Questo racconto breve è estratto dalla raccolta “Senza Amore” che ha inaugurato la collana Academy della casa editrice Emma Books. Le parole tabù che hanno dato origine al testo sono: passione, dolcezza, nostalgia, dolore e, ovviamente, amore.
“A brandelli”
di Federica Kessisoglu.
La prima volta che lui la notò era seduto sui gradini della chiesa di fronte al supermercato COOP di via Lazio.
Aveva appena finito di controllare i suoi sacchetti, soprattutto quello blu dell’IKEA dove teneva gli oggetti più ingombranti, fragili e preziosi. Un’asse di legno che aveva trovato appoggiata al cassonetto di corso Garibaldi, la statuina in porcellana del pagliaccio che era appartenuta a sua madre, una coperta di lana che gli avevano dato al dormitorio e che non aveva restituito. La borsa blu dell’IKEA era di gran lunga la più resistente tra tutte quelle che aveva avuto, doveva stare molto attento che non gliela rubassero. Era una mattina di fine febbraio e si stava godendo il tepore di un sole pallido e nuovo. Lei era là, in piedi, dall’altra parte della strada, che guardava alternativamente a destra e poi l’orologio. Stava aspettando un autobus con una busta della spesa stretta in una mano e la borsa a tracolla. Fu un particolare preciso che attirò la sua attenzione.
Le dita sottili di un vento leggero le avevano sciolto la sciarpa di seta scoprendole il collo bianco e lungo
Le dita sottili di un vento leggero le avevano sciolto la sciarpa di seta scoprendole il collo bianco e lungo: una calla, la calla bianca che strappò dal giardino dei vicini per portarla in dono a sua madre. La mamma lo rimproverò e lo punì. Pianse per ore senza capire la sua colpa. La prima volta che lei lo notò era seduta sulla panca di pietra del binario tre in attesa del treno. Quella mattina di marzo era fredda e soffocava una promessa di nuvole blu. Lo vide passare ricoperto di roba: uno zaino unto e sdrucito dal colore indefinibile appoggiato alla spalla destra, un grosso sacchetto blu dell’IKEA su quella sinistra, un altro sacco di tela stretto in una mano e una sporta di plastica mezza rotta legata allo zaino.
Si rese conto di averlo fissato troppo a lungo e distolse lo sguardo. L’uomo si sedette all’estremità opposta della sua panca di pietra. Sistemò le sue cose con cura e attenzione di fronte a sé. Continuava a seguirlo con la coda dell’occhio e fu la lentezza studiata dei suoi movimenti ad attirare la sua attenzione. Le ricordò un maestro di Tai Chi. Si girò del tutto nella sua direzione quando lo scorse estrarre un piccolo libro dallo zaino. Il titolo era troppo lontano e, per quanto si sforzasse, non riusciva a distinguere le lettere. L’altoparlante della stazione annunciò il suo treno: il Regionale 342 per… Scattò in piedi anche se mancavano ancora una manciata di minuti prima del suo arrivo. L’uomo rimase seduto e continuò a leggere, gli occhi affondati nelle pagine. D’improvviso sollevò la testa e i loro sguardi si scontrarono. Trasalirono entrambi: la calla e il maestro di Tai Chi.
«Le notti bianche di Dostoevskij» disse piano sollevando il libro.
«Mi scusi?»
«Credo che questa sia la mia cinquantesima ripassata.»
Il treno arrivò in quel momento e si intromise di prepotenza. Vi salirono entrambi. Lei lo precedeva e scelse un posto libero accanto al finestrino. I suoi sacchetti occuparono tutte le altre sedute, tranne una dove si accomodò timido di fronte a lei. Aveva l’urgenza di finire una frase e iniziarne un’altra e ancora e ancora. Una signora con cappello maculato e soprabito coordinato gettava loro occhiate oblique. Le raccontò di Dostoevskij e delle Notti bianche, di come la bellezza lo tenesse fuori dai guai, di come il passato lo tormentasse e di come il presente fosse una distesa di acqua profonda e oscura. Lei lo ascoltava stupita, vedeva le sue mani sottolineare le parole, gli occhi chiari sempre alla rincorsa di immagini, la barba incolta e i capelli schiacciati dal berretto di lana blu, che si era tolto poco dopo essersi seduto di fronte a lei. Lei ricambiò parole e gesti. Raccontò della sua vita un po’ solitaria come quella dell’albero spoglio nel cortile. Il passato era prossimo e non la toccava, il futuro un punto di domanda sulla porta di casa. Il treno attraversò tunnel oscuri, luci sottili sui binari, mattoni di fuliggine, nero riflesso sui vetri. All’improvviso cielo e nuvole resero tutto più leggero. Si separarono con calma e sorrisi.
All’improvviso cielo e nuvole resero tutto più leggero. Si separarono con calma e sorrisi.
La prima volta che lui pensò a lei era una giornata bianca e silenziosa. La temperatura a zero gradi e la neve che cadeva leggera. Quella leggerezza si era fatta pesante quando aveva dovuto raggiungere i gradini della chiesa di fronte al supermercato. Con le mani gelide aveva spazzato via il soffice manto bianco per far posto a sé e alla sua casa racchiusa in zaino e sacchetti.
La prima volta che lei pensò a lui si trovava in piedi di fronte alla finestra e fissava un cristallo sciogliersi sul vetro.
«Starà bene?»
Questo pensiero le sfuggì e arrivò dritto alla bocca dello stomaco. Afferrò la borsa e uscì. Lo trovò lì, lo sguardo perso in mezzo ai fiocchi che gli tingevano barba e berretto. Accanto a lui montagnole di neve nascondevano il suo privato.
«Vieni con me? Ti offro un posto caldo dove poter leggere.»
Sollevò la testa, la vide, poi si alzò. Si sistemò lo zaino sulla spalla e frugò in mezzo alla neve per afferrare i manici degli altri sacchetti. La seguì in silenzio. Si fermarono di fronte a un portone verde con due pomelli di ottone. Lei faticò un poco a trovare la serratura e a girare la chiave. Lui lo capì. La sua casa lo sorprese: era tutta colorata. Pareti, oggetti, tappeti, mobili. Lui la sognava spesso in bianco e nero. Lo fece accomodare su un divano di stoffa rossa con cuscini verde prato.
«Ti fa piacere una tazza di caffè o tè?»
La fissava inebetito. Era tutto così strano; si era sentito spesso perduto, ma lì in quel momento aveva la sensazione di essere sull’orlo di una roccia a picco su un mare limpido. Il suo smarrimento la investì con violenza. Gli si sedette accanto e gli afferrò le mani in modo brusco. Lui si riscosse. La calla, la donna in bianco e nero era vicinissima. Lo stava toccando ed era vera. Non c’erano promesse, non c’era futuro, il passato non lo tormentava ora. C’era lei, c’era quel divano, c’erano le mani, gli occhi, il suo collo.
Si incontrarono, si scontrarono, si nascosero e si scoprirono.
Si incontrarono, si scontrarono, si nascosero e si scoprirono. Si fecero a brandelli: brandelli di ciglia, brandelli di braccia, brandelli di lingua e unghie, brandelli di mento e orecchie, brandelli di fegato e gambe, brandelli di dita e tendini. La neve aveva smesso di cadere e fuori un sottile silenzio. L’albero solitario del cortile appesantito dal suo vestito nuovo brillava di luce.
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