Vergine

Oroscopo Letterario 2018 – Vergine

Nove scrittori e scrittrici, due editor e un pubblicitario maestri di Officina Letteraria hanno ideato l’Oroscopo Letterario del 2018, fornendo consigli di scrittura e lettura per tutti i tipi zodiacali. Lo pubblicheremo segno dopo segno. Consiglio per tutti: Non fate come Blaise Pascal che nel 1656 scrisse «mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve»: sforzatevi di trovare il tempo per essere brevi. Vergine di Edoardo Cavazzuti Se siete scrittori (o aspiranti tali) e avete la fortuna di essere nati sotto il segno della vergine, il nuovo anno sarà come un lunghissimo settembre. Abbandonatevi quindi all’acquisto compulsivo di cancelleria – soprattutto matite HB – anche se scrivete esclusivamente al PC. Cesellate la vostra wishlist di libri (quasi tutti non-fiction di documentazione), ordinate i tomi con consegna entro ventiquattro ore, ma, una volta arrivati a casa, lasciateli marcire sul comodino. Scongelatevi! Smettete di sollazzarvi con gli elenchi numerati e/o puntati: 1) perché non semplificano veramente le cose; B) perché non li legge nessuno. Già che ci siete, dite basta anche all’uso del punto e virgola: non è da voi. In questi primi giorni del 2018 vi renderete finalmente conto che – dopotutto – non è così essenziale definire in quale anno sia stata rimandata di greco la cognata di uno dei personaggi secondari del romanzo che state scrivendo. Ah, sì, a proposito: iniziate a scriverlo, questo benedetto romanzo. Fatelo proprio oggi, proprio ora, con una parola a caso. Solo una parola. Non è neanche necessario che sia perfetta. Lasciatevi corrompere dalla vertigine del caos. Provate con “Impostore”. Leggi gli altri segni dell’oroscopo!

Leone

Oroscopo Letterario 2018 – Leone

Nove scrittori e scrittrici, due editor e un pubblicitario maestri di Officina Letteraria hanno ideato l’Oroscopo Letterario del 2018, fornendo consigli di scrittura e lettura per tutti i tipi zodiacali. Lo pubblicheremo segno dopo segno. Consiglio per tutti: Non fate come Blaise Pascal che nel 1656 scrisse «mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve»: sforzatevi di trovare il tempo per essere brevi. Leone di Riccardo Gazzaniga Scrittori nati sotto il segno del Leone, siete fortunati. Il peculiare egocentrismo del vostro segno è un’arma fondamentale per chi sogna una pubblicazione: altrimenti come osereste riempire centinaia di pagine e pensare che qualcuno sia disposto a leggerle? E pagando per farlo! Ma l’egocentrismo può diventare una debolezza, se vi specchiate troppo in voi stessi e dimenticate di inseguire la vostra preda: la storia. Mentre scuotete fieri la vostra regale criniera di parole, la storia balza via come un’antilope, svanendo dentro foreste inaccessibili. Per questo 2018, quindi, non compiacetevi della vostra bellezza ma inseguite la storia, osservatela, studiatela per attaccarla proprio lì, dove è debole. Poi azzannatela e non mollate più. Il suo ultimo respiro vi dirà che è pronta per i lettori.  Leggi gli altri segni dell’oroscopo!

Cancro

Oroscopo Letterario 2018 – Cancro

Nove scrittori e scrittrici, due editor e un pubblicitario maestri di Officina Letteraria hanno ideato l’Oroscopo Letterario del 2018, fornendo consigli di scrittura e lettura per tutti i tipi zodiacali. Lo pubblicheremo segno dopo segno. Consiglio per tutti: Non fate come Blaise Pascal che nel 1656 scrisse «mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve»: sforzatevi di trovare il tempo per essere brevi. Cancro di Ester Armanino Quando scriviamo, noi cancerini sembriamo sempre avere un terribile seppur creativo mal di pancia: anche l’evento più insignificante può avere enormi conseguenze a causa della nostra ipersensibilità. La tendenza a sentire il mondo più che guardarlo rischia però di portare i nostri lettori, già dotati di sentimenti propri, a un’inevitabile indigestione. Il consiglio per il 2018 è quindi quello di allenare lo sguardo, esercitare l’osservazione come faceva Georges Perec quando stilava lunghissimi inventari nel tentativo di esaurire i luoghi e la realtà. Guardare il mondo nelle sue molteplici sfaccettature, provare a raccontarlo come è invece che come siamo, lascerà al lettore un sano appetito di sentimenti e consentirà a noi scrittori del Cancro di distrarci dal mal di pancia almeno per qualche pagina. Leggi gli altri segni dell’oroscopo!

Gemelli

Oroscopo Letterario 2018 – Gemelli

Nove scrittori e scrittrici, due editor e un pubblicitario maestri di Officina Letteraria hanno ideato l’Oroscopo Letterario del 2018, fornendo consigli di scrittura e lettura per tutti i tipi zodiacali. Lo pubblicheremo segno dopo segno. Consiglio per tutti: Non fate come Blaise Pascal che nel 1656 scrisse «mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve»: sforzatevi di trovare il tempo per essere brevi. Gemelli del Dottor Henry Jekyll James Matthew Barrie dice che i Gemelli “non possono essere descritti, perché non si saprebbe mai quale dei due si descrive.”  È quello che succede spesso nei vostri scritti, Gemelli (dici a me?), non riuscite mai a capire se quell’io narrante sia davvero voi o quell’altra parte più oscura. Per il 2018 vi do un consiglio: abbandonate l’idea che ci sia un modo di scrivere giusto (o sbagliato), un lessico bello (o ripugnante), una sintassi corretta (o una sporca), che la congiunzione possa essere solo disgiuntiva. Tornate alla fonte, alla nuvola da cui proviene l’aria che vi riempie i polmoni che sono due ma uniti dallo stesso corpo. C’è solo una scrittura: quella vera (quella vera!) che parte dagli stessi ricordi (dalle viscere) che avete in comune con le due metà di voi. La verità non mente (le viscere non mentono mai). Consigli di lettura? “Peter Pan e Wendy” è d’obbligo e la “Trilogia della città di K.” non vi deve sfuggire. Piaceranno a entrambi. Leggi gli altri segni dell’oroscopo!

Toro segno

Oroscopo Letterario 2018 – Toro

Nove scrittori e scrittrici, due editor e un pubblicitario maestri di Officina Letteraria hanno ideato l’Oroscopo Letterario del 2018, fornendo consigli di scrittura e lettura per tutti i tipi zodiacali. Lo pubblicheremo segno dopo segno. Consiglio per tutti: Non fate come Blaise Pascal che nel 1656 scrisse «mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve»: sforzatevi di trovare il tempo per essere brevi. Toro di Emilia Marasco Dopo il lungo periodo in cui Saturno vi ha appesantito il passo, vi ha obbligato a far ricorso a tutte le vostre risorse più stabili – la concretezza, la prudenza – avete finalmente rialzato la testa. Non accontentatevi, potete spingere lo sguardo più in là, oltre il confine del territorio che siete abituati a dominare. Nel 2018 Saturno sarà vostro alleato, è arrivato il momento di osare. Scrittori del Toro se avete una sinossi, uno storyboard, un file con l’identikit dei personaggi, un incipit perfetto e un finale al quale tendere… buttate via tutto, cestinate, scrollatevi di dosso il solito metodo di attacco e lasciatevi guidare dalla passione e dalla fantasia. Concedetevi di scrivere senza un progetto definito, seguite l’istinto, guardate laggiù, oltre il confine, e scrivete col coraggio di cui siete capaci. La concretezza riservatela al lavoro di revisione, sarà bello fermarsi dopo aver attraversato territori inesplorati. Rileggete Il mago di Oz di L. Frank Baum, scrittore del Toro. Leggi gli altri segni dell’oroscopo!

Ariete

Oroscopo Letterario 2018 – Ariete

Nove scrittori e scrittrici, due editor e un pubblicitario maestri di Officina Letteraria hanno ideato l’Oroscopo Letterario del 2018, fornendo consigli di scrittura e lettura per tutti i tipi zodiacali. Lo pubblicheremo segno dopo segno. Consiglio per tutti: Non fate come Blaise Pascal che nel 1656 scrisse «mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve»: sforzatevi di trovare il tempo per essere brevi. Ariete di Angela Rastelli «Che cosa penso dell’amore? In fondo, non penso niente. Certo, vorrei sapere “che cos’è”, ma, vivendolo dal di dentro, lo vedo in quanto esistenza, non in quanto essenza» diceva Roland Barthes. Allo stesso modo vivrai la scrittura, Ariete. Quest’anno ti ci butterai dentro, anche prima di aver capito bene “che cos’è”, e l’attraverserai, testardo e impavido come il tuo animale zodiacale, senza il timore della pagina bianca, privo del tremore che prende gli altri segni di fronte al cominciare, così come si comincia un nuovo amore. Ma attento, Ariete, ricorda quello che diceva ancora Barthes: «Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia». Il mio consiglio per il 2018 è questo: fatti sotto Ariete, ma dopo rileggiti e riscrivi, solo tornando sui tuoi passi e riconsiderando il cammino fatto potrai evitare le trappole in cui l’eccessiva irruenza fa cadere – in amore come nella scrittura. Leggi gli altri segni dell’oroscopo!

Tra le persiane – Apricale 2017

Tra le persiane di Cristina Biglia   Jean apre gli occhi nel buio della stanza, un rumore leggero ha attirato la sua attenzione. Il cuore ha un’accelerazione involontaria, i sensi all’erta. Le lunghe notti trascorse abbracciato al fucile con la guancia a riposare sulle pareti fangose della trincea di Somme l’hanno addestrato a percepire anche il più piccolo spostamento all’interno del suo spazio. Una striscia di luce come una lama affilata trapassa le imposte chiuse e gli colpisce la retina, provocandogli un moto di nausea alla bocca dello stomaco. Rivede ancora le esplosioni dietro le palpebre, le schegge incandescenti degli shrapnel come fuochi d’artificio alla festa del paese. Riapre gli occhi, in sottofondo sente l’acciottolio rassicurante della madre che rassetta in cucina, ma c’è qualcos’altro, un rumore nuovo, impercettibile, qualcuno che si muove nella sua stanza. Nessuno deve entrare. Gli amici non sono ammessi, neppure Maria, che passa spesso sotto le sue imposte chiuse, anche se la madre glielo avrà già detto cento volte “Maria trovati un altro giovane, non si può mettere su famiglia con uno così”. Jean non ha rimpianti, ha già deciso tutto, a Maria non ci pensa più. Gli dispiace per lei, se lo vedesse, la smetterebbe di passare lì sotto e di chiamarlo. La sua vita futura gli è molto chiara, non ci saranno sorprese come per gli altri suoi amici, prova quasi pena per loro. Lui sa già che vivrà e morirà in quella stanza. Al buio. Ha scoperto che ci sono dei sotterranei nell’anima, dei sensi vivi in quel che resta del suo corpo. E lì che inizia il suo viaggio, l’esplorazione, è lì che vivrà. La vita come la conosceva prima può rimanere fuori, per lui non esiste più. Ancora quel rumore, simile a un fruscio di vesti, a un frullo, è lì vicino a lui. Si mette seduto puntandosi sui gomiti, si abitua alla penombra della stanza. Il rumore viene dalla finestra. La luce che filtra fra le gelosie verde scuro della persiana si diffonde intorno e lo abbaglia, come un dio prepotente che voglia entrare di forza nella sua stanza. Qualcosa si muove al margine inferiore della persiana chiusa, nella striscia di luce che la separa dal davanzale. Spostandosi nel letto con le braccia, Jean si avvicina: ora le vede, sono le zampette delle rondini, che passeggiano avanti e indietro come sentinelle sul marmo della finestra. In qualche modo, in quel mondo impazzito di guerra là fuori, deve essere tornata la bella stagione. Jean batte le mani, lancia un urlo, vuole cacciarle. Ma le rondini lo ignorano, continuano a disegnare arabeschi di ombra e di luce col loro passeggiare impertinente. Ogni tanto una di loro si stacca dal davanzale, Jean la immagina volare nella vallata, la sente garrire. Dopo il volo tornano sempre alla sua finestra, attratte da qualcosa di misterioso. Non se ne vogliono andare. Gli occhi di Jean si riempiono di lacrime, è come se la vita stessa premesse contro la finestra, e lui con la sola forza delle sue braccia non può più spingerla indietro. Per la prima volta dal suo risveglio in ospedale, scoppia in un pianto disperato, rotto, senza freni. Vede con impietosa chiarezza lo scempio del suo corpo, il lenzuolo vuoto dove un tempo c’erano le sue gambe, il viso da fantasma riflesso nello specchio dell’armadio. Un bussare discreto, sua madre entra con la colazione. Rimane ferma sulla soglia, guardando il viso del figlio bagnato di lacrime. “Vai a chiamare Maria” le dice Jean in un soffio.

Ma cosa sono ‘sti nidi di ragno? – Apricale 2017

Ma cosa sono ‘sti nidi di ragno? di Marco Cassini Giovedì 27 luglio 2017 ore 11. Siamo nella saletta della Biblioteca di Apricale per l’inizio del Laboratorio Estivo di Officina Letteraria “Cercatori di Storie”. Vengono fatte le presentazioni: Alessandra, Angela, Cristina, Clara, Lena ed io (finalmente libero dagli impegni lavorativi che mi avevano impedito di partecipare alle prime quattro precedenti edizioni), la nostra vita in poche parole per conoscerci meglio e legare. Il depliant recita “Da uno spazio, una persona, un oggetto, a un incipit. Cinque scatti per una storia. Una macchina fotografica, è sufficiente quella del cellulare, e un giro per il paese. Ecco i Cercatori di storie. Impressioni visive, intuizioni, emozioni. Quando si entra in uno spazio occorre decifrarlo, Si ‘scatta’ e poi si selezionano le immagini per una storia. All’interno del suggestivo Castello di Apricale, Ester Armanino, scrittrice/architetto, ed Emilia Marasco, scrittrice/docente di Storia dell’arte,, vi racconteranno spazi e figure, vi offriranno informazioni, suggestioni e metodi per scrivere un incipit fulminante per una storia intorno a cinque scatti fotografici, Le storie saranno pubblicate sul sito di Officina Letteraria www.officinaletteraria.com”. Emilia sottolinea che si tratta di un laboratorio, un concept, la meta è possibile ma non sicura. Dovremo cercare, guardare, vedere, osservare, imprimere, saper afferrare un’idea nello spazio fisico e mentale di un borgo, medievale ma vivo. Individuare e cogliere “i segni più deboli del luogo”: un indumento, un’ombra, un tatuaggio, un chiodo arrugginito in un muro, possono diventare protagonisti (la parola muro mi fa balenare l’idea/ricordo dei nidi di ragno). Si prosegue citando Picasso “io non cerco trovo!” Ester ricorda l’approccio che hanno i bambini, curiosità, emozioni, impressioni che andranno finalizzate ad individuare una didascalia, un titolo. Ci viene consegnato il racconto Avventura di un fotografo di Italo Calvino ( immancabile ma per me che combinazione!), sul bancone viene posto Tentativo di esaurire un luogo parigino di Geoges Perec e se ne discute. La situazione mi piace ma forse si parla troppo e ci si distrae. Ore 12,30, ci viene assegnato un breve “compito in classe”: Descrivi il paradiso. “L’aria è frescolina e anche le persone un po’ gelide. Sorridono tutti, Sembra non manchi niente, È soprattutto la musica che ti fa sentir bene. Celestiale. E le luci. Le luci sono allegre. La musica aumenta. L’atmosfera si scalda. Mi faccio coraggio: «Permette signorina?» «Non so ballare!» «Neanch’io!». Cominciò tutto così alla balera “Il Paradiso”. Questo è stato il mio “svolgimento, gli altri tutti più in tema con descrizioni piacevoli, prevalentemente bucoliche, forse per me il Paradiso è troppo lontano, o troppo vicino. Alle 13 pranzo al ristorante A Ciassa : verdure ripiene (mitici i fiori di zucca), insalata mista, minerale e caffè, 10 euro. Breve pausa. Alle 15 si ritorna in biblioteca, conduce Ester che chiede: «Quanto conta per voi il paesaggio?». Ambientazione, spazio, location. Il luogo modifica la storia, deve essere percepito. Bisogna sentirlo, trovarcisi. Geografia, toponomastica, mappe. Il paesaggio è un personaggio. Va osservato, descritto, ascoltato. Bisogna starci dentro con curiosità, esplorare. Lo scrittore sta dove vive e dove costruisce il suo romanzo. Quando scrive deve essere presente. Qui e ora. Con tutti i cinque sensi. I luoghi devono essere visibili  e concreti. I dettagli poi fanno la differenza, le parole stesse sono dettagli. Non utilizzare le frasi fatte, i luoghi comuni stonano sempre. Arriva Emilia con uno strano volume 462 idee per scrivere, si tratta di una raccolta di esercizi richiesti dai curatori del testo a scuole di scrittura e scrittori in America. Ci viene consegnato un elenco stilato da Georges Perec con 52 specie di spazi. Dopo una discussione – Emilia ed Ester sono professionali, affascinanti e assistenzievoli – ci viene assegnato un altro breve compito: raccontare un  luogo esplorato da bambini. La frase iniziale deve essere “Ho sei anni e sono in…”. “Ho sei anni e sono in chiesa, i miei genitori mi portano spesso qui e ho una certa confidenza con questo ambiente ma oggi ho scoperto una cosa strana, stropicciandomi gli occhi assonnati e lacrimosi sono stato sorpreso da una quantità di raggi luminosi. La semplice luce di una candela se la guardo con gli occhi umidi e come se esplodesse in mille strisce di luce e qui le fonti luminose sono molte, comprese le vetrate su cui batte il sole. Non capisco bene, sono esterrefatto, con i miei occhi e le mie lacrime ho modificato la realtà. Mi perdo nell’esplorazione di questi effetti sfavillanti, non mi rendo conto del tempo e del resto. Poi riapro bene gli occhi, nessuno si è accorto di nulla, torno a seguire la funzione, a respirare l’odore d’incenso, con un po’ di senso di peccato”. Vengono letti tutti i brevi testi, mi viene il dubbio che gli altri siano più avanti; la discussione è sempre interessante, Emilia e Ester sono prodighe di consigli e esortazioni, viene citata Anais Nin “Non si vedono le come sono, si vedono come siamo”. Ore 17: visitiamo il Castello di Apricale, riceviamo gli ultimi consigli, poi ognuno va per i fatti suoi in cerca di immagini su cui costruire una Short Story che costituirà il frutto del nostro laboratorio. Io mi dirigo verso la parte del paese esposta a nord-ovest chiamata Ubagu   che significa “a baccìo” cioè all’ombra. Il sole vi arriva solo nei mesi estivi, in inverno è fredda, umida e scivolosa. La gente la evita anche d’estate perché infestata di ortiche, muschio ed erbacce. Per noi bambini era la preferita e lì si svolgevano i nostri accampamenti con capanne e battaglie e dissodamenti, lontano dagli sguardi degli adulti. Lì c’è una viuzza chiusa, senza denominazione, disabitata che, partendo da Via Garibaldi poco sotto la Casa del Boia, si va a frangere sotto l’antica cinta muraria. L’avevamo chiamata Via RuMaSiSà in onore dei quattro bambini che si erano improvvisati esploratori: Rubertin, Marcu, Silvano e Sandro (in ordine crescente di età dai 6 ai 9 anni). Lì mi ritrovo a cercare, dopo 55 anni di assenza, un “segno debole del luogo” soggetto che non avevo mai pensato di

Monet è passato di qui? – Apricale 2017

Monet è passato di qui? di Alessandra Agostini Partenza, ci sono riuscita, finalmente ! Ci sono voluti due anni di lavoro ai fianchi, di organizzazione logistica occulta, marito convinto, spesa fatta, casa in ordine perfetto, il mio bisogno di controllo assoluto sulle cose soddisfatto. Nell’animo pero’ e’ tutto un casino, si, proprio un casino, non c’e’ termine piu’ adatto. Non so cosa mi aspetta ma sono come attirata da una calamita gigante. Arrivo. Caldo insopportabile, pochi pensieri coerenti, un’atmosfera d’altri tempi, case appese alla collina, vicoli che, in confronto, quelli di Genova sono autostrade, una fontana che, oltre a promettermi acqua fresca, mi incute un timore che non capisco; forse qualcosa dovuto alla sua storia antica, medioevale. E si, il medioevo, qui ad Apricale la fa da padrone e padrone assoluto e’ il castello. Sono sfinita, voglio vedere la mia stanza, il castello dopo. Solo a guardarlo da fuori mi attira, una specie di Circe, chissa quante persone nei secoli hanno avuto la mia stessa senzazione quasi ingestibile…Che poi a me, ad andare cosi’ indietro nei secoli non piace nemmeno. Entro, spedita dentro un cortile. Strano, non capisco se sono opere di artisti un po’ eccentrici o cose lasciate li’ a caso: una damigiana spogliata dalla sua parte di vimini, una scala di legno nodoso e vissuto, dei vasi anche belli nella loro quieta semplicita’, delle statue quasi avvolte tutte dalle erbacce, forse contente di passare inosservate. Dal cortile mi inoltro all’interno quasi senza accorgemene, fino ad un angolo del sottotetto, vedo un un signore con un barba bianca che, se non fosse luglio, potrei scambiarlo per babbo Natale, e penso anche che sono un po’ stordita dal dal viaggio e dalla calura per fare queste associazioni. Questo signore borbotta in francese, sono sicura, e’ l’unica lingua che ho studiato, e sta spostando con un certa energia quattro cavalletti vuoti e ha appoggiato su un lungo tavolo quattro tele coperte da un drappo. Pittore? Francese? Con la barba? Con un cappotto un po’ retro’ a luglio? Oddio … Cerco di tradurre quel suo parlare sottovoce perche’ non so bene se sono sul pianeta terra e vorrei capirlo. Lo sento, sta dicendo: “parbleu, tutto questo tempo a Bordighera, tre` belle, ma qui, un paradiso. Questo castello e’ unico!”. Scusi signor…Monet ? Forse? Ma cosa dico? Ma cosa sto dicendo ? Ma come, cosa ci fai lei qui? Perdoni la mia invadenza ma credo di avere qualche problema spazio temporale. “Guardi, non conosco i suoi problemi, io mi sento in pace con me stesso, mi hanno chiesto di esporre in questo luogo tres fantastique che non conoscevo ed ho solo l’imbarazzo della scelta per posizionare questi miei dipinti su questi quattro cavalletti.” “Lei cosa dice? Le piacciono queste marine? Dalla vostra riviera ci sono degli scorci impagabili! Se avessi tempo mi fermerei,la veduta dal castello e’ sans egal.” Me oui, me oui…mi ritrovo all’improvviso a parlare francese da sola in una stanza, peer fortuna vuota. Ho un forte mal di testa ma sto sorridendo: un pittore strafamoso, francese, mi rivolge la parola e chiede proprio a me un parere su quattro suoi capolavori! Un colpo di caldo, sicuro.

Le rane raccontano – Apricale 2017

Le rane raccontano Lena Mohler Avevamo cercato dappertutto. Nei carugi, nelle case e anche nel Castello della lucertola. La cosa strana, era che la rete fosse ancora intatta. Niente danni. Niente strappi da dove avesse potuto fuggire. Dopo un bel po’  di tempo arrivò una bella cartolina dall’estero. Il disegno delicato assomigliava alla contessa di Apricale. Però non c’era scritto niente. Anni dopo, seguì una seconda cartolina. Anche quella volta senza scrittura. Vedendo la foto si capì come fosse fuggita un tempo; attraverso il tombino. Non si era mai più lasciata vedere ad Apricale, la rana che diventò una contessa. Le rane però ne cantano ogni sera.   Una bambina ad Apricale Già da piccola mi sentivo una principessa, bella come la contessa di Apricale. Adoravo stare sotto una rete appogiata vicino alla piazza tra I carugi. Da lì, nascosta dal mondo, potevo studiare la vita del paese sensa essere vista da nessuno. Ogni tanto mi lasciavo risucchiare dalla vortice che c’era sotto di me. Non era un vortice vero, ma il disegno di un mosaico. Per me diventava realtà e di là immaginavo di viaggiare in tutto il mondo. Oggi sono cresciuta e faccio I viaggi, di cui ho sognato da bambina. Però non sono sicura se I viaggi di una volta, sognati sotto la rete, risucchiata dalla vortice, non fossero I più belli.

La via di casa – Apricale 2017

  La via di casa di Angela Tenca Mi hanno consigliato di allontanarmi per un po’ dalla città, di vivere in un posto senza scarichi di macchine, con aria pulita e salubre. Né al mare né in montagna. Di fare una vita senza stress e un po’ di moto tutti i giorni, con moderazione. Apricale mi è sembrata la soluzione ideale. Il mio passo rimbomba nella notte del caruggio. Sopra i suoi sassi la mia ombra è ben visibile. Io non sono un fantasma e nessun fantasma mi insegue o mi aspetta dietro l’angolo. Sono tranquilla, serena, mi godo le notti solitarie svegliandomi solo per ascoltare il ritmo del mio cuore. La mia grotta è fresca e asciutta, forse una volta è stata una stalla per qualche animale ora ci dormo io tra queste pietre antiche. Antiche quanto? Chi ha costruito la prima casa di Apricale e perché? Forse dovrei studiare un po’ di storia. E come si sono accatastate le une sulle altre senza crollare mai? Quale geniale architetto riuscirebbe oggi a progettare un siffatto labirinto? Non è una storia questa o forse è una piccola storia d’amore per un posto fino a poco tempo fa sconosciuto ma che ha il magico potere di farmi stare bene. Di non farmi sentire mancanze che altrove sento forti. Devo chinare la testa per entrare nella mia grotta. Pochi centimetri più alta e non potrei starci. Pietre a vista lungo i muri, volte a botte per soffitti. Forse non era una stalla ma una cantina. Il vino è buono da queste parti. La mia ombra nel caruggio, sui ciottoli, mi mostra la via di casa.   Oggi ho prolungato la mia passeggiata fino al cimitero. Ho voglia di piangere e mi sembra il luogo ideale per farlo. A quest’ora di pomeriggio di luglio sono sola. Non lo so neanche io perché ma sento che ho bisogno di lacrime. Piccole, tiepide, tranquille. Non lacrime di dolore né di felicità. Forse lacrime di tenerezza per le persone che non ci sono più, il loro ricordo mi commuove. I miei nonni, le mie zie, i miei animali anche. Lacrime di tenerezza per me. Si mi regalo qualche lacrima dolce perché me le merito. Perché nonostante tutto ci sono ancora, contenta di quello che sto facendo e del posto in cui mi trovo e mi meraviglio ogni giorno di essere viva. Anche questo mi commuove. Al mio cuore fa bene stare qui. La via di casa è conosciuta. Vado a letto nella mia grotta, prendo le medicine antirigetto e mi addormento.                            

La gonna della contessa – Apricale 2017

La gonna della contessa di Clara Crovetto “La conosci la storia del baldacchino di Apricale?” esclama all’improvviso Gatto Bardo a Gatto Rosso, davanti alla loro biblioteca. “No ma invero non me ne importa gran che” di rimando lui. ”Fai male bello mio, è la più bella, intrigante, sanguinolenta storia della nostra Apricale, fatta di spie, di morti più o meno precoci, di battaglie legali, ma soprattutto di amori. E se ti dicessi che la gran contessa Cristina aveva un gatto grosso e rosso come te, ti attizzerebbe?” “ Ma non raccontare frottole, ammettiamo tu l’abbia visto in una foto: allora erano in bianco e nero, tutt’al più color seppia, COME FAI A SAPERE CHE ERA ROSSO?” “ Così sembra abbia scritto alla sua nipote- di rimando l’altro- quando era alla corte dello zar, ma sei troppo polemico, mi fai passare la voglia di raccontare”. “E vabbè, attacca un Do, e vediamo se mi intrighi”   Gatto Bardo stupì l’amico, stupì assai: attaccò a sciorinare una lunga, lunghissima poesia, in rima baciata, come un vero cantore provenzale. “ La contessa Cristina era bella e un po’ pienotta, e perciò sopranominata la ‘Bassotta’.”. E così creò lì per lì, nella penombra della crosa  che porta al Castello, un grande poema. Gatto Rosso era allibito: con la bocca semi aperta, il linguino fuori, e le orecchie moderatamente abbassate, seguiva il racconto rapito Da allora la stanza d’albergo detta Della Contessa, è la più ambita, con i due gattoni che  si offrono per una foto ricordo sul lindo baldacchino bianco.   Nasce, inoltre, nel borgo, un’ incantevole compagnia teatrale itinerante che, ancor ora, su tutta la costa ponentina ligure offre spettacoli in versi, nello stile degli antichi trovatori provenzali, che narrano di gesta, amori, motti frizzi e lazzi di quella terra.    

Apricale 2017 – Cercatori di storie

Prefazione Apricale è un luogo del cuore per noi di Officina Letteraria, lo è da quel primo laboratorio quasi a fine estate nel 2012. Arrivare nella piazza di Apricale è come entrare nello spazio di una storia. Bisogna addentrarsi per i vicoli, salire e ancora salire, andare al vecchio frantoio, al castello della Lucertola, bisogna parlare con gli anziani e con i bambini, bisogna ascoltare quello che anche le pietre hanno da raccontare. Solo allora troveremo una storia. Per questo il laboratorio ha conservato nel tempo il titolo originario: Cercatori di storie. Chiudiamo l’anno pubblicando i brevi racconti di Apricale 2017 scritti da Alessandra, Angela, Clara, Cristina, Lena, Marco. Racconti nati da spunti e appunti visivi, racconti semplici e un po’ surreali, perché così si diventa quando si arriva ad Apricale. Marco, apricalese doc, si è assunto il ruolo di cronista del laboratorio e Lena, svedese che vive in Germania, ha partecipato anche come rappresentante della comunità di stranieri che frequentano il paese da tanto tempo. Lei ha imparato l’italiano per amore di Apricale. Leggi i racconti di Apricale!

Un natale pieno di storie

A Natale regala un laboratorio di scrittura!

Questo Natale, diciamo basta al solito libro acquistato all’ultimo minuto, al romanzo preso su Amazon che chissà-se-arriverà-in-tempo; basta alle domande tipo “cosa regalo a uno che legge tanto?”, oppure “ma questo l’avrà già letto?”, “è uscito un nuovo capitolo della Ferrante?”. Questo Natale, regala al tuo amico, fidanzata, compagno, marito, mamma, parente, pronipote, figlia e figlio quello che ha sempre sognato: un laboratorio di scrittura per ampliare la sua tecnica, esercitarsi in compagnia, e avere finalmente il dono più prezioso, il tempo per la sua passione! I laboratori di scrittura da regalare a Natale Ti proponiamo un elenco di laboratori di scrittura che puoi regalare al tuo creativo preferito. Sono laboratori brevi, che non richiederanno un impegno troppo lungo nel tempo; e soprattutto iniziano tutti dopo le feste, quindi non c’è pericolo che coincidano con gli ultimi giorni di ferie. “La mia storia” – laboratorio di scrittura autobiografica con Elena Mearini. 3 incontri, 18 ore, 300€. “La mia storia a Sori” – laboratorio di scrittura autobiografica con Elena Mearini e scrittori esordienti, presso la biblioteca civica di Sori. 7 incontri, 18 ore, 190€. “Dallo scrittore all’editore” – come pubblicare al meglio il romanzo che abbiamo nel cassetto. 7 incontri, 43 ore, 550€. “L’allenamento” – per coinvolgere il corpo nel processo creativo. 4 incontri, 16 ore, 250€. “Verso la terra incognita” – laboratorio di scrittura erotica con Pier Franco Brandimarte. Domenica 4 febbraio 2018, 6 ore, 90€. “Officina ragazzi a Sori” – laboratorio di scrittura per ragazzi dai 12 ai 16 anni. 10 incontri, 15 ore, 170€. “Le storie dentro le immagini” – scrivere racconti ispirati alle opere d’arte con Emilia Marasco. 6 incontri, 12 ore, 150€ (tariffa promozionale natalizia!). “Narrare la città vecchia e le sue storie” – scrivere di Genova e dei suoi vicoli, laboratorio “on the road” con Laura Gugliemi. Domenica 13 maggio 2018. 6 ore, 70€ (tariffa promozionale natalizia!). “Sua maestà la trama!” – come si costruisce una buona trama, a partire da un fatto realmente accaduto, con Sara Rattaro. Domenica 25 marzo 2018. 6 ore, 90€. Ma non finisce qui! Puoi scegliere di regalare un buono di importo libero, che potrà essere speso per qualunque attività di Officina Letteraria fino al 31 dicembre 2018. Per informazioni e pacchetti regalo, scrivi a: comunicazione@officinaletteraria.com  

scena della doccia di Psycho di Hitchcock

“Piano Americano” di Antonio Paolacci

Antonio Paolacci è uno scrittore che, insieme ad altre cose, è anche docente per i corsi di Officina Letteraria (vedi “I ferri del mestiere” o “Una stanza tutta per sé”). Era da un po’ che non scriveva un romanzo: ci ha provato, ha scritto, ha cestinato migliaia di caratteri, ha riscritto. Poi ha deciso che basta, non avrebbe scritto più niente. Ed è lì che è nato “Piano Americano”, il suo ultimo romanzo-non-romanzo. Ce ne parla Valentina. Piano americano di Antonio Paolacci recensione di Valentina Morelli Matrioska. La bambola più piccola, quella da cui nasce tutto, è un romanzo. Si intitola Piano Americano, è un “libro divertente (…), sorretto da un plot decisamente inverosimile, con tratti di realismo magico e palate di metanarrazione.” Il cuore della bambola più piccola, il cuore del romanzo, è un video, un super8, il cui protagonista, Jakob Goliacci, ha due caratteristiche parecchio bizzarre. La prima: è semi-invisibile, ma non nel senso che è mezzo trasparente e che gli vedi attraverso. Jakob è anonimo al punto che ti dimentichi della sua presenza. Jakob rimane sul limitare della coscienza. Jakob passeggia sul bordo dell’oblio e se ne va, ed è come se non fosse mai venuto. A meno che non lo fotografi, o lo filmi: a quel punto sì che appare, a quel punto sì che entra prepotente nell’occhio di bue della consapevolezza, e quello che vedi ti sconcerta anche di più della sua evanescenza: Jakob è la copia esatta, ma più giovane, di un vecchio imprenditore e politico detto il Nano da giardino, il Puttaniere, il Merda o, anche, Eliogabalo, come l’imperatore romano morto a diciott’anni per abbuffata di perversioni. È Gaetano, il protagonista di Piano Americano, che per caso ferma Jakob sulla pellicola e lo scopre; è Gaetano che, insieme ai suoi amici, inventa un piano per sfruttare la straordinaria somiglianza dando il via a un circo narrativo costruito su situazioni surreali e comiche. Il giorno in cui smetto di scrivere per sempre è una tiepida domenica di metà maggio. Attorno al video di Jakob danzano tutti i personaggi: Gaetano, i suoi amici, i Servizi Segreti, Jakob stesso. A raccogliere il circo, la bambola media della Matrioska, ovvero le vicende di Antonio Paolacci Personaggio, autore del romanzo Piano Americano, che racconta di quando, di come e del perché ha finito con l’arrendersi, col decidere di non scriverlo più quel romanzo surreale e divertente con cui avrebbe voluto “sfondare il muro della narrazione consueta.” Avrebbe dovuto essere il mio lavoro migliore, il più estremo: l’ultima scommessa che mi sarei concesso, l’ultima volta che avrei puntato sulla letteratura. Se fosse andata bene, avrei espresso me stesso con inventiva sfrenata, fregandomene dei vincoli imposti dall’editoria contemporanea, dalle leggi di mercato, dagli ottusi sostenitori della ripetizione. Antonio Paolacci Personaggio, sul punto di diventare padre, si guarda allo specchio – letteralmente e metaforicamente – e decide che non ne vale la pena. La scrittura non mi porta più da nessuna parte, la vita fuori dalle pagine scritte invece sì. Ho pubblicato libri e racconti ed è stato sempre squallido confrontare la fatica del lavoro con il suo valore oggettivo, con il mondo esterno, con l’editoria da prodotto di massa, con il pubblico e la stampa. Stavo viaggiando in direzione dello spreco. Stavo lavorando da anni a un romanzo per niente: anni di lavoro che avrei lanciato ancora una volta nel vuoto pneumatico della comunicazione contemporanea. Attorno ad Antonio Paolacci Personaggio, che racconta del rifiuto da parte di editori e agenti che, pur apprezzando l’intelligenza del suo lavoro, non possono sostenerlo perché di sicuro indigesto per un pubblico abituato a storie ordinarie, c’è la terza bambola della Matrioska, la più grande, quella che avvolge tutto: è Piano Americano, il libro di Antonio Paolacci Autore, che disubbidisce alle regole, che osa, che punta sulla letteratura. La scrittura è per noialtri un’ossessione, un vizio, una condanna, una necessità e un nemico, come il tennis per Agassi. (…) Ogni riga che componiamo è un rovescio a due mani che ci dona stilettate di sofferenza e però continua a tenerci in gioco. (…) Ogni sera andiamo a letto chiedendoci se non dovremmo mollare e addio dolore, ma sappiamo che non lo faremo, che ci sveglieremo sul pavimento anche domattina con la schiena maciullata dalla nostra stessa stramaledetta ostinazione da grulli e torneremo sul campo da gioco, a rispedire dall’altra parte inutili parole all’Avversario, finché il tempo ci consentirà di farlo. Alla fine degli anni Cinquanta, Alfred Hitchcock, già re di Hollywood, decide di girare e produrre Psycho da solo: il film infrange ogni regola e tutti – produttori, critici, amici – sono convinti che non possa funzionare, che Hitchcock si debba attenere a ciò che il pubblico vuole, a ciò cui il pubblico è abituato. Ma Hitchcock sfida Hollywood, rompe gli schemi, va avanti convinto. Antonio Paolacci Autore, come Hitchcock, disubbidisce a chi crede di sapere cosa piace al pubblico, si esprime con inventiva sfrenata, fregandosene dei vincoli imposti dall’editoria contemporanea, dalle leggi di mercato, dagli ottusi sostenitori della ripetizione e scrive un libro tutt’altro che ordinario, un libro che non potrebbe essere più lontano da quanto il pubblico è abituato a leggere. Nel 1960 Psycho ha un successo fragoroso, è il maggior successo commerciale di Hitchcock, e la scena della doccia, simbolo della rottura, diventa la scena più famosa della storia del cinema. Nel momento in cui scrivo, Piano Americano, il libro di Antonio Paolacci a un mese dall’uscita, è già in ristampa.