I laboratori di Officina Letteraria riprendono in forma nomade e site-specific. Incominciamo con un ciclo di tre workshop da ottobre a dicembre 2021 e riprenderemo, nel 2022, con un altro ciclo da febbraio ad aprile. Scrivere è spaziare. Tre incontri, tre spazi della città, tre ambienti narrativi diversi. Il Seme del racconto / Alle serre / Sabato 16 Ottobre; La prospettiva di una storia / DaEscher / Sabato 13 Novembre; Incontrare i personaggi / Alla Tosse / Sabato 11 Dicebre. Autunno 2021: Il seme del racconto. Workshop di scrittura alle serre di San Nicola / in collaborazione con Alle Ortiche APS. Scriveremo in una serra. Una storia parte da un seme proprio come una pianta. I semi sono immagini, ricordi, parole, fantasie che germogliano dentro di noi. Alcuni non sopravvivono, sono troppo deboli, ma quelli che resistono danno vita a piante che devono respirare, svilupparsi organicamente, crescere. Parleremo di come coltivare l’immaginazione, progetteremo il nostro giardino delle storie. Un laboratorio adatto a chi comincia e a chi vuole riprendere a scrivere, a chi cerca un nuovo habitat per le solite storie. La prospettiva di una storia. Workshop di scrittura alla mostra di Escher / in collaborazione con Palazzo Ducale. Scriveremo a Palazzo Ducale e utilizzeremo le immagini straordinarie create da Escher. Ogni storia ha bisogno di essere guardata da più punti di vista prima di sceglierne uno. Se «un pavimento può essere anche un soffitto», per entrare nello spazio di una storia possiamo tentare l’assurdo, perfino l’impossibile: trasformare le porte in finestre, camminare a testa in giù, ruotare, ribaltare, svuotare, riempire. Scrivere è spaziare. Ci lasceremo guidare dal genio olandese di Escher. Un laboratorio adatto a chi desidera un focus sulla narrazione dello spazio e a chi ama il binomio arte+scrittura. Incontrare i personaggi. Workshop di scrittura nel foyer della Tosse / in collaborazione con Teatro della Tosse. Scriveremo nel foyer di un teatro. Saremo autori in cerca di personaggi e forse un teatro è il luogo dove trovarli. Parleremo di come si incontra un protagonista e di come lo si riconosce, affronteremo le sue esigenze proprio come se fosse un attore o un’attrice da scritturare, e le uniremo a quelle della narrazione, per non tralasciare la funzione strategica dei personaggi nella struttura del racconto. Un laboratorio di ascolto e scrittura adatto a chi è in cerca di un personaggio e a chi pensa che scrivere sia anche «mettere in scena». I costi dei nuovi workshop. Costo del singolo workshop 80 euro; Costo del ciclo completo da 3 workshop: 210 euro; Maestre: Ester Armanino, Emilia Marasco;
La scrittura tenta di rispondere alle domande, di leggere, interpretare, descrivere il cambiamento, la realtà e la sua percezione. In tempi incerti come quelli che stiamo vivendo, Officina Letteraria cresce insieme alla scrittura e con nuovi laboratori riparte dalle domande. Nuovi laboratori, nuova formula. Una formula a moduli brevi in modo da poter proseguire e concludere online in caso di nuova emergenza, per piccoli gruppi per rispettare le regole di distanziamento. Moduli brevi; Piccoli gruppi. A ogni modulo corrisponde una domanda alla quale daremo insieme una risposta, nel corso di cinque incontri, procedendo con il nostro metodo fatto di teoria, esercitazioni ed editing, proposte di lettura, connessione con altri ambiti creativi. Costruisci il tuo corso. La formula permette a ciascuno di costruire il proprio corso di scrittura decidendo di frequentare uno o più moduli. Un approccio veloce ma di approfondimento, una possibilità di ripasso per chi ha già frequentato altri laboratori e di focalizzazione per chi desidera soffermarsi su alcuni aspetti tecnici in particolare. Uno. Il punto di vista è un punto una linea o una superficie? Il punto di vista è lo sguardo che posiamo sul mondo, l’angolazione da cui osserviamo e raccontiamo, ma anche struttura e forma di una storia. Useremo la luce come in un atelier di fotografia, e decideremo da dove e come illuminare una scena, capiremo così cosa di una storia vogliamo fissare e mettere in evidenza e ne immagineremo lo sviluppo. Ci soffermeremo sul funzionamento dei nostri sensi. Due. Se un personaggio tocca il fuoco, si brucia? Il personaggio è sempre abitato da una tensione che dobbiamo saper riconoscere e seguire fino alla fine di una storia, ha un corpo come il nostro con il quale fa esperienza del mondo, e molto altro ancora. Per individuare il nostro personaggio dobbiamo avvicinarci e quasi coincidere con lui e poi distanziarci e separarci. Solo così potremo capire a cosa tende il nostro personaggio. Tre. L’eroe è turista o viaggiatore? Il viaggio dell’eroe, un modo classico di costruire qualsiasi storia. Tutti tendiamo a qualcosa, nelle storie i personaggi crescono attraverso viaggi, percorsi, corrono rischi, elaborano strategie. Avremo di sicuro anche Ulisse a farci compagnia. Quattro. Spazio e tempo sono una coppia di fatto? Scrivere una storia è una questione di scelte fondamentali, come l’ambientazione: uno spazio e un tempo e la storia è già cominciata. Una magia che può richiedere anche poco per essere completa, una minima azione, un punto di vista azzeccato, un personaggio ben delineato. Ragioneremo di equilibri, li sperimenteremo. Cinque. La trama si vede in controluce? La trama di una storia può apparire complessa ma nella sua struttura dev’essere esatta, senza pasticci e senza imbrogli. Inventare trame nuove è quasi impossibile ma guardare con occhi nuovi è possibile, tutto apparirà più semplice. Lo scrittore guarda in controluce e vede i fili della storia, vede come si intrecciano, scopre lo strappo e il nodo, cerca soluzioni. Sei. Parli come mangi? Abbiamo tutti un patrimonio lessicale, un modo personale di raccontare, si tratta di usare queste risorse in modo pieno, senza cercare altrove. Scrivere è autenticità. La nostra voce è fatta di molte cose e le parole, il modo in cui le usiamo, le combiniamo, le risonanze e le immagini che evocano dentro di noi devono essere consapevolmente sostanza e colore della nostra voce. Condivideremo i nostri archivi di parole. Sette. Dove batte il cuore della storia? Le storie sono organismi viventi, hanno un cuore, si tratta di scoprire dove si trova, è esattamente in quel punto che dobbiamo accompagnare il lettore. Tutti sappiamo quale posizione ha il cuore nel nostro corpo e tutti abbiamo un’idea della sua forma e del suo colore ma nelle storie a volte il cuore non è dove ce lo aspetteremmo e questo ci costringe a ripensare la storia. Una domanda che ci terrà col fiato sospeso fino alla fine, la risposta ci emozionerà. Otto. Cosa non ti ho detto? In una storia vorremmo inserire tutto il materiale che abbiamo a disposizione, invece facciamo delle scelte per lasciare spazio al lettore, dobbiamo acquisire la capacità di lasciar intravedere quello che è rimasto fuori dalla narrazione, il non-detto. In una storia c’è quello che vediamo, che ricordiamo, ci sono idee, esperienze, fantasie. Bisogna imparare l’arte di lasciar andare qualcosa e trattenere qualcos’altro, lasciar andare molto e trattenere l’essenziale, scoprire cosa è irrinunciabile. I costi dei nuovi corsi. Costo del singolo seminario 280 euro; Gruppi di 8 persone; Maestre: Ester Armanino, Emilia Marasco; Laboratori in presenza con distanziamento e mascherina; Inizio dei laboratori Ottobre; Giorni martedì e mercoledì ore 18:00-20:00. Si comincia a metà ottobre con i laboratori 1 e 2, da fine novembre 3 e 4, a gennaio 5 e 6, a fine febbraio 7 e 8.
Nel 2018 e nel 2019 Officina Letteraria ha fornito all’ufficio Formazione della Direzione Politiche dell’Istruzione per le Nuove generazioni del Comune di Genova due corsi di formazione sulle tecniche di narrativa per il personale docente delle scuole dell’infanzia. Il primo laboratorio ha avuto l’esito di un’esperienza praticata in diverse scuole intitolata Di casa in casa, il secondo, centrato sul rapporto tra fotografia e tecniche di narrazione, ha prodotto un’esperienza intitolata La valigia del fotografo. — Di casa in casa e La valigia del fotografo sono i titoli dei due progetti dedicati ai laboratori della scuola dell’infanzia con l’obiettivo di stimolare la creatività e un interesse verso la lettura e la scrittura nei bambini in età pre-scolare. Il corso, nella sua prima fase, ha permesso alle maestre di sperimentare in prima persona forme di scrittura creativa cercando di comprendere il legame che può instaurarsi tra parole e fotografie, per poi dedicarsi alla definizione e all’organizzazione, anche pratica, dei due progetti. In che modo un’immagine può aiutarci a immaginare e, quindi, a scrivere? La risposta a questo interrogativo è stata il punto di partenza per definire i due progetti, che hanno visto coinvolti in modo diverso da un lato i bambini, le loro stesse famiglie e le insegnanti e dall’altro l’utilizzo delle fotografie e delle parole. Di casa in casa. Di casa in casa nasce dal concetto del prendersi cura. Un pupazzo giunge inaspettatamente tra le braccia della maestra che decide di condividerne la custodia con tutti i bambini della classe (e le rispettive famiglie) per poterlo coinvolgere nelle più disparate attività. Ogni settimana il pupazzo viene affidato a un bambino e alla sua famiglia, con i quali condivide ogni momento della giornata, creando un rapporto di affetto e crescita, di gioco e di responsabilità. Le attività svolte durante la permanenza a casa vengono documentate con fotografie scattate dalle famiglie o dagli stessi bimbi, con la possibilità di scrivere un diario per raccontare l’esperienza vissuta. Questo progetto si adatta a bambini di tutte le età. La valigia del fotografo. La valigia del fotografo è un progetto più complesso, che richiede una maggiore organizzazione all’insegnante e un maggior impegno ai bambini coinvolti. Si tratta di creare una valigia creativa, una specie di archivio ambulante di immagini autoprodotte da usare per creare storie. Tutto può servire per immaginare e scrivere una storia: l’interno di un frigorifero può diventare l’ambiente in cui si svolgerà la narrazione, due matite possono essere i personaggi e una carota l’elemento chiave per il colpo di scena in grado di cambiare i colori della narrazione. Viene richiesto alle famiglie di provvedere alle fotografie che l’insegnante e i bambini trasformeranno in storie durante le ore scolastiche dedicate al laboratorio. In questo caso l’obiettivo è stimolare la creatività ed esplorare la struttura della narrazione, sfruttando la possibilità di avvalersi di immagini semplici e familiari. Tutte le storie vengono raccolte insieme in quello che diventa un vero e proprio libro di favole, reso ancora più prezioso dal fatto che queste sono state inventate proprio dai bambini. Le fotografie restano invece nella valigia del fotografo, così da creare un archivio sempre più grande. Elisa e Marisa hanno portato a termine con successo entrambi i progetti e nell’incontro finale, dedicato alla restituzione di quanto avvenuto, ci hanno raccontato cose bellissime. La prima (e la più importante) è stata il riscontro positivo da parte dei bambini e delle loro famiglie che hanno reagito con entusiasmo, curiosità e fiducia. L’esperienza di Marisa. Di casa in casa è nato sotto la buona stella della bellissima storia inventata da Marisa per iniziare il viaggio del pupazzo, corredata da immagini davvero poetiche e delicate. Inutile dire che il piccolo Leo (questo il nome del pupazzo) è stato accolto con emozione da tutti i bambini, che aspettavano trepidanti di poterlo avere in custodia e poi se ne prendevano davvero cura, con il candore e i sentimenti che solo i più piccoli possiedono. Leo è stato in montagna a scoprire la neve, in lavatrice per essere lavato e pulito, è stato un compagno di nanna con cui condividere il letto e i sogni in un abbraccio ed è addirittura finito in ospedale al fianco di una piccola amica. Sono state scattate molte fotografie ed è stato scritto un diario, in cui quasi ogni resoconto si conclude ringraziando Leo per il tempo trascorso insieme. I bambini che per qualche ragione non hanno potuto tenere a casa il pupazzo, ne sono stati i custodi per una settimana a scuola, così da non perdere la bella esperienza, ma anzi, viverla ancora più intensamente. Un ottimo risultato, quindi: gratificante per l’insegnante, le famiglie e, soprattutto, per i bambini. L’esperienza di Elisa. Elisa ci ha subito stregate mostrandoci la bellissima scatola di latta a forma di macchina fotografica che ha utilizzato per realizzare La valigia del fotografo e l’incredibile quantità di fotografie prodotte dai genitori per realizzare il progetto: ambienti, oggetti e animali come spunto da cui partire per creare nuove storie, scardinando i luoghi comuni che vedono le favole piene zeppe di prìncipi, principesse e streghe cattive. Bisogna fare una menzione d’onore alla capacità di questa insegnante di spingere i bambini un po’ oltre la loro comfort zone, associando tra loro elementi insoliti per comporre le storie, “costringendoli” a immaginare liberamente, senza porre limiti al processo creativo. Sotto la sua attenta guida i bambini si sono sbizzarriti a scrivere storie divertentissime e un po’ naïf, piene di fantasia, pura espressione del loro sguardo unico sulle cose della vita. Ogni storia inizia con un riquadro bianco, nel quale ogni bambino ha disegnato la storia a modo suo, e si conclude con una fotografia delle fotografie utilizzate. Sfogliare questo libro è una gran soddisfazione, ci immaginiamo la gioia dei bambini nel poterne scorrere le pagine ogni sera prima di andare a dormire. Conclusioni. In conclusione i due progetti realizzati sembrano aver soddisfatto a pieno le aspettative di riuscita, senza sollevare particolari criticità, ma anzi, trovando nella fotografia uno strumento utile alla narrazione e alla partecipazione, in grado
Dopo aver letto i numerosi racconti arrivati, Officina Letteraria è lieta di annunciare i 7 finalisti che si contenderanno il premio del concorso “Scrivere apre i corsi”. La commissione dei docenti di Officina Letteraria, presieduta dalla coordinatrice dei laboratori Ester Armanino, ha selezionato i seguenti racconti: I finalisti Ecco i finalisti del concorso, in ordine alfabetico: Annalisa Aiello Anna Caruccio Silvia Casaccio Giovannamaria Daccà Silvia Fanti Manuel Masia Maurilio Tavormina I racconti posso essere letti cliccando sul link di ogni nominativo. Potrai votare il tuo racconto preferito fino alle 24:00 di domenica 23 settembre 2018; potrai anche votare più di un racconto, ma ogni racconto potrà essere votato una volta sola. L’autore del racconto che riceverà più voti entro il termine previsto vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di scrittura La grammatica delle storie. Buona lettura! Leggi tutti i racconti.
Scrivere apre i corsi! Concorso di scrittura per vincere il laboratorio di 1° livello di Officina Letteraria L’immagine Scrivere vuol dire tradurre ciò che vediamo in parole, fare risuonare gli stessi sentimenti che proviamo noi in chi ci legge. Questo è lo spirito con cui Officina Letteraria indice il contest “Scrivere apre i corsi!”. I nostri corsi e laboratori, quest’anno, nascono sotto lo slogan “Scrivere apre i porti”, rappresentato dall’evocativa illustrazione di Nicola Magrin. Per noi, l’immagine dell’aria che circola tra le pennellate acquose, lo sguardo che spazia lontano da un punto alto, rappresentano un punto di vista che va oltre la ristrettezza di vedute, quello di chi scrive storie. Ma dietro un’immagine, ci sono mille significati e interpretazioni. Ti chiediamo perciò di scrivere un racconto ispirato alla nostra immagine. Il contest Scrivi un racconto ispirato all’illustrazione di Nicola Magrin “Scrivere apre i porti”. Il racconto deve essere di massimo 2.000 battute, spazi inclusi (leggi qui come controllare il numero di battute del tuo racconto). L’autore del racconto giudicato migliore, dai docenti di Officina Letteraria e poi dai voti del pubblico, vincerà l’iscrizione gratuita al laboratorio di 1° livello “La grammatica delle storie”, tenuto da Emilia Marasco. Come si vince? I racconti che partecipano al concorso verranno letti dalla giuria composta dai docenti di Officina Letteraria. I 7 racconti che verranno giudicati migliori, accederanno alla seconda fase. Durante la seconda fase, i racconti verranno pubblicato sul sito di Officina Letteraria e potranno essere votati dai lettori. Il racconto che riceverà più voti entro il termine indicato, sarà il vincitore. Date e modalità di partecipazione Per partecipare: Invia il tuo racconto entro le 24:00 del 7 settembre 2018, via mail all’indirizzo laboratori@officinaletteraria.com. Il racconto deve essere in formato word (.doc), .rtf, o pdf (non protetto da copia), di massimo 2.000 battute spazi inclusi. Il 10 settembre 2018, verranno resi noti i 7 racconti selezionati dalla giuria. I racconti saranno pubblicati sul sito di Officina Letteraria. I racconti in gara potranno essere votati fino alle 24:00 del 23 settembre 2018. Per ricevere più voti, potrai condividere il tuo racconto su Facebook, Twitter, Instagram o chiamare i tuoi amici e parenti uno per uno. I voti verranno raccolti direttamente sul sito di Officina Letteraria. Allo scoccare della mezzanotte del 23 settembre 2018, verranno contati i voti dei 7 racconti in gara. Il 25 settembre 2018, durante la presentazione dei laboratori a Officina Letteraria, verrà reso noto il racconto che ha ricevuto più voti. Vuoi provare a vincere anche tu l’iscrizione gratuita al laboratorio di 1° livello di Officina Letteraria? Invia ora il tuo racconto! [button type=small link_url=”mailto:laboratori@officinaletteraria.com?Subject=Invio racconto per il concorso Scrivere apre i porti”] INVIA IL TUO RACCONTO [/button]
Officina Letteraria è un laboratorio, lo abbiamo sempre detto. Per scrivere non occorre solo la famosa cassetta degli attrezzi ma occorre vivere, stare nel mondo, osservare, percepire, sentire. Scrivere significa essere coscienti dei diversi punti di vista e poi sceglierne uno. Perché Scrivere apre i porti di Emilia Marasco ed Ester Armanino Le isole più piccole possono nascere in una notte e sparire in una notte. Laggiù, sotto il mare, tutte le terre emerse s’incontrano. Siri Ranva Hjelm Jacobsen, Isola Scrivere significa sperimentare che le storie possono cambiare corso, che si può azzardare, che quello che sembra impossibile può realizzarsi. Vuol dire sperimentare il coraggio, saper stare molto vicini al dolore. Scrivere offre la possibilità di vivere molte vite. È fare spazio a noi stessi e agli altri e capire che lo spazio non è qualcosa di rigido, ma di modellabile e adattabile. Ecco perché scrivere apre i porti. Perché il porto è e deve rimanere il luogo dell’approdo e della sosta, lo spazio dell’incontro e dello scambio. In cui fermarsi per poi ripartire, a cui fare ritorno. Di spostamenti è fatta la storia dell’umanità e di viaggi reali o immaginari è fatta la narrazione. Gli altri portano storie che ci permettono di capire meglio anche la nostra storia. Questo difficile momento di attualità impone di scegliere un punto di vista. Ecco, noi gente di scrittura, come la gente di mare, lo abbiamo scelto: Scrivere apre i porti. Abbiamo anche un’immagine di forte ispirazione che rappresenta questa scelta: l’aria che circola tra le pennellate acquose di Nicola Magrin, lo sguardo che spazia lontano da un punto alto, un punto di vista che va oltre la ristrettezza di vedute e che è quello di chi scrive storie, di chi guarda a ciò che accade senza timori e si dispone alla ricezione mentre il vento diventa forma, creatura alata, e porta in dono il pensiero libero.
Tra le persiane di Cristina Biglia Jean apre gli occhi nel buio della stanza, un rumore leggero ha attirato la sua attenzione. Il cuore ha un’accelerazione involontaria, i sensi all’erta. Le lunghe notti trascorse abbracciato al fucile con la guancia a riposare sulle pareti fangose della trincea di Somme l’hanno addestrato a percepire anche il più piccolo spostamento all’interno del suo spazio. Una striscia di luce come una lama affilata trapassa le imposte chiuse e gli colpisce la retina, provocandogli un moto di nausea alla bocca dello stomaco. Rivede ancora le esplosioni dietro le palpebre, le schegge incandescenti degli shrapnel come fuochi d’artificio alla festa del paese. Riapre gli occhi, in sottofondo sente l’acciottolio rassicurante della madre che rassetta in cucina, ma c’è qualcos’altro, un rumore nuovo, impercettibile, qualcuno che si muove nella sua stanza. Nessuno deve entrare. Gli amici non sono ammessi, neppure Maria, che passa spesso sotto le sue imposte chiuse, anche se la madre glielo avrà già detto cento volte “Maria trovati un altro giovane, non si può mettere su famiglia con uno così”. Jean non ha rimpianti, ha già deciso tutto, a Maria non ci pensa più. Gli dispiace per lei, se lo vedesse, la smetterebbe di passare lì sotto e di chiamarlo. La sua vita futura gli è molto chiara, non ci saranno sorprese come per gli altri suoi amici, prova quasi pena per loro. Lui sa già che vivrà e morirà in quella stanza. Al buio. Ha scoperto che ci sono dei sotterranei nell’anima, dei sensi vivi in quel che resta del suo corpo. E lì che inizia il suo viaggio, l’esplorazione, è lì che vivrà. La vita come la conosceva prima può rimanere fuori, per lui non esiste più. Ancora quel rumore, simile a un fruscio di vesti, a un frullo, è lì vicino a lui. Si mette seduto puntandosi sui gomiti, si abitua alla penombra della stanza. Il rumore viene dalla finestra. La luce che filtra fra le gelosie verde scuro della persiana si diffonde intorno e lo abbaglia, come un dio prepotente che voglia entrare di forza nella sua stanza. Qualcosa si muove al margine inferiore della persiana chiusa, nella striscia di luce che la separa dal davanzale. Spostandosi nel letto con le braccia, Jean si avvicina: ora le vede, sono le zampette delle rondini, che passeggiano avanti e indietro come sentinelle sul marmo della finestra. In qualche modo, in quel mondo impazzito di guerra là fuori, deve essere tornata la bella stagione. Jean batte le mani, lancia un urlo, vuole cacciarle. Ma le rondini lo ignorano, continuano a disegnare arabeschi di ombra e di luce col loro passeggiare impertinente. Ogni tanto una di loro si stacca dal davanzale, Jean la immagina volare nella vallata, la sente garrire. Dopo il volo tornano sempre alla sua finestra, attratte da qualcosa di misterioso. Non se ne vogliono andare. Gli occhi di Jean si riempiono di lacrime, è come se la vita stessa premesse contro la finestra, e lui con la sola forza delle sue braccia non può più spingerla indietro. Per la prima volta dal suo risveglio in ospedale, scoppia in un pianto disperato, rotto, senza freni. Vede con impietosa chiarezza lo scempio del suo corpo, il lenzuolo vuoto dove un tempo c’erano le sue gambe, il viso da fantasma riflesso nello specchio dell’armadio. Un bussare discreto, sua madre entra con la colazione. Rimane ferma sulla soglia, guardando il viso del figlio bagnato di lacrime. “Vai a chiamare Maria” le dice Jean in un soffio.
Ma cosa sono ‘sti nidi di ragno? di Marco Cassini Giovedì 27 luglio 2017 ore 11. Siamo nella saletta della Biblioteca di Apricale per l’inizio del Laboratorio Estivo di Officina Letteraria “Cercatori di Storie”. Vengono fatte le presentazioni: Alessandra, Angela, Cristina, Clara, Lena ed io (finalmente libero dagli impegni lavorativi che mi avevano impedito di partecipare alle prime quattro precedenti edizioni), la nostra vita in poche parole per conoscerci meglio e legare. Il depliant recita “Da uno spazio, una persona, un oggetto, a un incipit. Cinque scatti per una storia. Una macchina fotografica, è sufficiente quella del cellulare, e un giro per il paese. Ecco i Cercatori di storie. Impressioni visive, intuizioni, emozioni. Quando si entra in uno spazio occorre decifrarlo, Si ‘scatta’ e poi si selezionano le immagini per una storia. All’interno del suggestivo Castello di Apricale, Ester Armanino, scrittrice/architetto, ed Emilia Marasco, scrittrice/docente di Storia dell’arte,, vi racconteranno spazi e figure, vi offriranno informazioni, suggestioni e metodi per scrivere un incipit fulminante per una storia intorno a cinque scatti fotografici, Le storie saranno pubblicate sul sito di Officina Letteraria www.officinaletteraria.com”. Emilia sottolinea che si tratta di un laboratorio, un concept, la meta è possibile ma non sicura. Dovremo cercare, guardare, vedere, osservare, imprimere, saper afferrare un’idea nello spazio fisico e mentale di un borgo, medievale ma vivo. Individuare e cogliere “i segni più deboli del luogo”: un indumento, un’ombra, un tatuaggio, un chiodo arrugginito in un muro, possono diventare protagonisti (la parola muro mi fa balenare l’idea/ricordo dei nidi di ragno). Si prosegue citando Picasso “io non cerco trovo!” Ester ricorda l’approccio che hanno i bambini, curiosità, emozioni, impressioni che andranno finalizzate ad individuare una didascalia, un titolo. Ci viene consegnato il racconto Avventura di un fotografo di Italo Calvino ( immancabile ma per me che combinazione!), sul bancone viene posto Tentativo di esaurire un luogo parigino di Geoges Perec e se ne discute. La situazione mi piace ma forse si parla troppo e ci si distrae. Ore 12,30, ci viene assegnato un breve “compito in classe”: Descrivi il paradiso. “L’aria è frescolina e anche le persone un po’ gelide. Sorridono tutti, Sembra non manchi niente, È soprattutto la musica che ti fa sentir bene. Celestiale. E le luci. Le luci sono allegre. La musica aumenta. L’atmosfera si scalda. Mi faccio coraggio: «Permette signorina?» «Non so ballare!» «Neanch’io!». Cominciò tutto così alla balera “Il Paradiso”. Questo è stato il mio “svolgimento, gli altri tutti più in tema con descrizioni piacevoli, prevalentemente bucoliche, forse per me il Paradiso è troppo lontano, o troppo vicino. Alle 13 pranzo al ristorante A Ciassa : verdure ripiene (mitici i fiori di zucca), insalata mista, minerale e caffè, 10 euro. Breve pausa. Alle 15 si ritorna in biblioteca, conduce Ester che chiede: «Quanto conta per voi il paesaggio?». Ambientazione, spazio, location. Il luogo modifica la storia, deve essere percepito. Bisogna sentirlo, trovarcisi. Geografia, toponomastica, mappe. Il paesaggio è un personaggio. Va osservato, descritto, ascoltato. Bisogna starci dentro con curiosità, esplorare. Lo scrittore sta dove vive e dove costruisce il suo romanzo. Quando scrive deve essere presente. Qui e ora. Con tutti i cinque sensi. I luoghi devono essere visibili e concreti. I dettagli poi fanno la differenza, le parole stesse sono dettagli. Non utilizzare le frasi fatte, i luoghi comuni stonano sempre. Arriva Emilia con uno strano volume 462 idee per scrivere, si tratta di una raccolta di esercizi richiesti dai curatori del testo a scuole di scrittura e scrittori in America. Ci viene consegnato un elenco stilato da Georges Perec con 52 specie di spazi. Dopo una discussione – Emilia ed Ester sono professionali, affascinanti e assistenzievoli – ci viene assegnato un altro breve compito: raccontare un luogo esplorato da bambini. La frase iniziale deve essere “Ho sei anni e sono in…”. “Ho sei anni e sono in chiesa, i miei genitori mi portano spesso qui e ho una certa confidenza con questo ambiente ma oggi ho scoperto una cosa strana, stropicciandomi gli occhi assonnati e lacrimosi sono stato sorpreso da una quantità di raggi luminosi. La semplice luce di una candela se la guardo con gli occhi umidi e come se esplodesse in mille strisce di luce e qui le fonti luminose sono molte, comprese le vetrate su cui batte il sole. Non capisco bene, sono esterrefatto, con i miei occhi e le mie lacrime ho modificato la realtà. Mi perdo nell’esplorazione di questi effetti sfavillanti, non mi rendo conto del tempo e del resto. Poi riapro bene gli occhi, nessuno si è accorto di nulla, torno a seguire la funzione, a respirare l’odore d’incenso, con un po’ di senso di peccato”. Vengono letti tutti i brevi testi, mi viene il dubbio che gli altri siano più avanti; la discussione è sempre interessante, Emilia e Ester sono prodighe di consigli e esortazioni, viene citata Anais Nin “Non si vedono le come sono, si vedono come siamo”. Ore 17: visitiamo il Castello di Apricale, riceviamo gli ultimi consigli, poi ognuno va per i fatti suoi in cerca di immagini su cui costruire una Short Story che costituirà il frutto del nostro laboratorio. Io mi dirigo verso la parte del paese esposta a nord-ovest chiamata Ubagu che significa “a baccìo” cioè all’ombra. Il sole vi arriva solo nei mesi estivi, in inverno è fredda, umida e scivolosa. La gente la evita anche d’estate perché infestata di ortiche, muschio ed erbacce. Per noi bambini era la preferita e lì si svolgevano i nostri accampamenti con capanne e battaglie e dissodamenti, lontano dagli sguardi degli adulti. Lì c’è una viuzza chiusa, senza denominazione, disabitata che, partendo da Via Garibaldi poco sotto la Casa del Boia, si va a frangere sotto l’antica cinta muraria. L’avevamo chiamata Via RuMaSiSà in onore dei quattro bambini che si erano improvvisati esploratori: Rubertin, Marcu, Silvano e Sandro (in ordine crescente di età dai 6 ai 9 anni). Lì mi ritrovo a cercare, dopo 55 anni di assenza, un “segno debole del luogo” soggetto che non avevo mai pensato di
Monet è passato di qui? di Alessandra Agostini Partenza, ci sono riuscita, finalmente ! Ci sono voluti due anni di lavoro ai fianchi, di organizzazione logistica occulta, marito convinto, spesa fatta, casa in ordine perfetto, il mio bisogno di controllo assoluto sulle cose soddisfatto. Nell’animo pero’ e’ tutto un casino, si, proprio un casino, non c’e’ termine piu’ adatto. Non so cosa mi aspetta ma sono come attirata da una calamita gigante. Arrivo. Caldo insopportabile, pochi pensieri coerenti, un’atmosfera d’altri tempi, case appese alla collina, vicoli che, in confronto, quelli di Genova sono autostrade, una fontana che, oltre a promettermi acqua fresca, mi incute un timore che non capisco; forse qualcosa dovuto alla sua storia antica, medioevale. E si, il medioevo, qui ad Apricale la fa da padrone e padrone assoluto e’ il castello. Sono sfinita, voglio vedere la mia stanza, il castello dopo. Solo a guardarlo da fuori mi attira, una specie di Circe, chissa quante persone nei secoli hanno avuto la mia stessa senzazione quasi ingestibile…Che poi a me, ad andare cosi’ indietro nei secoli non piace nemmeno. Entro, spedita dentro un cortile. Strano, non capisco se sono opere di artisti un po’ eccentrici o cose lasciate li’ a caso: una damigiana spogliata dalla sua parte di vimini, una scala di legno nodoso e vissuto, dei vasi anche belli nella loro quieta semplicita’, delle statue quasi avvolte tutte dalle erbacce, forse contente di passare inosservate. Dal cortile mi inoltro all’interno quasi senza accorgemene, fino ad un angolo del sottotetto, vedo un un signore con un barba bianca che, se non fosse luglio, potrei scambiarlo per babbo Natale, e penso anche che sono un po’ stordita dal dal viaggio e dalla calura per fare queste associazioni. Questo signore borbotta in francese, sono sicura, e’ l’unica lingua che ho studiato, e sta spostando con un certa energia quattro cavalletti vuoti e ha appoggiato su un lungo tavolo quattro tele coperte da un drappo. Pittore? Francese? Con la barba? Con un cappotto un po’ retro’ a luglio? Oddio … Cerco di tradurre quel suo parlare sottovoce perche’ non so bene se sono sul pianeta terra e vorrei capirlo. Lo sento, sta dicendo: “parbleu, tutto questo tempo a Bordighera, tre` belle, ma qui, un paradiso. Questo castello e’ unico!”. Scusi signor…Monet ? Forse? Ma cosa dico? Ma cosa sto dicendo ? Ma come, cosa ci fai lei qui? Perdoni la mia invadenza ma credo di avere qualche problema spazio temporale. “Guardi, non conosco i suoi problemi, io mi sento in pace con me stesso, mi hanno chiesto di esporre in questo luogo tres fantastique che non conoscevo ed ho solo l’imbarazzo della scelta per posizionare questi miei dipinti su questi quattro cavalletti.” “Lei cosa dice? Le piacciono queste marine? Dalla vostra riviera ci sono degli scorci impagabili! Se avessi tempo mi fermerei,la veduta dal castello e’ sans egal.” Me oui, me oui…mi ritrovo all’improvviso a parlare francese da sola in una stanza, peer fortuna vuota. Ho un forte mal di testa ma sto sorridendo: un pittore strafamoso, francese, mi rivolge la parola e chiede proprio a me un parere su quattro suoi capolavori! Un colpo di caldo, sicuro.
Le rane raccontano Lena Mohler Avevamo cercato dappertutto. Nei carugi, nelle case e anche nel Castello della lucertola. La cosa strana, era che la rete fosse ancora intatta. Niente danni. Niente strappi da dove avesse potuto fuggire. Dopo un bel po’ di tempo arrivò una bella cartolina dall’estero. Il disegno delicato assomigliava alla contessa di Apricale. Però non c’era scritto niente. Anni dopo, seguì una seconda cartolina. Anche quella volta senza scrittura. Vedendo la foto si capì come fosse fuggita un tempo; attraverso il tombino. Non si era mai più lasciata vedere ad Apricale, la rana che diventò una contessa. Le rane però ne cantano ogni sera. Una bambina ad Apricale Già da piccola mi sentivo una principessa, bella come la contessa di Apricale. Adoravo stare sotto una rete appogiata vicino alla piazza tra I carugi. Da lì, nascosta dal mondo, potevo studiare la vita del paese sensa essere vista da nessuno. Ogni tanto mi lasciavo risucchiare dalla vortice che c’era sotto di me. Non era un vortice vero, ma il disegno di un mosaico. Per me diventava realtà e di là immaginavo di viaggiare in tutto il mondo. Oggi sono cresciuta e faccio I viaggi, di cui ho sognato da bambina. Però non sono sicura se I viaggi di una volta, sognati sotto la rete, risucchiata dalla vortice, non fossero I più belli.
La via di casa di Angela Tenca Mi hanno consigliato di allontanarmi per un po’ dalla città, di vivere in un posto senza scarichi di macchine, con aria pulita e salubre. Né al mare né in montagna. Di fare una vita senza stress e un po’ di moto tutti i giorni, con moderazione. Apricale mi è sembrata la soluzione ideale. Il mio passo rimbomba nella notte del caruggio. Sopra i suoi sassi la mia ombra è ben visibile. Io non sono un fantasma e nessun fantasma mi insegue o mi aspetta dietro l’angolo. Sono tranquilla, serena, mi godo le notti solitarie svegliandomi solo per ascoltare il ritmo del mio cuore. La mia grotta è fresca e asciutta, forse una volta è stata una stalla per qualche animale ora ci dormo io tra queste pietre antiche. Antiche quanto? Chi ha costruito la prima casa di Apricale e perché? Forse dovrei studiare un po’ di storia. E come si sono accatastate le une sulle altre senza crollare mai? Quale geniale architetto riuscirebbe oggi a progettare un siffatto labirinto? Non è una storia questa o forse è una piccola storia d’amore per un posto fino a poco tempo fa sconosciuto ma che ha il magico potere di farmi stare bene. Di non farmi sentire mancanze che altrove sento forti. Devo chinare la testa per entrare nella mia grotta. Pochi centimetri più alta e non potrei starci. Pietre a vista lungo i muri, volte a botte per soffitti. Forse non era una stalla ma una cantina. Il vino è buono da queste parti. La mia ombra nel caruggio, sui ciottoli, mi mostra la via di casa. Oggi ho prolungato la mia passeggiata fino al cimitero. Ho voglia di piangere e mi sembra il luogo ideale per farlo. A quest’ora di pomeriggio di luglio sono sola. Non lo so neanche io perché ma sento che ho bisogno di lacrime. Piccole, tiepide, tranquille. Non lacrime di dolore né di felicità. Forse lacrime di tenerezza per le persone che non ci sono più, il loro ricordo mi commuove. I miei nonni, le mie zie, i miei animali anche. Lacrime di tenerezza per me. Si mi regalo qualche lacrima dolce perché me le merito. Perché nonostante tutto ci sono ancora, contenta di quello che sto facendo e del posto in cui mi trovo e mi meraviglio ogni giorno di essere viva. Anche questo mi commuove. Al mio cuore fa bene stare qui. La via di casa è conosciuta. Vado a letto nella mia grotta, prendo le medicine antirigetto e mi addormento.
La gonna della contessa di Clara Crovetto “La conosci la storia del baldacchino di Apricale?” esclama all’improvviso Gatto Bardo a Gatto Rosso, davanti alla loro biblioteca. “No ma invero non me ne importa gran che” di rimando lui. ”Fai male bello mio, è la più bella, intrigante, sanguinolenta storia della nostra Apricale, fatta di spie, di morti più o meno precoci, di battaglie legali, ma soprattutto di amori. E se ti dicessi che la gran contessa Cristina aveva un gatto grosso e rosso come te, ti attizzerebbe?” “ Ma non raccontare frottole, ammettiamo tu l’abbia visto in una foto: allora erano in bianco e nero, tutt’al più color seppia, COME FAI A SAPERE CHE ERA ROSSO?” “ Così sembra abbia scritto alla sua nipote- di rimando l’altro- quando era alla corte dello zar, ma sei troppo polemico, mi fai passare la voglia di raccontare”. “E vabbè, attacca un Do, e vediamo se mi intrighi” Gatto Bardo stupì l’amico, stupì assai: attaccò a sciorinare una lunga, lunghissima poesia, in rima baciata, come un vero cantore provenzale. “ La contessa Cristina era bella e un po’ pienotta, e perciò sopranominata la ‘Bassotta’.”. E così creò lì per lì, nella penombra della crosa che porta al Castello, un grande poema. Gatto Rosso era allibito: con la bocca semi aperta, il linguino fuori, e le orecchie moderatamente abbassate, seguiva il racconto rapito Da allora la stanza d’albergo detta Della Contessa, è la più ambita, con i due gattoni che si offrono per una foto ricordo sul lindo baldacchino bianco. Nasce, inoltre, nel borgo, un’ incantevole compagnia teatrale itinerante che, ancor ora, su tutta la costa ponentina ligure offre spettacoli in versi, nello stile degli antichi trovatori provenzali, che narrano di gesta, amori, motti frizzi e lazzi di quella terra.
Prefazione Apricale è un luogo del cuore per noi di Officina Letteraria, lo è da quel primo laboratorio quasi a fine estate nel 2012. Arrivare nella piazza di Apricale è come entrare nello spazio di una storia. Bisogna addentrarsi per i vicoli, salire e ancora salire, andare al vecchio frantoio, al castello della Lucertola, bisogna parlare con gli anziani e con i bambini, bisogna ascoltare quello che anche le pietre hanno da raccontare. Solo allora troveremo una storia. Per questo il laboratorio ha conservato nel tempo il titolo originario: Cercatori di storie. Chiudiamo l’anno pubblicando i brevi racconti di Apricale 2017 scritti da Alessandra, Angela, Clara, Cristina, Lena, Marco. Racconti nati da spunti e appunti visivi, racconti semplici e un po’ surreali, perché così si diventa quando si arriva ad Apricale. Marco, apricalese doc, si è assunto il ruolo di cronista del laboratorio e Lena, svedese che vive in Germania, ha partecipato anche come rappresentante della comunità di stranieri che frequentano il paese da tanto tempo. Lei ha imparato l’italiano per amore di Apricale. Leggi i racconti di Apricale!
Laura di Biase conquista il podio del Premio letterario Anna Osti, dedicato alla letteratura per l’infanzia e per ragazzi, e lo fa con un racconto che ha iniziato a scrivere durante uno dei nostri laboratori. Ne siamo orgogliosi e vogliamo raccontarvi come è andata, con la voce di Laura. Prologo Quando un maestro di Officina Letteraria parla è sempre bene starlo ad ascoltare. Così quando Anselmo (Roveda, docente di “Oltre le fiabe” ndr) ci ha proposto il gioco “scriviamo una storia con un segreto” ci siamo guardati, abbiamo fatto vagare gli sguardi sul soffitto, per fortuna alto così ci stavano tutti, e poi giù, a scrivere. Una paginetta striminzita, per me. Poi vado a casa, curiosa di vedere come va a finire questa storia fatta di gatti, puntini rossi e peli bianchi. E quando l’ho scoperto decido di inviarla al “Premio Anna Osti“, dedicato alla letteratura per l’infanzia. Incipit “Ciao, mi chiamo Artemisia. Non ditemi niente sul mio nome, non so cosa sia preso ai miei di chiamarmi così. Mi hanno detto che è il nome di una famosa pittrice. Sì, ma di quattrocento anni fa! Così mi faccio chiamare Mimì, non è che mi piace tanto, ma è sempre meglio di Artemisia. Ho nove anni, i capelli neri ricci e gli occhi blu come quelli di nonna Gina. Ho una sorella più grande, si chiama Dafne. Anche lei, che nome… E ho un segreto.” Questo era l’incipit del racconto che ho iniziato a Officina Letteraria durante una lezione di laboratorio. Non sapevo cosa ne sarebbe uscito, e invece? Epilogo E invece sono arrivata finalista al “Premio Anna Osti”: piccoli grandi dispetti tra sorelle e, alla fine, un segreto troppo difficile da raccontare. La buona struttura del testo, l’ottimo utilizzo del linguaggio, il ritmo incalzante, la forza delle emozioni suscitate: ogni aspetto del testo è funzionale ad una narrazione calibrata sullo sguardo tipico dei bambini che evidenzia una chiara capacità di osservazione del vissuto infantile. Questo ha detto di me la giuria. Grazie Officina Letteraria e grazie alla Giuria che ha scelto di giocare insieme a me con un gatto e i suoi peli bianchi! Laura di Biase
Il bosco odorava di more selvatiche. Un riccio, poco più grande di una zucca, si faceva strada nel sottobosco umido, in cerca di vermi e lombrichi carnosi. A un tratto sollevò il muso e corse via zigzagando tra le foglie. Gretel fece un balzo e soffocò un grido. ― E’ solo un riccio. La apostrofò Hansel, sbuffando sonoramente. ― Shh… ho visto un’ombra, lì, dietro quel tiglio. Ho paura. Gretel si aggrappò al braccio del fratello e si guardò attorno tenendo una mano sulla bocca. Il bosco scricchiolò nella luce del pomeriggio e un lembo di rosso spuntò da un cespuglio di rovi. ― Ma è solo una bambina! Gretel scoppiò in una risata aperta e la bimba si rivelò del tutto. ― Scusate se vi ho spaventato. Mi sono persa, ho sentito dei rumori e temevo fosse il lupo. Hansel e Gretel si avvicinarono alla bimba facendo scricchiolare le foglie secche. Un sol boccone di Antonella Botti ― Io mi chiamo Hansel e lei è mia sorella Gretel. Non abbiamo visto nessun lupo. Girovagavamo nel bosco, poi abbiamo sentito un profumo invitante di burro e zucchero e abbiamo seguito la traccia fin qui. ― Mi chiamano Cappuccetto rosso, non ho nulla da mangiare. Mostrò un cestino vuoto e aggiunse. ― Sento che il lupo mi sta seguendo. Si voltò verso nord con le mani strette sul cestino, le nocche chiare, gli angoli della bocca all’ingiù. ― Mia nonna abita oltre il fiume, stamattina abbiamo mangiato le focacce al miele ― abbozzò un sorriso ― mi sembra passata un’eternità. ― Vieni con noi, segui questo profumo. Lo senti? Gretel allungò una mano aperta verso Cappuccetto rosso. Le bimbe sorrisero. I tre si presero per mano e si addentrarono nel bosco. Camminarono il tempo che impiega un tasso a scavare una galleria profonda e ritrovarono quel profumo. A occhi chiusi la seguirono, mani sudate e testa in su. Il lupo ripartì, col muso a terra e l’animo leggero. Le prede erano aumentate. E poi, i tre bambini, finalmente, la videro. Morbidi fiori colorati, coperti da cristalli di zucchero, circondavano una piccola casetta dai muri soffici di focaccia dolce. Archi di cioccolato circondavano le lastre delle finestre ambrate, erano così simili al caramello. I bambini lasciarono andare le mani, finalmente alla meta, corsero verso quel sogno dolce e attraente. Con le dita affondate nei vasi ricolmi di cioccolato, intravidero la porta socchiusa. Cappuccetto rosso richiamò i fratelli con le mani sporche di crema e un largo sorriso di cacao. Gretel corse in direzione di lei ― Se fuori è così, immagina dentro. Rise in direzione di Hansel. ― Forse è meglio di… Ma Cappuccetto rosso e Gretel erano già scomparse all’interno. Hansel guardò intorno il bosco buio e immobile ed entrò, facendo cigolare il grosso biscotto che lo divideva dalle bambine. ― Non vedo nulla. Cappuccetto rosso procedeva tentoni sul pavimento, scontrò un tavolo di legno e si fermò. ― Qui non c’è quel buon odore, usciamo ― fece Hansel. Uno scricchiolio più lungo e la porta si chiuse sbattendo. I tre bambini non videro chi li raccolse come legna da ardere e li caricò all’interno di una casetta di legno, un tetto, sbarre e troppa distanza da terra. Sentirono solo un odore asciutto di polvere antica che tolse loro il fiato mentre cercavano di urlare. La mattina successiva, appena svegli, i bambini trovarono tre piatti ricolmi di frutta, patate dolci, frittelle e succhi profumati. Mangiavano e piangevano, guardandosi muti e incapaci di darsi una ragione. Di sera, al buio, una figura si muoveva attorno al camino, sorbiva al tavolo da ciotole di legno, si avvicinava alla gabbia in silenzio e lasciava sui vestiti dei bambini lo stesso odore secco di polvere antica. Trascorsero gli stessi giorni che impiega un merlo a costruire un nuovo nido. Quel lupo magro e grigio si aggirava da giorni intorno alla casa. Forse aspettava che i bambini uscissero o forse no. Annusava i dolciumi che grondavano da quella casetta isolata e si allontanava disgustato. Tornò ogni giorno, senza mollare l’odore della sua preda che si faceva sempre più fievole e si mescolava a un sentore di latte grasso, fresco, appena munto da gonfie mammelle di mucca. Una notte, quella più scura che Hansel e Gretel avessero mai ricordato, quella figura restò attorno a loro più a lungo. Armeggiava in un vano che i bambini avevano sempre visto chiuso da uno sportello pesante. Rumore di legna, crepitio e poi il fuoco. Una voce rauca, di donna, o forse no, con un alito caldo che sembrava vivo e che si infilò tra le sbarre pesanti, disse: ― Questa notte vi mangerò. I tre bambini si aggrapparono alle sbarre e liberarono tutta la voce che in quel tempo indefinito era rimasta prigioniera nelle loro gole. Cappuccetto spalancò quanto più possibile gli occhi per vedere quella figura, Hansel urlò: ― Non toccherai mia sorella, brutta strega. Gretel lo guardò. Appena ebbe ascoltato quel nome, capì finalmente e cadde immobile. Cappuccetto guardò la bimba nel suo vestito azzurro ormai sgualcito e interrogò con lo sguardo Hansel. ― Una… mangiabambini? Hansel si accasciò in un angolo senza annuire e la porticina, al buio, si aprì. ― Comincerò da voi due. La figura spalancò la gabbia e infilò un braccio robusto dentro, senza guardare, cercando di afferrare qualunque cosa viva si muovesse sotto le sue mani. Strinse Hansel nella sua morsa, il ragazzino cercò di opporre resistenza, ma venne portato fuori come un giunco. Toccò a Cappuccetto, immobilizzata dalla paura. Appena sentì quel tocco capì che quella figura era una donna. Il fuoco ormai sfavillava nel forno e i ciocchi di legno di castagno crepitavano e rischiaravano a sprazzi la casetta umile: un tavolo, un mobile, un camino, un pagliericcio e vasi a terra sparsi senza ordine. Cappuccetto rosso aveva finalmente visto dove aveva trascorso tutto quel tempo. Quella donna gettò la bimba accanto a Hansel, sotto il forno, tra le faville e le lingue di fuoco che bucavano i vestiti e