari, collettive attraverso le quali si sono confrontati con il passato, con parti di una storia più grande alla quale sentono di appartenere. Non è casuale che un festival con questo tema cominci la stessa settimana in cui a Palazzo Ducale apre il CreamCafè, luogo destinato alla creatività e all’incontro con persone che stanno perdendo o hanno perso la memoria. L’iniziativa è una sfida, si può, sul filo della memoria residua, mantenere in vita storie individuali, famigliari, collettive. I libri servono anche a questo, lo racconterà Alberto Manguel, il curatore del festival, venerdì 18 alle ore 18:00 e lo spiegheranno, con la loro voce e la loro esperienza, Emanuel Carrère, Elizabeth Strout, Melania Mazzucco, Eduardo Galeano, Lilian Thuran. Per chi vuole scrivere. Sarà interessante ascoltare Luca Formenton, editore de Il Saggiatore: sabato 19 alle 11:00 spiegherà come un testo di un autore diventa un libro per i lettori e parlerà della situazione attuale dell’editoria in Italia.
Dentro la storia. Una storia deve cominciare. Ci sono incipit lenti, descrittivi, che prendono per mano il lettore e lo conducono dentro la storia. Ci sono anche incipit veloci che ci trasportano dentro una storia che abbiamo l’impressione sia cominciata prima del nostro arrivo. Pensate a quali incipit vi catturano di più quando leggete, provate a imitare gli incipit dei grandi scrittori. Incominciate a scrivere la vostra storia, dopo una pagina rileggete e osservate se nel vostro testo non via sia una frase, dopo qualche riga dall’inizio o anche a metà che possa essere riconosciuta come il vero incipit. Riscrivete cominciando da lì. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Viaggiare senza spostarsi. La cornice è la situazione, la circostanza temporale e di luogo della vostra storia. Potete sceglierla attingendo alla vostra esperienza o al vostro mondo interiore. Potete scegliere anche una cornice lontana da voi ma importante per come immaginate la storia. Documentatevi, navigate in Internet, leggete libri, guardate film, parlate con persone che vi aiutino a costruirvi una competenza, viaggiate o createvi le condizioni per viaggiare senza spostarvi, raccogliendo elementi utili alla vostra immaginazione. Tenete un taccuino con gli appunti del vostro viaggio reale o immaginario. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Idee chiare. In genere si comincia scrivendo racconti perché il romanzo implica una struttura complessa da tenere sotto controllo. Il racconto, per certi aspetti, è una prova più difficile, bisogna sapere già quasi tutto prima di cominciare, appena entrati nella storia già si dovrà uscire. Idea e cornice narrativa devono essere chiari fin dall’inizio, spazio e tempo ben definiti. Pochi personaggi. Asciugare molto, non perdersi in dettagli, eliminare tutto quello che non è funzionale alla storia. Cercare un ritmo della narrazione e non perderlo. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Occhi diversi, storie diverse. Per la vostra storia dovrete scegliere un punto di vista. Non è una scelta semplice. Vale la pena divertirsi con qualche esercizio. Per esempio, la vostra nascita raccontata dal vostro punto di vista e poi da quello di vostra madre o dell’ostetrica o di vostro fratello maggiore produrrà storie tutte diverse. Potete farlo con qualunque episodio della vostra vita. Oppure potete farlo con una favola, quella che preferite, per esempio Biancaneve cambierà se raccontata dal punto di vista di Biancaneve o della matrigna o di uno dei sette nani. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.