Per la prima volta, in occasione di START, Officina Letteraria collaborerà con Violabox ospitando negli spazi di Via Cairoli 4/B a Genova, la mostra di “ToBeOrNotToBe” di Sergio Leta. In questo testo critico sul ciclo di opere, Emilia Marasco propone una chiave di lettura a metà tra arti figurative e narrativa. Testo Critico di Emilia Marasco Sono in posa per la fotografia, guardano qualcuno che li guarda. Sono soli, in coppia, in gruppo. Sono vestiti con l’abito della festa, con la divisa della scuola, con il costume da bagno l’asciugamano al collo e le ciabatte di gomma. Sono seri o sorridono appena. Sono uomini, donne, bambini. Sono gli esseri umani di Sergio Leta e mi ricordano il campionario antropologico dei racconti di Raymond Carver. Il titolo shakespeariano, “ToBeOrNotToBe”, assegnato a tutto il ciclo corrisponde alla rappresentazione di uno spazio con figure e allo stesso spazio senza figure, in sequenza. Lo spazio senza figure non è tuttavia vuoto, conserva un ricordo delle presenze che, grazie a questa traccia del loro passaggio e della loro esistenza, lo hanno modificato. Quello che rimane è il segno di ciò che è stato. “Quello che rimane” è il titolo di un romanzo di Paula Fox in cui l’immobilità è incertezza e instabilità, è dubbio permanente. Rimane il bouquet della sposa, la macchina rossa a pedali del bambino, rimangono i buffi cappellini degli scolari, le sedie degli innamorati, le ciabatte dei bagnanti. Gli oggetti che, pur importanti, hanno un ruolo da comprimari nella rappresentazione con figure, sottolineatura di status o di ruolo, integrazione funzionale, in assenza degli esseri umani diventano immediatamente protagonisti, si caricano di significato simbolico, assumono forza evocativa. Li vediamo e li guardiamo con la lucidità che ci impone l’artista, constatando ciò che li rende protagonisti, la possibilità di sopravvivere agli umani di cui sono stati apparentemente fragili elementi accessori. Sono immagini di suspance quelle create da Sergio Leta, siamo portati a chiederci cosa sia accaduto tra una sequenza e l’altra, è chiaro che c’è una storia, direbbe Carver, che vuole essere raccontata. Perché il bouquet della sposa è a terra? L’ha lanciato e nessuna donna invitata lo ha raccolto? L’ha perso perché costretta a scappare insieme allo sposo e a tutti i presenti da qualcosa di terribile, da un’irruzione nel luogo del ricevimento? Cosa sarà accaduto? Due immagini immobili e in mezzo un movimento che l’artista esprime con la tensione del vuoto e dell’impaginazione rigida di uno spazio bipartito, uno spazio dialettico. Si può essere in uno spazio e, in un certo senso non esserci; si può non essere ma continuare a esserci con quello che, della nostra presenza, rimane. In un tempo malato di horror vacui, Sergio Leta analizza i momenti di sospensione e di vuoto spazio temporale. Come Carver trae spunti da un campionario di varia umanità che osserva ai fini del personale atlante di spazi e figure che appare come un lavoro in progress indispensabile alle fasi di una ricerca che, come tutte le ricerche che si rispettino, non si può prevedere se giungerà a dare risposte ma, di sicuro, continuerà a porre domande. Vai all’evento dell’inaugurazione della mostra
“Fantasma” di Angela Tenca. È un’ombra che si avvicina in mezzo ai banchi del mercato, vedo chiaramente una grossa borsa di cuoio, color cuoio, messa a tracolla su spalle robuste e su una giacca rossa. I capelli sono legati con un elastico colorato ma le ciocche più corte scappano ai lati delle orecchie. Piccole, quasi invisibili orecchie dalle quali pendono semplici orecchini di perle a goccia. La mia testa è ovattata come se non sentissi bene. I suoni che mi giungono sono incomprensibili. C’è tanto colore, tanto movimento a terra ma se alzo gli occhi vedo qualcosa che assomiglia alle quinte di un teatro abbandonato. Tutto grigio, tutti i lati uguali e noi, forse, sul palcoscenico. Sto dormendo? Sto sognando? È tutto surreale. Sono venuta fino qui per rovistare tra vestiti usati e cimeli di eserciti inesistenti? La mia sindrome da shopping compulsivo mi ha portato a questo mercato e ora, come stordita, vedo questa figura che avanza verso di me. È una donna? È straniera? Non è polacca, gesticola con i venditori che non la capiscono e compra, compra e riempie la borsa di cuoio e poi tira fuori un sacchetto e riempie anche quello. Questa bancarella vende grandi specchi. È sola, è arrivata sola, viaggia sola, ha coraggio. Per un attimo vedo la sua figura sovrapposta alla mia nello specchio, quasi scompare dietro di me. Ma chi è? Dove va? Ora la seguo, sale sul tram e scende in centro, va a sedersi su una delle famose panchine da cui esce la musica di Chopin. Mi siedo di fronte a lei ma dalla mia panchina la musica non esce. S’incammina per Uliça Krakowskia Predmiescie (via del borgo di Cracovia,dice la guida), si ferma a un angolo ed entra in un bar, Prezekaski Zakaski è scritto sull’insegna ma questo proprio non so cosa vuol dire. Dalla porta esce un forte odore di cibo. La guardo dalla vetrina. Appoggiata a un bancone semicircolare mangia un piatto con pezzetti di pesce e cipolle e beve da un piccolissimo bicchiere un liquido trasparente. Sorride e soddisfatta continua la sua passeggiata. Non si accorge di me. Io sono stanca, sto per rinunciare ma la curiosità è tanta e proseguo il mio pedinare. Instancabile arriva alla città vecchia, alla piazza della Sirenetta. All’improvviso si gira, cambia direzione e mi passa accanto senza vedermi, come se io fossi un fantasma. Lei cammina, cammina è quasi buio prende una strada in discesa,attraversa un parco, io mi sento persa non so più dove sono, guardo il nome della via: Uliça Lipowa (via dei tigli), attraversa e varca la soglia di un locale con l’insegna ben comprensibile SAM. Qui non voglio restare a guardare dalla vetrina, entro e mi siedo. Lei ordina e dopo poco arriva una ciottola piena di un liquido fucsia, domando alla cameriera cos’è? Chlodnik e lo mangio scoprendo una minestra fredda di barbabietole rosse e panna acida. Mangio in fretta perché non voglio perderla. Va a finire che entra nel mio stesso albergo, nella mia stessa stanza e svanisce. Cosa sono i Racconti di Varsavia. Maggio 2013. Un gruppo di viaggiatori di Officina Letteraria, insieme a Emilia Marasco e Elena Mearini, vola a Varsavia per fare l’esperienza di un laboratorio di scrittura. Cinque giorni per un racconto ambientato a Varsavia, per misurare la distanza tra la città immaginata e quella reale, per ascoltare storie, immagazzinare impressioni sperando che diventino tracce. Un’esperienza di incontro con Zuzanna Krasnopolska, ricercatrice all’Università di Varsavia del Dipartimento Artes Liberales, con i docenti e soprattutto con gli studenti di Italianistica che hanno organizzato una passeggiata letteraria per Varsavia e hanno scritto il loro racconto in italiano.
Persone e Personaggi. Per scrivere una storia ci vuole un personaggio. Vi verranno in mente persone conosciute, avrete voglia di prelevare una caratteristica da uno, un difetto da un altro, un tic nervoso da un altro ancora. Provate a elencare tutto quello che conoscete del vostro personaggio o che scoprirete di conoscere compilando l’elenco: come si chiama, qual è il suo aspetto esteriore, quanti anni ha, dove vive, forse vorrebbe vivere altrove, se ama qualcuno, ha delle fobie o una patologia, se c’è un segreto o un trauma nel suo passato, se ha un’aspirazione, un progetto. Rileggete l’elenco. Cominciando a scrivere non userete tutto ma solo alcuni aspetti, altri emergeranno a poco a poco. La maggior parte rimarrà nell’elenco, sarà servito solo a voi per stare in compagnia del vostro personaggio prima di cominciare a seguirlo lungo la storia. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Trasformare la realtà. L’immaginazione è la possibilità che abbiamo di trasformare la realtà utilizzando in connessione i nostri sensi e l’intuizione percorrendo in più direzioni la mappa delle nostre esperienze. L’immaginazione si nutre di desiderio e di capacità di gioco. Allora, se siete in coda alle poste, nella sala d’attesa del medico, se siete su un treno o in un aeroporto, scegliete una persona, osservatela senza disturbarla, con discrezione, provate a immaginare perché si trova lì, che lavoro fa, perché e con chi sta parlando al cellulare, cosa sta accadendo nella sua vita. Chissà quante volte l’avrete già fatto. Questa volta però scrivete le vostre osservazioni. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Ordinare le idee. Ci sono temi che ci interessano e dei quali potremmo parlare raccontando una storia, ci sono storie che abbiamo vissuto o che ci hanno raccontato, ci sembra di avere molto da scrivere ma giunti al dunque è difficile far ordine, è difficile scegliere e ci sembra di non aver più nulla da dire. Il consiglio è scrivere, anche senza un progetto, partire da una scena, da una conversazione per esempio al supermercato o sull’autobus, un incontro, partire da qualcosa di apparentemente banale e quotidiano e scrivere una breve storia, di quindici righe, ogni giorno. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.