Anche i letterati, ogni tanto, uno sguardo al cinema ce lo buttano. Sempre con quell’aria un po’ snob da “il libro era meglio”, ma ultimamente i titoli tratti da grandi romanzi best-seller sembrano essere sempre di più. Per fortuna, perché si parla di storie valide. Per sfortuna, perché noi lettori sappiamo già come certe storie vadano a finire. È stato proiettato il 4 settembre il nuovo film di Paolo Virzì, “Ella & John”. Sapete che è tratto da un libro? Proprio così, si tratta di “The Leisure Seeker” ed eccomi a farne una specie di recensione. The Leisure Seeker: il libro “The Leisure Seeker” di Michael Zadoorian è stato pubblicato dalla casa editrice Marcos y Marcos nel 2009 nella collana “Gli Alianti”. Dallo stesso autore, la casa editrice pubblicò “Second hand – Una storia d’amore”. La trama è abbastanza semplice: Ella e John sono due ottantenni malati, molto malati. John soffre di Alzheimer, mentre Ella porta dentro un tumore in stadio avanzato. Poi si stufano: i due coniugi si stancano di passare la loro vita tra pillole, pasticche e cicli di chemioterapia, e partono. Prendono il loro vecchio camper e imboccano la Route 66 da Detroit, diretti a Disneyland. Ci andavano spesso a Disneyland, con i bambini quando erano piccoli. Ella pensa che sarebbe bello tornarci almeno una volta, in quel parco di divertimenti, prima di morire. Già. Non ci sono mezzi termini, altri modi per dirlo: Ella e John stanno morendo, e lo sanno, e lo sappiamo anche noi che leggiamo fin dalla prima pagina. Questa consapevolezza rende la lettura del romanzo un mix tra “tanto so come va a finire” e “speriamo però che non succeda”. Non vi dico come va a finire, ma in entrambe le alternative c’è la certezza dei lacrimoni. La scrittura di Zadoorian è limpida, schietta, semplicissima. Forse, per mio gusto personale, a tratti troppo semplice, la punteggiatura ridotta all’osso; bene, però, perché insieme a due dolci vecchietti che attraversano l’America in camper, le figure retoriche sarebbero state decisamente troppo stucchevoli. Ad ogni cittadina che il camper di John attraversa, un nuovo capitolo, un nuovo spaccato della stra-vista vita on the road americana: diner, motel, attrazioni turistiche scadenti, hamburger. Soprattutto hamburger. Questo viaggio serve principalmente ad una cosa, cioè a porre una domanda al lettore. E la domanda è sempre quella: perché continuare a vivere malati, se si può morire bene? L’eterno dilemma del “non rianimatemi”, delle cure palliative, delle malattie mentali. Vi dirò che è difficile rispondere, neanche Zadoorian ci riesce secondo me, ma la domanda la pone molto bene. È bello, così, è bello tacere. Parlare rovinerebbe tutto. Per un attimo, potrei piangere dalla felicità. È per momenti come questo che amo tanto viaggiare, la ragione per cui ho sfidato tutti. Noi due insieme, come siamo sempre stati, senza parlare, senza fare niente di speciale, semplicemente in vacanza. Lo so che niente dura, ma anche quando ti rendi conto che qualcosa sta per finire, puoi sempre voltarti indietro e prendertene ancora un po’ senza che nessuno se ne accorga. In viaggio contromano: il dilemma del titolo Ho avuto il piacere di sentire Claudia Tarolo, editore di Marcos y Marcos, raccontare la genesi di questo romanzo. Qualche tempo dopo la pubblicazione di “Second hand”, alla Marcos y Marcos si chiedevano che fine avesse fatto il buon vecchio Michael Zadoorian. Lo hanno contattato loro, chiedendogli se aveva qualche nuovo romanzo nel cassetto. Michael ha risposta affermativamente, inviando in casa editrice “The Leisure Seeker”. Il manoscritto è capitato tra le sue mani in lingua originale, Claudia l’ha letto in un giorno e una notte, e subito ha capito che quel romanzo andava pubblicato. Se ne è innamorata a tal punto, che ha deciso di tradurlo lei stessa. Peccato per il titolo: “The Leisure Seeker”, un gioco di parole intraducibile, dove in inglese Leisure Seeker indica un noto modello di camper, ma soprattutto significa anche “il cercatore di divertimento”. Tagliando la testa al toro, si è lasciato il titolo originale, con l’aggiunta di un sottotitolo: “In viaggio contromano”. Perché cos’è il viaggio di questi due simpatici vecchietti, se non una corsa contro il tempo? Tutti gli chiedono di stare a casa, di curarsi, ma Ella e John vanno in direzione opposta, non verso la morte, ma verso la vita. Ripenso all’accappatoio rosso che avevo a ventisette anni, al suono delle zampine del nostro primo gatto Charlie sul linoleum della vecchia casa; all’aria arroventata intorno alla pentola di alluminio un attimo prima che i chicchi di grano diventassero popcorn. Rievoco questi particolari con la stessa frequenza con cui rievoco il giorno del mio matrimonio, la nascita dei miei figli o la fine della Seconda guerra mondiale. Il fatto davvero impressionante è che prima che tu te ne renda conto sono passati sessant’anni e hai in mente otto o nove eventi capitali accanto a migliaia di eventi assolutamente insignificanti. Come può essere? “Ella e John”: il film di Paolo Virzì Sempre Claudia Tarolo fu contattata un giorno da Paolo Virzì, lui le chiese “Se dovessi consigliarmi un libro da cui trarre un film, quale mi consiglieresti?”. La risposta è la pellicola che avremo modo di gustare nei nostri cinema dal 25 gennaio 2018. Intanto, c’è chi ha avuto modo di vederlo. Vi consiglio pertanto questa breve impressione di Sara Boero (sì, quella che insegna anche a Officina Letteraria), inviata di The MacGuffin che ha avuto modo di vedere la proiezione in anteprima e con il posto riservato. “John. Mi ami?” Strabuzza gli occhi. “Ma che domanda è? Certo che ti amo”. Viene più vicino a mi bacia. Sento il suo odore. Non sa proprio di buono, ma è pur sempre l’odore di mio marito. “Lo so”, gli spiego. “Volevo sentirmelo dire da te. Non me lo dici più molto spesso”. “Me lo dimentico, Ella”. “Lo so, John”. Porto l’altra mano sul suo visto. Bacio mio marito. Lo stringo a me e non aggiungo altro. Passano i minuti, e la notte sospesa si riprende i suoi occhi. È ora di alzarsi.
È la moda dell’estate, è l’animale più colorato e simpatico che in versione salvagente sta popolando le spiagge di tutto il mondo e le stories di Instagram: è il fenicottero, ora noto come “Pink Flamingo”. Ma il trampoliere rosa non è solo un tormentone passeggero, ma vanta una nobile storia letteraria. Vogliamo scoprirla? Etimologia Partiamo dall’analizzare l’etimologia del nome fenicottero, che deriva dal latino phoenicoptĕrus, e questo dal greco ϕοινικόπτερος, composto di ϕοῖνιξ –ικος, che significa “colore rosso, porpora” e πτερόν, ossia “ala”. Il nome inglese del fenicottero, “flamingo” proviene invece da tutt’altra radice. Deriva dal termine portoghese “flamengo”, che deriva dal provenzale “flamenc”, a sua volta derivante dalla parola latina “flamma”, che significa appunto fiamma, aggiunto al suffisso germanico -ing; flamingo significa quindi “di origine fiamminga”, ed è stato attribuito al fenicottero essendo presente negli acquitrini olandesi. Il fenicottero nei libri Alice nel paese delle meraviglie Ma veniamo al dunque! L’esempio più noto in cui il fenicottero compare in letteratura è certamente “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carrol. Nella celebre scena, Alice è costretta a una bizzarra partita di croquet, dove le mazze sono fenicotteri vivi, e le palline dei ricci. “Ai vostri posti!” gridò la Regina con voce tonante. E gl’invitati si sparpagliarono in tutte le direzioni, l’uno rovesciando l’altro: finalmente, dopo un po’, poterono disporsi in un certo ordine, e il giuoco cominciò. Alice pensava che in vita sua non aveva mai veduto un terreno più curioso per giocare il croquet; era tutto a solchi e zolle; le palle erano ricci, i mazzapicchi erano fenicotteri vivi, e gli archi erano soldati vivi, che si dovevano curvare e reggere sulle mani e sui piedi. Lewis Carrol ha riempito il suo romanzo di giochi di parole e rompicapi logici, e non è ben chiaro perché le mazze da croquet siano state sostituite con un pink flamingo. Probabilmente, la loro morfologia ha semplicemente richiamato a Carrol un facile accostamento. O forse no? Il mistero del gioco di parole “Scommetto che sei sorpresa, perché non ti cingo la vita col braccio”, disse la Duchessa dopo qualche istante, “ma si è perché non so di che carattere sia il tuo fenicottero. Vogliamo far la prova?” “Potrebbe morderla”, rispose Alice, che non desiderava simili esperimenti. “È vero”, disse la Duchessa, “i fenicotteri e la mostarda non fanno che mordere, e la morale è questa: Gli uccelli della stessa razza se ne vanno insieme”. “Ma la mostarda non è un uccello”, osservò Alice. “Bene, come sempre”, disse la Duchessa, “tu dici le cose con molta chiarezza!” “È un minerale, credo”, disse Alice “Già”, rispose la Duchessa, che pareva accettasse tutto quello che diceva Alice; “in questi dintorni c’è una miniera di mostarda e la morale è questa: La miniera è la maniera di gabbar la gente intera”. “I fenicotteri e la mostarda non fanno che mordere”, cosa ci avrà voluto dire il caro Lewis con questo accostamento? Analizziamo la versione originale del brano: “Very true”, said the Duchess: “flamingoes and mustard both bite. And the moral of that is: Birds of a feather flock together”. “Only mustard isn’t a bird”, Alice remarked. Neanche in lingua originale salta all’occhio un gioco di assonanze tra “flamingoes” e “mustard”. Appare però più chiaro il gioco con il verbo “bite”, ossia mordere: in inglese, infatti, “bite” è usato per descrivere un alimento piccante, e quindi se il peperoncino può mordere, in piccola misura può farlo anche la mostarda. Entra in scena Shakespeare Molti studiosi si sono accaniti sui giochetti logici scritti da Lewis Carrol. Il parallelismo tra il fenicottero e la mostarda in qualche modo richiama un brano de “La bisbetica domata” di Shakespeare, atto IV, scena III. GRUMIO Non so, ho paura che infiammi la bile. Che ne direste del manzo con la mostarda? CATERINA Un piatto che mangio proprio volentieri. GRUMIO Sì, ma la mostarda riscalda un po’ troppo. CATERINA E allora il manzo, senza la mostarda. GRUMIO No, così no. O prendete la mostarda o Grumio non vi darà neanche il manzo. CATERINA Allora tutt’e due, o solo una, quel che vuoi. GRUMIO Be’, allora la mostarda senza manzo. La battuta “la mostarda riscalda un po’ troppo” significa proprio che la mostarda è piccante, e quindi “morde” come i fenicotteri di Alice. Fino agli antichi romani A flamingo? Isn’t that a bird? What’s it for? “Un fenicottero? Ma non è un uccello? A cosa serve?” chiede Alice quando gli viene proposto l’animale rosa come mazza da croquet. Molti studiosi di Lewis Carrol non trovano significato nei fenicotteri usati in questo modo. Ma gli studiosi non mollano, perché i giochi di parole di Carrol sono a volte così impossibili, che viene voglia di risolverli. In più, il fenicottero è un animale abbastanza strano di per sé. Si sono sviluppate molte teorie, ma nessuno ha ancora capito perché i fenicotteri stiano in piedi su una gamba sola mentre mangiano. Ed ecco un fatto divertente: secondo Paul R. Ehrlich e i suoi allievi alla Stanford University, la lingua del fenicottero era venduta a caro prezzo nell’Antica Roma in quanto gustosa prelibatezza. “Gli imperatori romani la consideravano una delicatezza, e servivano lingua di fenicottero su un vassoio che includeva cervella di fagiano, fegato di pappagallo e interiora di lampreda”, dice Ehrlich. Pare che gli antichi poeti latini scrissero anche in difesa del povero fenicottero, come dimostrerebbe questo poema di Marziale: Dat mihi penna rubens nomen; sed lingua gulosis Nostra sapit: quid, si garrula lingua foret? Che tradotta è: Le rosse mie penne mi danno il nome, ma la nostra lingua gusta ai golosi: che sarebbe s’ella potesse cantare? Conclusioni? Non c’è più dubbio. Il fenicottero è stato bistrattato nell’Antica Roma, poi coprotagonista di un romanzo, e oggi oggetto di culto nei social media. Il perché di questo successo è inspiegabile, come il gioco di parole con la mostarda. Sitografia Enciclopedia Treccani. Le citazioni in italiano di “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” sono tratte da qui , versione a cura di Dino Ticli. Le citazioni originali di “Alice’s adventures in Wonderland” sono
Siamo arrivati al 2017, e sono cinque anni di Officina Letteraria. Abbiamo festeggiato con 120 soci e due nuove scrittrici esordienti, Clara Negro e Ilaria Scarioni. Clara ha pubblicato con Harper Collins e Ilaria uscirà con un romanzo per Mondadori a fine giugno. Intanto Giulia Cocchella sta per presentare il suo secondo libro per bambini; Andrea Fabiani è un poeta, anzi un poeta performativo, vi consiglio di seguire quello che scrive e fa. Cinzia Pennati ha aperto un blog che si è subito conquistato un pubblico. Anche Manuela Romeo ha pubblicato un romanzo con un piccolo editore ligure e Andrea Contini sta per uscire con una bella storia. Altri sono in lettura presso Editor e agenti. Insomma, c’è movimento. C’era una volta il duemiladiciassette 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Non solo romanzi, anche racconti o fiabe. Sta per uscire il Repertorio dei matti di Genova (Marcos y Marcos) curato da Paolo Nori e scritto da quattordici autori di Officina. In eBook, con Emmabooks, abbiamo la raccolta Oltre le fiabe, una bella antologia realizzata dal laboratorio di Anselmo Roveda, l’autore che dal 2012 cura i nostri laboratori sulla narrativa per l’infanzia e i ragazzi, e Sara Boero. Io e Ester Armanino abbiamo appena terminato il nostro primo laboratorio per un’azienda, Costa Crociere, un’esperienza interessante con un bellissimo gruppo. La condivisione dello spazio di Officina Letteraria con Elisabetta Marasco e le sue classi di bioenergetica ha dato vita a una collaborazione che si è concretizzata nel laboratorio Il diario del corpo, a Sori, condotto insieme a Eugenio Gardella. La scrittura è anche corpo, energia, voce. Ne curiamo tutti gli aspetti con l’aiuto di una maestra calligrafa come Francesca Biasetton, di musicisti, performer come Augenblick, di attori come Dario Manera, Pino Petruzzelli, Antonio Zavatteri. La scrittura è anche un territorio di relazioni perciò collaboreremo al progetto MIGRARTI di Suq Genova e abbiamo appena instaurato un’amicizia è una collaborazione con le donne marocchine dell’associazione La Palma. Potrei continuare, ma mi trattengo… Il 6 maggio abbiamo festeggiato con una giornata emozionante che ha dimostrato quello che ho cercato di raccontarvi in questi post di ricordi. Officina Letteraria è una comunità ed è uno spazio di passioni, di sogni e di risultati concreti.
Nel 2016 abbiamo presentato i nostri laboratori al Consiglio di Corso di Laurea in Lettere dell’ Università di Genova ottenendo il riconoscimento come crediti formativi. Forse per questo o forse perché cominciavamo ad essere un po’ più conosciuti, il numero di giovani che si avvicinano a Officina dal 2016 è aumentato in modo significativo. C’era una volta il duemilasedici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Nel 2016 abbiamo preso la decisione di affidare il laboratorio sul romanzo, il nostro terzo livello, quasi esclusivamente a editor, riservando agli scrittori il racconto di un’esperienza, i suggerimenti personali. Abbiamo individuato una guida del laboratorio, Antonio Paolacci, abbiamo mantenuto il contributo prezioso di Laura Bosio e abbiamo cominciato una prima collaborazione con Angela Rastelli, editor Einaudi. Laura Bosio è diventata una colonna portante della nostra scuola; tutte le persone di Officina che hanno pubblicato l’hanno avuta come maestra o l’hanno scelta come tutor. Nel 2016 è nata una collaborazione con la Biblioteca comunale di Sori e con Valeria D’Agata. Il laboratorio di Sori Apprendista scrittore ha avuto subito un gruppo di entusiasti e fedelissimi raccontatori di storie. Il laboratorio estivo ad Apricale è stato un divertente gioco letterario al quale hanno partecipato una decina di persone di varia provenienza, non solo dalla Liguria. Come sempre abbiamo lavorato nell’Atelier A e siamo stati ispirati dalla particolare atmosfera del paese. Nel 2016 è uscito il romanzo di Eugenio Gardella, Sei sempre stato qui (Frassinelli). Nel 2016 è nata Edicolibro, punto di scambio libri ma anche scambio di idee, luogo di reading e di socialità, in piazza della Meridiana. Dieci associazioni e diversi volontari ne garantiscono l’apertura.
Il 2015 è stato l’anno delle collaborazioni, degli eventi esterni a Officina, dell’apertura alla città. C’era una volta il duemilaquindici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Un gruppo, del quale facevo parte anch’io, composto da Giulia Cocchella, Andrea Fabiani, Federica Kessisoglu, Dario Manera, Ilaria Scarioni, Marta Traverso, Elena Mearini, ha avuto l’opportunità di collaborare con Approdo Arcigay in occasione di una importante mostra-convegno, alla Commenda di Prè, intitolata “Dimenticare a memoria”. Un lavoro di riflessione e di ricerca sull’Olocausto, un percorso di scrittura forte, emotivo, che ha lasciato una traccia profonda dentro di noi. Nel 2015 Ester Armanino ha guidato un collettivo di giovani di Officina, i Caratteri Mobili, in un lavoro sul tema del cibo per partecipare al Bando per la Biennale dei Giovani artisti del Mediterraneo. Il risultato è stato Re-story-ant, un racconto da comporre, con più di 4.000 combinazioni. Il gruppo è stato selezionato per partecipare alla Biennale a Milano nell’ambito di Expo 2015, e il lavoro di scrittura è stato presentato con un’installazione e un video realizzato da Alessandro Bellagamba, direttore della Scuola di cinema di Villa Bombrini. Abbiamo cominciato la collaborazione col gruppo Augenblick con un laboratorio legato al loro super-premiato video “Su misura”. Siamo tornati ad Apricale con il laboratorio Cercatori di storie. In occasione della riapertura dei corsi a settembre abbiamo allestito Il montaggio di una storia, riaprendo per un giorno l’ex edicola di giornali di Piazza della Meridiana. Il successo dell’iniziativa ci ha spinto a presentare al Municipio centro est un progetto per la riapertura dell’edicola. Intanto qualcuno cominciava a pubblicare: usciva l’Omino dei desideri di Giulia Cocchella. Giulia era stata nei laboratori di Officina, poi aveva proseguito il suo percorso autonomamente; il fatto che pubblicasse ci rendeva tutti orgogliosi. Sono quasi certa che anche gli aspiranti scrittori di Officina abbiano affidato un desiderio, forse un sogno, all’Omino creato da Giulia.
Il 14 febbraio 2014, il giorno di San Valentino, è uscito Senza Amore, il nostro primo ebook con Emmabooks, editrice digitale: un’antologia di racconti d’amore scritti senza utilizzare mai la parola amore e altre parole consuete della narrazione dei sentimenti. C’era una volta il duemilaquattordici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Nel 2014 non abbiamo resistito al richiamo della nostra amica Zuzanna e siamo tornati in Polonia, a Cracovia. Zuzanna ci ha introdotto nel mondo delle fiabe e delle leggende polacche e Cracovia ci ha stregato. L’emozione della visita ad Auschwitz è custodita nei nostri quaderni di viaggio, in qualche caso è diventata un racconto. Nel 2014 c’era un bellissimo gruppo di allievi impegnati nel laboratorio sul romanzo. Un gruppo numeroso, composto in gran parte di persone che provenivano dal primo nucleo di allievi dell’esordio di Officina Letteraria. Un gruppo affiatato che ha concluso l’esperienza con una passeggiata per la città, Genova fra luoghi e parole, patrocinata dal Municipio Centro Est. Racconti e musica nelle piazze e nelle strade del centro storico, racconti e musica strada facendo, nel corso di un lungo pomeriggio, fino alla Commenda di Pré. Nell’autunno, cinque creativi provenienti da quel gruppo creavano il Collettivo Linea S; insieme a molte altre iniziative, ci ha regalato una stagione al Count Basie Jazz Club con uno strepitoso gioco letterario, Non sparate allo scrittore, che ha permesso a molte persone dei corsi di Officina, e non solo, di cimentarsi con la scrittura a tema e con la lettura ad alta voce. Il 2014 è stato l’anno della Punteggiatura d’autore con Elisa Tonani; l’anno del Sabato sulle emozioni con Sara Rattaro e sulla Scrittura ironica con Barbara Fiorio; l’anno di Giorgio Gallione con un workshop di Scrittura per il teatro e di Officina ragazzi con Sara Boero. Nel 2014 Ester Armanino è diventata un pilastro di Officina Letteraria, arrivando con un bagaglio di idee, progetti, impegno generoso e passione. Ha trascinato persone, convinte di venire semplicemente a scrivere, in esperienze creative fantasiose dal Metro quadro di città al Greenwriting. Lei architetto, io docente di storia dell’arte contemporanea, abbiamo gradualmente sperimentato un metodo che passa attraverso la creatività espressa in molte forme e che alla fine approda sempre alla scrittura.
Il 2013 è stato l’anno del romanzo collettivo: un laboratorio sperimentale con dieci persone impegnate a scrivere un romanzo breve. Un’esperienza non semplice ma entusiasmante e alla fine il romanzo Oltre il mare, la storia di due ragazzi immigrati che sbarcano a Lampedusa, ha debuttato con un reading al Festival Suq. C’era una volta il duemilatredici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Il 2013 è stato l’anno del viaggio a Varsavia, grazie alla collaborazione con Zuzanna Krasnopolska. Zuzanna ha conosciuto Officina da allieva nel laboratorio estivo ad Apricale, lavorava allora come ricercatrice all’Università di Varsavia, era – è ancora – innamorata dell’Italia e della lingua italiana. Grazie a lei, abbiamo visitato Varsavia sulle tracce di due romanzi polacchi; Elena Mearini, recente maestra di Officina, ed io abbiamo coordinato un gruppo di scrittura di allievi di Officina e di studenti polacchi di italianistica e abbiamo sperimentato il nostro primo laboratorio nomade Scrivere a… Il 2013 è stato l’anno della Scuola elementare di scrittura emiliana (a Genova) di Paolo Nori che si è concluso con un reading al Munizioniere e un quaderno di racconti stampato. Il 2013 è stato l’anno del Sabato in Officina, un workshop tenuto per un sabato al mese con uno scrittore sempre diverso. È stato l’anno del primo workshop Scrivere un corto con Federica Pontremoli, sceneggiatrice di film di Soldini, Moretti, Ozpetek. Nell’estate del 2013 Claudia si è trasferita in campagna e ha ricominciato a viaggiare. Non sono rimasta sola a lungo perché il lavoro che abbiamo fatto insieme ha creato un luogo, Officina Letteraria, con un cuore pulsante e Marta Traverso e Clara Negro mi hanno aiutato a traghettare Officina nel 2014.
Non era scontato. Nel 2012, quando l’avventura di Officina Letteraria aveva inizio, non era scontato che potesse durare nel tempo. Ho cominciato a immaginare una scuola di scrittura probabilmente sull’onda di un cambiamento che era avvenuto nella mia vita con l’uscita dei miei primi due romanzi e con la conclusione di un’esperienza professionale importante come la direzione dell’Accademia Ligustica di Belle arti. Con il termine del mio mandato riprendevo il mio ruolo di docente, riscoprendo da un lato la felicità della didattica e dall’altro un tempo che avevo a disposizione e che per quasi dieci anni era stato assorbito dal lavoro organizzativo. E’ stato un amico a ispirarmi: “Ora cosa farai di tutto quello che hai imparato?”. C’era una volta il duemiladodici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco A ripensarci credo proprio che sia stata quella domanda a far scattare la mia immaginazione. Tra le cose che avevo acquisito c’era la convinzione che perché un’idea riesca a diventare progetto e poi realtà, non si possa pensare di fare tutto da soli. Ho cominciato a pensare alle persone da coinvolgere ma non mi decidevo a parlarne con qualcuno in particolare. Poi, un giorno, ho telefonato a Claudia Priano. Non ci vedevamo da un po’, lei aveva fatto un viaggio, stava scrivendo il suo quarto romanzo, anch’io avevo un viaggio importante da raccontarle. Non avremmo mai smesso di parlare, di scambiarci pensieri ed emozioni… così le ho parlato dell’idea che avevo in testa. Claudia ha subito alimentato e arricchito quell’idea con una passione che è diventata subito forza motrice. Due temperamenti diversi, due esperienze di vita diverse, due scrittrici diverse: di simile avevamo l’entusiasmo, il decisionismo e forse un pizzico di follia. Così Officina Letteraria è nata al tavolino di un caffè del centro storico e molti altri caffè genovesi sono stati in quel periodo il nostro ufficio, insieme talvolta alla cucina di casa mia. Abbiamo riflettuto e discusso su ogni dettaglio, ci saremmo servite il meno possibile della parola scuola. Immaginavamo un metodo orizzontale, un gruppo in cui il conduttore fosse qualcuno che mette a disposizione un’esperienza, strumenti e un sapere acquisito sul campo. Immaginavamo un gruppo di maestri, ma abbiamo deciso di cominciare con un primo laboratorio sperimentale per poi valutare i risultati e progettare una crescita. Quello che non potevamo immaginare era l’interesse che la nostra proposta avrebbe suscitato. Dopo la presentazione alla sala Sivori, con i nostri primi dodici iscritti e una lunga e inaspettata lista d’attesa, abbiamo deciso di attivare un secondo laboratorio per un altro gruppo di dodici iscritti. Dieci di loro sono ancora in vario modo parte di Officina. Il laboratorio intitolato “Io e gli altri. Raccontare e raccontarsi” si è concluso con un reading nel Munizioniere di Palazzo Ducale. Nell’estate, alcuni aspiranti scrittori ci hanno seguito ad Apricale e altri sono arrivati. Un laboratorio memorabile per la particolarità del paese, per l’interazione con gli abitanti, per la presenza di Bruno Morchio e i suggerimenti di Bruno Cereseto (del Teatro della Tosse) per il reading finale nell’Atelier A. Nell’autunno abbiamo inaugurato la sede di via Cairoli, con i tavoli colorati trapezoidali, l’angolo del caffè, le opere di tre artisti (Gregorio Giannotta, Mauro Panichella e Giulia Vasta) e un programma ambizioso: laboratori di primo, secondo e terzo livello, workshop, i seminari del sabato e, oltre a noi, Laura Bosio, Bruno Morchio, Giulio Mozzi, Paolo Nori, Federica Pontremoli. Emilia Marasco
873 racconti in quattro mesi: sono questi i numeri raggiunti dal concorso proposto per i vent’anni di D, in collaborazione con Alessandro Baricco e la Scuola Holden. L’iniziativa. La vicenda iniziale, scritta da Baricco per D, e lasciata in sospeso per essere continuata, ha dato il via a un susseguirsi di storie, ipotesi, immagini. Più di ottocento, tra lettori e lettrici, hanno raccolto la sfida lanciata, e hanno deciso di partecipare, inviando uno o più racconti. L’incipit. La storia iniziava con un lago, e un padre, che porta il figlio a pescare. Poi una telefonata, una donna che risponde “Amore?“ (la stessa che, a casa, attende il rientro del marito e del figlio? Un’altra?). Da quel momento, uno stacco temporale, un salto lungo vent’anni. Cosa è successo, in quel tempo taciuto? Un’allieva di Officina tra i pubblicati. Il concorso ha raggiunto tutta Italia, ed è stato proposto all’interno delle Case Circondariali di San Vittore e Milano Opera. Tra tutti gli elaborati arrivati, ne sono stati selezionati dieci. Migliori per contenuto, forma, creatività, atmosfera. Tra i pubblicati, anche il racconto di Laura di Biase, affezionata allieva di Officina Letteraria. Di seguito potete leggere il racconto di Laura. Leggi l’incipit di Baricco. Sei sempre stato così. Facevi finta di sapere, volevi dire, volevi insegnare. A quel figlio che ti faceva paura. Più del bosco che hai attraversato quella notte. Avevi paura dell’oscurità di tuo padre, che non avevi conosciuto se non nei momenti più bui, quelli che avresti voluto più accesi di luce. Che lui invece spegneva, ogni volta. Ogni volta che ti avvicinavi. Ogni volta che chiedevi. E lo vedevi sempre più lontano. Lontano fino a nascondersi in un ripostiglio che tenevi nell’angolo più inaccessibile della tua mente, del tuo ricordo, seppellito dalle foglie e dagli stracci della vita. Avevi gettato lontano la chiave, che invece era ritornata tra le tue mani quando ti avevo detto di essere incinta. Avevi paura. Pianificavi tutto quello che avresti fatto, che avresti detto. Poi tutto svaniva, la realtà non è i nostri desideri, i nostri piani. È la realtà, dicevi. E così mi avevi telefonato dal lago, quella sera. Avevi freddo e sudavi. Dovevi tornare e non avevi detto niente a tuo figlio. Non avevi detto niente a te stesso, cioè. Volevi dargli forza e sicurezza, sulla vita, essere un grande padre. Ed eri caduto nella trappola. Tutte quelle parole morivano dentro di te prima di uscire fuori. Troppo grandi, troppo pesanti, per un bambino di dieci anni. E la paura ti aveva morso. Una scossa rovente nella pancia. Ti ho sentito respirare, in quel bosco lontano. Neanche a me sei riuscito a dire niente. Un concentrato d’aria usciva dai tuoi polmoni a fatica. Quella che hai tolto a nostro figlio. L’ho capito dopo, quando non sei rientrato e ho chiamato la polizia. Ti hanno ritrovato nel lago. Poi hanno trovato Jimmy. E io ho perso me. Ho perso la luce e l’ombra, il sangue e la carne. L’ho capito dopo, quando non sei rientrato e ho chiamato la polizia. Ti hanno ritrovato nel lago. Poi hanno trovato Jimmy. E io ho perso me. Ho perso la luce e l’ombra, il sangue e la carne. Non ricordo più, dopo. Un buco, una ragnatela di nulla. Così ho preso un martello e ho distrutto tutto. La mia casa, mattone dopo mattone. Il mio corpo, vene, pelle e budella. Ho vomitato, ho asciugato tutto, mi sono seccata. Sono andata in letargo. Ho aspettato. Atteso silenziosa. Che arrivassero i primi segnali, i primi movimenti sotterranei. Che una piccola radice sentendo l’umidità della notte venisse di nuovo fuori. Ed eccomi qui adesso. In questo posto assurdo, alla soglia dei miei cinquant’anni, che sono arrivati così, alba dopo ogni tramonto. Un posto che nessuno sceglierebbe per festeggiare. Infatti non l’ho scelto, è il posto che ha scelto me e mi ha attirata con la sua voce. Una voce fatta di vento e di foglie marce, le foglie ormai cadute da tempo sulla riva di un lago. Laura Di Biase A questo link potete trovare tutti i racconti pubblicati.
Edicolibro è uno spazio per scambiare libri. Vi suggeriamo di portare a Edicolibro quei libri che, per voi, sono importanti, in certo momento. Potete portarne da 1 a 3 e prenderne altrettanti in cambio. Se vi va, sul frontespizio potete scrivere le ragioni che vi hanno portato a condividere quel libro, invece di un altro. Cos’è Edicolibro. C’è una piazza, a Genova, che da un po’ di tempo era più vuota del solito. È nel cuore del centro storico, e accoglie uno dei palazzi più belli della città, ma lì, proprio al centro, il crocevia di storie e voci era venuto meno. Così la immaginiamo, l’edicola. Un viavai di scelte, il solito giornale, anzi no, oggi cambio, cosa c’è di nuovo? Un viavai di chiacchiere, del più e del meno, le stagioni che cambiano, i bambini e le bambine che escono da scuola, e la sera chi porta a spasso il cane. Un viavai di parole scritte, parole lette. In questa piazza, piazza della Meridiana, da qualche tempo si è ridata vita all’edicola. A Edicolibro, talvolta capita che accadano altre cose, come reading o Laboratori di scrittura en plein air. Chi anima Edicolibro. Edicolibro è una rete di associazioni che operano con il patrocinio del Municipio Centro Est: insieme a Officina Letteraria, ci sono A.M.A. Associazione Abitanti Maddalena, Collettivo Linea S, Fischi di carta, Progetto Santiago, Scuola Daneo, Scuola don Milani, UDI Unione Donne Italiane. Quando c’è Edicolibro. Il calendario di Edicolibro cambia e si aggiorna di mese in mese: puoi sapere le aperture in corso leggendo qui sotto, o nella pagina Facebook, o sul calendario che appendiamo all’inizio di ogni mese all’esterno dell’edicola. Ti aspettiamo! Calendario di novembre 2016: Sabato 19 novembre ore 10:00-12:00 con Officina Letteraria; Domenica 20 novembre ore 16:00-18:00 con il Collettivo Linea S; Venerdì 25 novembre ore 15:00-17:00 con UDI; Sabato 26 novembre ore 10:00-12:00 con AMA; Domenica 27 novembre ore 10:00-12:00 con Officina Letteraria.
Alcune domande a Yasmin Incretolli, giovanissima autrice di Mescolo Tutto, ultima pubblicazione di Tunuè Edizioni. “Non è affar mio, far finta che non esisto.” Quello che ho letto non è un libro “tipico”. L’ultima pubblicata dalla giovane casa editrice Tunué è un’autrice ancora più giovane: Yasmin Incretolli, classe 1994, nel suo Mescolo Tutto si esprime in modo inusuale. Inusuale, ma necessario; perché la lingua di Maria (la sua protagonista) è programmatica alla storia. Facciamo alcune domande a Yasmin, per addentrarci maggiormente in questo strano mondo racchiuso nel suo romanzo. Officina Letteraria: Mescolo Tutto fu menzione speciale al Premio Italo Calvino del 2015. Quanto è cambiata la stesura del romanzo dal concorso letterario all’edizione con Tunué? Yasmin Incretolli: Assieme a Vanni Santoni [curatore della collana “Romanzi” di Tunué n.d.r.] abbiamo escluso subito un’eventuale e importante alterazione della natura sperimentale dell’opera, che a suo avviso andava anzi mantenuta. Ero diffidente a causa di offerte editoriali arrivate in precedenza, che richiedevano come condizione la ‘‘commercializzazione’’, e quindi semplificazione a livello di lingua e struttura, nonché edulcorazione a livello di contenuti, del testo. Il romanzo è stato emendato gradualmente, attraverso scambi d’email durati alcuni mesi. Sebbene io sia molto giovane, Vanni ha accettato di buon grado le proposte e tenuto conto delle obiezioni che avanzavo. Quello che lo premeva di più era sopratutto far emergere la storia, che nella stesura iniziale accusava un po’ l’intransigenza dello stile. Inoltre il libro era più scarno nella seconda metà, che mi ha chiesto di ampliare. Ho sposato all’istante la prospettiva, lavorando su nuovi testi da integrare. “[…] l’amore, proprio mai l’avevo immaginata tale. Malgrado ne dicessero, a proposito, ch’era strozzafiato e ti metteva in ginocchio, come un’esecuzione. Alla domanda di cosa fosse la sostanza percepita riversarsi a fiotti lungo la gola, «Marmellata», rispose, pizzicandomi il mento.” OL: Nel tuo libro le parole hanno una grande importanza. Quelle che vengono scelte da Maria, la tua protagonista, sono studiate e meditate. Quale sforzo ti ha richiesto la scelta di un titolo per questo lavoro? Quali erano le motivazioni del primo titolo, Ultrantropo(rno)morfismo, con cui concorresti al Premio Italo Calvino, e quali sono state le ragioni del cambio in Mescolo tutto? Yasmin: L’evoluzione del titolo del libro è stata particolarmente faticosa, prima d’arrivare a quello finalmente scelto c’è stato un furoreggiare di brutture: questo già in prima stesura, tant’è che arrivata all’esasperazione le ho fatte implodere ottenendo: Ultrantropo(rno)morfismo. Chiaramente questo titolo non potevo lasciarlo, Vanni allora mi ha chiesto di stilarne una lista di una ventina diversi, e tra quelli a spuntarla è stato Mescolo tutto. Ispirato all’azione omonima dell’artista pioniera della body art Gina Pane. OL: Come hai scelto questa performance di Gina Pane, e qual è la relazione con la storia che racconti? Yasmin: Come Maria, la protagonista di Mescolo tutto, Gina Pane ha utilizzato il corpo nel tentativo di stabilire un dialogo con l’altro. Nel 1972 lambisce il suo viso con una lametta nell’azione Il bianco non esiste, dimostrando come la faccia sia il tabù dell’estetica umana. Molte delle sue performance cercano infatti di destrutturare un certo principio assai diffuso nella società: ‘‘non mettere in discussione’’. Anche Maria opera sulla propria pelle una personale verità fatta di stimoli violenti: di fatto, preferisce essere definita dalle ferite autoinflitte, piuttosto che dall’etichettamento sistematico (donna-corpo-figlia di madre single, etc.) in cui vogliono confinarla, un’immagine sulla quale non ha ne controllo né respiro. Mi piace ricordare anche un’altra azione di Gina Pane, Escalade non anesthésiée, dove s’arrampica su una scala chiodata: trovo che anche quella sia riconducibile alla postura che Maria assume durante la storia, ovvero quella di procedere malgrado il dolore. “I tagli, nient’altro che incantate fessure, ante socchiuse: spioncini dai quali è concesso sbirciare un pezzo d’archè.” OL: Come hai sentito il bisogno di raccontare di Maria, una diciannovenne autolesionista? Hai sentito necessaria una vicinanza di età con il tuo personaggio? Hai sentito la necessità, o semplicemente la voglia, di raccontare il dolore adolescenziale in una forma nuova? Yasmin: Scrivo da quando ho sette anni. Maria e la sua storia sono il risultato della mediazione tra un’adolescenza piegata all’elaborazione/proiezione di figure di donne forti (si scrive del resto anche per provare a ridisegnare il mondo e noi stessi), e la realtà dei fatti nella nostra contemporaneità, che vede la donna sempre come corpo o vittima, o le due cose assieme. Ho deciso d’introdurre una protagonista ‘‘cutter’’ perché è una forma fortemente simbolica di introiettamento della sofferenza, e anche perché si dice che l’autolesionismo sarebbe tipico nelle persone di talento, magari non riconosciuto, alla costante (e spesso ossessiva) ricerca del consenso da parte di chi non gli vuole bene (ahimè). Era un tratto particolarmente adatto, quindi, per caratterizzare una ragazza in continuo contrasto con una società sempre tesa a limitarla e incasellarla: perché donna, perché portatrice d’un aspetto che riconduce a una determinata condizione sociale, perché proveniente da una storia familiare travagliata, verso cui, come sempre accade, la comunità assume un ruolo inquisitorio, gioca a fare il tribunale invisibile. Quest’anno è giunto un nuovo alunno, espulso dall’antecedentemente frequentato I.P.S. Il suo nome è Jesus Fernando Rodriguez, si fa chiamare Chus. […] Nonna spifferò che un buon modo per regolarsi sulla cattiveria delle persone è controllare la storia traumatica del loro mento: Chus l’ha rotto due volte.” OL: Maria è il nome della protagonista, Jesus il nome del suo amato. Si tratta di un accostamento casuale? Yasmin: Sono emersi in modo naturale, scrivendo, e non credo che le dimensioni simboliche debbano emergere troppo o imporsi sulla storia. Maria è un nome comune in Italia, e Jesus in America latina non è inusuale. Verso la fine del romanzo la protagonista si paragona alla Maria Maddalena, la peccatrice penitente che attraverso la devozione al Cristo vuole espiare le sue colpe. Si potrebbe dire che nella ‘‘mia’’ Maria scatti qualcosa di molto simile con Jesus/Chus, il ragazzo argentino appena trasferito nella sua classe, e che in qualche modo diventa una sorta di incarnazione d’un purgatorio sociale – anche perché in lui non c’è niente di
È anche inutile che io ripeta quel nome. (Petaloso). Esatto. Ormai lo conoscete tutti, e sicuramente lo state utilizzando per aggettivare una pentola, o il vostro gatto. Non vi annoierò sulla storia del bambino prodigio e della maestra perspicace. Se volete ricostruire la vicenda, qui potete trovare il Professor Michele Cortelazzo, che vi saprà spiegare meglio di me. Ve lo anticipo, sarà un articolo breve. Come sarà breve la moda di questo aggettivo. La cosa che mi sfugge è perché la gran parte delle persone abbia deciso di inneggiare all’inserimento del “petaloso” nel vocabolario. Presumo che ciò sia accaduto a causa di uno strano processo osmotico: se ce la fa “petaloso”, ce la posso fare anche io. Con tutte le stupidaggini che ogni tanto invento, con tutti i miei apporti (diciamolo) inutili alla comunità. Si sa che il neologismo glamour, se ben sostenuto da una massa di hashtag, riceve una spinta dal basso verso l’alto pari alla quantità di haters che lo denigrano. E se solo “petaloso” riuscisse a farcela, a entrare nel vocabolario, si premierebbe una volta per tutte la mediocrità senza sforzi. E sarebbe fantastico. Perché ci manca ancora questa libertà. La libertà di pubblicare un video a tutto il mondo mentre insulto la gente per le vie di Milano; la libertà di infamare la mia ex-ragazza e farlo sapere a chiunque. La libertà di scrivere un libro con il cellulare e poi vendere milioni di copie. No queste libertà non… Un momento: queste libertà esistono! Si chiamano Youtube, Wattpad, e tutte le altre avanzate piattaforme che permettono al Chiunque di pubblicare la Qualunque, senza il minimo controllo, filtro, regia e giudizio. Il trionfo del “va bene tutto”, sostenuto da una marea di urla. Purché il clamore finisca in fretta, perché stasera c’ho la fiction. Che poi sia chiaro: c’è anche un modo intelligente di usare Youtube e Wattpad. E c’è anche un modo intelligente di usare gli aggettivi della lingua italiana. L’Accademia della Crusca si è espressa bene, solo che è stata male interpretata. Il successo non è approvazione; un concetto difficile da spiegare a un popolo in trepidante attesa del prossimo trend-topic. Il povero Matteo non ha colpe; quante volte alle elementari avrò detto “caccoloso”? O “smoccicoso”? Se petaloso entrerà nel vocabolario, vediamola così: tra tutti i neologismi che poteva partorire la mente di un bambino, ci è andata bene.
Distillare: vuole dire mandare fuori un liquido goccia a goccia; estrarre faticosamente. Davvero faticoso deve essere il lavoro dei dipendenti della casa editrice Centauria, che hanno deciso di inventare questo nuovo prodotto. I libri “Distillati“. Ne avete già sentito parlare? Badate bene, NON SONO RIASSUNTI. L’idea è semplice, il claim conturbante. “Non hai più voglia di leggere davvero tutte le pagine di un libro?”, “Vuoi arrivare al succo senza la noia di tutte quelle parole che si rincorrono?”; o, per dirla tutta, “A scuola ti hanno chiesto di leggere un thriller svedese, ma sinceramente c’hai di meglio da fare?”. La risposta alle tue domande ti aspetta in edicola, incelophanata a meno di 5 euro. Quando ho acquistato la mia copia distillata di “Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson, l’edicolante non ci poteva credere. Ha sgranato gli occhi, mi ha chiesto se volessi anche un quotidiano, per giustificare il mio moto a luogo. No, voglio questo perché voglio capire. Capire come sono riusciti a comprimere 676 pagine di trama piuttosto fitta a 10 punti tipografici in 235 pagine stampate al doppio della grandezza. Non c’è scritto chi ha avuto il coraggio di compiere questo gesto ciclopico. Compare solo il nome della direttrice responsabile della collana “Distillati”, che si assume tutte le colpe o le gioie della suddetta potatura. Insomma, il libro che tengo in pugno dovrebbe racchiudere “il cuore del romanzo” del primo capitolo della saga di Millenium. Analizziamo l’incipit delle due versioni. Era diventato un rito che si ripeteva ogni anno. Il destinatario del fiore ne compiva stavolta ottantadue. Quando il fiore arrivò, aprì il pacchetto e lo liberò dalla carta da regolo in cui era avvolto. Quindi sollevò il ricevitore e compose il numero di un ex commissario di pubblica sicurezza che dopo il pensionamento era andato a stabilirsi sulle rive del lago Siljan. I due uomini non erano solo coetanei, ma erano anche nati nello stesso giorno – fatto che in quel contesto poteva essere considerato come una sorta d’ironia. Il commissario, che sapeva che la telefonata sarebbe arrivata dopo la distribuzione della posta delle undici, nell’attesa stava bevendo un caffè. Quest’anno il telefono squillò già alle dieci e trenta. Lui alzò la cornetta e disse ciao senza nemmeno presentarsi. «È arrivato.» da Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson.* Era un rito che si ripeteva ogni anno. Il destinatario del fiore ne compiva stavolta ottantadue. Quando il fiore arrivò, aprì il pacchetto e lo liberò della carta da regalo in cui era avvolto. Quindi sollevò il ricevitore e compose il numero di un ex commissario di pubblica sicurezza che dopo il pensionamento era andato a stabilirsi sulle rive del lago Siljan. «È arrivato.» da Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson, versione Distillata.** È successo qualcosa? Guardiamo meglio. Era diventato un rito che si ripeteva ogni anno. Il destinatario del fiore ne compiva stavolta ottantadue. Quando il fiore arrivò, aprì il pacchetto e lo liberò dalla carta da regolo in cui era avvolto. Quindi sollevò il ricevitore e compose il numero di un ex commissario di pubblica sicurezza che dopo il pensionamento era andato a stabilirsi sulle rive del lago Siljan. I due uomini non erano solo coetanei, ma erano anche nati nello stesso giorno – fatto che in quel contesto poteva essere considerato come una sorta d’ironia. Il commissario, che sapeva che la telefonata sarebbe arrivata dopo la distribuzione della posta delle undici, nell’attesa stava bevendo un caffè. Quest’anno il telefono squillò già alle dieci e trenta. Lui alzò la cornetta e disse ciao senza nemmeno presentarsi. «È arrivato.» da Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson.* Era un rito che si ripeteva ogni anno. Il destinatario del fiore ne compiva stavolta ottantadue. Quando il fiore arrivò, aprì il pacchetto e lo liberò della carta da regalo in cui era avvolto. Quindi sollevò il ricevitore e compose il numero di un ex commissario di pubblica sicurezza che dopo il pensionamento era andato a stabilirsi sulle rive del lago Siljan. «È arrivato.» da Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson, versione Distillata.** Quindi è così? Hanno proprio ragione. Non è un riassunto: è una macchina infernale di copia e incolla! Va bene Hemingway, ma non credo che quella piccola parolina – quel “diventato” – fosse davvero responsabile delle 600 pagine scritte da Stieg Larsson. E invece i Distillati sono spietati. Ogni parola contribuisce allo sbrodolamento, all’allungamento insensato. Tutto ciò che non sia soggetto o predicato deve soccombere. Salviamo i complementi oggetto solo quando utili alla comprensione della trama. Proviamo con un altro pezzo? In Uomini che odiano le donne, un punto nevralgico è il momento in cui l’hacker Lisbeth Salander si vendica su un uomo che voleva abusare di lei. Per la cronaca, gli tatua sul petto un insulto che il depravato ricorderà per sempre. Vogliamo leggere l’originale? Questo brano lo si incontra a pagina 317; il Distillato lo propone a pagina 113. «Sta’ fermo. È la prima volta che uso questo aggeggio.» Lavorò concentrata per due ore. Quando ebbe terminato, lui aveva smesso di lamentarsi. Sembrava quasi piombato in uno stato di apatia. Lei scese dal letto, piegò la testa di lato e osservò la sua opera con occhio critico. Il suo talento artistico era piuttosto limitato. Le lettere tremolavano e il tutto aveva un che di impressionista. Aveva utilizzato il rosso e il blu per tatuare il messaggio, che era scritto in maiuscolo su cinque righe che gli coprivano tutto l’addome, dai capezzoli fin giù, appena sopra i genitali: IO SONO UN SADICO PORCO, UN VERME E UNO STUPRATORE. Pagina 317 di Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson.* «Sta’ fermo. È la prima volta che uso questo aggeggio.» Lavorò concentrata per due ore, poi scese dal letto, piegò la testa di lato e osservò la sua opera con occhio critico. Il messaggio era scritto in maiuscolo su cinque righe che coprivano l’addome, dai capezzoli fin giù, appena sopra i genitali: IO SONO UN SADICO PORCO, UN VERME E UNO STUPRATORE. Pagina
Avreste mai desiderato leggere un libro che si adattasse ai vostri gusti del momento? Una storia con un finale leggero, se la cena vi fosse rimasta ancora sullo stomaco. O un incipit piccante, se non avete più voglia del solito “C’era una volta”. Bene, noi l’abbiamo fatto; e con noi intendo il Collettivo Caratterimobili. Ma andiamo per gradi. Tutto comincia alla lezione di Officina Letteraria di un lontano maggio, in cui ci viene segnalata l’iniziativa: è la Biennale dei Giovani Artisti, che ha una sezione Letteratura alla quale ci si poteva candidare come artisti della Liguria. Abbiamo detto perché no, partecipiamo. Sulla scia dell’entusiasmo formiamo un collettivo: lungimiranti, lo chiamiamo Caratterimobili (sì, metà va scritta in corsivo). Al via del progetto, il collettivo conta una decina di membri entusiasti di condividere le proprie opinioni su un gruppo di messaggistica istantanea. Lentamente l’incantesimo si spezza: l’incombente esame di maturità per alcuni, gli sbalzi umorali, la pubertà, l’Estate. Sono tutti sintomi tipici dell’under 35, età sotto la quale ogni membro del gruppo doveva stare. Per fortuna c’è chi si sente vecchio dentro, e i pochi matusa rimasti affrontano la partenza del progetto al tavolino di un locale, davanti a un piatto di lasagne al pesto e a una parmigiana. Al tavolo ci siamo io; Irene Buselli: “grammatica” da studi classici che vuole fare la matematica; Ester Armanino: architetto, scrittrice, maestra di Officina Letteraria — ma principalmente capogruppo del Collettivo Caratterimobili; Tilahun Bertocci, giovane grafico che ha conosciuto l’approssimativa struttura del progetto circa un’ora prima della consegna, e ha dovuto dargli una forma. Il concept di questa edizione era chiaro e semplice, No food’s land. Ovvero: no, cibo, di, terra; Goggle Translator ci dà suggerimenti random. Expo 2015, il pianeta Terra, ma soprattutto: quando si mangia? Siamo partiti dal metabolismo. Si è pensato a un libro da mangiare (magari stampato su carta da zucchero), poi in ordine sparso: calorie, chilocalorie, la differenza tra una caloria e una chilocaloria, libro-gioco, bestiari magici, lasagne alla parmigiana, consegna entro Luglio, estate. Qualcosa, in un modo o nell’altro, ne è uscito fuori. Il risultato è una piccola antologia di short-stories a forma di menù. Il titolo è Restoryant, e anche qui c’è il corsivo in mezzo al nome. Restoryant è un ristorante letterario, dove non si serve cibo, ma storie: che sono poi il cibo della nostra mente. Così il menù si articola nelle classiche portate: antipasti, primi, secondi, contorni, dessert, caffè o amari per concludere. Ogni portata può avere 4 diversi sapori, scelti in base ai gusti del commensale. E sono queste scelte che comporranno la storia in base alle ordinazioni prese dal cliente. Un antipasto piccante è certamente un rimedio contro gli stereotipi, ma può comunque condurre a un secondo insipido, se la suspence non è ben dosata. 4 gusti di storie, in un certo senso storie d’amore, che si intrecciano in 6 diverse portate, con la possibilità (tuttora inesplorata) di 4.096 combinazioni di intreccio. E così, il 19 Ottobre, Restoryant (ricordatevi il corsivo in mezzo) ha debuttato in Sala Dogana a Palazzo Ducale, insieme ad altre 3 opere degli artisti selezionati a rappresentare la Liguria: Nuvola Ravera, Leonard Sherifi, Stefano Tirasso. Se vi sbrigate, fate ancora in fretta a vederlo. Ci è venuto anche in mente di girare un video per presentare il progetto, perché 4.096 storie che collimassero dall’antipasto al caffè non ci sono bastate. Dopo l’inaugurazione in Sala Dogana, la sera del 20 Ottobre al Count Basie Jazz Club di Genova, riservata ai 100 artisti dall’Europa e dal Mediterraneo ospiti della Pre-Biennale di Genova. Qui si sono tenuti i reading di tutte le opere letterarie partecipanti alla Biennale dei Giovani Artisti. Due copie di Restoryant deliziosamente confezionate dalla case editrice dei sogni Pulcinoelefante, sono poi in viaggio verso Milano; e se non hanno trovato traffico in tangenziale, sono già appoggiate a un tavolino sopra una tovaglia rossa alla Fabbrica del Vapore. Le porte hanno aperto il 22 Ottobre, dove Mediterranea 17 Young Artists Biennale sarà visitabile fino al 22 novembre. Per il progetto Restoryant si ringrazia: Emilia Marasco e Officina Letteraria. Edizioni Pulcinoelefante di Osnago, Alberto Casiraghy e Roberto Bernasconi. Per il video: Sara Sorrentino, Renato Carpi, Alessandro Bellagamba SDAC Genova. Grazie a Sara Fedele, Martina Bavastro, Letizia Castellazzi per esserci “state”, anche solo con il cuore.
Ha un libro aperto sulla testa, il ciclista del Giro d’Italia in 80 librerie: le pagine a stretto contatto con la calotta che copre i pensieri, in un gioco di scambi, la copertina rivolta verso l’esterno, a riparare dagli urti come un casco. Un libro è un presidio di sicurezza, ci salva la testa sembra suggerire il logo di questa iniziativa, partita il 29 Maggio da Tarvisio, in Friuli, per arrivare fino a Bari passando per Veneto, Emilia Romagna, Marche e Abruzzo. Si tratta di una staffetta ciclistica, culturale e ambientale, che coinvolge scrittori, musicisti, attori, librai, bibliotecari e professori in un percorso a tappe. Ogni tappa coincide con una libreria, oppure un teatro, una biblioteca o una scuola; per ogni città interessata dal Giro è stato pensato un calendario di eventi per la promozione della lettura. Perché associare libri e biciclette? Perché stanno bene insieme suggerisce lo stesso manifesto di Letteratura rinnovabile, l’associazione culturale promotrice. La letteratura è una fonte di energia inesauribile, in grado di rinnovarsi; il libro, per sua natura, vive della circolazione di emozioni e idee di cui è veicolo. Così la bicicletta trasforma e moltiplica la nostra energia di movimento e ci sposta nello spazio alla giusta velocità. Se la lettura richiede un tempo caratteristico, quello dell’ attenzione, lo stesso rivendicano il paesaggio e la riscoperta del territorio. Un elogio della lentezza? Anche. Insieme a un desiderio – cosciente, non detto, urlato, taciuto – di riprendersi il tempo per approfondire, per farsi un’opinione sulle cose. Il Giro comprende cinque soste speciali a Udine, Ferrara, Sant’Arcangelo di Romagna, Pesaro e Ancona, con Chi l’ha letto?, spettacolo teatrale itinerante. Sono previste Cinebiciclettate notturne, con proiezioni sui muri di chiese e palazzi, e gare di biglie sulla spiaggia. Partner, tra gli altri, la Federazione Italiana Amici della Bicicletta e la Federazione Ciclistica Italiana, che hanno progettato i percorsi migliori. Le tappe del Giro e i dettagli dell’iniziativa su www.letteraturarinnovabile.com e www.giro80.com