Cosa succede sabato 19 settembre in piazza della Meridiana

Sabato 19 settembre è uno dei Rolli Days e, di sicuro, in piazza della Meridiana succede che passano centinaia di turisti, e anche di genovesi, con le cartine della città con gli itinerari dei Rolli e la voglia di scoprire i segreti e i tesori della città che si dice Superba. Il montaggio di una storia: Laboratorio gratuito di scrittura creativa in piazza. Sabato 19 settembre in piazza della Meridiana succede che Officina Letteraria invita le persone a inventare storie, a scriverle, a progettare un’illustrazione per la copertina insieme a un disegnatore, infine a leggere la storia in pubblico. È un gioco, una festa, un modo di vivere una passione in compagnia di altri che hanno la stessa passione, del resto questa è la filosofia di Officina Letteraria. Chi deve diventare scrittore lo diventa, ma chi vuol essere scrittore può esserlo in molti modi. Come una catena di montaggio. Succede che ai tavoli ci sono persone di tutti i generi e di tutte le scritture e che tutti si divertono, che, come in una catena di montaggio, passano da un tavolo all’altro e alla fine vanno a casa con una piccola storia in un piccolo libro. Un’edicola per scambiarsi libri. Succede che Officina Letteraria riapre l’edicola al centro della piazza e al posto dei giornali ci mette i libri, libri consigliati dagli scrittori e dagli allievi di Officina Letteraria, libri che si possono prendere a condizione di lasciarne uno in cambio per qualcun altro che se lo prenderà lasciandone uno e così via. Questa pratica è conosciuta ormai come bookcrossing ma, in questo caso, una differenza c’è: il libro non si abbandona, ma si consegna a qualcuno che invita a sceglierne un altro e magari si fanno due chiacchiere sui libri, intorno all’edicola può crearsi un capannello di gente che parla di libri. Anche l’edicola, che è chiusa da un po’ di tempo, si sentirà rinascere e sarà Superba come la città. In piazza della Meridiana, sabato 19: Ester Armanino, Collettivo Linea S, Gregorio Giannotta, Emilia Marasco, Matilde Martinelli, Antonio Paolacci, Stefano Rusca, Stefano Tirasso.

FERRIERA: la storia di un uomo e di una generazione

Il premio Andersen 2015 per il miglior libro a fumetti è stato assegnato FERRIERA (Coconino Press, 2014) di Pia Valentinis, premiata già nel 2002 come miglior illustratore dell’anno con il libro “ Raccontare gli alberi” e nel 2012 per il miglior libro di divulgazione. FERRIERA è la sua prima graphic novel ed è la storia di un uomo, Valentinis Mario, nato a Udine nel 1928, di nazionalità italiana, operaio, attrezzista al laminatoio.

Sogno quindi sono. Personale di Cinzia Ratto.

Lo spazio del sogno, per abitarlo, non hai bisogno degli occhi. Puoi tenerli chiusi, oppure aperti, puoi lasciare che si incantino senza guardare davvero, lasciarli posare su un ramo invisibile, avanti a destra. Cresceranno case sulla tua testa, spunteranno scale dai tetti per toccare il cielo, mentre un vento leggero mulina in aria pesci, foglie e cucchiaini da tè, a un passo dalle tue orecchie. C’è una donna che afferra una forchetta come fosse un’asta da atleta. Dove la porterà il salto? Sogno quindi sono, si intitola così la personale di Cinzia Ratto, in mostra in Officina dal 14 Maggio. Sogno quindi esisto: non basta il pensiero, sembra suggerirci, è il pensiero fantastico che ci rende vivi la reale esistenza in questo mondo è garantita solo dalla capacità di immaginare mondi altri. Cinzia Ratto è architetto, illustratrice, designer e insegnante, e anche se non la conosco – ci sfioriamo per un attimo in Officina Letteraria e l’attimo dopo è sparita – credo di averla vista in una sua tavola (si dice che a volte gli artisti nascondano ritratti di sé nelle loro opere). L’ho vista in sella a un monociclo, in equilibrio su una fune tesa tra le case come una corda da stendere, sotto i piedi la vertigine. Gli equilibristi sono creature in perenne movimento. Cinzia Ratto ha seguito corsi di illustrazione editoriale a Sarmede, Venezia, Torino, Milano, Macerata, confrontandosi con illustratori diversi. Ha pubblicato principalmente con editori esteri, come Nord Sud, Grimm Press e Templar Publishing. Quando tira forte il vento capita che i suoi personaggi volino via dalle illustrazioni insieme alle arance mature. O che le mongolfiere sollevino le case. O che alcune foglie, se sono leggere al punto giusto, non tocchino più terra e si inseguano in volo, gialle, aprendo nella pagina la terza dimensione. Quando i riquadri delle illustrazioni hanno le porte solo socchiuse, allora i personaggi possono entrare e uscire a loro piacere: è così che li trovi a vagare in mezzo al libro. Chissà che succede a tenere i libri aperti. Il mondo ci è dato in prestito scrive Cinzia parlando di sé, quindi è un luogo da abitare con cura, la cura che si riserva a ciò che si ama. Si può percorrerlo a piedi, in barca a vela, in compagnia di umani e di animali. Si può attraversarlo volando. La vita è sogno, diceva qualcuno. Sogno quindi esisto. Mostra personale di Cinzia Ratto, in Officina Letteraria dal 14 Maggio al 13 Giugno.

Sempreverdi

Resistere Sempreverdi. Nonostante il vento contrario, nonostante la pioggia, anzi nella pioggia e nel vento: crescere sempre nuove foglie. Perché l’ostinazione è la speranza in atto. Jacopo Oliveri. X Si intitola così, Sempreverdi (malgrado la stagione avversa), la mostra collettiva di illustrazione che inaugura sabato 21 Marzo in Officina Letteraria. Mi è venuto da pensare all’illustratore come una pianta Mi spiega Matilde Martinelli, giovane illustratrice e curatrice del progetto: una pianta che non avvizzisce ma che si reinventa, che reagisce alle carenze (non solo economiche, ma anche culturali) conservando, anzi rendendo quasi più fulgido e potente, il contenuto del proprio immaginario Matilde si è laureata all’ISIA di Urbino, dove ha conosciuto la maggior parte degli illustratori in mostra, con i quali ha condiviso una precedente esperienza espositiva in occasione della scorsa edizione dell’Andersen Festival di Sestri Levante. “I vestiti nuovi di H.C.”, la mostra collettiva di allora: per interpretare, ciascuno con la propria personalità, le più celebri fiabe di Andersen. Olga Tranchini. La prima consegna del postino Giulio Questa volta invece non c’è un tema di riferimento, non c’è una regola né percorsi comuni nell’elaborazione che possano essere poi recuperati da chi guarda. Sospensione dell’incredulità, mi viene in mente. Letizia Iannaccone. Desiderio N2 Quella felice espressione che Samuel Taylor Coleridge inventò per descrivere la deliberata astinenza dal dubbio, la volontaria rinuncia a cercare un filo conduttore, una congruenza, quell’incondizionata fede poetica attraverso la quale si riesce a godere di un’opera di fantasia. È con questa fiducia che ci è chiesto di guardare. Giorgia Marras. Wunderland Così la luna ci mostra la sua faccia nascosta, con crateri mai visti prima d’ora, da far sbuffare i precisi. Qualcosa è accaduto: una diversa rotazione, all’improvviso? Che ne sarà delle maree? E delle biglie perdute tra le onde? E del nostro riflesso allo specchio? Uno specchio rotondo, come una biglia di vetro, come la luna, come rotondo è il cerchio. Ma poi che cosa? Cosa cerchi? Matilde Martinelli. Grafite su carta.   La luna, se vuoi, è qui sopra: puoi stringerle la mano. Ti occorrono una scala e uno zainetto-casa dove mettere il cuore. Meglio tenerlo già pronto, il cuore nello zaino, perché quando la luna ti invita bisogna partire subito: Senz’attesa. Daniele Nitti. Tecnica mista. Daniele Nitti. Senz’attesa Aspetta! Lascia che ti dica, poi ti dirò io, ed io. Non vorrò fare di testa mia anche questa volta? Sono una, siamo quattro. Valentina Lorizzo. Stampa su carta. Valentina Lorizzo. Sono una, siamo quattro Adattarsi? si può? Quattro mura di griglia sono una gabbia per chiunque. Come vedi ho messo una cresta conforme, l’ho ridimensionata, le ho smussato gli angoli perché fosse perfetta per i fori di questa prigione: del tutto adatta. Silvia Venturi. OH, Rapidograph + tecnica digitale. Silvia Venturi. OH, Se non stiamo attenti, con le correnti che corrono, finirà che al luna park, al posto dei pesci rossi, nelle bocce di vetro ci saranno le sirene. Così, centrando uno di quei vasi tondi pieni d’acqua, ogni bambino potrà vincere la sua sirena e portarsela a casa in un sacchetto di plastica gonfio d’acqua e di malinconia. Correnti. Ste Tirasso. Tecnica mista. Ste Tirasso. Correnti Alla deriva, un piccolo naviglio in una grande porzione di mondo. Misura la sua traiettoria, si da una direzione, ma più di tutto cerca di fare piano, di diminuire il suo disturbo nel mondo. Sia mai che da questi blocchi di ghiaccio, maestosi e perfetti, si sveglino a un tratto giganti contro i quali nulla si può… Silenzioso. Senza meta. Un piccolo naviglio. Luca Tagliafico. Tecnica mista. Luca Tagliafico. Un piccolo naviglio In mostra: Letizia Iannaccone, Valentina Lorizzo, Giorgia Marras, Matilde Martinelli, Daniele Nitti, Jacopo Oliveri, Luca Tagliafico, Ste Tirasso, Olga Tranchini, Silvia Venturi, Arianna Zuppello. Sempreverdi (nonostante la stagione avversa). In Officina Letteraria, sabato 21, ore 18.00. In occasione della mostra, laboratorio Ping Pong – La semantica del rimando, a cura di Silvia Venturi e Matilde Martinelli, per indagare le possibilità espressive insite nel rapporto tra parola e immagine. Sabato 18 e domenica 19 Aprile, presso Officina Letteraria. Per informazioni: info@officinaletteraria.com    

Ho il piacere di leggere per voi

“Ho il piacere di leggere per voi stasera”, così Charles Dickens introduceva i suoi Readings in giro per l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Leggeva a teatro, ma anche in contesti meno formali come i circoli culturali, a partire dagli anni ’50 dell’Ottocento e fino alla fine della sua vita. Premesso che queste performances gli fruttavano più denaro di quanto ne ricavasse dalla pubblicazione dei libri, è indubbio che Dickens traesse molto piacere dalle sue letture ad alta voce, vere e proprie interpretazioni di alcune parti dei suoi romanzi, da lui riadattate per il teatro. E il pubblico rispondeva con entusiasmo. Perché questo bisogno di ritrovare la voce che sta dietro la parola scritta, di recuperarne il suono?Lo chiedo ad Aldo Viganò, critico cinematografico e teatrale, curatore de Le Grandi Parole, gli appuntamenti con la lettura di grandi autori che il Teatro Stabile di Genova propone ormai da molti anni. La dimensione orale appartiene all’essere umano mi risponde, e anche considerando che ai tempi di Dickens l’analfabetismo era una realtà diffusa, il fascino della “parola detta” resta intatto, trasversale ai secoli e agli strumenti culturali. “L’attore” continua Aldo Viganò “offre sempre una chiave di lettura” anche quando il testo è annotato, come nel caso di Dickens, anche quando l’autore ha segnato sulla carta le parole cui voleva dare maggior risalto, i punti in cui la voce si alzava, forse, o si faceva più incisiva. All’attore è riservata l’interpretazione: si sceglie un registro, un’intonazione, tra le diverse possibilità lasciate aperte dalla parola scritta. Charles Dickens si serviva di una scenografia, se così può essere definita, molto scarna. Aldo Viganò mi racconta che quando è stato a Londra a visitare la casa dell’autore, nella stanza dedicata ai Readings ha potuto vedere il piccolo tavolino che Dickens era solito portarsi a teatro e il frac che indossava per le letture. Sul palco del Teatro della Corte si recupera questa scenografia minima, mi spiega, e si lascia pieno spazio alla “dimensione teatrale della parola”. I prossimi appuntamenti saranno il 16 Febbraio con i testi tratti da Il Circolo Pickwick e Oliver Twist, letti da Eros Pagni e introdotti da Melania Mazzucco, e il 23 Febbraio con Dombey e figlio, interpretato da Massimo Popolizio con l’introduzione di Giorgio Bertone.Il filo rosso che lega letteratura e teatro, e tutte le nostre chiacchiere fino a qui, mi fa esprimere ad alta voce una curiosità. Ho letto un’intervista di molti anni fa in cui Aldo Viganò, parlando della nuova drammaturgia, sosteneva che il vero problema è la riluttanza del pubblico a provare interesse per ciò che è nuovo. Chiedo, è ancora così? Perché? Lo stesso discorso pensa si possa applicare anche alla letteratura? “Credo che questo giudizio sia estensibile, soprattutto per quanto riguarda il teatro e soprattutto in Italia”. Le persone preposte all’insegnamento hanno una responsabilità in questo senso, perché tradizionalmente e con poche eccezioni nel nostro Paese il classico è bello, il contemporaneo crea sovente diffidenza. Ma il teatro è sempre stato contemporaneo, continua Viganò, “lo scrivere e il rappresentare erano coincidenti”, erano e sono state per molto tempo descrizioni contigue della realtà presente. Qualcosa di simile accade anche in letteratura e “questo fatto appartiene al problema della diffidenza”, ancora una volta. Tra le intenzioni che hanno promosso l’iniziativa Le Grandi Parole c’è anche questa: offrire al pubblico qualcosa di nuovo, contribuendo a quell’operazione ardua ma doverosa che è la demolizione della diffidenza. “Non rassegnamoci a diventare come l’opera lirica!” stigmatizza con un sorriso.E i nuovi cantastorie, chi sono? chiedo. I cantastorie stanno scomparendo, ma forse al loro posto ci sono i grandi attori di monologhi come Paolini, Celestini, Petruzzelli. Anche loro, come i cantastorie, lavorano per migliorare la conoscenza”. Ma si tratta più spesso di cantori di cronaca, e Viganò vorrebbe ci fosse spazio anche per il mito. Una nuova mitologia, contemporanea, che sappia parlare di oggi nell’oggi. E dall’altra parte del palco (e anche fuori dai teatri, per le strade) il contrario della diffidenza: se non addirittura la fiducia, almeno la curiosità. Grazie ad Aldo Viganò per la piacevolissima chiacchierata.

Closer. Personale di Annalisa Pisoni Cimelli

Pelle. È chiaro al primo sguardo. Non perché l’informazione dai tuoi occhi sia arrivata al cervello, non perché la vista ti abbia realmente informato di qualcosa, niente di tutto questo. Perché si sente e basta, perché la tua carne ha riconosciuto la carne. È un tocco, è conoscenza preverbale. Guardiamoci, sembrano dire. Facciamolo da vicino. Annalisa arriva al nostro appuntamento un po’ trafelata, come avesse fatto la strada di corsa. È lei a riconoscermi per prima. Ci sediamo a un tavolino all’aperto – sono una fumatrice incallita, mi informa – e incominciamo a chiacchierare. Che cosa voglio sapere? Non so. Le curiosità sono tante dopo aver curiosato nel suo sito, ma ogni domanda mi sembra invadente: la lascio parlare. E Annalisa mi racconta di Ettore (ti faccio un esempio, mi dice). C’è un passo dell’Iliade in cui Ettore viene colpito con la lancia da Achille. Ettore è protetto dalla sua armatura, è quasi invulnerabile. Quasi: “…vi era una fessura dove le clavicole dividono le spalle dalla gola e dal collo, e quello è un punto di rapida morte. Qui Achille lo colpì…”. C’è un varco in quell’esoscheletro di bronzo, una fessura che scopre una piccola porzione di pelle. La lancia affonda in quel punto esatto, mi è sembrato di sentire il dolore qui, indica, per molto tempo. Le persone non amano essere guardate da vicino, ma io ne sento l’esigenza. Osservo la mia pelle, quella degli altri, fino a distinguerne i pori Fino a vederci attraverso, penso io, fino a che le pieghe di una mano, le pieghe di pelle di un pugno chiuso, diventano (o tornano ad essere?) un paesaggio che si può abitare. E in quelle cavità che spingono gli occhi nel profondo, risuonano echi di voci perdute, di una vita intrauterina, forse, di cui abbiamo perso il ricordo cosciente, ma non la memoria. Perché la memoria è nel corpo. La memoria è il corpo. Guardiamoci. Facciamolo da vicino. Che cosa sappiamo di noi? Annalisa lavora con la tecnica dell’olio su tela, ci impiega moltissimo a fare un quadro, bisogna aspettare che il colore asciughi per metterne un altro, mi spiega. Utilizza anche fotografia e video, talvolta indagando lo stesso soggetto attraverso tutti questi linguaggi. Mi dicono che faccio troppo, ma capita che una tecnica sia lo studio per un’altra. A volte sono necessari molti linguaggi per dire compiutamente qualcosa. Nella mia testa si formano le parole: cantiere di un corpo. Parliamo della body art, che ha affascinato Annalisa, ma sarebbe volgare adesso, dice. Nel mio lavoro il corpo è mostrato per quello che è, come a dire che non c’è bisogno di un intervento, di una sovrapposizione di segni, perché sia portatore di senso. Lo si può mostrare così, con fascinazione e rispetto. Guardiamoci, facciamolo da vicino, sembrano suggerire. Guardo e recupero il mistero della prima ferita, risento sapore di sangue (pelle graffiata, sbucciata, pelle cambiata milioni di volte). Recupero la memoria prima, del primo contatto (labbra premute, un dito nell’ombelico, un pollice che esplora una bocca tutta nuova). La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo, l’unico organo di senso di cui non possiamo fare a meno (mani sul viso, fai piano, mani che ti insegnano a dosare le carezze). Senza pelle non possiamo sopravvivere. Ci protegge, ci espone. Avviciniamo lo sguardo. Non cerchiamo di indovinare, di interpretare. Lasciamoci sentire, abbandoniamo a terra le parole: è stato allora, quando ancora non avevamo un nome per tutte le cose, che ne abbiamo fatto esperienza. Con il tatto, e da vicino. Closer. Closer, di Annalisa Pisoni Cimelli. Presso Officina Letteraria, dal 6 Dicembre al 24 Gennaio  

Michela Murgia a Genovalegge: la scrittura è un atto politico!

Venerdì sera la sala del Minor Consiglio è gremita, nonostante dalle 21:00 sia scattata l’allerta 2, a quell’ora, però, dal cielo arriva solo una pioggerellina leggera. La speranza è che non piova, che non accada nulla,  nessuno si sarebbe aspettato che il giorno dopo, sabato, tutta la Liguria sarebbe stata travolta dalle acque; che i fiumi, i torrenti, e i rivi si sarebbero ingrossati tanto da invadere strade, seminterrati, auto, i primi piani delle case; che la terra sarebbe franata sotto i nostri piedi senza risparmiare le cose di vivi e quelle dei morti. Venerdì siamo ancora tutti speranzosi che l’allerta sia una cautela eccessiva delle amministrazioni comunali impaurite, e così, seduti sulle sedie di plastica grigia e infagottati nei nostri soprabiti, con gli ombrelli gocciolanti ai nostri piedi, aspettiamo Michela Murgia, che con il suo intervento ha aperto Genovalegge. Siamo un po’ in ritardo, le 21:00 sono passate da un pezzo, la gente si guarda intorno in attesa, lo faccio anche io, riconosco qualche volto, altri visi mi dicono qualcosa, ma non saprei associarvi un nome, i volontari di Emergency fanno la spola tra il banchetto fuori la Sala e l’interno, aspettano Cecilia. Cecilia è Cecilia Strada, la figlia di Gino, che, mentre noi preghiamo che non piova, sta in Africa, e se la vede con l’Ebola, sarà lei a presentare Michela. Michela e Cecilia entrano di lato, ci metto un po’ a riconoscerle, anche se di spalle, Cecilia non potrebbe non dirsi figlia di suo padre, stesse spalle, stessa andatura, un po’ più curva quella del fondatore di Emergency, stesso taglio di capelli, e altissima. Al tavolo, con davanti i loro nomi, controllano i microfoni, un applauso le saluta. Si inizia: un’ora di incontro che vola via, io prendo il mio taccuino e inizio a scrivere. Okay, di che parliamo stasera? Chiede Madame Emergency, come Michela chiama Cecilia. Parliamo della scrittura e della responsabilità dello scrittore, risponde Michela, e aggiunge subito, scrivere è un atto politico. Niente trivial literature, niente letteratura d’intrattenimento, questa sera non si scherza, la scrittura è una cosa seria. scrivere è un atto politico. Niente trivial literature, niente letteratura d’intrattenimento, questa sera non si scherza, la scrittura è una cosa seria. E si parte, si parte dall’inizio, si parte da Il mondo deve sapere, il primo romanzo di Michela Murgia. Cosa è stato Il mondo deve sapere? Domanda Cecilia. Michela si sistema la sciarpa viola e attacca a parlare. È stato lo scatto del topo, dice. Sapete come si prende il topo? Forse, no, a stare in città, forse non lo sapete. Per prendere un topo, bisogna stancarlo, se non è stanco non si fa mica prendere, allora bisogna munirsi di una scopa, e iniziare a batterla sul pavimento. Aspettate, non state ancora cercando di ucciderlo, volete solo stancarlo, non abbiate fretta, toc, toc, toc, e il topino corre, corre e corre, e il suo cuore batte sempre più forte. Il povero animaletto sarà sempre più stanco e voi, allora, potrete braccarlo, stringerlo, metterlo all’angolo. Non ha più scampo. Voi siete lì, grandi e grossi, con una scopa in mano, e il topino è piccolo, piccolo, minuscolo e non può difendersi, ma sapete cosa farà? Provate a immaginarlo. Se state pensando che si arrenda, che si consegnerà al vostro bastone, vi sbagliate; vi sbagliate di grosso, il topino farà un balzo, uno scatto in avanti, un ultimo tentativo di sopravvivere. Vi attaccherà con uno scatto in avanti. Lo scatto del topo. Ecco, dice Michela, scrivere “Il mondo deve sapere” è stato questo,  lo scatto del topo. scrivere “Il mondo deve sapere”è stato questo,  lo scatto del topo. Non potevo fare altro. Ho iniziato a raccontare in un blog quello che accadeva a me e ad altre trecento donne che lavoravano otto ore al giorno, per circa duecentocinquanta euro, in un call center della Barbagia. Poi dal blog, è nato un libro, voluto da un piccolo editore, un libro che è andato bene, e dal libro il film, “Tutta la vita davanti” di Virzì, e il topo sì è salvato questa volta. Il call center ha chiuso e i proprietari sono stati denunciati. Ma ricordatevi la scopa non cade mai del tutto, e il topo deve continuare a raccontare per provare a sopravvivere e restare libero. Questo racconta Michela Murgia, lo racconta con lucidità, con semplicità, con un coraggio che le invidio, scrivere è un atto politico, ripete, il romanzo ha un potere che il saggio non ha, ha il potere di permeare l’immaginario delle persone, di modificarlo e di incidere, in ultimo, sulla realtà. Di cambiarla. Chi ha un talento narrativo ha una grande responsabilità, e deve avere un etica, non c’è scampo. E ricorda come Dio nella Genesi abbia creato l’universo parlando, e anche Giovanni, nell’incipit del suo Vangelo, ci dice che in principio c’era il Logos, c’era il Verbo. Quindi attenti a depotenziare la narrazione, a pensare che non sia importante raccontare una storia, o che ci siano storie che possano essere messe in un angolo e dimenticate. E qui Michela si rivolge a Cecilia, e la guerra? La guerra come si racconta? Cecilia dice che è difficile, difficile trovare le parole adatte per descrivere quel che accade davvero;  i giornali, le testate maggiori hanno ingentilito il linguaggio, e così il bombardamento non è più tale, ma diventa operazione aerea di supporto ravvicinato che disturba meno le nostre coscienze e la nostra  digestione, e le guerre diventano operazioni umanitarie e le vittime sono un po’ meno vittime, e noi, nel nostro silenzio – del resto che potremmo mai fare da qui, dal salotto di casa? – , un po’ meno colpevoli. È la definizione di guerra di un chirurgo di Emergency quella che piace di più a Cecilia, che rende meglio l’idea di cosa sia la guerra. La guerra è odore di sangue, merda e carne bruciata. Sangue, merda e carne bruciata. Come cambia le narrazione, vero? La guerra è odore di sangue, merda e carne bruciata. Sangue, merda e carne bruciata. Come

Genovalegge: 10 giorni di eventi

Un calendario ricchissimo, quello proposto dalla rassegna Genovalegge per i prossimi dieci giorni (dal 14 al 24 novembre 2014). Officina prenderà parte alla manifestazione con il laboratorio gratuito Scrivo dunque leggo, sabato 15 novembre a Palazzo Ducale. Genovalegge nasce dall’unione di due rassegne distinte: L’altra metà del libro (festival giunto alla terza edizione, a cura di Alberto Manguel e organizzato da Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, dal Comune di Genova e dal Centro Primo Levi) e La notte degli scrittori (Teatro dell’Archivolto, Giulio Einaudi Editore). Gli eventi della rassegna avranno luogo principalmente tra il Palazzo Ducale e il Teatro dell’Archivolto, con alcuni incontri anche alla Biblioteca De Amicis e al Liceo Classico Mazzini. Gli eventi della rassegna avranno luogo principalmente tra il Palazzo Ducale e il Teatro dell’Archivolto, con alcuni incontri anche alla Biblioteca De Amicis e al Liceo Classico Mazzini. Il calendario completo è disponibile a questo link: dieci giorni di appuntamenti fittissimi, da mattino a sera, con prestigiosi ospiti nazionali e internazionali.  Venerdì “apre le danze” a Palazzo Ducale l’intellettuale Franco Ferrarotti, seguito dalla scrittrice e vincitrice del Premio Campiello Michela Murgia. Sabato ben cinque appuntamenti letterari, tra cui alle 21:00 l’apprezzatissimo scrittore inglese Jonathan Coe, a Genova per presentare il suo nuovo libro “Expo 58”. Domenica mattina il primo ospite è Juan Gabriel Vàsquez, seguito alle 15:00 da Sara Rattaro (per Officina “Maestra” del laboratorio di II livello “I ferri del mestiere”). Dalle 16:30 Daria Bignardi presenterà il suo nuovo romanzo, “L’amore che ti meriti”, mentre alle 18:00 ci sarà l’attesissimo incontro col premio Pulitzer Michael Cunningham. Dopo gli appuntamenti di martedì e giovedì con Mauro Corona e Alessandro D’Avenia, venerdì 21 avrà luogo la rassegna “La notte degli scrittori”, che tra gli altri ospiti prevede Paolo Giordano e Carlo Lucarelli. Sabato 22 e lunedì 24 chiuderanno la rassegna Emma Dante e David Grossman, con il suo ultimo libro “Applausi a scena vuota”. In calendario sono previsti anche una serie di incontri sulla didattica e sulla letteratura per l’infanzia, e approfondimenti per genitori e insegnanti, oltre a un ciclo di incontri dedicati al poeta Edoardo Sanguineti.

Gregorio Giannotta in Officina (e una balena nel cielo)

Capita di incontrarla quando il cielo è rosso. Le case, in basso, hanno lo stesso colore del cielo, e la balena bianca – eccola, enorme, la vedi? –  nuota nell’aria lasciando come una scia d’aeroplano: ma sono le ciminiere e i comignoli della città che ha sul dorso, a fumare quel fumo sottile. A volte invece si muovono in gruppo, lo intuisci da una pinna che spunta a bordo quadro, o forse è un’unica balena che ha messo davanti la coda, che ha detto, aspetta, prima di muovermi tutta, mando avanti una pinna in esplorazione. eccola, enorme, la vedi? –  nuota nell’aria lasciando come una scia d’aeroplano Prima la coda poi il capo, prima il carro, prima la matassa. Prima i cetacei o le città? La verità è che questo – il nostro? – è un mondo di contraddizioni, di compresenze, in cui i fumi urbani si mischiano ai fumetti, in cui i sogni, alati, natanti, galleggiano nell’aria come mongolfiere: non dirigibili, non prevedibili. Ancora, e sempre. Gregorio Giannotta vive e lavora qui, a Genova. Si è diplomato all’Accademia Ligustica di Belle Arti e se siete curiosi di conoscere i suoi lavori, scoprirete che ha fatto di tutto: illustrazioni, disegni, quadri, animazione… Nel 2006, insieme a Paola Rando, ha aperto  “AnimArs”, un atelier situato nel cuore del centro storico genovese, dove potete vedere rinoceronti cannone, navi con le gambe, leviatani che sorvegliano le città o soltanto le sovrastano, che guardano il mondo dall’alto e al contempo lo portano sulla testa.  i sogni, alati, natanti, galleggiano nell’aria come mongolfiere: non dirigibili, non prevedibili Come si traccia la mappa di un mondo così? Che cos’è Atlante? C’è un omino con i baffi lunghissimi, orizzontali, a cui forse si può chiedere. Compare e riappare, ma non sappiamo se dica il vero: i suoi occhi sono nascosti dietro un paio di occhiali rotondi, e quei baffi, che per primi sfuggono alla forza di gravità, sembrano promettere più ironia che competenza sulle cose del mondo. Come si traccia la mappa di un mondo così? Che cos’è Atlante? Che cos’è Atlante? C’è una mano che disegna un tratteggio, ci sono monti che sembrano giganti svenuti per terra. Di nuovo l’omino baffuto, di profilo (assomiglia, assomiglia a qualcuno…) che guarda lontano e sembra suggerire: Atlante è ciò che puoi disegnare del mondo. Non un tentativo d’ordine, sembra dire, non una necessità di controllo: piuttosto il desiderio di tracciare strade per l’ognidove. Atlante, mostra personale di Gregorio Giannotta, in Officina Letteraria dall’8 al 29 novembre.

Leggere uno spettacolo: incontri con Giorgio Gallione

È partita poco più di una settimana fa la stagione teatrale 2014 /2015 al Teatro dell’Archivolto. Ad aprirla Neri Marcorè e la Banda Osiris con lo spettacolo Beatles Submarine, testi e regia di Giorgio Gallione. Non un tributo ai quattro di Liverpool, ma uno spettacolo surreale e visionario che “costringe” lo spettatore a salire sul sottomarino giallo insieme a Paul, John, Ringo e George che a distanza di cinquant’anni sembra non abbiano mai smesso di suonare. “Paul, John, Ringo e George che a distanza di cinquant’anni sembra non abbiano mai smesso di suonare.” Le musiche, interpretate e rivisitate dalla Banda Osiris, si alternano a brevi monologhi durante i quali Neri Marcorè, nella doppia veste di cantante e attore, racconta la storia degli “scarafaggi”, dalla prima ospitata televisiva alla morte per mano di Mark David Chapman di John Lennon. E poi ancora la beatlesmania, le poesie di Paul McCartney, i racconti di Lennon, e le pagine di Alice di Lewis Carrol. Beatles submarine mi ha divertito ed emozionato, mi ha fatto cantare e mi ha lasciato con un po’ di nostalgia per non aver vissuto l’epoca dei Fab Four. Al termine dello spettacolo una sorpresa per gli spettatori, che si ripeterà per tutte e cinque le produzioni dell’Archivolto. Una volta calato il sipario il pubblico potrà fermarsi in sala e incontrare Giorgio Gallione, che racconterà come nasce uno spettacolo, dall’idea alla versione definitiva,  e che risponderà alle domande e alla curiosità dei presenti. Leggere uno spettacolo è un modo per avvicinare il teatro agli spettatori, creando una via privilegiata di comunicazione, per me è stato un modo per appropriarmi ancora di più dello spettacolo che avevo appena visto, cogliendo dettagli e sfumature che avevo trascurato. Da ripetere.

Non sparate allo scrittore: gara di racconti

Un tema portante, tre parole in gara. Tre squadre di scrittori per nove brani raccontati ad alta voce. Uno scrittore (o scrittrice) genovese che gioca con loro. Un musicista che esalta le atmosfere. Una giuria popolare formata da tutto il pubblico che vota. Un’antologia visiva di reading e musica per una serata intrigante dove la scrittura è gioco. Da ottobre a dicembre 2014 Officina Letteraria partecipa a Non sparate allo scrittore!, un contest di racconti brevi e musica che si terrà presso il Count Basie Jazz Club di Genova ed è stata ideata e organizzata da un gruppo di ex allievi dei nostri laboratori di scrittura. La rassegna, ideata da Elisa Traverso in collaborazione con il Collettivo Linea S, è articolata in tre appuntamenti: per ogni serata è stato scelto un tema e tre parole, intorno alle quali si sfideranno tre squadre di scrittori, ciascuna capitanata da un membro del Collettivo Linea S. A coronare la serata saranno uno “scrittore guest star”, scelto tra i Maestri di Officina, e un accompagnamento musicale. Programma di Non sparate allo scrittore! Domenica 26 ottobre ore 21 “NON LA SOLITA MUSICA” Parole in gara: #CORI #CORDE #ACCORDI Guest Sara Rattaro, musica con Stefano Ronchi Domenica 30 novembre ore 21 “MALATTIE ESANTEMATICHE” Parole in gara: # PUNTINI #PRURITI #FEBBRI Guest Barbara Fiorio, musica con Max Vigilante Domenica 28 Dicembre ore 21 “LUOGHI COMUNI” Parole in gara: #CASA #CHIESA #CESSO* Guest Bruno Morchio, musica con Max Vigilante. L’ingresso alle serate è libero con tessera ARCI.

Via allo SugarCon 2014

È cominciata ufficialmente oggi (nonostante alcune delle iniziative fossero state già presentate nei giorni scorsi) la quarta edizione del Festival Sugarpulp di Padova (da quest’anno Sugarcon). Ho assistito purtroppo solo alla prima edizione del festival, nel 2011: c’ero capitata – e lo ammetto senza pudore – per ascoltare e guardare con occhi adoranti Joe Lansdale, uno dei miei scrittori preferiti. Il mio tenero cuore da fangirl in quell’occasione mi ha portato a scoprire con gioia e meraviglia una delle realtà più dinamiche, interessanti e innovative che ci ritroviamo sul territorio nazionale: l’associazione culturale Sugarpulp. …una delle realtà più dinamiche, interessanti e innovative che ci ritroviamo sul territorio nazionale: l’associazione culturale Sugarpulp… Nata nel gennaio del 2011 dalla mente di Giacomo Brunoro e Matteo Strukul (autore del recente e bellissimo La giostra dei fiori spezzati, Mondadori) l’associazione cura oggi sia la rivista Sugarpulp Magazine che il festival SugarCon e si occupa di promozione culturale, letteratura di genere, scoperta o “importazione” di nuove voci, cinema e fumetti. Il festival SugarCon (che andrà avanti a ritmi serratissimi fino a domenica 28 settembre) anche quest’anno propone un calendario ricco di appuntamenti e di ospiti internazionali: da Tim Williocks, a Victor Gischler, alla “nostrana” Licia Troisi, e per la sezione Comics tra gli altri Giorgio Cavazzano. Gli eventi (workshop, presentazioni, convegni) si svolgono in varie sedi nel centro di Padova: da Palazzo Zuckermann, allo storico caffè Pedrocchi, al Sottopasso della Stua. Se siete della zona o avete modo di fare… un salto a Padova, vi consiglio di cuore di andare a seguire il festival. Fatelo anche per me, che vi invidierò non poco.   

Al Pozzo, foto di Stefania Boiano

Dal cuore dell’Africa

Sulla mostra fotografica di Stefania Boiano. Il Camerun. Il Camerun è un’isola tranquilla paragonata alle violente regioni vicine. Questa relativa sicurezza porta decine di migliaia di persone in fuga dai conflitti del Congo, del Ciad, della Repubblica Centrafricana e della Nigeria a trovare rifugio in Camerun.  Anche se all’apparenza terra stabile e sicura, in Camerun il 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, rendendo così molto difficile l’aiuto ai rifugiati che cercano di ricostruire le loro vite nella nuova terra. Va anche ricordato che a livello mondiale l’Africa subsahariana è tra le zone più colpite dall’HIV e dall’AIDS con una popolazione infetta che tocca punte superiori al 60%. In particolare in Camerun “la maladie” (come viene chiamato l’AIDS, la “malattia” per antonomasia) riguarda oltre 600.000 persone e ne falcia ogni anno circa 40.000, tra cui molti bambini. Cosa fa CamToMe Onlus. CamToMe Onlus è una piccola ONG di Milano specializzata nell’aiuto ai “più poveri dei poveri”, come senzatetto, carcerati e malati di AIDS, in Camerun, Cambogia e Perù. CamToMe opera in Camerun da circa dieci anni e in particolare dal 2006 è presente a Djamboutou, nella periferia di Garoua, una delle principali città del Nord Camerun, con la forza, determinazione, coraggio e passione di Gabriella Lorenzi,  responsabile di una serie di progetti come: Lotta all’AIDS, Promozione Donna, Dignità&Solidarietà, Senzatetto. Il viaggio. Nel gennaio 2013 un gruppo di medici e infermieri dell’Ospedale San Paolo di Milano partono per organizzare un seminario sull’Aids per gli infermieri di Garoua, in Nord Camerun. A quel gruppo si aggiungono Stefania Boiano e Giuliano Gaia per fotografare e filmare le attività di CamToMe. Quel viaggio di reportage si è subito rivelato un’esperienza umana profonda, di quelle che lasciano una traccia indelebile negli occhi e nello stomaco. Le attività quotidiane di Gabriella e del suo staff camerunese, sono state la porta verso la conoscenza di un mondo duro, crudo, fatto di lotta quotidiana per la vita, per l’essenziale, per le cose più semplici che non possono essere date per scontato: un bicchiere d’acqua, un po’ di latte per un bambino, un’aspirina per una febbre troppo alta… Camminando tra quelle storie, volti, sguardi, cattivi odori e polvere, una cosa è stata subito evidente; nonostante la povertà e la dura lotta per la vita, c’è dignità e fierezza in quegli sguardi, una luce che eleva le loro anime. Tornati in Italia, durante l’editing dei video per CamToMe, è emerso che quei volti avevano una forza tale da poter essere una mostra fotografica, che avrebbe raccontato le attività di CamToMe almeno quanto i video, mostrando i veri protagonisti dei loro progetti: madri educatrici nei villaggi, bambini salvati dall’Aids, uomini dalla ritrovata dignità. La poesia antica dei loro sguardi e dei loro gesti racconta la fierezza di chi pur avendo alle spalle storie drammatiche, non se ne è lasciato piegare: in loro la vita è stata più forte di tutto, e per questo hanno molto da insegnarci. Chi è Stefania Boiano. Stefania Boiano è visual designer, pittrice e fotografa. Grazie alla magica invenzione di Internet riesce ad essere contemporaneamente a Londra dove dirige lo studio di comunicazione digitale InvisibleStudio, ed è assistente di illustrazione al Central Saint Martins, e Milano, dove ha fondato e segue uno spazio dedicato ai giovani artisti, Art in the City, e ha creato dal 2007 Leonardoamilano.com, un progetto di visite guidate ed eventi legati a Leonardo da Vinci. Quando non è impegnata nel teletrasporto tra Milano e Londra, Stefania tenta di cogliere l’essenza della realtà che la circonda con l’acquerello, l’olio o una macchina fotografica. Per contribuire al progetto. Se si vuole contribuire ai progetti di CamToMe, tutte le foto in mostra sono in vendita al prezzo di 40 euro l’una con passpartout. Il ricavato, tolte le spese, andrà interamente al progetto “Lotta all’AIDS” di CamToMe onlus in Nord Camerun.

Un'opera di Guido Zanoletti

Macchine da sogni

Macchine da sogni Di Giulia Cocchella. Immaginate un foglio bianco, poco più grande di una cartolina. Immaginate di disegnare sulla sua superficie una serie di solidi geometrici, ciascuno con le superfici sue proprie, tanto che non è più possibile, a un certo punto, distinguere se ciò che state immaginando è a due o tre dimensioni. Ora fate un piccolo taglio e aprite una porta nel foglio (sì, una porta). La porta si spalanca su uno spazio che prima non potevate vedere, che prima non c’era. E ha inizio la storia. “La porta si spalanca su uno spazio che prima non potevate vedere, che prima non c’era. E ha inizio la storia.” Nascono così i Teatri di Guido Zanoletti, come un’evoluzione, un ampliamento delle sue opere geometriche. Guido, oltre alla carta, utilizza la fotografia, rielaborata, il legno in tavolette sottili per costruire lo spazio scenico e in fogli sottilissimi per sostenere gli astanti. Il risultato sono dei microcosmi, ciascuno con una storia fatta di ricordi di viaggio, momenti tra amici, scene di film, scatti rubati su un treno o all’inaugurazione di una mostra, accostati tra loro, racconta l’artista, quasi senza pensare. Eppure da questa assenza di intenzione iniziale nasce un senso, uno e centomila, uno per ogni persona che guarda e si lascia cadere in questi mondi, pervasi di inquietudine ma anche di ironia. I Teatri (ciascuna tavola chiusa in una busta di plastica) sono quasi come i mattoni in casa Zanoletti, la occupano, la strutturano, tanto che a portarne via qualcuno per metterlo in mostra hai paura di toccare la chiave di volta. Sono impilati l’uno sull’altro a formare colonne, a occupare tavoli, a seguire il profilo dei muri: pagine tridimensionali di diario, ma un diario collettivo, universale, mai soltanto personale. Un diario che scrive ogni giorno, mi racconta la moglie dell’artista, o meglio ogni sera, quando a fine giornata Guido si mette al tavolo a lavorare al suo Teatro quotidiano. Mentre le guardo, e le guardo ancora, penso che queste opere funzionano come macchine di sogni, perché generano storie utilizzando simboli, associazioni inconsce, perché come nei sogni tutto è possibile, persino sedersi al bar con noi stessi. “Queste opere funzionano come macchine di sogni, perché generano storie utilizzando simboli, associazioni inconsce” Ci sono anche dei personaggi ricorrenti, li riconosco da una tavola all’altra: chi sono? Come mai a loro è lecito spostarsi tra i teatri? A volte sono solo ombre identiche, che abitano spazi diversi. Uscita dall’ultimo Teatro, risalita in superficie dal punto di fuga sino al primo piano, chiudo la porta di carta alle mie spalle. Scompaiono tutti gli astanti (li sento ancora parlare là dietro, ma non li vedo più). Rimane davanti a me un foglio la cui superficie è perturbata dal disegno di un cubo che sembra venir fuori. Poi nemmeno più quello: resta il foglio bianco, poco più grande di una cartolina. — Leggi anche “Di cosa siamo fatti”, l’articolo di Emilia Marasco sulla poetica di Guido Zanoletti. Vai all’evento sull’inaugurazione della mostra dedicata all’opera di Zanoletti.

Un'opera di Guido Zanoletti

Di cosa siamo fatti

Di cosa siamo fatti. Emilia Marasco sulla mostra di Guido Zanoletti. Siamo fatti di molte cose. Siamo fatti degli spazi che abbiamo attraversato, dei libri che abbiamo letto, dei film che abbiamo visto, siamo fatti delle persone che abbiamo incontrato, compagni di viaggio o figure intraviste, corpi solo sfiorati, siamo fatti dei fantasmi che popolano i nostri sogni e dei personaggi che animano i palcoscenici delle storie che non abbiamo agito ma che, lo stesso, ci appartengono. George Perec scrisse il suo “Je me souviens” nel tentativo di comporre un elenco di ricordi comuni “Se non a tutti perlomeno a molti”. Anche Guido Zanoletti attinge a un serbatoio di ricordi fissati nella memoria e a un bagaglio di appunti visivi fissati con la macchina fotografica. A distanza di tempo assegna una nuova vita a spazi e personaggi – perfino a se stesso – una nuova possibilità e offre a chi si avvicina ai suoi teatri piani diversi di lettura e di interpretazione. “Ogni immagine è una sequenza di un interminabile storyboard, un film lungo come il filo della vita” Ogni immagine è una sequenza di un interminabile storyboard, un film lungo come il filo della vita, i personaggi entrano ed escono di scena, attraversano spazi diversi portando con sé l’enigma e l’ineludibile solitudine dell’esistenza, per questo li riconosciamo e ci riconosciamo in loro, anche se hanno il cappello, il bavero alzato, anche se sono di spalle o sembrano lontani. Guido Zanoletti è fatto di prospettive e geometrie, è fatto dell’arte di Hopper, di Tooker, di Hockney, è fatto di Oriente e Occidente, è fatto degli spazi industriali nelle periferie delle grandi metropoli e del teatro di Ionesco, di noir francese e di western americano, di treni nella notte e di Biennali di Venezia, di situazionismo e di narrative art, è fatto degli spazi dell’Accademia di Belle Arti dove ha dedicato una parte della sua vita a insegnare a tanti giovani la responsabilità e la libertà di essere artisti. — Vai all’inaugurazione della mostra dedicata all’opera di Guido Zanoletti.