Proprio come in una vera officina, stiamo aspettando il carico di materiali e attrezzature per il prossimo anno. Questione di poco. Officina Letteraria sta per compiere cinque anni di vita e il 2017 sarà un anno di festeggiamenti, di riflessioni e di bilanci. Anche di cambiamenti, magari piccoli ma dettati dall’esperienza acquisita. Qualche anticipazione? Leggere e Scrivere. Abbiamo capito che il gruppo Leggere e Scrivere è diventato il laboratorio per chi vuole parlare di libri e scrivere un po’, ma senza impegnarsi in un percorso di formazione, è un modo per continuare a rimanere in Officina divertendosi e ricevendo degli stimoli interessanti anche se si sono già frequentati quasi tutti gli altri laboratori, è un modo per ritagliarsi uno spazio settimanale per un’attività che piace insieme a persone che in genere si piacciono vicendevolmente. Leggere e Scrivere è diventato il cuore di Officina, il nostro “Circolo Pickwick”. Abbiamo perciò deciso di affidare il cuore di Officina a tre maestri che mettono molto cuore nelle cose che fanno: Chicca Gagliardo, Pino Petruzzelli e Francesca Biasetton. Il triennio. Abbiamo capito che chi sceglie la formazione in tre livelli preferisce avere tempo davanti a sé, vuole usufruire il più possibile della relazione con i maestri perciò quest’anno allungheremo i laboratori di primo, secondo e terzo livello in onore alla lentezza necessaria per un progetto di scrittura. Ci saranno i maestri, gli scrittori che portano un contributo di esperienza o di tecnica relativa a un genere specifico, gli editor. E ci sarà anche un servizio di Writing help per chi, quando si trova da solo davanti al proprio schermo o al foglio bianco, scopre di avere un problema difficile da risolvere. Allenarsi alla scrittura. Abbiamo deciso di riproporre l’Allenamento dello scrittore, sperimentato lo scorso anno con risultati interessanti. Un training di tre mesi collocato a metà percorso, quando, poste le premesse e ancora lontano il raggiungimento dell’obiettivo, ci si può trovare nella fase più critica o si avverte l’esigenza di una sollecitazione a trovare nuovi modi per far scattare l’immaginazione e sostenere la creatività. Prossimamente. Continueremo con il Laboratorio di Editoria e Scrittura rivolto a chi desidera un primo bagaglio di informazioni ed esperienze sulle professioni che si occupano di libri. Un maestro e un avvicendamento di professionisti più un’esperienza pratica: la realizzazione di un libro. Con l’intento di fornire un training a chi vuol fare un uso professionale della scrittura, attiveremo Scrivere per i social network, sarà un laboratorio serale. Per chi ha tempo solo nei fine settimana o viene da fuori Genova o non vuole impegnarsi con laboratori di lunga durata, ci sarà un programma di workshop e sabati in Officina. E chi vuole scrivere al mattino, perché lavora in altri momenti della giornata o perché ha bisogno di uno spazio per sé perché si occupa di altri, il venerdì mattina ci sarà Dentro le immagini, arte e storytelling, in pratica due corsi in uno: arte contemporanea e scrittura. L’Ora di Officina è invece il nostro laboratorio online, che prevede alcuni momenti di collegamento via Skype sia collettivi che individuali, per chi proprio non riesce a trovare il tempo per venire da noi. È tutto. Ci si iscrive entro settembre, per chi si iscrive entro il 31 luglio c’è uno sconto. A ottobre comincia l’anno di Officina, si va avanti fino a maggio e chi non riuscirà a separarsi da noi in estate verrà in vacanza ad Apricale per continuare a scrivere.
Abbiamo chiesto a Pier Mario Giovannone e Giua, di spiegarci cosa condivideranno nel prossimo Sabato in Officina. Ecco quello che ci hanno raccontato. — Nel seminario di scrittura creativa di sabato 9 aprile condivideremo la nostra esperienza di compositori e parolieri. Rifletteremo su che cos’è una canzone. Quali sono i suoi elementi costitutivi? Il testo e la musica, certo. Ma che ruolo gioca un arrangiamento? E il timbro di voce di chi la interpreta? Proveremo a rispondere alla domanda delle domande: nasce prima un testo o una melodia? E in che modo testo e parte musicale comunicano, s’intrecciano, si fondono? Cercheremo di capire l’importanza del ritmo (colonna vertebrale della musica) e della metrica (colonna vertebrale del testo), e vedremo come ritmo e metrica si leghino e si accordino. Non tutte le parole suonano allo stesso modo. Ci sono parole adatte ad essere lette a mente, parole adatte ad essere pronunciate e parole adatte ad essere cantate. Le sperimenteremo insieme. De André era un cantautore o un poeta? Ci chiederemo se c’è una differenza (in ogni caso, non qualitativa) tra poesia e canzone e tra cantautori e poeti. Il cantante spagnolo Paco Ibáñez dice che «le canzoni sono poesie con le ruote», perché la musica permette al testo di circolare, di diffondersi, di divenire “popolare”. E a cosa serve scrivere una canzone? Non solo a vincere il Festival di Sanremo. Le canzoni fanno parte degli spettacoli teatrali, diventano sigle di trasmissioni televisive, colonna sonora di film e pubblicità, e a volte (a noi è successo) si trasformano in libri per bambini. Faremo molti esempi pratici, attingendo alla storia della musica d’autore, al folklore e alla contemporaneità. Ascolteremo canzoni suonate e cantate dal vivo da Giua. Concluderemo la giornata con una canzone che non è ancora stata scritta, perché la scriveremo insieme, a partire da una melodia, da un’armonia e da un ritmo dati.
La letteratura di tutti i tempi ci offre il racconto dell’amore. Due scrittrici affrontano questo tema appassionante e difficile in un percorso che si propone di offrire alcuni strumenti per raccontare l’amore senza banalizzare, senza cadere in facili sentimentalismi. Emanuela Ersilia Abbadessa, nella prima parte del workshop, analizzerà le strutture narrative di Anna Karenina, Madame Bovary e Fosca. Nella seconda parte, Sara Rattaro presenterà le strutture narrative di Love Story, I Ponti di Madison County, Lettere a Leontine. Ai partecipanti sarà spiegata la tecnica di scrittura “in stile” e verrà richiesto di riflettere sullo stile di un loro autore di riferimento. Saranno proposti anche alcuni esempi di scrittura “à la manière de”. Nella seconda parte del workshop, verrà richiesto a ciascuno dei partecipanti di realizzare un racconto d’amore breve nello stile di un autore a loro scelta o di uno tra gli esempi del workshop. Al termine, saranno letti e commentati gli elaborati. Sabato 13 febbraio 2016 Orario: 9:30-13:30 / 14:30 – 18:30 Costo: 100 euro; per i soci di Officina 80 euro Per ulteriori informazioni e per iscriversi, è possibile contattare Officina all’indirizzo info@officinaletteraria.com
“Come un film” è un seminario di sceneggiatura tenuto da Federica Pontremoli, autrice cinematografica genovese che ha lavorato tra gli altri con Nanni Moretti, Silvio Soldini, Francesca Comencini, Ferzan Ozpetek, grandi registi che hanno diviso con lei e altri autori il compito di scrivere il testo delle loro opere. Per insegnare questa tecnica sabato 23 gennaio (dalle 10 alle 13, dalle 14,30 alle 17,30) e domenica 24 gennaio 2016 (dalle 9,30 alle 13,30), guiderà gli allievi (minimo 8, massimo 15) in una full immersion su un mondo in cui le parole diventano immagini. Il seminario è organizzato da Officina Letteraria, la scuola di scrittura coordinata da Emilia Marasco che ha sede in via Cairoli 4. Per partecipare il costo è 150 euro. Attualmente Federica Pontremoli sta lavorando alla sua prima serie televisiva, senza tralasciare gli impegni sul grande schermo. Infatti, il 18 febbraio uscirà nelle sale Onda su onda, il nuovo film di Rocco Papaleo che ha scritto la sceneggiatura insieme alla professionista genovese e a Walter Lupo. I protagonisti sono lo stesso Papaleo e Alessandro Gassman. Un nuovo titolo che si aggiunge a film celebri come Il caimano e Habemus Papam di Moretti, Giorni e nuvole di Soldini, Lo spazio bianco di Comencini, Magnifica presenza di Ozpetek. Una cospicua esperienza che viene messa a disposizione di tutti coloro ai quali è capitato di immaginare una storia e di volerla scrivere come un film, ma che non sanno da dove cominciare o vogliono migliorare i loro cimenti, muovendo i personaggi tra scene e azioni da guardare. La scrittura ha regole precise e tecniche differenti adatte a un racconto, un romanzo, una pièce teatrale o un film. L’esperienza della sceneggiatura è una grande risorsa per la narrativa, insegna a costruire i personaggi, a strutturare una storia in modo da tradurla nell’arte centenaria e popolare che è il cinema, pieno di parole che devono essere dette, di gesti che si devono vedere proiettati sullo schermo. Il seminario di Federica Pontremoli a Officina Letteraria, è rivolto a chi scrive racconti e romanzi ai fini di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze e a chi vuole avere una prima informazione su come si lavora al testo per un film. «Partendo da una pagina bianca – spiega Federica Pontremoli – ognuno può capire come una storia, annaffiata dalla tecnica che ci metto io, si può trasformare in una sceneggiatura vera e propria con le sue leggi, il suo stile e il suo ritmo». Dopo la laurea in Lettere Moderne, Federica Pontremoli nel 1993 si è diplomata in Sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Dopo avere girato alcuni corti e videoclip, nel 2001 ha diretto il film Quore. Nel 2003 il suo corto Baci da Varsavia ha vinto il Premio Sacher, tanto apprezzato da Nanni Moretti da chiamarla a fare parte del suo ristretto staff di sceneggiatori. Da quel momento la carriera dell’autrice genovese non si è più fermata. Quando: sabato 23 e domenica 24 gennaio. Orario: sabato ore 10:00-13:00/14:30-17:30. Domenica: 9:30-13:30. Dove: Officina Letteraria, via Cairoli 4, Genova Costo:150 euro Informazioni: Officina Letteraria Tel. 010/4551218 info@officinaletteraria.com
di Federica Kessisoglu. Avete mai provato a stare davanti a un foglio bianco? Ci si sente sbiadire a poco a poco: il bianco si diffonde. Ci si ritrova con polpastrelli bianchi, sopracciglia bianche, pensieri bianchi. Un bianco timore ci prende per la gola e riusciamo a scrivere solo parole bianche affollate su quel foglio bianco. Allora ci si deve allenare, farsi fiato e muscoli. Occorre svuotare per riempire, osservare e osservarsi senza paura e senza giudizi. Occorre ascoltare in un modo nuovo. Ascoltare il proprio respiro, ascoltare il proprio corpo dall’alluce ai padiglioni auricolari, ascoltare il proprio cuore che batte e il saliscendi del diaframma. È necessario toccare e annusare, imitare e affidarsi. È necessario denudarsi per arrivare alla semplicità di gesti e parole. È necessario denudarsi per arrivare alla semplicità di gesti e parole. È necessario stare con i piedi ben piantati a terra per poter spiccare il volo. Non bisogna aver paura di emozionarsi, non bisogna aver paura di accettare doni, non bisogna aver paura di sorridere e di guardare veramente chi ci sta di fronte. L’allenamento dello scrittore è stato tutto questo e molto altro che non si può descrivere, ma solamente vivere nella propria intimità. Alla fine ho scritto su un foglio bianco, parole blu come pensieri inediti. Maggiori informazioni su L’Allenamento dello Scrittore!
di Michele De Negri. Ho fatto da cavia. Ed ha funzionato, per quanto mi riguarda. Sono stato invitato alla lezione sperimentale de L’allenamento dello scrittore, un nuovo corso che prenderà piede (letteralmente) a Officina Letteraria a partire dal 3 Dicembre. Mi sono presentato in abbigliamento poco consono all’attività ginnica, e ho apprezzato di poter consumare il riscaldamento comodamente il felpa e jeans. Niente tute o scarpe costose: e questo è il primo punto a favore dell’allenamento letterario. Abbiamo avuto un assaggio di tutti i 4 moduli che comporranno il corso: bioenergetica, relazione, suggestioni video e lavoro sulla voce. Ci riscaldiamo. Muoviamo il corpo, ci inseguiamo e ci imitiamo. Respiriamo. Dalla mente al corpo. A metà degli esercizi, il gruppo si divide in due: metà è isolata, e non messa a conoscenza delle azioni degli altri atleti. Io sono in questa metà. Ci richiamano nella stanza, e assistiamo a una performance. Una mimesi, in un certo senso, messa in atto dagli altri partecipanti: cercano di emulare ciò che hanno appena visto lontano dai nostri occhi. Guardiamo gli atleti, che agiscono ciò che hanno visto: che hanno interpretato. Dal corpo agli occhi. Ora noi interpretiamo ciò che abbiamo visto. Copiamo una copia, traduciamo una traduzione. Dagli occhi alla mente, di nuovo. E ora il passaggio più sorprendente: dobbiamo scrivere. Certo, perché siamo pur sempre a Officina Letteraria. “Scrivete cinque righe, non di più, su ciò che avete visto. Su ciò che avete capito”. In questo momento trascriviamo la nostra traduzione, che è a sua volta l’interpretazione compiuta da un’altra persona, di qualcosa che non abbiamo visto. È uno studio dell’ignoto guidato, che va dai piedi alla carta. Dal corpo, agli occhi, alla mente, alla penna. E ritorno. Dobbiamo ridare corpo alla mente e alla scrittura, perché è un allenamento, ed è fisico. Quindi leggiamo; dalla penna agli occhi di chi legge, alla voce che dà corpo alla nostra mente. Il movimento di cinque persone, che diventa cerchio, poi occhio che guarda, poi mente che traduce; poi occhio che vede, mano che scrive, bocca che legge. È un circolo piacevole nel quale perdersi. E il momento della lettura ad alta voce è davvero catartico e necessario: per sentire vibrare nell’aria ciò che abbiamo provato. Una nota di merito va al sottofondo musicale. All’età di quindici anni frequentavo un corso di disegno. Il primo giorno, la direttrice ci disse: “noi lavoriamo con la musica; non perché crediamo che possa essere di ispirazione, ma perché aiuta a focalizzare”. La frase mi rimase molto impressa, perché sfatava il mito di mus(ic)a ispiratrice; ma è una frase vera. La musica concentra, dà un inclinazione ai nostri pensieri. Respirare, guardare, scrivere e leggere sopra le note di David Lang è certamente un’esperienza piacevole. La musica bussa alle orecchie e arriva nella testa, dove si stanno mescolando tante cose: movimenti, visioni, interpretazioni, scritture. La musica inclina il piano, e fa scontrare tutto, si unisce in un’unica massa critica. E esce qualcosa, perché è troppo per poter stare stretta tra le pareti del cranio. Dal corpo, agli occhi, alla mano, per le orecchie alla voce. Ho partorito un dialogo tra una mano e una testa. Non so se sia una buona cosa, ma è uscita. Meglio fuori che dentro, dice Shrek, e sono d’accordo. Le parole vanno sudate, come le tossine e liquidi durante una maratona; la parole vanno espulse con un allenamento: quello dello scrittore. Maggiori informazioni su L’Allenamento dello Scrittore!
di Marta Traverso. Posso confessarti un segreto? La risacca mi fa impazzire. Passerei ore a guardarla. Quel movimento leggero del pelo d’acqua sui sassolini, una manciata di centimetri avanti, una manciata indietro. Così uguale, scandita, ripetibile. L’aria entra ed esce dai nostri polmoni con lo stesso ritmo: per questo, respiro più volentieri vicino al mare. Come se l’aria, lì dove si fa più bagnata, la si potesse toccare. Nel resto del mio tempo, prendo a esempio quei pesci tanto cari a David Foster Wallace e chiedo in giro dov’è aria, cos’è aria. Solo che, a differenza dei pesci, non ho branchie che respirino senza chiedermi il permesso. Ho due narici e una bocca, come te, e non saprei dire cosa colleghi una all’altra, finché una briciola di cracker scavalca l’epiglottide – che bel suono ha, epiglottide – e mi fa tossire, e per un attimo i miei apparati interni si confondono, mi disorientano. Tutto questo centra abbastanza, con la scrittura. Ventisei lettere, una manciata di segni d’interpunzione, un numero indefinito di vuoti riempiti da uno spazio bianco: così uguali, scanditi, ripetibili. Quella stessa risacca può incattivire tutt’a un tratto, si gonfia nel vento, si lascia sommergere da fiotti di schiuma senza un senso e riduce le spiagge a una crosta. Quella risacca è un raffreddore, il naso che perde il suo ritmo e alluviona un continuo starnutire. Nessuno mi aveva avvertita, prima di Elisabetta Marasco, che finché respiro con la bocca chiusa l’aria cattiva mi continuerà a circolare dentro. Come i momenti in cui l’idea per una storia c’è, e le parole per dirla, sta tutto lì, eppure. Esiste al mondo un essere più spaventoso di un foglio bianco? Nel mio primo Allenamento dello scrittore ne ho tenuto uno tra le mani, un paio di minuti, passato di mano in mano, quelle di Cesare Viel e delle compagne e compagni accanto a me. Il foglio bianco si è accasciato sulle mie ginocchia, è come con gli animali domestici, hanno più paura loro di te che tu di loro, ma non lo sai. Dopo qualche istante, ha preso a respirare al mio stesso ritmo, quello della risacca mentre non piove. Poco dopo, ma ancora non lo so, camminerò guidata dalle Augenblick con il passo lento della risacca. Si è addormentato, ora, e un foglio bianco che dorme fa meno paura. Potevo approfittare di lui a mio piacere: farne una pallina, coriandoli, un aeroplanino, o vomitargli addosso colpi di grafite che diventano poesia. Invece no. La risacca era calma. Gli ho accarezzato i capelli, al foglio bianco. Uno dei gesti più intimi che esistano. Quante persone, tra quelle che conosci, ti concedono di accarezzare loro i capelli? Io l’ho fatto, erano castani, cortissimi, non lavati da un po’. Erano i capelli di un personaggio che non avevo mai visto prima. Se non avessi respirato in quel modo, non lo avrei visto mai. Ho fatto piano, per non svegliarlo. Ho respirato ancora, e quel foglio è diventato lui, senza darmi il tempo di accorgermene. Quando l’ho lasciato andare, ha sollevato un ciuffo di aria. Maggiori informazioni su L’Allenamento dello Scrittore!
di Camilla Tomiolo. Meg Ryan aveva paura di volare. Non so perché quest’immagine si fa presente nella mia mente, mi dico. È un fotogramma di un film degli anni novanta che guardavo da bambina, quando avevo l’influenza. Comunque, Meg Ryan aveva paura di prendere un aereo, l’aereo per Parigi, l’aereo che avrebbe cambiato la sua vita, in meglio. Siamo tutti in cerchio, senza scarpe, stiamo con una mano sulla pancia e una sul petto. Respiriamo. Ci concentriamo sul sù e giù. In silenzio. Così in silenzio che perfino il tic-tic dell’orologio di qualcuno sembra un rumore fortissimo. Non sembra nemmeno di essere a Officina Letteraria, penso. Stiamo facendo Bioenergetica. C’è una insegnante, Elisabetta Marasco, che ci parla e si prende cura dei nostri corpi dicendoci di fare cose semplici, così semplici da sembrare strane. Tipo respirare, che é una cosa che io spesso mi dimentico di fare, durante la giornata. Mi dimentico che lo sto facendo. E così mi dimentico di un sacco di altre cose: mi dimentico di osservare le persone, di osservare le cose, di ascoltare i suoni, di immaginare. Fa paura, penso. Sentire così, sentire di più, non essere distratti, invasi dai mille pensieri devo stare qua, devo andare là, devo fare questo, devo fare quello. È Cesare Viel a dircelo. Siamo sempre tutti in cerchio. Sarebbe bello, dice, poter mettere un po in pausa quell’Io giudicante. Risatine complici di sottofondo, fosse facile! Provateci, continua lui. Provate a non sentirvi in dovere di fare nulla, nulla di performativo, nulla di stupefacente. Abbiamo in mano un foglio di carta bianco, una cosa piccola, normale, ma che, con questi occhi più grandi, in questa calma, sembra una cosa nuova, piena di possibilità. Ma noi non dobbiamo fare nulla di stupefacente. Ed è così che l’emozione riesce a sgusciare in mezzo alle anse perennemente presenti dell’ansia da prestazione. Così, io vedo le ombre delle mie dita su quel foglio bianco e mi dico che va bene così, mi incanto ad osservarle. Se avessi dovuto pensarmela non ci sarei mai arrivata. Così, i fogli bianchi che ci facevano paura, adesso ce ne fanno un po’ meno. Lasciarsi andare non é facile. Io di solito ci riesco solo tra i mobili di casa mia. E invece ora… Meg Ryan aveva paura di volare, la creatività é un po’ un volo. Verso qualcosa che non conosciamo, qualcosa di noi che non conosciamo. C’è sempre la vocina che si mette di mezzo: ehi, tu! Ma che cosa stai facendo? L’Allenamento dello Scrittore serve ad andare oltre. Ecco quello che é successo ieri sera, a Officina Letteraria, grazie a tutti gli artisti, maestri nel loro campo, presenti. È talmente successo che alla fine mi sono ritrovata, guidata dalle due performer Alessandra Elettra Badoino e Marina Giardina del gruppo Augenblick, a fare, insieme ad altri, una piccola azione teatrale su cui un altro gruppetto di noi ha scritto delle bellissime cose, tutte diverse, tutte con all’interno qualcosa di personale, di nuovo. Tutto il processo creativo era completo. Maggiori informazioni su L’Allenamento dello Scrittore!
Resistere Sempreverdi. Nonostante il vento contrario, nonostante la pioggia, anzi nella pioggia e nel vento: crescere sempre nuove foglie. Perché l’ostinazione è la speranza in atto. Jacopo Oliveri. X Si intitola così, Sempreverdi (malgrado la stagione avversa), la mostra collettiva di illustrazione che inaugura sabato 21 Marzo in Officina Letteraria. Mi è venuto da pensare all’illustratore come una pianta Mi spiega Matilde Martinelli, giovane illustratrice e curatrice del progetto: una pianta che non avvizzisce ma che si reinventa, che reagisce alle carenze (non solo economiche, ma anche culturali) conservando, anzi rendendo quasi più fulgido e potente, il contenuto del proprio immaginario Matilde si è laureata all’ISIA di Urbino, dove ha conosciuto la maggior parte degli illustratori in mostra, con i quali ha condiviso una precedente esperienza espositiva in occasione della scorsa edizione dell’Andersen Festival di Sestri Levante. “I vestiti nuovi di H.C.”, la mostra collettiva di allora: per interpretare, ciascuno con la propria personalità, le più celebri fiabe di Andersen. Olga Tranchini. La prima consegna del postino Giulio Questa volta invece non c’è un tema di riferimento, non c’è una regola né percorsi comuni nell’elaborazione che possano essere poi recuperati da chi guarda. Sospensione dell’incredulità, mi viene in mente. Letizia Iannaccone. Desiderio N2 Quella felice espressione che Samuel Taylor Coleridge inventò per descrivere la deliberata astinenza dal dubbio, la volontaria rinuncia a cercare un filo conduttore, una congruenza, quell’incondizionata fede poetica attraverso la quale si riesce a godere di un’opera di fantasia. È con questa fiducia che ci è chiesto di guardare. Giorgia Marras. Wunderland Così la luna ci mostra la sua faccia nascosta, con crateri mai visti prima d’ora, da far sbuffare i precisi. Qualcosa è accaduto: una diversa rotazione, all’improvviso? Che ne sarà delle maree? E delle biglie perdute tra le onde? E del nostro riflesso allo specchio? Uno specchio rotondo, come una biglia di vetro, come la luna, come rotondo è il cerchio. Ma poi che cosa? Cosa cerchi? Matilde Martinelli. Grafite su carta. La luna, se vuoi, è qui sopra: puoi stringerle la mano. Ti occorrono una scala e uno zainetto-casa dove mettere il cuore. Meglio tenerlo già pronto, il cuore nello zaino, perché quando la luna ti invita bisogna partire subito: Senz’attesa. Daniele Nitti. Tecnica mista. Daniele Nitti. Senz’attesa Aspetta! Lascia che ti dica, poi ti dirò io, ed io. Non vorrò fare di testa mia anche questa volta? Sono una, siamo quattro. Valentina Lorizzo. Stampa su carta. Valentina Lorizzo. Sono una, siamo quattro Adattarsi? si può? Quattro mura di griglia sono una gabbia per chiunque. Come vedi ho messo una cresta conforme, l’ho ridimensionata, le ho smussato gli angoli perché fosse perfetta per i fori di questa prigione: del tutto adatta. Silvia Venturi. OH, Rapidograph + tecnica digitale. Silvia Venturi. OH, Se non stiamo attenti, con le correnti che corrono, finirà che al luna park, al posto dei pesci rossi, nelle bocce di vetro ci saranno le sirene. Così, centrando uno di quei vasi tondi pieni d’acqua, ogni bambino potrà vincere la sua sirena e portarsela a casa in un sacchetto di plastica gonfio d’acqua e di malinconia. Correnti. Ste Tirasso. Tecnica mista. Ste Tirasso. Correnti Alla deriva, un piccolo naviglio in una grande porzione di mondo. Misura la sua traiettoria, si da una direzione, ma più di tutto cerca di fare piano, di diminuire il suo disturbo nel mondo. Sia mai che da questi blocchi di ghiaccio, maestosi e perfetti, si sveglino a un tratto giganti contro i quali nulla si può… Silenzioso. Senza meta. Un piccolo naviglio. Luca Tagliafico. Tecnica mista. Luca Tagliafico. Un piccolo naviglio In mostra: Letizia Iannaccone, Valentina Lorizzo, Giorgia Marras, Matilde Martinelli, Daniele Nitti, Jacopo Oliveri, Luca Tagliafico, Ste Tirasso, Olga Tranchini, Silvia Venturi, Arianna Zuppello. Sempreverdi (nonostante la stagione avversa). In Officina Letteraria, sabato 21, ore 18.00. In occasione della mostra, laboratorio Ping Pong – La semantica del rimando, a cura di Silvia Venturi e Matilde Martinelli, per indagare le possibilità espressive insite nel rapporto tra parola e immagine. Sabato 18 e domenica 19 Aprile, presso Officina Letteraria. Per informazioni: info@officinaletteraria.com
“È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio” diceva Albert Einstein. Quando penso ai libri della mia infanzia, a quelli a cui torno puntualmente per salvarmi la vita, a quelli che non mi sono piaciuti, a quelli che non ho capito, a quelli che ho… a cosa penso? Penso… Penso alle parole nere incise sulla pagina. Penso alle frasi che mi hanno fatto sentire che non ero sola, che c’era qualcun altro che era passato di lì, che ci era riuscito, che aveva trovato quello che io stavo cercando. Penso alle voci dei personaggi. Penso ai loro modi di muoversi e di parlare, al tipo di parole che lo scrittore gli ha messo in gola. Penso alle atmosfere in cui mi sono immersa leggendo quelle storie, ogni libro ne ha una. Penso a come spesso mi sia trovata a desiderare di essere un personaggio anche io o a quanto avrei desiderato tirar fuori da quello spazio bidimensionale dell’immaginazione quegli eroi ormai così cari, familiari. Cartacanta. Scendendo le scale e entrando nel Laboratorio creativo di Marta Wrubl riesco a percepire il gusto del pregiudizio sotto la lingua, è un pregiudizio inteso in senso “buono”, è la manifestazione del mio non conoscere e quindi non capire. È quella ruga di stupore, quella “fatica” di aprirsi uno spazio mentale per permettersi di godere di una nuova luce. La carta è quello che manca nella mia percezione del libro. È abbastanza paradossale. Ma è così. La luce mi colpisce dritta in mezzo alla fronte. Flash. C’è un mondo qui dentro, in questo studio, che io non avevo mai considerato. La carta. Cosa ne sarebbe di tutti i personaggi e le parole senza la carta? Ma non è solo questo, c’è di più. Marta Wrubl e molti artisti come lei ne hanno scorto il potenziale, l’hanno messa al centro, le hanno dato la possibilità di essere opera d’arte. La carta bianca è come il silenzio, sembra che non abbia niente da dire. Assenza. L’ho sempre vista come assenza. Al più ho provato quel panico da pagina bianca, quell’ansia da prestazione che mi faceva avere fretta di riempirla, di dimostrare che ero in grado di farlo. Non l’ho mai guardata. Non credevo si potesse. Eccolo il pregiudizio. E invece. E invece lei è viva, sta zitta solo se non la ascolti. Richiede cure, Marta Wrubl lo sa, ha studiato per imparare a farlo, alla Scuola di Restauro di Firenze. Anche lei all’inizio la carta la usava solo come supporto: il suo primo amore è stato la pittura. Nel suo studio artistico fa entrambe le cose: lavora con la carta e dipinge. Cartacanta è il nome del suo spazio, il luogo dove sperimenta e gioca, mescola l’arte al sapere artigiano, studia diverse tecniche per trattare questa materia prima, si divide tra la creazione e il recupero, la conservazione e la trasformazione. Aggiusta libri antichi di quattrocento anni, a volte ci trova dentro piccoli reperti “archeologici”, tracce del passato sotto forma di un capello bianco (di uno studioso del 1600?) o di un insetto ormai bidimensionale, conservato tra le pagine quasi di seta. Un tempo la carta di faceva così: a partire dalle fibre della stoffa. La consistenza è quella di un tessuto, liscio e molto bianco, ancora oggi, oggi pomeriggio, mentre io ci passo sopra i popastrelli delle mie dita. Questa è la parte del lavoro di Marta in cui la carta chiede di essere rispettata, riportata al suo stato originario, il più possibile. E allora lei la cuce, ne riempie gli strappi, le toglie di dosso il tempo. I suoi clienti le portano di tutto: libri, manoscritti antichi, ventagli di carta con sopra dipinte scene bucoliche, tavole da backgammon, fumetti degli anni ’50, copertine di dischi, oggetti vintage. Ci sono persone per cui quella carta è molto importante. La parte più creativa del lavoro di Marta prevede la realizzazione di legature e oggetti in carta. È qui che il mio orizzonte si amplia. La carta può essere tridimensionale e può addirittura muoversi, gli artisti che sperimentano questo tipo di arte lo sanno, Marta li cita sul suo sito, io vado a curiosare e scopro cose meravigliose come questa. Inizio a capire come davvero la carta abbia dei segreti da offrire, come sia importante saper guardare. Gli artisti sono tali proprio perchè hanno occhi diversi, vedono la possibilità, sanno ascoltare la materia silenziosa, usarla in modi nuovi, rendere l’impossibile possibile, ampliare la realtà. Tagliare, piegare, incollare, traforare, sovrapporre e plasmare. Mi giro indietro verso ciò che credevo di sapere, vedo la scrittura farsi sempre più piccola e relativa, una tra le tante alternative. Marta Wrubl sperimenta tecniche di decorazione della carta come la marmorizzazione e il Suminagashi. Mi interessano anche l’arte dell’Origami, il paper cutting, i pop-up e la cartapesta, mi dice. Recentemente ho iniziato a produrre orecchini ed anelli utilizzando perline, ritagli e frammenti di carta marmorizzata o antica, mi piace l’idea che un particolare disegnato o stampato su carta possa diventare un oggetto da indossare. Mongolfiere parigine che “volano” sopra alle tue dite, a centinaia di anni di distanza da quando sono state disegnate su quelle pagine da cui lei le ha ritagliate, questa è la parte del lavoro che chiama “trasformare“, c’è molto rispetto per la carta anche in questo, è solo un altro modo di farla rivivere. Dopo aver ascoltato e guardato, cerco di ricostruire un’immagine di Marta. Mi cade lo sguardo sulla sua produzione di fogli di carta marmorizzati: cangianti, come lei. Marta Wrubl è un sacco di cose insieme: una restauratrice, una pittrice, un’illustratrice, un’artista in cerca di nuove intuizioni, una sognatrice, una che fa magie e contratta con il tempo e gli strappi. Tutto questo fa di lei anche un’insegnante dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Nulla mi appaga di più della gioia condivisa con altri nel creare con la carta. Il Laboratorio. Marta Wrubl terrà un Laboratorio di legatoria a Officina Letteraria dal nome “Il mio libro è un pezzo unico“. L’idea è di creare un oggetto
Torna dopo un anno il Laboratorio Officina Ragazzi, dedicato ai giovanissimi che vogliono avvicinarsi presto (o si sono già avvicinati prestissimo) al mondo della scrittura. A tenere il corso sarò proprio io, e ci incontreremo sei volte (ogni martedì dal 17 marzo al 21 aprile, dalle 17:00 alle 18:00 alla sede di Officina Letteraria, in Via Cairoli, 4) per parlare di letture rigorosamente “extrascolastiche”, di cosa vuol dire fare lo scrittore oggi, di preparazione di testi per il web e, soprattutto, per scrivere insieme. Il costo complessivo dei sei incontri è di 80 euro. Il Laboratorio è destinato, quest’anno, a ragazzi giovanissimi: dagli 11 ai 16 anni. Il Laboratorio è destinato, quest’anno, a ragazzi giovanissimi: dagli 11 ai 16 anni. Mi dicono dalla regia che il numero massimo di partecipanti è già stato quasi raggiunto, quindi se volete unirvi a noi affrettatevi a contattare Officina Letteraria. Abbiamo deciso di destinare il corso a un “piccolo gruppo” per seguire meglio i progetti dei ragazzi. Per qualsiasi informazione più specifica sul corso, è possibile mandare una mail all’indirizzo info@officinaletteraria.com.
Tra i diritti imprescrittibili del lettore, dopo il diritto di spizzicare e prima di quello di tacere, Pennac inserisce proprio questo il diritto di leggere a voce alta Perché? Semplicemente perché è meraviglioso. Sentirsi raccontare una storia è un piacere antico, che molti di noi hanno sperimentato da piccoli. Raccontare una storia ad alta voce, dare un suono alla parola scritta (da noi o da altri), attinge a quello stesso angolo delle emozioni da cui tiriamo fuori il ricordo del nostro primo libro: ti ascolto e ti racconto, c’era una volta e c’è ancora. Quando leggiamo un libro a un bambino, se siamo fortunati, si crea uno spazio speciale in cui si accomodano tutti, chi legge, chi ascolta, il profumo delle pagine e i personaggi di carta: è una poltrona di nuvola in cui si sprofonda col sorriso. Ma perché smettere quando si cresce? I Cantastorie parlavano a tutti, grandi e piccoli. Erano artisti di strada che si spostavano da una piazza all’altra e raccontavano storie antiche e nuove accompagnandosi con uno strumento musicale, una chitarra di solito. Su un cartellone illustravano le principali scene del racconto, che andavano a segnare col dito. Era semplice, e tutti stavano ad ascoltare. Erano cantastorie anche i rapsodi greci, i trovatori e i trovieri, per non parlare di tutte le figure tradizionali della cultura orientale: le Chitrakar, cantastorie-pittrici indiane, o i cantastorie giapponesi, che si spostavano in bicicletta con le loro kamishibai, valigie-teatri viaggianti. È un fatto che la letteratura è nata prima della scrittura. E che leggere ad alta voce fa bene. In molti paesi sono sorte iniziative per la promozione della lettura ad alta voce, negli Stati Uniti, in Germania, in Gran Bretagna, e anche in Italia con Nati per leggere. Ma, ancora, perché limitare questo piacere ai primi anni di vita? E infatti c’è chi a smettere non ci pensa neanche. Sono sempre più diffuse le pratiche del reading e dello storytelling, rivolte a chiunque voglia ascoltare, senza discriminazioni di età. C’è anche chi legge ad alta voce per chi non può leggere da sé. Annalisa Soldà mi racconta la sua particolare esperienza di lettrice tra quattro mura, come si definisce: il pubblico so che ci sarà, ma non lo vedo davanti a me quando registro. Annalisa presta la sua voce per creare audiolibri, la sua esperienza mi entusiasma e mi faccio raccontare. Esiste una lettura zero, che è la prima lettura di un testo ad alta voce, mi dice. Durante la lettura zero, Annalisa si ascolta e valuta il ritmo, il volume della voce e il tono. Dove poter fare una piccola pausa per riprendere fiato e se la melodia – la chiama proprio così, la melodia – è quella giusta oppure ci sono stonature. Soprattutto mi concentro sulle emozioni che ho ricavato dal testo, come posso farle mie e trasmetterle: più anima ci metti e meglio viene la lettura Dario Apicella, animatore culturale, narratore e attore, gli audiolibri li ascoltava da piccolo, quando ancora non si chiamavano così ed erano un prodotto destinato unicamente ai bambini che ancora non sapevano leggere. Mi affascinavano le voci degli interpreti, mi racconta, famosi attori di cinema e teatro come Gabriele Lavia, Oreste Lionello, Ottavia Piccolo… Quelle voci mi davano piacere, lo stesso piacere che provavo nell’udire la voce di mia madre che cantava vecchie canzoni facendo i lavori di casa. Ed è così che, dopo la formazione teatrale allo Stabile di Genova, questo interesse si delinea e si trasforma in desiderio: mi sono reso conto, continua Dario, che ciò che desideravo di più, quello che per me era veramente importante e necessario, non era il palcoscenico, ma leggere, ascoltare e raccontare storie. Se quando sarà grande (tra poco, dice) gli chiederemo che lavoro fa, potrà risponderci: racconto storie, sono un narratore. È il suono, la prima cosa che arriva dice Dario Manera nel presentare il suo corso Ad alta voce , che si terrà presso Officina Letteraria a partire da quest’anno. Dario è attore, diplomato alla Scuola di Arte Drammatica Piccolo Teatro di Milano, e la sua esperienza di teatro gli ha insegnato che la parola deve muoversi non solo verso l’orecchio altrui, ma anche verso la mente e la memoria di chi ascolta, spiega. Una buona lettura, aggiunge, è in grado di toccare gli altri con la voce, di rianimare la parola scritta nel passaggio al suono, andando a recuperare la stessa emozione che l’aveva concepita. E le pause? Le pause non sono assenza di parole, danno respiro al discorso. E a chi legge. Bisogna poi tenere conto della modulazione tonale, dei volumi, del ritmo, la dizione e una corretta respirazione. Siamo tutti dei buoni “raccontatori”, dice Dario, si tratta di imparare a recuperare abilità che in qualche misura già possediamo. … E sono passata dall’altra parte! – Dall’altra parte di cosa? – Della cicatrice! Dall’altra parte del cielo! Sono entrata! è proprio questo che ti volevo raccontare. Papà, sai cosa c’era dall’altra parte del cielo? – No, dimmelo. Dimmi subito, amore mio… (Daniel Pennac, Il giro del cielo)
Sabato 29 novembre, oggi, Pino Petruzzelli terrà ad Officina letteraria un Laboratorio che ha per tema il monologo, intitolato “Viaggiare, ascoltare, interpretare”. Questa mattina ci siamo incontrati e abbiamo fatto una chiacchierata davanti a un caffè e un cappuccino, al riparo dalla pioggia fine che cadeva sulla spianata di Castelletto. Faccio subito mea culpa con Pino e gli dico che non ho mai visto nessuno dei suoi spettacoli e che per cercare di conoscerlo un po’, prima del nostro incontro, ho iniziato a leggere il suo libro “Gli ultimi” , non l’ho ancora finito, però, aggiungo. Pino sorride, e il sorriso è la prima cosa che mi colpisce di lui, prima il sorriso, poi il timbro della voce e i capelli bianchi e cotonosi che fanno venire voglia di accarezzarli tanto sembrano morbidi. Ha tutta l’aria di una persona che sta bene dove sta, che abita comodamente il suo corpo e la sua vita, mi sembra felice, e questo mi piace molto. Ho con me un quaderno sul quale la sera prima ho diligentemente segnato le domande da porgli e che non gli farò; secondo mea culpa, non ho mai intervistato nessuno, e sono agitata, con la testa che mi gira e la lingua allappata. Pino, che, oltre a essere un autore e un attore, si definisce un appassionato ricercatore di geografie umane, se ne accorge e mi viene in soccorso iniziando a parlare. “Pino Petruzzelli si definisce un appassionato ricercatore di geografie umane” Ciò che mi colpisce nella biografia di Pino Petruzzelli è che la maggior parte del suo lavoro è dedicato al racconto di tutte quelle vite che se ne stanno, bistrattate, ai margini della così detta società civile; Pino racconta degli zingari, degli immigrati, di chi prova a farcela onestamente, rimanendo coerente a se stesso, racconta degli ultimi. Gli chiedo perché. Mi risponde che preferisce lavorare così, dedicandosi a ciò che gli interessa davvero, piuttosto che andare in TV, nulla contro la TV o internet, aggiunge, non è il mezzo in sé, ma l’uso scriteriato che ne facciamo. Mi dice che è iniziato tutto per caso, o quasi, e che finito il liceo ad Ancona pensava di iscriversi a Chimica, che il teatro era, allora, solo un attività secondaria, un modo per passare il tempo con gli amici. Invece, su suggerimento di sua madre, provò ad entrare all’ Accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico” e ci riuscì. Mi racconta che dopo l’accademia ci furono i primi lavori a teatro, l’Orestea con Cammilleri, ad esempio, fino all’ingaggio al Teatro della Tosse e il trasferimento a Genova. Nel 1988, insieme a Paola Piacentini, fonda il Centro Teatro Ipotesi che si occupa di tematiche sociali e dell’integrazione tra culture diverse. Pino scrive e porta in scena i suoi spettacoli, “Non chiamarmi zingaro” (2009), “La storia di Tonle” (2010), tratto ad un romanzo di Mario Rigoni Stern, “Di uomini e di vini” (2007) e molti altri ancora. Scrittura e teatro. Come scrivi?, gli chiedo, a mano, con una matita, su fogli di carta semplice, mi risponde, scrivo, scrivo e scrivo, poi, quando ho finito, inizio il lavoro di taglio e cesello. “Come scrivi ?, gli chiedo, a mano, con una matita, su fogli di carta semplice, mi risponde, scrivo, scrivo e scrivo, poi, quando ho finito, inizio il lavoro di taglio e cesello.” È passata un’ora, Pino deve andare, gli faccio un’ultima domanda, di cosa vorrebbe raccontare nei prossimi lavori. Forse, dice, dell’infanzia, mi dice, dei bambini. Fuori dal bar la pioggia continua a cadere, ci stringiamo la mano. Ci vediamo sabato al Laboratorio, gli dico. Mi sorride con il suo sorriso aperto e se ne va. Non so se voglio scrivere un monologo, anzi, al momento direi di no, non voglio scrivere un monologo, ma credo che passare un sabato con Pino Petruzzelli e l’umanità che ha incontrato e che si porta dietro possa essere davvero un bel modo di passare il tempo e di capire quelle vite che sono così diverse dalla mia.
Officina Letteraria a Genovalegge Venerdì 14 novembre, a Palazzo Ducale di Genova, apre la terza edizione del festival L’altra metà del libro, che, a partire da quest’anno, si fonde con La Notte degli scrittori in un’unica grande rassegna dedicata ai libri, ai lettori, alla letteratura: Genovalegge. Officina Letteraria parteciperà attivamente a Genovalegge con un Laboratorio di scrittura creativa gratuito, condotto dalle nostre Ester Armanino ed Emilia Marasco. Scrivo dunque leggo Il nome del Laboratorio è “Scrivo dunque leggo” perché la lettura è la prima scuola di scrittura. Lo scrittore crea, il lettore vede: luoghi, personaggi, intrecci. Il lettore è chiamato a usare occhi particolari, gli occhi della sua immaginazione. Ma, una volta che abbiamo osservato, l’immaginazione può anche servire a sperimentare, a trasformare quello da cui siamo partiti in qualcos’altro, a diventare noi gli scrittori della storia, a trovarle uno svolgimento alternativo, un finale diverso. “La lettura è la prima scuola di scrittura” E proprio da questa riflessione nasce la scelta di strutturare il Laboratorio in due parti: la prima dedicata alla lettura, la seconda a due esercizi guidati di scrittura. Un romanzo che parla di un romanzo Le letture saranno tratte dal romanzo “Le ore” di Michael Cunningham, uno degli scrittori protagonisti del festival. E la scelta non è casuale: “Le ore” è un romanzo che parla di un romanzo, un romanzo le cui protagoniste, pur vivendo in tempi e luoghi diversi, sono legate tra loro da un filo e si da il caso che questo filo sia proprio un libro, in modi diversi significativo per tutte e tre: “La signora Dalloway” di Virginia Woolf. Si parlerà, quindi, e si leggerà anche di questo. Infine, si sfoglieranno alcuni consigli di scrittura tratti dai “Diari del mestiere” della stessa Woolf contenuti nella raccolta “Consigli a un aspirante scrittore“. Lettura applicata Gli esercizi di scrittura seguiranno alle letture e partiranno dalle riflessioni sviluppate su di esse. Dove e quando L’appuntamento è per: Sabato 15 Novembre dalle ore 10:30 alle ore 12:30 (in alternativa dalle ore 15:00 alle ore 17:00) in Sala Liguria, al primo piano di Palazzo Ducale. Il Laboratorio è aperto a tutti e non sono previsti costi di partecipazione. Per iscriversi è necessario mandare una email all’indirizzo: iscrizioni@officinaletteraria.com entro e non oltre il 14 Novembre. Vi aspettiamo!
Perché infilarsi nella tana di Coniglio Bianco di Anselmo Roveda. Scrivere è un piacere, certo. Ma è anche un mestiere. Da fare bene, come ogni mestiere. Mal tollereremmo un idraulico, un panificatore o un elettrauto improvvisati, dopo esserci rivolti a loro non dovremmo avere più sgocciolii nell’acquaio, assaggiare pane sciapo, restare fermi su una piazzola dell’autostrada. Anzi, dopo il loro intervento dovremmo trarre qualche soddisfazione: la quiete terminato lo stillicidio, il piacere di un buon pane, un’andatura sicura e fluida dell’autovettura. Nello stesso modo accostandoci alle pagine scritte da un autore dovremmo poter trarre soddisfazione: l’incontro con una storia dotata, intimamente e universalmente, di senso (anche il fantastico e il surreale lo hanno) inteso come coerenza, efficacia, piacevolezza, domanda. Non necessariamente risposta, certo domanda. E il senso della scrittura risiede non tanto, o non solo, nella storia da raccontare ma nella pertinenza della lingua scelta per raccontarla. E il senso della scrittura risiede non tanto, o non solo, nella storia da raccontare ma nella pertinenza della lingua scelta per raccontarla. Storie belle da raccontare ne è pieno il mondo, abbondano nelle teste, nei cassetti e negli hard disk degli scrittori o aspiranti tali, in quelli dei professionisti come in quelli degli inediti. Le belle storie, le buone idee, diventano buoni libri quando si sostanziano nella scrittura. Una scrittura che non è solo lingua; qui intesa come quella che apprendiamo da bambini con fatica, seppur inconsapevoli, e usiamo da adulti, ormai abbandonata la fatica, spesso, ahimè, altrettanto inconsapevoli. La lingua scritta è altro, è opportuno esercizio di fatica, di lavoro. Da auspicarsi leggero e piacevole, ma pur sempre lavoro. Ingeborg Bachman in Letteratura come utopia (Adelphi 1993) scrive: “Noi tutti crediamo di conoscerla, la lingua, e, infatti, l’adoperiamo. Non così lo scrittore, lui, lui soltanto non può adoperarla”. “Noi tutti crediamo di conoscerla, la lingua, e, infatti, l’adoperiamo. Non così lo scrittore, lui, lui soltanto non può adoperarla” Dovrà recuperarla, “riportarla in vita seguendo un rituale”, giusta e pertinente per la storia che vuole raccontare, per il mondo che vuole rappresentare. Antonio Pennacchi, in occasione della riedizione di Mammut (Donzelli 1994, ora Mondadori 2011), ha più volte raccontato come quel suo primo libro, scritto in un anno, abbia impiegato oltre cinquanta rifiuti, otto anni di riscritture e una limatura di quasi duecento pagine prima di trovare collocazione e fortuna. Non era il mondo editoriale a complottare alle spalle dell’esordiente senza blasone o l’incuria di editor distratti e poco scrupolosi o ancora lo stigma dello scrittore o più semplicemente un’iniqua sfortuna ad agire; no, il testo, dice oggi Pennacchi, aveva bisogno di diventare altro, oltre l’idea narrativa doveva farsi scrittura, libro, letteratura. Il ben più acclamato Jack London di rifiuti ne ricevette parecchi. Quando si parla di letteratura per ragazzi, poi la faccenda si fa ancora più spinosa. Le questioni di pedagogia e psicologia dell’età evolutiva, quando non di didattica e morale, invadono, non prive di qualche legittimità, il campo. In agguato – e chi ha esperienza di redazioni lo sa bene – ci sono edificanti racconti della nonna, vari ammaestramenti, mielose storielle sui buoni sentimenti, coniglietti paffuti e fatine eteree, scritture a tesi (dove il “male” non è la tesi ma la poca cura che viene posta nel condurla a esito, come se la tesi fosse sufficiente in sé per fare letteratura). Toccherà allora scomodare l’abusata citazione di Dino Buzzati: “Scrivere per ragazzi è come scrivere per gli altri, solo più difficile”. La difficoltà inoltre si articola e moltiplica. Oltre al far letteratura in prosa o in poesia, qui, nell’editoria per ragazzi, incontriamo anche un linguaggio altro – quello che investe i picture book – che mette in gioco tutta la sfera progettuale del libro, l’interazione in interdipendenza di testo e immagini. Ma fermiamoci, per ora, alla scrittura; non alla sinergia con l’illustrazione. La scrittura dei picture book è altro, prevede processi creativi e compositivi indipendenti e propri. La difficoltà, nel ragionare intorno a scrittura e ragazzi, sembra inoltre stare nel destinatario. Altri rischi sono in agguato, questa volta proprio linguistici. Una tendenza a semplificare non verso chiarezza ma verso banalizzazione, un accostarsi ai bambini “abbassandosi” e non “calibrando”, che rischia di coinvolgere anche professionisti della scrittura quando scelgono un interlocutore infantile. Minacciosi e inopportuni spuntano discorsi diretti al lettore, “cari piccoli amici…”, di ottocentesca memoria. Lo scrivere per bambini non è scimmiottare una nostra lontana e vaga idea d’infanzia tutta colorata e dolce, è invece raccontare buone storie in una buona lingua, pertinente appunto. Raccontare buone storie in una buona lingua, pertinente appunto. Non parlare una lingua-bambina (esiste poi? E davvero è così sciocchina come certi adulti immaginano?), ma essere capaci di assumere punti di vista, questi sì rintracciabili nella memoria infantile di ciascuno. Beatrice Masini, in un’interessante intervista pubblica sul n. 186 (nov. 2010) della rivista francese “Nous voulons lire!”, dice: “Sono diventata un’autrice per l’infanzia perché mi sono resa conto che la maggior parte delle storie che scrivevo – allora avevo ventanni – avevano come eroi dei bambini e dei ragazzi. Si trovano bambini e ragazzi anche nella letteratura per adulti, ma la differenza, credo, è il punto di vista: se tu assumi il punto di vista d’un bambino o d’un ragazzo e ti poni la questione di calibrare la scrittura sulla sua voce, sul suo sguardo sul mondo, allora scrivi per ragazzi”. Apparentemente semplice. Schietto e vero, convince. È in questa semplicità, ponderata e linguisticamente laboriosa, che si risolve quella maggior difficoltà espressa da Buzzati. La riflessione sullo scrivere per i bambini, ma anche con i bambini, sul fare poesia con loro, sul fare loro scrivere – e qui oltre il mestiere, rientrano prepotenti anche le dimensioni, care agli scrittori, della creatività e dell’espressione – vive oggi un buon momento. Non mancano le occasioni per approfondire visioni e metodi. Ricordando sempre che fantasia, estro, talento e creatività da soli contano poco davvero, vanno piuttosto coltivati e accompagnati con una ricca biblioteca di letture, una solida cassetta degli attrezzi, qualche trucco del mestiere, tanto lavoro, una buona