A sei anni fui colpita da una fastidiosa forma di gastroenterite e, considerato che si era in estate, il gelato mi era proibito. Come se questa tragedia non bastasse, fui spedita a trascorrere le vacanze a casa di nonna Antonia, sull’Appennino lucano. Per par condicio, non fosse mai che si offendesse permalosa com’era, i miei dovettero promettere un mio soggiorno anche dall’altra nonna, quella materna, a Barletta sulla costa pugliese.
Fu un’estate interessante, a suo modo. Conobbi bambini con accenti diversi e vite diverse, ma imparai soprattutto a conoscere le mie nonne; i nonni un po’ meno perché, pur essendo presenti, erano entrambi figure a lato.
Nessuna delle due donne tendeva a sprecare parole: erano le loro case a parlare anzi a chiacchierare incessantemente.
Le case delle nonne
di Luciana Verre
Nonna Antonia aveva una casa grande, sparsamente arredata e senza l’ombra di un soprammobile. Alla sera, con le finestre chiuse, le parole rimbombavano e rimbalzavano da una stanza all’altra e, di sicuro, non si potevano sussurrare segreti.
Tutte le porte avevano pannelli in vetro smerigliato; quella del bagno mi creava non poco disagio considerato il mio problema di salute, ma la nonna ebbe pietà di me e mise una tendina.
La cucina era la centrale operativa, ma le dispense, ben due, erano basi di stoccaggio.
La più piccola approvvigionava i cibi giornalieri freschi; quella più grande, una vera e propria stanza, era per i cibi non-si-sa-mai-chi-può-arrivare
La più piccola approvvigionava i cibi giornalieri freschi; quella più grande, una vera e propria stanza, era per i cibi non-si-sa-mai-chi-può-arrivare: in bell’ordine vi erano stivati damigiane di olio e di vino; vasi di verdure e di salame sott’olio; forme di formaggio coperte da canovacci; ceste con peperoni secchi; mazzetti di erbe aromatiche appese alle travi, in primis origano e l’adorata malva che Antonia raccoglieva sulla collina di fronte a casa.
Mia nonna materna si chiamava Maria Sterpeta. Ancora oggi rabbrividisco all’idea che i miei avrebbero potuto essere meno illuminati e affibbiarmi quel nome in suo onore.
In realtà, era un omaggio alla Madonna Nera dello Sterpeto , il cui Santuario sorge appena fuori Barletta.
Donna enigmatica, votata all’apparenza, non si toglieva mai la maschera perché ciò che più temeva era il giudizio altrui, ma non perdeva occasione di criticare e spettegolare.
Viveva in condominio all’ultimo piano, in un appartamento piuttosto piccolo ma carico di mobili e fronzoli. Nella sala da pranzo, c’era un mobile-vetrinetta talmente carico di cristalli che una notte decise di tirare le cuoia con un tale botto che ebbi problemi poi a prendere sonno per tutto il resto della vacanza.
La polvere sui mobili era considerata fuorilegge e ogni superficie doveva brillare, ma si guardava bene dal farlo personalmente limitandosi a dirigere le sue figlie più giovani nelle pulizie di primavere quotidiane.
Non c’era una vera e propria dispensa perché non amava cucinare e spesso si finiva per mangiare pane e pomodoro.