Appena entri nel Padiglione 1 del Salone Internazionale del libro a Torino, un fiume di gente ti scorre intorno, voci rimbombano dagli altoparlanti e lo sguardo si perde tra un caos di piedi che, a varie velocità, pestano la moquette rossa. C’è chi si dirige sicuro da un punto all’altro, chi schiva correnti contrarie, chi gironzola incuriosito tra i vari “mercanti”. Sono gli editori, espositori di pagine di carta stampata, diventano qui loro stessi i personaggi della storia: sono i creatori di tutto ciò che può essere sfogliato o, senza troppi romanticismi, i produttori del prodotto “libro”. “Cinque giorni, 340.000 visitatori, migliaia e migliaia di libri, 1.000 editori, 1.500 incontri, presentazioni e spettacoli con i più grandi scrittori e intellettuali del nostro tempo. Tema del Salone 2015 è “Le Meraviglie d’Italia”. Paese ospite la Germania con i suoi autori e la sua cultura. Un intero padiglione dedicato ai bambini e ragazzi, l’editoria digitale, i fumetti, i libri del gusto di CookBook… Non perderti il Salone delle Meraviglie!” si legge sul sito del Lingotto Fiere. Eppure da perdersi c’è eccome, in mezzo a tutti gli stand e gli incontri e i gadgets che poco hanno a che fare con il libro. Venire qui senza sapere bene cosa cercare, rischia di diventare una passeggiata molto stancante e priva di meta. Cosa dovrebbe differenziare una visita al Salone del Libro da una mera puntata in una di quelle grandi librerie di catena che si trovano oggi nelle nostre città?
Ripropongo molto volentieri anche qui un’iniziativa che ho lanciato qualche mese fa attraverso un video sul mio canale Youtube. L’idea della campagna era raccogliere in una mappa interattiva e in costante aggiornamento il maggior numero possibile di librerie indipendenti italiane, per dare ai lettori sul territorio nazionale un’alternativa rispetto alla vendita diretta online e alle grandi catene. Sono cresciuta rivolgendomi a librai e i librai purtroppo sono una “specie in via d’estinzione”. Si trovano ottimi librai anche nei punti vendita delle grandi catene, ma la scelta dei titoli a scaffale non è a loro discrezione. Mi mancano le piccole librerie “di nicchia”, con una selezione precisa e dei percorsi basati sui gusti e sulle competenze del libraio. È una realtà che ho ritrovato a Londra, dove è facile imbattersi in librerie di quartiere specializzate (per esempio sulla musica, o sul cinema). Vi lascio qui sotto la mappa risultato dell’indagine, e vi spiego di seguito come ho lavorato. Si può zoomare ingrandire la regione che vi interessa, ogni stellina corrisponde a una libreria. Come accennavo all’inizio del post, l’iniziativa è partita da un video. Ho creato grazie a Google una mappa vuota, libera, che chiunque può incorporare nel proprio sito web (se può essere uno strumento utile anche per voi vi invito a farlo). Ho chiesto alle persone che seguono il mio canale o la mia pagina Facebook di indicarmi tutte le librerie indipendenti che conoscevano nella loro zona, allegando se possibile delle informazioni a corredo (numero di telefono, sito web, cataloghi particolari). Ho aggiunto tutti gli indirizzi alla mappa man mano che mi arrivavano (e continuo a farlo… quindi se manca qualche libreria che frequentate segnalatemelo!), cercando di arrivare a coprire il più possibile le varie regioni italiane senza privilegiare la mia. I due obiettivi di questo lavoro sono aiutare i lettori a incontrare nuove librerie specializzate e aiutare le librerie indipendenti a “sopravvivere” in questo difficile momento di crisi. Se vi piace l’iniziativa, sentitevi liberi di utilizzare la mappa sui vostri spazi web e di condividere questo post per dare diffusione al progetto. E naturalmente… aspetto i recapiti delle vostre librerie preferite!
Segnaliamo in uscita per la casa editrice Emma Books Verso Sud, il quarto romanzo di Emilia Marasco, coordinatrice di Officina Letteraria. Un viaggio da Genova alla Puglia alla riscoperta delle proprie radici, per rimettere insieme i frammenti del passato. Il viaggio di Nora, il viaggio di Caterina, il viaggio di Paola. Giovedì 12 febbraio alle ore 20:00 si tiene a La Claque (Genova) la prima presentazione del romanzo, nell’ambito della rassegna teatrale Occhiali d’Oro organizzata da Approdo Ostilia Mulas – Arcigay Genova. Introduce Marta Traverso, letture a cura di Sara Sorrentino. Sinossi del romanzo Nora e Caterina, madre e figlia, per tutta la vita hanno avuto una relazione difficile nutrita di silenzi e di gesti mancati. Quando Nora muore, tra gli oggetti appartenuti alla madre Caterina trova i frammenti di una storia che non conosceva. Inizia così un viaggio a ritroso nel tempo, verso sud, da Genova alla Puglia. A spingere Caterina a partire, solo piccoli indizi: un abito da sposa di seta da paracadute, un camicino da neonato, poche lettere, qualche fotografia. “L’estate del ’43. In autobus Caterina pensa a Nora ventenne, nelle foto, che guarda il fidanzato americano. Chissà cosa facevano quando s’incontravano, stavano in famiglia, passeggiavano sulla piazza sotto gli occhi di nonna Rita, chissà se andavano al mare. Il paese è in campagna ma il mare è vicino. Nora amava il sole, amava nuotare, chissà se andava in spiaggia con quei costumi castigatissimi dell’epoca. Finché, un giorno, lui parte per una missione, a bombardare qualche città in Germania, e non torna più. Nora rimane col suo abito da sposa di seta del paracadute. Perché il paese parlò? Uno scandalo? Un segreto? Vorrebbe poter tornare nella casa di Nora, la casa dove lei è cresciuta, sedersi in un angolo e ricostruire le conversazioni, le liti, cercare di rivedere Nora entrare e uscire, muoversi da una stanza all’altra, rivedere nonna Rita, rivedere suo padre.” Caterina non sarà sola nel suo viaggio verso sud. Accanto a lei, Paola. E avvicinandosi alla storia di sua madre, Caterina si avvicinerà anche a una parte sconosciuta di sé. Vi aspettiamo dunque giovedì 12 febbraio a La Claque La presentazione sarà accompagnata da un aperitivo (a partire dalle 19:00). Seguirà, alle 21.15, lo spettacolo Metafisica dell’amore a cura della compagnia Le Brugole.
30 settembre 1942 Essere fedeli a tutto ciò che si è cominciato spontaneamente, a volte fin troppo spontaneamente. Essere fedeli a ogni sentimento, a ogni pensiero che ha cominciato a germogliare. Essere fedeli nel senso più largo del termine, fedeli a se stessi, a Dio, ai propri momenti migliori. E dovunque si é, esserci “al cento per cento”. Il mio “fare” consisterà nell’ “essere” ! Soprattutto, devo essere più fedele a quel che vorrei chiamare il mio talento creativo, per modesto che sia. Ad ogni modo: ci sono tante cose che vorrebbero essere dette e scritte da me, e dovrei mettermici. Invece cerco in tutti i modi di scappare, e in questo manco. D’altra parte, so che devo aspettare con pazienza che le mie parole crescano. Ma devo anche aiutarle. È sempre così: si vorrebbe scrivere subito qualcosa di straordinario e di geniale, ci si vergogna delle proprie sciocchezze. Ma se io ho un dovere nella vita, in questo tempo, in questo stadio della mia vita, é proprio quello di scrivere, annotare, conservare. Le cose, nel frattempo, le digerirò comunque. Io leggo la vita come un tutto coerente, so che sono in grado di leggerla, e nella mia presunzione e pigrizia giovanili penso che tanto mi ricorderò ogni cosa, e che più tardi saprò raccontarla. Io vivo la vita sino in fondo, ma sento sempre più che ho delle responsabilità verso quelli che vorrei chiamare i miei talenti. Ma da dove cominciare, mio Dio. Ci sono così tante cose. Non devi neppure pretendere di scrivere le cose così come le hai vissute con tanta intensità: sarebbe un errore. Non si tratta di questo. Non so ancora come farò a dominare tutta questa materia. So soltanto che dovrò fare tutto da sola, e che ho abbastanza forza e pazienza per riuscirci. Devo anche essere fedele, non posso più disperdermi come sabbia al vento. Io mi divido tra gli affetti, le impressioni, le persone e le emozioni che mi toccano: devo rimaner fedele a tutti ma devo anche essere fedele al mio talento. “Vivere” tutto quanto non è più sufficiente, ci vuole qualcosa in più. Credo di vedere sempre meglio gli abissi che inghiottono le forze creative e la gioia di vivere dell’uomo. Sono buche che ingoiano tutto e queste buche sono nella nostra stessa anima. A ciascun giorno basta la sua pena. Inoltre: L’uomo soffre soprattutto per la paura del dolore. Ed è la materia che attira tutto lo spirito a sé e non viceversa. “Vivi troppo con lo spirito”. E perché no? Perché non ho abbandonato immediatamente il mio corpo alle tue mani desiderose? L’uomo è una strana creatura. Quanto vorrei scrivere. Da qualche parte in me c’è un officina in cui dei titani riforgiano il mondo. Una volta avevo scritto disperata: é proprio nella mia testolina, nel mio cranio che deve essere spiegato il mondo. Ora lo penso ancora di tanto in tanto, con una presunzione quasi diabolica. Riesco sempre più ad affrancare la mia forza creativa dalle necessità materiali, dal pensiero della fame, del freddo e dei pericoli. È pur sempre un’idea , non una realtà. La realtà è qualcosa che bisogna prendere su di sé, con tutto il suo dolore e con tutte le sue difficoltà, e intanto che la si sopporta, la nostra pazienza aumenta. Ma l’idea del dolore – non il dolore ‘vero’, che è fruttuoso e può rendere la vita preziosa – , quella va distrutta. E se si distruggono i preconcetti che imprigionano la vita come inferriate, allora si libera la vera vita e la vera forza sono in noi, e allora si avrà anche la forza di sopportare il dolore reale, nella nostra vita e in quella dell’umanità. Quando soffro per gli uomini indifesi, non soffro forse il lato indifeso di me stessa? Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati, e da tanto tempo. E finisco sempre per tornare a Rilke. È così strano, Rilke era un uomo fragile e ha scritto gran parte della sua opera fra le sue mura di castelli ospitali, e magari sarebbe stato distrutto dalle circostanze in cui ci troviamo a vivere noi. Ma non è proprio questo un segno di buona economia – il fatto che, in circostanze tranquille e favorevoli, artisti sensibili possano cercare indisturbati la forma più giusta e più bella per le loro intuizioni più profondi; e che poi, in tempi più agitati e debilitanti, queste stesse forme possano offrirti appoggio e protezione agli uomini smarriti? Ai turbamenti e ai problemi che non trovano o soluzione, perché ogni energia è consumata dalle necessità quotidiane? In tempi difficili si tende a disprezzare le acquisizioni spirituali di artisti vissuti in epoche cosiddette più facili (ma essere artista non è di per sé abbastanza difficile?) , e si dice: tanto, cosa ce ne facciamo? È un atteggiamento comprensibile, ma miope. E rende infinitamente poveri. Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite. — Queste parole sono tratte dal diario di Etty Hillesum, un giovane donna, ebrea olandese, che avrebbe fatto la scrittrice se non fosse morta il 30 novembre 1943 nel campo di sterminio di Auschwitz. In questo giorno, dedicato alla memoria, resto muta e con il cuore dolente per tutti i libri che non sono mai stati scritti, per tutta la musica che non è stata suonata, per tutte quelle vite che avrebbero potuto essere e non sono state. E anche per tutti noi, vivi, ma più poveri, depredati di qualcosa che possiamo solo immaginare. Cosa sarei io se Etty avesse scritto i suoi libri? Che ne sarebbe stato di me se Primo Levi non fosse tornato per scriverli? I diari e le lettere di Etty Hillesum sono editi da Adelphi.
#11PerLaLiguria Dalla scorsa settimana, se vai in libreria, ci trovi un libriccino bianco e rosso. “Undici per la Liguria” a cura di Marcello Fois. Si tratta del progetto di Einaudi a sostegno degli alluvionati della Liguria, un’antologia che ha coinvolto undici scrittori liguri, di nascita o di adozione, e i cui ricavati di vendita saranno destinati alla Scuola dell’infanzia San Fruttuoso di Genova, gravemente danneggiata dalle piogge dello scorso autunno 2014. Einaudi ha chiesto agli undici autori di produrre un contributo letterario di alcune cartelle ad argomento libero. Detto fatto. Nessun rischio (Ester Armanino) Lo spirito del torrente (Giuseppe Conte) Storie fantastiche di isole vere. Filfla (Ernesto Franco) La cella (Riccardo Gazzaniga) Angeli (Maurizio Maggiani) Il postino suona sempre due volte (Bruno Morchio) Il mondo verticale (Rossella Postorino) Rovine (Carlo Repetti) Genova nel buio (Ferruccio Sansa) L’impiegato di Biella (Michele Serra) Lobelia, muschi (Enrico Testa). Argomenti liberi sì, ma lungo un filo conduttore: un messaggio, un’intenzione, un’intuizione comune che risuona in ognuna delle undici voci. Un accordo, che si sente forte e chiaro, si legge in Introduzione: “L’uomo sapeva che niente è più potente di un corso d’acqua che si trovi a ripercorrere il proprio letto. Sapeva che – nonostante il progresso – dove c’era l’acqua, l’acqua ritornerà. Sapeva che neanche obbedire alle regole è per la Natura un impedimento. Semmai un impegno a limitare i danni.” Undici storie. Undici autori. Si parte. Presi per mano dallo scrittore. Ognuno di loro ha una “stretta” diversa. Ognuno di loro ha il suo modo di tradurre in parole, di raccontarti questa cosa dell’alluvione e delle piogge straordinarie, del cemento colato e calato sul nostro Paese, della scarsa prevenzione dei decenni passati e dei danni presenti. Dell’uomo contemporaneo. Del suo essere contemporaneamente evoluto e vulnerabile. “Ognuno di loro ha il suo modo di tradurre in parole” Loro, gli undici, per dirla tutta, ti raccontano l’emozione di questa alluvione, la loro. Ma a volte è la tua. Ne hai undici, puoi scegliere quella che ti appartiene di più. Due su Undici. Tra gli undici scrittori che hanno prestato la loro penna a scopo benefico, ho la fortuna di conoscerne due: Ester Armanino e Bruno Morchio, infatti, sono maestri di Officina Letteraria e, proprio per questo, mi è stato più facile far loro qualche domanda, che presto leggerete su questo blog. Appuntamento in libreria. Chiaramente, perché l’operazione abbia successo, bisonga supportare questo libro. Comprarlo. Leggerlo. Consigliarlo. Un’occasione per farlo, sarà lunedì 9 Febbraio alle ore 18:00 quando “Undici per la Liguria” sarà presentato a Genova, presso la libreria L’amico Ritrovato di Via Luccoli, 98r. Ci vediamo lì.
Tra i diritti imprescrittibili del lettore, dopo il diritto di spizzicare e prima di quello di tacere, Pennac inserisce proprio questo il diritto di leggere a voce alta Perché? Semplicemente perché è meraviglioso. Sentirsi raccontare una storia è un piacere antico, che molti di noi hanno sperimentato da piccoli. Raccontare una storia ad alta voce, dare un suono alla parola scritta (da noi o da altri), attinge a quello stesso angolo delle emozioni da cui tiriamo fuori il ricordo del nostro primo libro: ti ascolto e ti racconto, c’era una volta e c’è ancora. Quando leggiamo un libro a un bambino, se siamo fortunati, si crea uno spazio speciale in cui si accomodano tutti, chi legge, chi ascolta, il profumo delle pagine e i personaggi di carta: è una poltrona di nuvola in cui si sprofonda col sorriso. Ma perché smettere quando si cresce? I Cantastorie parlavano a tutti, grandi e piccoli. Erano artisti di strada che si spostavano da una piazza all’altra e raccontavano storie antiche e nuove accompagnandosi con uno strumento musicale, una chitarra di solito. Su un cartellone illustravano le principali scene del racconto, che andavano a segnare col dito. Era semplice, e tutti stavano ad ascoltare. Erano cantastorie anche i rapsodi greci, i trovatori e i trovieri, per non parlare di tutte le figure tradizionali della cultura orientale: le Chitrakar, cantastorie-pittrici indiane, o i cantastorie giapponesi, che si spostavano in bicicletta con le loro kamishibai, valigie-teatri viaggianti. È un fatto che la letteratura è nata prima della scrittura. E che leggere ad alta voce fa bene. In molti paesi sono sorte iniziative per la promozione della lettura ad alta voce, negli Stati Uniti, in Germania, in Gran Bretagna, e anche in Italia con Nati per leggere. Ma, ancora, perché limitare questo piacere ai primi anni di vita? E infatti c’è chi a smettere non ci pensa neanche. Sono sempre più diffuse le pratiche del reading e dello storytelling, rivolte a chiunque voglia ascoltare, senza discriminazioni di età. C’è anche chi legge ad alta voce per chi non può leggere da sé. Annalisa Soldà mi racconta la sua particolare esperienza di lettrice tra quattro mura, come si definisce: il pubblico so che ci sarà, ma non lo vedo davanti a me quando registro. Annalisa presta la sua voce per creare audiolibri, la sua esperienza mi entusiasma e mi faccio raccontare. Esiste una lettura zero, che è la prima lettura di un testo ad alta voce, mi dice. Durante la lettura zero, Annalisa si ascolta e valuta il ritmo, il volume della voce e il tono. Dove poter fare una piccola pausa per riprendere fiato e se la melodia – la chiama proprio così, la melodia – è quella giusta oppure ci sono stonature. Soprattutto mi concentro sulle emozioni che ho ricavato dal testo, come posso farle mie e trasmetterle: più anima ci metti e meglio viene la lettura Dario Apicella, animatore culturale, narratore e attore, gli audiolibri li ascoltava da piccolo, quando ancora non si chiamavano così ed erano un prodotto destinato unicamente ai bambini che ancora non sapevano leggere. Mi affascinavano le voci degli interpreti, mi racconta, famosi attori di cinema e teatro come Gabriele Lavia, Oreste Lionello, Ottavia Piccolo… Quelle voci mi davano piacere, lo stesso piacere che provavo nell’udire la voce di mia madre che cantava vecchie canzoni facendo i lavori di casa. Ed è così che, dopo la formazione teatrale allo Stabile di Genova, questo interesse si delinea e si trasforma in desiderio: mi sono reso conto, continua Dario, che ciò che desideravo di più, quello che per me era veramente importante e necessario, non era il palcoscenico, ma leggere, ascoltare e raccontare storie. Se quando sarà grande (tra poco, dice) gli chiederemo che lavoro fa, potrà risponderci: racconto storie, sono un narratore. È il suono, la prima cosa che arriva dice Dario Manera nel presentare il suo corso Ad alta voce , che si terrà presso Officina Letteraria a partire da quest’anno. Dario è attore, diplomato alla Scuola di Arte Drammatica Piccolo Teatro di Milano, e la sua esperienza di teatro gli ha insegnato che la parola deve muoversi non solo verso l’orecchio altrui, ma anche verso la mente e la memoria di chi ascolta, spiega. Una buona lettura, aggiunge, è in grado di toccare gli altri con la voce, di rianimare la parola scritta nel passaggio al suono, andando a recuperare la stessa emozione che l’aveva concepita. E le pause? Le pause non sono assenza di parole, danno respiro al discorso. E a chi legge. Bisogna poi tenere conto della modulazione tonale, dei volumi, del ritmo, la dizione e una corretta respirazione. Siamo tutti dei buoni “raccontatori”, dice Dario, si tratta di imparare a recuperare abilità che in qualche misura già possediamo. … E sono passata dall’altra parte! – Dall’altra parte di cosa? – Della cicatrice! Dall’altra parte del cielo! Sono entrata! è proprio questo che ti volevo raccontare. Papà, sai cosa c’era dall’altra parte del cielo? – No, dimmelo. Dimmi subito, amore mio… (Daniel Pennac, Il giro del cielo)
MeP, il Movimento per l’emancipazione della Poesia. Se vi è capitato di aprire un libro, preso in prestito in biblioteca o appena comprato, e trovare in mezzo alle pagine un foglio con una poesia, ecco, allora sapete di chi sto parlando. Oppure può essere che l’abbiate trovata per strada. L’incontro improvviso, fortuito, che avviene dietro un angolo, oppure quasi di schianto, contro un muro che proprio non vi aspettavate, è forse meno intimo, ma più emozionante. Solenne, quasi. Ma che luoghi abita la poesia? Se chiedete ai poeti del MeP, il Movimento per l’emancipazione della Poesia, vi sentirete rispondere che non si tratta di luoghi adatti o meno, il problema è il ruolo. “Ad oggi la poesia non possiede, nella volgare società contemporanea, il ruolo che dovrebbe, per ragioni culturali e storiche…” “Ad oggi la poesia non possiede, nella volgare società contemporanea, il ruolo che dovrebbe, per ragioni culturali e storiche, spettarle. E non perché essa non sia ancora portatrice della capacità di comunicare e suscitare emozioni, sentimenti e fantasie, quanto perché, sebbene si continui a scriverla, non si continua a leggerla, preferendo basso e vuoto intrattenimento” (dal Manifesto del Movimento) Poesia con prepotenza, se occorre. Il MeP, nato a Firenze nel 2010 e poi diffusosi in diverse città italiane, è formato da poeti anonimi (perché è la poesia che deve avere il risalto maggiore) e si propone proprio di rinnovare l’interesse e il rispetto per questa forma di scrittura, svincolandola dal libro stampato attraverso affissioni, eventi, reading, fotografie, esposizioni, trasmissioni, diffusione online. Con “prepotenza”, se occorre. Alcune azioni, infatti, tra cui l’attacchinaggio, non sono consentite dalla legge. Ma forse è davvero giunto il momento di scrivere sui muri, per così dire, di sfruttare quella “proprietà intrinseca della parola scritta per la quale risulta impossibile per chiunque getti su di essa lo sguardo non leggerla” (dallo Statuto). Perché ne abbiamo bisogno. Perché adesso, da quando ne ho incontrata una, a Genova, nei vicoli, da quel momento i miei occhi cercano la poesia dappertutto.
Internazionale a Ferrara 2014: un weekend con tutti i giornalisti del mondo. Venerdì 3 Ottobre sono salita su un treno, per la verità tre, e sono scesa a Ferrara. Cominciava quella mattina l’ottava edizione del Internazionale a Ferrara 2014, settimanale italiano di informazione che pubblica articoli di influenti giornali stranieri tradotti in lingua italiana. “Una finestra spalancata sul mondo”, intensivamente, per tre giorni, da venerdì a domenica e che raduna molti protagonisti del migliore giornalismo internazionale, in un susseguirsi di interviste, proiezioni di film e documentari, dibattiti, presentazioni di libri, dialoghi sulla cultura e workshop con scrittori, giornalisti, fotografi, registi e creativi. Maisa Saleh contro il regno del silenzio: il mondo deve sapere Cammino per le strade del centro storico di Ferrara per raggiungere i vari luoghi del festival e partecipare agli incontri, scopro una città limpida e formicolante di universitari e biciclette. L’inaugurazione del Festival si svolge dentro al Cinema Apollo, subito dopo assisto all’assegnazione del premio giornalistico Anna Politkovskaja, che quest’anno è stato attribuito alla giornalista siriana Maisa Saleh. Maisa è una ragazza di poco più di trent’anni, nella vita faceva l’infermiera ad Aleppo, ma un giorno ha deciso di prendere parte a quella rivoluzione pacifica contro la dittatura, contro la negazione di tutti i diritti e le libertà, ma soprattutto contro quel che definisce il “regno del silenzio” di una Siria pre rivoluzionaria in cui dentro ad ogni casa nessun genitore parlava a propri figli di quello che stava accadendo. Così Maisa è diventata prima attivista e poi giornalista, ha condotto un programma su Orient tv, rischiando la vita ad ogni servizio ed è stata arrestata e torturata dal regime per essere andata alla ricerca della verità, una verità che ha ben poco a che fare con la piega integralista ed estremista che ha preso una parte della rivoluzione, e per averla diffusa. Maisa Saleh, penso, ha fatto del raccontare la sua missione. Ha imparato da sola, non ha frequentato nessuna scuola che le insegnasse come farlo, è stata mossa, credo, da quell’esigenza profonda e viscerale che è propria di tutti i narratori: l’ardere sotto la pelle di una storia che ha bisogno di trovare una voce, che freme per essere condotta alle orecchie di qualcun altro, perché questo qualcun altro la accolga e la senta un po’ sua, perché questo qualcun altro sappia e attraverso essa possa conoscere il mondo in cui vive e soprattutto possa imparare qualcosa. “Tutto questo non accade lontano da noi e in un tempo altro” dice, “bisogna raccontare queste storie” “Tutto questo non accade lontano da noi e in un tempo altro” dice, “bisogna raccontare queste storie” perché questa follia non dilaghi in altre parti del mondo. Credo che in fondo non ci sia molta differenza tra il giornalismo di Maisa e l’esperienza della scrittura e della lettura: sono tutte parole fatte per salvare. Cambiare, un millimetro alla volta. Internazionale a Ferrara 2014 prosegue e io mi dirigo verso altri luoghi, ascolto, in apertura all’incontro “L’Esplosione”, il meraviglioso monologo satirico di Karl Sharro, giornalista e scrittore inglese di origini irachene i cui messaggi satirici contro l’oriente e l’occidente sono seguiti ormai da milioni e milioni di follower su Twitter. Nel pomeriggio raggiungo la Biblioteca Ariostea per sentir parlare Marino Sinibaldi, giornalista, critico letterario, vicedirettore di Rai Radio 3 e ideatore della trasmissione di libri Fahrenheit e della Festa del libro e della lettura Libri come. È Giuliano Milani, giornalista di Internazionale, a presentare il suo libro, “Un millimetro in là, intervista sulla cultura“. Il millimetro di cui parla Sinibaldi nel libro è quello spazio di cambiamento che possiamo raggiungere attraverso la cultura. L’accesso alla cultura letteraria e alla cultura in generale non è mai stato così facile e immediato come oggi, dice Sinibaldi. Abbiamo raggiunto un livello di evoluzione tecnologica tale, che ci è permesso di avere accesso a qualsiasi tipo di informazione in ogni istante e in ogni luogo. La stessa comunicazione ormai non ha più limiti né di spazio né di tempo. Il punto è riuscire a prendere coscienza dell’importanza di questo risultato e capire come usarlo nel migliore dei modi. “I libri sono somma di immaginazione e immedesimazione: il libro ti costringe a immaginare” Si finisce a parlare di libri. I libri, dice Sinibaldi, sono somma di immaginazione e immedesimazione: il libro ti costringe a immaginare, perché il testo, di per sé, non è nulla senza l’immaginazione del lettore. Non si può leggere un romanzo senza immedesimarsi nei sentimenti dei personaggi e senza immaginare i loro volti. È questo che rende la lettura “una cosa dove devi fare qualcosa tu”. Leggere allena all’autonomia. “Autonomia è una parola bellissima, significa costruirsi una personalità e la letteratura è una grande addestratrice”. Perché l’umanità ha bisogno di storie? Il lettore legge la sua vita attraverso la letteratura e trova in essa una sorta di “rotta”, spesso l’appagamento di un forte bisogno di consolazione. Insomma, i libri ti cambiano la vita e ti rendono capace di scegliere. Siamo tornati all’inizio, a Maisa e alle parole che salvano. Il Festival prosegue e io torno a casa, un po’ più ricca di prima.
Segnaliamo che sono aperte le iscrizioni per la IV edizione del Premio Letterario La Giara, concorso per romanzi inediti in lingua italiana scritti da autori di età inferiore ai 39 anni. La scadenza del bando è il 31 dicembre 2014. Regolamento del concorso Il concorso è riservato a scrittori, residenti in Italia, di età compresa tra i 18 e i 39 anni compiuti alla data di inizio del Premio (ossia il 7 aprile 2014). I partecipanti devono inviare entro il 31 dicembre 2014 una sola opera di narrativa in prosa, scritta in lingua italiana, originale e inedita. La lunghezza complessiva dell’opera deve essere uguale o superiore a 180.000 caratteri (spazi inclusi). Sono escluse dal Premio le raccolte di racconti. Le opere dovranno essere inviate in 6 copie cartacee (più 1 in formato elettronico) all’indirizzo postale del Premio corrispondente alla propria Regione di residenza. Per la Liguria, l’indirizzo cui inviare l’opera è “Premio La Giara – C/O Sede regionale Rai per la Liguria – corso Europa, 125 – 16132 Genova”. Una prima selezione avviene su base regionale, in funzione della Regione di residenza dell’autore. Le opere saranno valutate dunque in due fasi, da altrettante giurie di esperti in ambito letterario nominate da Rai. Il Premio consiste nella pubblicazione dell’opera vincitrice a cura di RAI Eri, con vendita nelle principali librerie nazionali e opzione per l’eventuale trasposizione cinematografica e televisiva. Il contratto di edizione prevede il riconoscimento all’autore di una quota pari al 7%, calcolata sul prezzo di copertina al netto dell’Iva. La premiazione si terrà alla fine di luglio 2015, nel corso di un evento televisivo trasmesso sui canali RAI dalla Valle dei Templi di Agrigento. Per ulteriori informazioni rimandiamo al sito web del Premio Letterario La Giara 2014.
Frida e Diego sono approdati a Genova. Finalmente, almeno per me che amo Frida Kahlo, il 20 settembre è stata inaugurata la mostra dedicata ai due artisti messicani. Duecento opere, tra dipinti e fotografie, occuperanno gli appartamenti del Doge a Palazzo Ducale fino all’8 febbraio 2015. Nelle dodici sale si alternano i dipinti di Diego e gli autoritratti di Frida, in un percorso che racconta al visitatore non solo l’arte, ma, soprattutto, la vita dei coniugi Rivera. Una vita intensa, bella e dolorosa quella di Frida e Diego, uniti dall’amore per l’arte, per il Messico e la rivoluzione. Una coppia non convenzionale, “l’elefante e la colomba” li definì il padre di Frida, Guillermo Kahlo, quando seppe che la sua giovane e delicata figlia voleva sposare Diego Rivera, pittore della rivoluzione messicana con un corpo massiccio e grossolano, tanto più grande di lei e con mogli e figli alle spalle. Diego Rivera dipingeva la storia nazionale messicana e la rivoluzione nei suoi grandi murales, Frida Kahlo ritraeva solo se stessa. Diego Rivera dipingeva la storia nazionale messicana e la rivoluzione nei suoi grandi murales, Frida Kahlo ritraeva solo se stessa. “La mia pittura porta il messaggio del dolore, la mia pittura non è rivoluzionaria”, aveva dichiarato Frida durante un’intervista. Il dolore di cui parla è il dolore per quel corpo disgraziato che le era toccato in sorte, per i figli che non era riuscita a partorire, per i tradimenti di Diego, che, a sua volta, lei stessa tradiva. Due vite da romanzo, di quelli da leggere tutto di un fiato. E sono tanti, infatti, gli scrittori che si sono dedicati a Frida e Diego: Jean- Marie Le Clézio che ha raccontato la loro storia nel suo “Diego e Frida, un amore assoluto sullo sfondo del Messico rivoluzionario”; Pino Cacucci che ha dato la voce a Frida nel suo monologo “Viva la vida!”, e, ancora, la scrittrice croata Slavenka Drakulic con il suo romanzo “Il letto di Frida”. Se siete a Genova, se passate di qua, visitate la mostra: la forza di Frida Kahlo, la sua voglia di vivere, il desiderio di andarsene per non tornare vi colpiranno e Diego e Frida non vi lasceranno più!
Officina Letteraria, in collaborazione con il negozio di abbigliamento Lo Spaventapasseri, presenta il concorso letterario Il mio vestito, una seconda pelle. Si partecipa con un racconto inedito, da inviare entro il 30/09. In palio la pubblicazione sul blog di Officina Letteraria, una tessera per i Sabati in Officina e un regalo da Lo Spaventapasseri. Regolamento del concorso letterario 1. Si partecipa al concorso con un racconto sul tema Il mio vestito, la mia seconda pelle, di lunghezza compresa tra le 9.000 e le 15.000 battute spazi inclusi (Times New Roman corpo 12, ogni cartella 1.800 battute spazi inclusi). 2. Il concorso è aperto a tutti. 3. Il racconto deve essere inviato o consegnato entro martedì 30 settembre 2014, in 5 copie al negozio Lo Spaventapasseri (via Luccoli, Genova) o inviato per posta a Officina Letteraria (via Cairoli 4B, 16124 Genova). 4. Al racconto deve essere allegato un foglio con i dati dell’autore: nome, cognome, data di nascita, indirizzo, numero telefonico e indirizzo mail. 5. Non è possibile partecipare con racconti già pubblicati. 6. I diritti sui racconti restano di proprietà degli autori, con il consenso dato a Officina Letteraria e Lo Spaventapasseri di pubblicare sulle loro piattaforme web il racconto primo classificato. La commissione di lettura composta da Emilia Marasco, Ester Armanino, Valentina Mosconi e Cristina Carrossino terminerà i lavori entro il 30/10. La premiazione avverrà venerdì 7 novembre presso Lo Spaventapasseri. Saranno selezionati 3 racconti. Il 1° classificato sarà pubblicato sul sito di Officina Letteraria e sulla pagina Facebook de Lo Spaventapasseri. Sarà inoltre premiato con una tessera per 5 Sabati di laboratorio a Officina Letteraria e con un abito de Lo Spaventapasseri a scelta. Il 2° classificato sarà premiato con una tessera per 3 Sabati in Officina e un golf a scelta de Lo Spaventapasseri Il 3° classificato sarà premiato con una tessera per 2 Sabati in Officina e un accessorio a scelta de Lo Spaventapasseri.
Dedico alle donne, in questa giornata, la riflessione di un uomo, grande scrittore, Giuseppe Pontiggia, tratta dal suo libro “Prima persona” (Mondadori, 2002). Vi si parla in particolare di stupro, della sua infamia, ma vale per ogni violenza. Laura Bosio Ideologia e pratica dello stupro Giuseppe Pontiggia Per frenare l’aumento di diffusione, se non di popolarità, di questa infamia del maschio umano, forse occorrerebbe sottolinearne l’abiezione che manifesta, l’inferiorità che cela, la sconfitta che esprime. Se c’è un gesto in cui l’uomo annienta nel loro contrario tutte le qualità di cui si è tradizionalmente fatto vanto è proprio la violenza immotivata e impunita contro una innocente indifesa. Forse occorrerebbe insistere sulla viltà dello stupratore, simmetrica alla connivenza inconfessata di certi giudici che erogano pene miti, anziché condanne durissime. Perché tanto riguardo? L’indulgenza, in alcuni casi, è criminale come lo sfregio inferto per sempre alla persona. Bisognerebbe togliere al gesto ogni alibi psicologico che pure, in modi trasversali, evidentemente sussiste. L’indulgenza, in alcuni casi, è criminale come lo sfregio inferto per sempre alla persona. Bisognerebbe togliere al gesto ogni alibi psicologico che pure, in modi trasversali, evidentemente sussiste. Io credo non tanto alla efficacia dello sdegno, che spesso si compiace di sé, quanto a un movimento di idee cui tutti – dalla scuola alla chiesa, dalla stampa allo spettacolo – diano un contributo per coprire di disprezzo lo stupro. E i comici potrebbero coprire di ridicolo chi vede in quell’atto una affermazione di sé. Sappiamo che l’appello etico viene talora degradato a moralistico per poterlo ignorare. Ma lo scherno e l’irrisione hanno radici più profonde nella psiche. Contro l’ingiuria si può combattere, ma contro il disprezzo e il ridicolo no. Causano ferite che non si cicatrizzano. È su questa nevralgia della interiorità che occorre agire. Essenziale è negare allo stupro quella complicità occulta che ancora suscita presso molti uomini e restituirlo alla sua natura miserabile.
Sulla condanna alla violenza contro la donna: una riflessione di Elena Mearini. Ormai, venire a conoscenza dei molteplici atti di violenza inflitti alle donne, non è più sufficiente, e dovrebbe non esserlo mai stato. Occorre assumere in sé tutto il non senso di un’ingiustizia che ancora trova uno spunto per esistere. Occorre farsi personalmente carico di una piaga che va definitivamente debellata, una piaga opposta e contraria al segno di sacrificio e santità. Una piaga d’intollerabile dolore e inammissibile follia. In quanto donna, mi trovo invasa da una volontà feroce di scendere per le strade e gridare un Viva a tutto il femminile che marca il mondo. Bisogna unirsi in uno sforzo corale capace di spaccare i vetri della paura. Uno squarciagola così potente da perforare tutte quelle sordità che portano all’indifferenza. Fuori le voci, dunque. Bisogna unirsi in uno sforzo corale capace di spaccare i vetri della paura Perché il silenzio non è altro che consenso alla mano dell’ennesimo uomo che colpisce l’ennesima donna. Pene più severe, Arresto per stalking, Vittima informata sull’iter giudiziario, Querela irrevocabile, Aggravanti per coniuge e compagno anche non conviventi. Questi, alcuni dei punti chiave della nuova legge contro il femminicidio e la violenza di genere. A leggerli, viene da chiedersi il perché non siano stati considerati ed applicati fino ad ora. A leggerli, nasce indignazione e sconforto di fronte a una giustizia colpevole di un ritardo che non ammette giustifica. A leggerli, dobbiamo indignarci di fronte ai Meno male, Era ora, Finalmente. Indignarci affinché in ognuno di noi sorga irrinunciabile la domanda “Dove siamo stati fino a questo momento?”. La società (ossia il Noi che dovremmo essere) non può più permettersi di stare sempre un poco più in là di una vita maltrattata.
“Limite” di Emilia Marasco. Una parola per una giornata: LIMITE. Limite, confine, barriera. Limite insuperabile, invalicabile, punto oltre il quale non… Il limite alla violenza fisica e psicologica. È ancora necessario interiorizzarlo, ridefinirlo, ricordarlo, spiegarlo, imporlo, perciò la giornata internazionale di lotta alla violenza alle donne, è una giornata simbolo e un promemoria collettivo per questo impegno. Le parole spesso assumono accezioni diverse, si impastano con aggettivi, si modificano secondo il contesto e il punto di vista, il positivo diventa negativo. Il limite è anche la discriminazione, il silenzio, il limite è la paura Il LIMITE è anche la discriminazione, il silenzio, il limite è la paura, il limite è la parete tra noi e il dramma della nostra vicina di casa, il velo di cataratta che ci impedisce di riconoscere segni inequivocabili su un viso o su un corpo, il limite è la sordità che ci impedisce di distinguere un grido d’aiuto. Il limite è la domanda che non facciamo, è il gesto che tratteniamo. La giornata di lotta alla violenza alle donne è anche un momento per ricordare che c’è un limite invalicabile per il quale dobbiamo esigere rispetto, e c’è un limite ambiguo e insidioso che tutti dobbiamo essere in grado di superare con coraggio.
Un bravo scrittore deve scrivere tutti i giorni? Se sì, quante ore bisogna scrivere al giorno? Alzi la mano chi non si è mai posto questa domanda. Proviamo però con questa, più difficile: quante parole bisogna scrivere al giorno? Una cartella sono 1.800 battute, fate voi i conti in base al tempo, alle energie e all’ispirazione che quotidianamente potete dedicare. C’è chi ha trasformato la costanza nella scrittura in un gioco, forse un po’ sadico ma interessante: nel 1999 una ventina di scrittori californiani si sono radunati a San Francisco e si sono impegnati a scrivere, ciascuno, 50.000 parole in un mese. Calcolatrice alla mano, tenendo a mente i pochi dati numerici a disposizione e il fatto che (come ci insegna la filastrocca) 30 giorni ha novembre, significa una media di 1.667 parole al giorno. Da qui è nato NaNoWriMo, acronimo di National Novel Writing Month. Ogni anno, a novembre, scrittori di tutto il mondo si cimentano in questa sfida. Scrivere in un mese una storia di almeno 50.000 parole. Un giorno, un amico trova James Joyce riverso sullo scrittoio, in atteggiamento di profonda disperazione: «James, che cosa c’è che non va? È il lavoro?» James asserì, senza nemmeno alzare la testa. «Quante parole hai scritto oggi?» «Sette» «Sette? Ma James… è ottimo, almeno per te!» «Suppongo di sì, ma non so in che ordine vanno.» Il tema e il genere sono liberi, l’unico requisito è appunto la lunghezza. Chiunque può partecipare: basta iscriversi al sito web di NaNoWriMo e caricare man mano il proprio lavoro su un apposito spazio, che automaticamente produce il conto alla rovescia verso l’obiettivo delle 50.000 parole. NaNoWriMo è l’esperimento ideale per chi ha un romanzo in testa – o comunque un’idea narrativa di un certo spessore – ma per un motivo o l’altro ha sempre rimandato l’inizio della scrittura vera e propria. Ogni anno partecipano circa 200.000 persone, per un totale (dato riferito al 2010) di 2.872.682.109 parole scritte in un mese. L’obiettivo è ambizioso e non c’è tempo per fermarsi a valutare dove mettere la virgola, se quella parola lì è giusta o se la trama regge. Per la qualità della storia ci sarà tempo. Lo scopo di NaNoWriMo è dare valore alla scrittura di pancia, di getto. Non si vince niente, a parte una considerevole dose si soddisfazione personale: chi supera la sfida arriva alle 23:59 del 30 novembre con un romanzo fatto e finito, da revisionare prima di tentare la fortuna della pubblicazione. Dal 2006 a oggi, oltre 100 romanzi NaNoWriMo sono stati pubblicati da case editrici in vari Paesi. Chissà se Bukowski, Roth, Borges e così via ci arrivavano, a scrivere 1.667 parole al giorno.