C’era una volta: il duemilaquindici

Il 2015 è stato l’anno delle collaborazioni, degli eventi esterni a Officina, dell’apertura alla città. C’era una volta il duemilaquindici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Un gruppo, del quale facevo parte anch’io, composto da Giulia Cocchella, Andrea Fabiani, Federica Kessisoglu, Dario Manera, Ilaria Scarioni, Marta Traverso, Elena Mearini, ha avuto l’opportunità di collaborare con Approdo Arcigay in occasione di una importante mostra-convegno, alla Commenda di Prè, intitolata “Dimenticare a memoria”. Un lavoro di riflessione e di ricerca sull’Olocausto, un percorso di scrittura forte, emotivo, che ha lasciato una traccia profonda dentro di noi. Nel 2015 Ester Armanino ha guidato un collettivo di giovani di Officina, i Caratteri Mobili, in un lavoro sul tema del cibo per partecipare al Bando per la Biennale dei Giovani artisti del Mediterraneo. Il risultato è stato Re-story-ant, un racconto da comporre, con più di 4.000 combinazioni. Il gruppo è stato selezionato per partecipare alla Biennale a Milano nell’ambito di Expo 2015, e il lavoro di scrittura è stato presentato con un’installazione e un video realizzato da Alessandro Bellagamba, direttore della Scuola di cinema di Villa Bombrini. Abbiamo cominciato la collaborazione col gruppo Augenblick con un laboratorio legato al loro super-premiato video “Su misura”. Siamo tornati ad Apricale con il laboratorio Cercatori di storie. In occasione della riapertura dei corsi a settembre abbiamo allestito Il montaggio di una storia, riaprendo per un giorno l’ex edicola di giornali di Piazza della Meridiana. Il successo dell’iniziativa ci ha spinto a presentare al Municipio centro est un progetto per la riapertura dell’edicola. Intanto qualcuno cominciava a pubblicare: usciva l’Omino dei desideri di Giulia Cocchella. Giulia era stata nei laboratori di Officina, poi aveva proseguito il suo percorso autonomamente; il fatto che pubblicasse ci rendeva tutti orgogliosi. Sono quasi certa che anche gli aspiranti scrittori di Officina abbiano affidato un desiderio, forse un sogno, all’Omino creato da Giulia.

C’era una volta: il duemilaquattordici

Il 14 febbraio 2014, il giorno di San Valentino, è uscito Senza Amore, il nostro primo ebook con Emmabooks, editrice digitale: un’antologia di racconti d’amore scritti senza utilizzare mai la parola amore e altre parole consuete della narrazione dei sentimenti. C’era una volta il duemilaquattordici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Nel 2014 non abbiamo resistito al richiamo della nostra amica Zuzanna e siamo tornati in Polonia, a Cracovia. Zuzanna ci ha introdotto nel mondo delle fiabe e delle leggende polacche e Cracovia ci ha stregato. L’emozione della visita ad Auschwitz è custodita nei nostri quaderni di viaggio, in qualche caso è diventata un racconto. Nel 2014 c’era un bellissimo gruppo di allievi impegnati nel laboratorio sul romanzo. Un gruppo numeroso, composto in gran parte di persone che provenivano dal primo nucleo di allievi dell’esordio di Officina Letteraria. Un gruppo affiatato che ha concluso l’esperienza con una passeggiata per la città, Genova fra luoghi e parole, patrocinata dal Municipio Centro Est. Racconti e musica nelle piazze e nelle strade del centro storico, racconti e musica strada facendo, nel corso di un lungo pomeriggio, fino alla Commenda di Pré. Nell’autunno, cinque creativi provenienti da quel gruppo creavano il Collettivo Linea S; insieme a molte altre iniziative, ci ha regalato una stagione al Count Basie Jazz Club con uno strepitoso gioco letterario, Non sparate allo scrittore, che ha permesso a molte persone dei corsi di Officina, e non solo, di cimentarsi con la scrittura a tema e con la lettura ad alta voce. Il 2014 è stato l’anno della Punteggiatura d’autore con Elisa Tonani; l’anno del Sabato sulle emozioni con Sara Rattaro e sulla Scrittura ironica con Barbara Fiorio; l’anno di Giorgio Gallione con un workshop di Scrittura per il teatro e di Officina ragazzi con Sara Boero. Nel 2014 Ester Armanino è diventata un pilastro di Officina Letteraria, arrivando con un bagaglio di idee, progetti, impegno generoso e passione. Ha trascinato persone, convinte di venire semplicemente a scrivere, in esperienze creative fantasiose dal Metro quadro di città al Greenwriting. Lei architetto, io docente di storia dell’arte contemporanea, abbiamo gradualmente sperimentato un metodo che passa attraverso la creatività espressa in molte forme e che alla fine approda sempre alla scrittura.

C’era una volta: il duemilatredici

Il 2013 è stato l’anno del romanzo collettivo: un laboratorio sperimentale con dieci persone impegnate a scrivere un romanzo breve. Un’esperienza non semplice ma entusiasmante e alla fine il romanzo Oltre il mare, la storia di due ragazzi immigrati che sbarcano a Lampedusa, ha debuttato con un reading al Festival Suq. C’era una volta il duemilatredici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco Il 2013 è stato l’anno del viaggio a Varsavia, grazie alla collaborazione con Zuzanna Krasnopolska. Zuzanna ha conosciuto Officina da allieva nel laboratorio estivo ad Apricale, lavorava allora come ricercatrice all’Università di Varsavia, era – è ancora – innamorata dell’Italia e della lingua italiana. Grazie a lei, abbiamo visitato Varsavia sulle tracce di due romanzi polacchi; Elena Mearini, recente maestra di Officina, ed io abbiamo coordinato un gruppo di scrittura di allievi di Officina e di studenti polacchi di italianistica e abbiamo sperimentato il nostro primo laboratorio nomade Scrivere a… Il 2013 è stato l’anno della Scuola elementare di scrittura emiliana (a Genova) di Paolo Nori che si è concluso con un reading al Munizioniere e un quaderno di racconti stampato. Il 2013 è stato l’anno del Sabato in Officina, un workshop tenuto per un sabato al mese con uno scrittore sempre diverso. È stato l’anno del primo workshop Scrivere un corto con Federica Pontremoli, sceneggiatrice di film di Soldini, Moretti, Ozpetek. Nell’estate del 2013 Claudia si è trasferita in campagna e ha ricominciato a viaggiare. Non sono rimasta sola a lungo perché il lavoro che abbiamo fatto insieme ha creato un luogo, Officina Letteraria, con un cuore pulsante e Marta Traverso e Clara Negro mi hanno aiutato a traghettare Officina nel 2014.

C’era una volta: il duemiladodici

Non era scontato. Nel 2012, quando l’avventura di Officina Letteraria aveva inizio, non era scontato che potesse durare nel tempo. Ho cominciato a immaginare una scuola di scrittura probabilmente sull’onda di un cambiamento che era avvenuto nella mia vita con l’uscita dei miei primi due romanzi e con la conclusione di un’esperienza professionale importante come la direzione dell’Accademia Ligustica di Belle arti. Con il termine del mio mandato riprendevo il mio ruolo di docente, riscoprendo da un lato la felicità della didattica e dall’altro un tempo che avevo a disposizione e che per quasi dieci anni era stato assorbito dal lavoro organizzativo. E’ stato un amico a ispirarmi: “Ora cosa farai di tutto quello che hai imparato?”. C’era una volta il duemiladodici 5 anni di Officina Letteraria di Emilia Marasco A ripensarci credo proprio che sia stata quella domanda a far scattare la mia immaginazione. Tra le cose che avevo acquisito c’era la convinzione che perché un’idea riesca a diventare progetto e poi realtà, non si possa pensare di fare tutto da soli. Ho cominciato a pensare alle persone da coinvolgere ma non mi decidevo a parlarne con qualcuno in particolare. Poi, un giorno, ho telefonato a Claudia Priano. Non ci vedevamo da un po’, lei aveva fatto un viaggio, stava scrivendo il suo quarto romanzo, anch’io avevo un viaggio importante da raccontarle. Non avremmo mai smesso di parlare, di scambiarci pensieri ed emozioni… così le ho parlato dell’idea che avevo in testa. Claudia ha subito alimentato e arricchito quell’idea con una passione che è diventata subito forza motrice. Due temperamenti diversi, due esperienze di vita diverse, due scrittrici diverse: di simile avevamo l’entusiasmo, il decisionismo e forse un pizzico di follia. Così Officina Letteraria è nata al tavolino di un caffè del centro storico e molti altri caffè genovesi sono stati in quel periodo il nostro ufficio, insieme talvolta alla cucina di casa mia. Abbiamo riflettuto e discusso su ogni dettaglio, ci saremmo servite il meno possibile della parola scuola. Immaginavamo un metodo orizzontale, un gruppo in cui il conduttore fosse qualcuno che mette a disposizione un’esperienza, strumenti e un sapere acquisito sul campo. Immaginavamo un gruppo di maestri, ma abbiamo deciso di cominciare con un primo laboratorio sperimentale per poi valutare i risultati e progettare una crescita. Quello che non potevamo immaginare era l’interesse che la nostra proposta avrebbe suscitato. Dopo la presentazione alla sala Sivori, con i nostri primi dodici iscritti e una lunga e inaspettata lista d’attesa, abbiamo deciso di attivare un secondo laboratorio per un altro gruppo di dodici iscritti. Dieci di loro sono ancora in vario modo parte di Officina. Il laboratorio intitolato “Io e gli altri. Raccontare e raccontarsi” si è concluso con un reading nel Munizioniere di Palazzo Ducale. Nell’estate, alcuni aspiranti scrittori ci hanno seguito ad Apricale e altri sono arrivati. Un laboratorio memorabile per la particolarità del paese, per l’interazione con gli abitanti, per la presenza di Bruno Morchio e i suggerimenti di Bruno Cereseto (del Teatro della Tosse) per il reading finale nell’Atelier A. Nell’autunno abbiamo inaugurato la sede di via Cairoli, con i tavoli colorati trapezoidali, l’angolo del caffè, le opere di tre artisti (Gregorio Giannotta, Mauro Panichella e Giulia Vasta) e un programma ambizioso: laboratori di primo, secondo e terzo livello, workshop, i seminari del sabato e, oltre a noi, Laura Bosio, Bruno Morchio, Giulio Mozzi, Paolo Nori, Federica Pontremoli. Emilia Marasco

Analizziamo la copertina di “Joe Speedboat” di Tommy Wieringa

È tempo di Natale. Tempo di un libro davanti al caminetto mentre fuori nevica. Un periodo nordico, come nordico è il libro di cui vogliamo parlare oggi. Si tratta di Joe Speedboat di Tommy Wieringa, Iperborea edizioni. Questione di pelle: “Joe Speedboat” di Tommy Wieringa, Iperborea edizioni 2009 vs 2015. La casa editrice Iperborea nasce nel 1987, con l’intento di fare conoscere ai lettori europei la letteratura nordica. A Emilia Lodigiani, fondatrice di Iperborea, è apparso chiaro che i suoi libri dovessero distinguersi dal mare editoriale in cui navigavano. La scelta, quindi, fu quella di dare ai libri Iperborea una particolare connotazione fisica, che li avrebbe subito resi differenti, o meglio: una novità. Stiamo parlando del caratteristico formato super-verticale. Come un mattone di cotto. Strettissimo e lungo, 10×20 cm, ispirandosi al formato tradizionale del mattone di cotto. Una sorta di misura modulare ed elementare, che rappresenta l’unità prima sulla quale si è – in un certo senso – costruita tutta la nostra civiltà. A prima vista, può capitare di pensare che questa forma longilinea possa risultare scomoda al lettore: ma si aprirà? Come faccio a sfogliare le pagine? Devo inclinare la testa ogni volta che arrivo a fine riga? Accadeva in minima parte con la vecchia impostazione di Iperborea. Per esempio, la prima edizione di Joe Speedboat (2009) può risultare un po’ difficile da maneggiare. Stiamo parlando di un volume importante, più di 300 pagine, che diventa di difficile consultazione, specialmente dopo la metà del libro; le pagine finali tendono a sfuggire dalle mani, il libro rimane difficilmente aperto e, in effetti, bisogna leggerlo quasi come un manga: senza aprirlo del tutto e assumendo con la testa l’angolazione migliore per leggere fino all’ultima lettera della riga. Il restyling del 2015. Problema che, di certo, non si riscontra con la nuova edizione di Joe Speedboat, del 2015, anno in cui Iperborea ha rinnovato grafica e materiali raggiungendo un netto miglioramento estetico e funzionale. I progettisti di Studio Xxy, firma del progetto di restyling grafico, si sono dedicati con particolare attenzione alla scelta della carta. Divertendosi a sezionarea metà un volume Einaudi, fino a ridurlo alle stesse proporzioni di un Iperborea, hanno appurato che il moncherino rimanente non era comodamente sfogliabile. Il problema tecnico non era dato tanto dal formato, bensì dallo spessore della carta. In sostanza, la grammatura comunemente usata per i volumi di formati “standard” non è adatta al formato di Iperborea. Studio Xxy si è, quindi, per una carta Imitlin di Fedrigoni, una carta pregiata, ma, allo stesso tempo, ruvida, che sa di tela d’artista, trasformando ogni libro Iperborea in una piccola opera d’arte. Inoltre, la nuova carta è più morbida, permettendo di “squartare” (come dice la stessa casa editrice) il libro, aprendolo più facilmente e leggendo con più gusto. Il formato super-verticale non è solo potenziali difetti. Anzi! La gabbia allungata rende più rilassante la lettura, che va a capo più volte; inoltre, i libri stretti sono facilissimi da tenere con una mano, per gli amanti delle letture “on the road”. Il formato di Iperborea si odia o si ama, ma, a mio avviso, dopo il restyling è molto più facile amarlo. “Joe Speedboat” di Tommy Wieringa. Finalmente parliamo di Joe Speedboat. Ve lo dico subito: un libro meraviglioso. Oserei dire uno dei miei romanzi preferiti. Per chi ama le epopee, le grandi avventure, i romanzi di formazione alla Stevenson, il libro dello scrittore olandese non deluderà le vostre aspettative. Un accenno alla trama. Molto brevemente: Fransje è un ragazzo che, dopo un incidente, si ritrova bloccato su una sedia a rotelle, che può spostare grazie al suo braccio destro, l’unico arto ancora mobile. Nel paese di Fransje si trasferisce un misterioso e affascinante ragazzo che si fa chiamare con un soprannome: Joe Speedboat, appunto. I due fanno subito coppia, e si perdono in strabilianti avventure. Non vi anticipo nulla, ma di mezzo c’è anche un campionato di braccio di ferro. Straordinario. Cambio di titolo, cambio di immagine. Possiamo notare che dalla prima alla seconda edizione per conto di Iperborea, oltre all’immagine, cambia anche il titolo. Da semplicemente Joe Speedboat, si passa a Le avventure di Joe Speedboat (raccontate da un campione di braccio di ferro). Ma dicevamo, soprattutto cambia l’immagine (oltre alla grafica, di cui parleremo nel capitolo successivo). Benché la figura del bambino sull’aeroplano della prima edizione sia forse più rappresentativa del libro (per chi leggerà), la nuova immagine spicca per i suoi colori armoniosi. Iperborea ha infatti sempre manifestato grande gusto cromatico nelle sue copertine. Se le mettessimo tutte in fila e le guardassimo da lontano, sembrerebbero piccoli pixel color pastello, freddi, algidi, ma al contempo accoglienti; formerebbero un grande quadro paesaggistico, riassumibile con le parole “Grande Nord”. La grafica. Fin dalle prime edizioni, le copertine di Iperborea hanno dimostrato originalità con le immagini a vivo, che in quel tempo ancora nessun editore applicava. Dal 2015, le immagini delle copertine si estendono, fino a girare intorno a tutto il libro, andando a occupare anche i (nuovi) risvolti che impreziosiscono l’edizione. Cambia la collocazione del titolo del libro, che ora si trova su un fondo a tinta unita, generalmente in armonioso abbinamento con i colori dominanti dell’immagine di copertina. Scelta apprezzabile, che rende più leggibile i caratteri, rispetto alla vecchia scelta di testo bianco direttamente sovrapposto all’immagine. Il font. Anche il font di Iperborea ha subito una trasformazione dopo il restyling del 2015. Prima era un graziato, del tutto simile a un Garamond allungato (e come poteva non esserlo?) in verticale. Adesso (anche se la nuova edizione di Joe Speedboat conserva ancora il vecchio font) si è passati a un bastone, sempre maiuscolo: più massiccio, più leggibile, forse più attuale. Lo possiamo vedere nella copertina de Il re dell’uvetta di Fredrik Sjöberg (2016, P.S.: divertentissimo libro anche questo!). Il logo. Per finire, è stato cambiato il logo stesso della casa editrice. Prima era una runa che sormontava il nome della casa editrice. La runa si è evoluta, abbandonando il testo scritto, passando da segno a simbolo. Autosufficiente. In breve: Font: 8 Immagine: 7 Titolo: 8.5 Complessivo: 7.8

Repertorio dei matti della città di Genova

  Una volta ero a Genova per fare un seminario di letteratura e a me a Genova, non so perché, la gente, mi sembrano tutti un po’ squinternati, e ai ragazzi che facevano il seminario, quando ho letto dei pezzi dal Repertorio dei pazzi della città di Palermo, di Roberto Alajmo, ho chiesto ai ragazzi che facevano il seminario “Ma perché non fate il Repertorio dei pazzi della città di Genova? Paolo Nori Cos’è un repertorio dei matti? A prima vista sembrerebbe un seminario di scrittura creativa. Paolo Nori, il curatore del seminario, sembrerebbe di fronte a semplici aspiranti scrittori, pronti a cimentarsi in nuove prove. Invece, Nori è di fronte a dei cronisti medievali, che racconteranno quello che succede oggi.  E ogni scrittore dovrà rinunciare al proprio stile, per dare vita a un prontuario omogeneo dei matti della propria città. Chi sono i matti? Il matto viene prima dello scrittore, dell’astrologo, dell’alchimista; in qualche modo, è la figura archetipa, l’esempio che costoro imitano. È ovvio che non si valuta un matto: non si dice “costui è un matto bravo”, non ci sono matti migliori di altri; un matto è un capolavoro inutile, e non c’è altro da dire. Giorgio Manganelli   Chiariamo che non si parla di matti “veri”. Più che veri, non si parla di matti “seri”, ossia quando la pazzia porta serie devianze fisiche e mentali, e altrettante serie conseguenze. I matti di cui si scrive al Repertorio dei matti sono altri. Matti sono coloro che su un attraversamento pedonale con semaforo verde non attraversano se non hanno visto, con i loro occhi, scattare il verde e allora aspettano il giro successivo cercando di darsi un tono. Matti quelli che, per non far vedere che si possono permettere gli abiti griffati, quando noti che ne indossano uno dicono “ah sì , era la sola cosa stirata che avevo nell’armadio”. O quello che in un racconto di Andrea Bajani cerca sempre di pagare con dieci euro falsi e poi, se lo scoprono, si scusa e tira fuori quelli veri. Ne abbiamo tutti un elenco. Siamo sicuri che lo avete anche voi, un vostro elenco personale di matti. Sì, ma quanto si deve scrivere? I Repertori dei matti sono brevi documentari. Cose del tipo: C’era uno che passava le giornate affacciato alle finestre aspettando l’incidente. O un poco più lunghe: C’era uno che tutte le sere andava a sedersi su una panchina davanti al tramonto. Fissava il mare, l’orizzonte e aspettava con pazienza che il sole sparisse. E tutte le sere ci rimaneva male. Comunque non si va mai oltre la pagina. Ma ognuno scrive di più matti, e tutti i matti si mischiano dentro queste magiche antologie che raccolgono gli scarti di ogni città italiana. Gli scarti che forse, come il grasso che cola, sono anche il meglio di quelle città, ciò che le caratterizza. Lo voglio fare. Quando inizia? Il Repertorio dei matti della città di Genova inizia a Gennaio. Il corso si tiene durante due week-end, più un incontro conclusivo. È un’occasione unica e irripetibile; sarebbe da matti, lasciarsela sfuggire. Per tutte le informazioni dettagliate, vi rimandiamo a questa pagina. Uno soffriva talmente tanto doversi alzare presto la mattina che quando poteva dormire rimetteva lo stesso la sveglia, la faceva suonare e poi, con un ghigno di rivalsa, le diceva “Ma vai in culo!” e la spegneva rimettendosi a dormire. Gli estratti presenti in questo articolo sono tratti dal “Repertorio dei Matti della città di Livorno”, a cura di Paolo Nori, edito da Marcos Y Marcos (2016).

Copertina Zero K Don DeLillo

Analizziamo la copertina di “Zero K” di Don DeLillo

Per la serie di post Questione di pelle, analizziamo la copertina dell’ultima fatica di Don DeLillo: Zero K, pubblicato da Einaudi nella collona dei “Supercoralli”. Questione di pelle: “Zero K” di Don DeLillo, Einaudi, 2016. Bisogna dire che qualunque titolo – anche il decimo pezzo della saga di Twilight – sembra subito un classico, se a pubblicarlo è Einaudi. Gli ingredienti sono pochi, semplici e immortali: il bianco di sfondo, un’immagine centrata, una scritta asciutta. Che la copertina sia rigida o morbida, i libri Einaudi sembrano sempre pronti per entrare nello scaffale di una biblioteca e restarci per sempre. E spesso lo fanno. L’ultima perla di Don DeLillo è certamente ben inquadrata all’interno della collana Einaudi. Pochi altri editori avrebbe potuto restituire a uno dei più grandi scrittori americani viventi una veste degna del suo Zero K; un libro che porta con sé gli ingredienti che lo consacrano già a classico per licei: distopia, futuro ma non troppo, grandi temi come l’immortalità e le nuove tecnologie, senso metaforico, frasi ispirate. I Supercoralli Einaudi. Zero K abita la collana dei “Supercoralli” di Einaudi, istituita da Cesare Pavese poco prima degli anni ’50. “Supercorallo” vuol dire un punto fermo della letteratura (che sia italiana o estera), in genere ancora più fermo di un semplice “Corallo”. Possiamo dire che il titolo si prepara quasi certamente a entrare nei “Millenni”. I “Supercoralli” hanno principalmente tre opzioni di veste grafica: La classica impostazione bianca con immagine centrata (quella che analizzeremo a breve); Un’immagine espansa a piena pagina (con foto al sangue), che funge da sfondo al titolo e autore. Talvolta, come in questo caso de L’uomo che cade, titolo e autore lasciano la loro posizione alta e centrata, a favore dell’immagine di sfondo; L’immagine come banda passante su sfondo bianco, un’interpretazione più attuale della classica gabbia centrata che possiamo vedere appliacta in Candore di Mario Desiati (2016). I font Einaudi. Parliamo due secondi del font Einaudi. Senza addentrarci nel dibattito del font utilizzato per i testi interni (anche se pare definitivamente che sia un Simoncini Garamond, anche detto Einaudi Garamond), osserviamo com’è scritto il titolo in copertina: Il font di copertina appare come un Helvetica Neue Bold, leggermente tirato in orizzontale. Per i fan della bianca, un font poco graziato potrebbe stonare con lo stile Einaudi. Se devo dirlo, analizzando il font a sé stante, non lo trovo squisito nemmeno io: le lettere sono larghe, stretchate in orizzontale. Ma riconosco all’Helvetica l’imponenza necessaria a dare peso a un titolo. La distinzione tra titolo del libro e nome dell’autore viene resa palese ai minimi termini. Einaudi cambia giusto il colore (nero / rosso). Stessi punti tipografici, allineamento a lapide. Ringraziamo comunque dell’accorgimento, perché nei primi “Supercoralli” non era concesso neanche il cambio di colore, lasciando spazio a possibili ambiguazioni. Immagine e Immortalità. La scelta del soggetto per l’immagine di copertina è a dir poco azzeccata: è intitolata Sime ed è opera del fotografo Jasper James. Lo scatto della statua vuole farci capire subito e bene il tema del libro: l’immortalità. E cosa meglio di una statua classica – fredda e pietrificata – può farci immaginare cosa voglia dire uno stato di criogenesi, il congelamento necessario per arrivare nel futuro, oltre il proprio tempo? L’impaginazione grafica. Proviamo a entrare nel merito dell’impaginazione con qualche speculazione. Sappiamo che è facile avere una copertina bianca e un’immagine potente; meno facile è sapere come collocare l’immagine all’interno del vuoto. Si può notare una cosa interessante. L’area rossa indica la sezione aurea della copertina, ottenuta riportando la dimensione della base sull’altezza. Salta all’occhio che il naso del viso cade proprio sulla linea di demarcazione del quadrato rosso: si trova quindi in sezione aurea con la dimensione totale della copertina. Otteniamo di conseguenza che la linea del naso divide perfettamente a metà la copertina, e la linea orizzontale degli occhi fornisce l’ascissa del nostro sistema. Nonostante il volto di pietra non sia visibile nella sua interezza, esso è collocato in modo da costituire il centro focale della copertina. Saranno pure speculazioni. Però anche nelle riconosciute proporzioni del volto, la radice del naso si trova in sezione aurea con l’altezza del volto: tracciando un cerchio che ha come diametro la larghezza del volto, la radice del naso si trova sulla circonferenza del cerchio, esattamente nel centro di esso. In conclusione. Il volto di pietra di Zero K è perfettamente proporzionato con se stesso e con la sua copertina. Volute o casuali, queste coincidenze geometriche donano un grande senso di pace; una fermezza, una quiete degna di un grande classico. Nonostante sia stato appena pubblicatob (e noi siamo andati ad ascoltarlo al Ducale). “Zero K” è un libro sulla percezione. DeLillo riesce a far parlare i morti (in 1ª e in 3ª persona, contemporaneamente). #ZeroK #DonDeLillo — Officina Letteraria (@OfficinaLettera) 26 ottobre 2016   In breve: Font: 7 Immagine: 9.5 Titolo: 10 Complessivo: 8.5

Copertina bianca

Questione di pelle: smontiamo la copertina di un libro

Vi siete mai avvicinati a un autore sconosciuto, solo perché il suo libro aveva una bella copertina? Avete mai comprato un libro perché sarebbe stato proprio bene tra i vostri scaffali? Accarezzate i libri, mentre li leggete? Scegliete un ebook perché la copertina vi ha ammiccato dallo store? Perché una buona copertina? Da sempre la confezione di un libro – dalla copertina, passando per la carta, il formato, i colori, i font – influisce in modo significativo sulla promozione del titolo e sul successo di un titolo. Ogni casa editrice cerca di sviluppare un proprio linguaggio estetico; in questo modo, i libri della casa editrice sono più riconoscibili. Tramite una buona copertina è possibile comunicare al lettore di cosa tratta il volume in questione, ma non solo. È una comunicazione visiva, che prescinde dal linguaggio verbale, ma che si esprime attraverso forme e colori. Insomma, è una questione di pelle! In questa rubrica, proveremo a “smontare” la copertina di un libro, cercando di capire le dinamiche grafiche e – di sponda – editoriali che hanno portato a quel risultato. O semplicemente, spiegheremo perché quella determinata pelle è adatta al contenuto o perché, secondo noi, non funziona. Gli articoli. Il primo appuntamento è con Don DeLillo e il suo Zero K (Einaudi editore, 2016).

Qualcuno ci ha detto che hai un cassetto nel racconto!

Domenica 25 settembre, contribuite ad arricchire la nostra giornata open day all’Edicolibro di piazza della Meridiana scrivendo un racconto breve ispirato dal binomio fantastico “Cinque” + “Cassetto”. Ci saranno letture dei binomi degli scrittori di Officina Letteraria Emilia Marasco, Ester Armanino, Sara Boero, Antonio Paolacci e di molti altri amici che stanno aderendo all’iniziativa. Come partecipare. Inviate una email a info@officinaletteraria.com o scrivete il vostro nome nell’evento su Facebook e noi vi metteremo in scaletta! Durante la giornata forniremo informazioni sui nostri laboratori in programma per il 2016/17. Edicolibro resterà aperto per il consueto scambio libri con i volontari di Officina Letteraria. Dalle 20:00 alle 22:00, apertura serale a cura di Collettivo Linea S. Info e FAQ: QUANDO: 25 settembre, 10:30-12:30 / 14:30-17:30; DOVE: a Genova in Piazza della Meridiana, presso Edicolibro; COME: il vostro racconto breve non deve superare le 4.000 battute e lo dovete portare già stampato; COSTO: è gratis, ma dovete prenotarvi; CHE COS’È un “Binomio Fantastico”? È un noto esercizio proposto da Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia, il binomio fantastico si basa sull’associazione di due termini che non hanno nulla a che vedere tra di loro: il compito degli scrittori è quello di riuscire a legare questi due termini inventando una breve storia. Se piove: l’evento si sposterà nella vicinissima sede di Officina Letteraria in via Cairoli 4. Scrivete, iscrivetevi al reading e condividete la notizia!

FINALISTI del concorso “Prima o poi entrerò nel cuore del mondo”

Ecco i cinque racconti finalisti! Votate il vostro preferito per mezzo di un like alla foto corrispondente sulla pagina Facebook di Officina entro le ore 12:00 del 10 settembre 2016. L’autore o l’autrice del racconto con il maggior numero di voti vincerà un’iscrizione gratuita al Laboratorio di Primo livello “Grammatica delle Storie” 2016/17. Gli altri quattro finalisti potranno invece usufruire dello sconto del 15% sul costo del Laboratorio. Grazie ai numerosi partecipanti e all’amico Alberto Casiraghy per averci ispirato con il suo incipit. Buona lettura! “Ora di buio su un pianeta intraprendente” (Giulia Badano) Prima o poi entrerò nel cuore del mondo, ma lasciate almeno che mi presenti, così che la mia speranza a tinte fosche e amare abbia il privilegio dell’identità. Sono rinata circa quattro miliardi di anni fa dopo un’esplosione cosmica che ha sconvolto tutto. Non ho memoria di cosa fossi prima, probabilmente un pianeta come adesso, abitata da altri organismi che mi hanno amata e odiata fino al nebuloso collasso. Nella lenta ma costante dilatazione dell’universo ho vagato per lunghi eoni del tempo, senza meta, senza soluzione, in guisa di particella abbandonata a sé stessa ad oscillare per exametri indefiniti. Vita dura, quella della particella. I più massicci residui di materiale cosmico ti prendono a spallate per accaparrarsi il posto ritenuto migliore a loro unica discrezione, senza riuscire ad ammettere di essere più confusi di me. In realtà, in un mare di polveri bollenti, avevamo tutti perso l’orientamento e lo scopo della nostra esistenza, quale che fosse. E’ stato durante questa situazione di profonda incertezza e smarrimento che ho perso particelle a cui sentivo di voler bene. Annichilite dal calore infernale, hanno varcato la linea congelata e abbracciato il ghiaccio, scoprendo quanto quell’elemento possa essere magnifico e terribile e bastare di per sé. Una di loro si è guadagnata il nome di Nettuno. Dal canto mio, vagabonda errante e solitaria, non ho saputo scegliermi un angolo di universo senza prima chiedermi cosa volessi diventare. Ho impiegato meno tempo del previsto: qualche millennio, per sfiorare l’idea della completezza delle forme e dei climi. Nelle infinite pieghe del cosmo ho incontrato un granello brillante, circondato da un alone di argentata luce riflessa e discreta, con cui ho deciso di trascorrere il resto della mia esistenza a tre passi dalla nuova Fiamma che ci intiepidiva senza bruciarci. Io e il granello abbiamo trovato il nostro posto nello stesso isolato e cominciato a formarci al ritmo scandito dai suoi sorrisi un po’ sghembi, un po’ malinconici, dalle sue forme ciclicamente tonde, sbeccate, consumate, frizzanti, stanche. Crescendo accompagnata dai suoi umori mutevoli, ho dato forma all’esistenza, ho partorito terre e mari, ho innalzato montagne spruzzandole di neve, ho sguinzagliato il vento, ho addensato le nuvole e liberato il fulmine, ho rinfocolato il mio cuore con fluidi incandescenti e l’ho protetto avvolgendolo in mantelli solidi e compatti. Ho eretto templi ombrosi con radici, tronchi e rami, ho soffiato la sabbia su vaste distese di deserti ostili, ho generato microrganismi e vegliato sulla loro costante evoluzione. Anche sulla vostra. Così nudi. Senza denti aguzzi né artigli, senza ali per volare né branchie per immergersi, avete costruito armi, inventato scafandri per le profondità abissali e uccelli di ferro per solcare i cieli. Io ho amato la vostra astuzia, ho ammirato il vostro ingegno, ma ho sofferto nel vedervi ergervi a padroni miei e di voi stessi. Ho pianto lacrime di pioggia, mentre i vulcani hanno rovesciato la mia collera rovente. Mi sono spezzata gridando di dolore sotto scosse di terremoti violenti. Ho provato a vegliare su di voi, e quante vite ho visto accendersi e spegnersi, quanti passi ho sostenuto. Ma quante ruote, e chiglie, e rotaie, e trivelle e bombe mi hanno segnata. Quanto sangue ho dovuto bere e nascondere, quant’acqua ho dovuto accogliere per sentirmi pulita. Non so come faccio a essere così stanca e paziente, come sopporto di essere stata divisa in confini, tagliata da muri, frazionata da recinti e cancelli, a perdonare l’arroganza che vi rende indifferenti a ciò che calpestate. Prima o poi entrerò nel cuore del mondo, nel vostro cuore, e ricambierete l’amore che vi ho offerto senza pretese. Ma forse sarà tardi. Prima o poi vi guarderete indietro, e nella triste desolazione che avrete lasciato scoprirete l’impronta indelebile delle vostre colpe. “Orfeo ed Euridice” (Ilaria Carrozzo) Prima o poi entrerò nel cuore del mondo. “Si inizia scavando”, mi dicesti, seduta di fronte a me al tavolo della cucina, palpebre calde, girasoli al tramonto, il profumo di una bambina, le mani tese sopra la tovaglia ruvida come un’anziana cartomante, mostrandomi  le unghie, tanto gialle da sembrare l’escrescenza dell’osso. Io cominciai da ragazza, grattando la porta di casa, impaziente di uscire come un cane d’appartamento, scattando fuori con una violenza nuova, la stessa di chi calpesta i gradini per raggiungere il proprio sedile in cima allo stadio. Le dita galleggiavano nell’aria, confuse, in attesa di impulsi. Fissavo atomi annoiati e scintillanti muoversi davanti alle pupille come nubili sospiranti a una festa. “Graffia le persone, i muri, le strade”. Le sillabe si attaccavano tra loro, mescolandosi, il tuo profilo era quello di una madre determinata che parlava con la voce di chi ha fumato l’ansia di essere schiacciata dal corpo morto di una vita che non ha mai sentito sua. Raggiungevo la scuola con l’energia rumorosa di un’onda, mi abbattevo su fiori che volevano essere forti, felpe e camicette orgogliose, ricordo che avevano profumi invincibili. Incidevo lettere sui banchi e li osservavo, rumorosi come canoni in una cattedrale durante una messa di Natale. “Lascia segni su tutto quello che vedi, solleva la superficie, delicatamente, come la corteccia di un albero, poi ruba un pezzetto dell’anima, sbriciolalo sui polpastrelli e usalo per tracciare il tuo rifugio, fuori di qui, perché in fondo scappare è trovare il proprio posto nel mondo, il tuo centro, il suo cuore, pulsante e chiassoso, rumore di zoccoli che ti porta via”, i tuoi occhi grandi, alieni, iridi blu scure ricordavano notti d’agosto sull’asfalto umido, ombre che

Ci siamo: iscrizioni 2016-2017 aperte!

Ecco, ci siamo. Entro pochi giorni quasi tutti sarete in ferie o vi prenderete almeno mentalmente un po’ di pausa. Si semplifica, si stacca anche dai social. La pienezza dell’estate ci basta. Sconto per chi si iscrive subito. Però noi ci siamo, con i nuovi programmi. Se entro Ferragosto riuscite a decidere quale Laboratorio frequentare da ottobre, scriveteci una email a info@officinaletteraria.com Prenotando il Laboratorio e pagando l’anticipo potrete usufruire di uno sconto: se non siete ancora soci di Officina Letteraria avrete lo sconto 10%; se siete già soci, avrete uno sconto del 15% (invece del consueto 10%). La normale scadenza per iscriversi ai Laboratori è il 20 settembre 2016. Il Triennio. I Laboratori di primo, secondo e terzo livello durano più a lungo e compongo un Triennio di formazione; abbiamo risposto all’esigenza di molti di avere un impegno più continuativo. Scrivere al Mattino. Abbiamo una nuova tipologia di Laboratori organizzati il venerdì mattina: Scrivere al Mattino. Partiranno con La mia Storia, Laboratorio di scrittura autobiografica con Elena Mearini, e proseguirà con Le Storie degli altri con Sara Rattaro. Le conferme. Il lavoro sulla scrittura a Officina Letteraria non dimentica il corpo, l’Allenamento dello scrittore e le classi di Bioenergetica ne sono la prova. Il Laboratorio sulla narrativa per infanzia e ragazzi, Oltre le fiabe, si svolge in alcuni fine settimana: un lavoro intensivo, rivolto a chi è interessato a questo ambito che – lo ricordiamo – è uno dei pochi in salute dell’editoria. Un’esperienza rivolta in modo particolare a chi insegna o è a contatto come educatore con bambini e ragazzi. Il Laboratorio Leggere e Scrivere propone un programma tutto nuovo, con tre maestri che metteranno ali alle vostre parole. L’ospite. Chi frequenterà il Laboratorio di primo livello, alla fine lavorerà sulla lettura dei propri testi con la guida di Giuseppe Cederna, attore e scrittore. Lo ricorderete in Mediterraneo di Salvatores, ma, naturalmente, lui è molto di più. Il nostro primo esordiente. A proposito di romanzi, vi ricordiamo che il 20 settembre troverete in libreria il romanzo di Eugenio Gardella, nostro primo esordiente: Sei sempre stato qui (Edizioni Frassinelli). Concorso Pulcinoelefante. E poi c’è il concorso. Potete vincere un Laboratorio di primo livello scrivendo un racconto da un incipit che Edizioni Pulcinoelefante ci ha regalato per i nostri cinque anni di vita. Partecipate!

concorso officina letteraria

Un regalo per i nostri primi cinque anni!

Per i nostri primi cinque anni l’amico Alberto Casiraghy di Edizioni Pulcinoelefante ci ha regalato un incipit. Mettete alla prova la vostra creatività e noi vi regaleremo un laboratorio!   Regolamento del concorso Si partecipa con un racconto di massimo 4000 battute, a tema libero e che abbia come frase d’incipit: “Prima o poi entrerò nel cuore del mondo” Inviare il racconto all’indirizzo info@officinaletteraria.com, in formato .doc, entro e non oltre il 25 agosto 2016. Oggetto della mail: Partecipazione al concorso. Nel corpo della mail specificare il proprio nome e cognome, il titolo del racconto con cui si partecipa al concorso e la frase “Autorizzo Officina Letteraria a pubblicare il racconto allegato alla presente, nel caso risultasse tra i cinque finalisti”. I cinque racconti selezionati dallo staff di Officina come finalisti verranno pubblicati sulla nostra pagina Facebook, dove saranno votabili da ogni utente per mezzo di un like entro il 10 settembre 2016. Il racconto più votato dalla “giuria social” vincerà un’iscrizione al Laboratorio di primo livello “La Grammatica delle Storie” 2016/17. Agli altri quattro finalisti, lo sconto del 15% sul costo del laboratorio.

In arrivo i programmi 2016/2017

Proprio come in una vera officina, stiamo aspettando il carico di materiali e attrezzature per il prossimo anno. Questione di poco. Officina Letteraria sta per compiere cinque anni di vita e il 2017 sarà un anno di festeggiamenti, di riflessioni e di bilanci. Anche di cambiamenti, magari piccoli ma dettati dall’esperienza acquisita. Qualche anticipazione? Leggere e Scrivere. Abbiamo capito che il gruppo Leggere e Scrivere è diventato il laboratorio per chi vuole parlare di libri e scrivere un po’, ma senza impegnarsi in un percorso di formazione, è un modo per continuare a rimanere in Officina divertendosi e ricevendo degli stimoli interessanti anche se si sono già frequentati quasi tutti gli altri laboratori, è un modo per ritagliarsi uno spazio settimanale per un’attività che piace insieme a persone che in genere si piacciono vicendevolmente. Leggere e Scrivere è diventato il cuore di Officina, il nostro “Circolo Pickwick”. Abbiamo perciò deciso di affidare il cuore di Officina a tre maestri che mettono molto cuore nelle cose che fanno: Chicca Gagliardo, Pino Petruzzelli e Francesca Biasetton. Il triennio. Abbiamo capito che chi sceglie la formazione in tre livelli preferisce avere tempo davanti a sé, vuole usufruire il più possibile della relazione con i maestri perciò quest’anno allungheremo i laboratori di primo, secondo e terzo livello in onore alla lentezza necessaria per un progetto di scrittura. Ci saranno i maestri, gli scrittori che portano un contributo di esperienza o di tecnica relativa  a un genere specifico, gli editor. E ci sarà anche un servizio di Writing help per chi, quando si trova da solo davanti al proprio schermo o al foglio bianco, scopre di avere un problema difficile da risolvere. Allenarsi alla scrittura. Abbiamo deciso di riproporre l’Allenamento dello scrittore, sperimentato lo scorso anno con risultati interessanti. Un training di tre mesi collocato a metà percorso, quando, poste le premesse e ancora lontano il raggiungimento dell’obiettivo, ci si può trovare nella fase più critica o si avverte l’esigenza di una sollecitazione a trovare nuovi modi per far scattare l’immaginazione e sostenere la creatività. Prossimamente. Continueremo con il Laboratorio di Editoria e Scrittura rivolto a chi desidera un primo bagaglio di informazioni ed esperienze sulle professioni che si occupano di libri. Un maestro e un avvicendamento di professionisti più un’esperienza pratica: la realizzazione di un libro. Con l’intento di fornire un training a chi vuol fare un uso professionale della scrittura, attiveremo Scrivere per i social network, sarà un laboratorio serale. Per chi ha tempo solo nei fine settimana o viene da fuori Genova o non vuole impegnarsi con laboratori di lunga durata, ci sarà un programma di workshop e sabati in Officina. E chi vuole scrivere al mattino, perché lavora in altri momenti della giornata o perché ha bisogno di uno spazio per sé perché si occupa di altri, il venerdì mattina ci sarà Dentro le immagini, arte e storytelling, in pratica due corsi in uno: arte contemporanea e scrittura. L’Ora di Officina è invece il nostro laboratorio online, che prevede alcuni momenti di collegamento via Skype sia collettivi che individuali, per chi proprio non riesce a trovare il tempo per venire da noi. È tutto. Ci si iscrive entro settembre, per chi si iscrive entro il 31 luglio c’è uno sconto. A ottobre comincia l’anno di Officina, si va avanti fino a maggio e chi non riuscirà a separarsi da noi in estate verrà in vacanza ad Apricale per continuare a scrivere.

Personagge

L’invenzione delle personagge

Alla presentazione de “L’invenzione delle personagge”, libro edito da Iacobelli, ovviamente sono l’unico maschio. Non c’è di che stupirsi, e nel luogo comune ci stiamo anche un po’ comodi. Il libro, curato da Roberta Mazzanti, Silvia Neonato e Bia Sarasini, rilega opinioni e osservazioni di 23 autrici di varia estrazione disciplinare, orbitanti attorno al mondo della scrittura. Sempre che non si offendano a essere chiamate autrici, per la volgarità di questa declinazione del sostantivo maschile. Se è nato prima “autore”, ci sarà un motivo. Se Elsa Morante voleva essere definita “scrittore”, anziché scrittrice, aveva le sue ragioni. E certo. Io non è che sono maschilista. Ma un po’ contro il femminismo, sì. Poi tutte queste parole che finiscono in “ice”, come stanno male. Ricordano un po’ meretrice, non trovate? Le donne dovrebbero tenersi stretta la loro vera coniugazione: – inga. Da casalinga. Lasciamo stare i luoghi comuni? No. Non le lasciamo stare, perché è questo ciò di cui si è parlato. La discriminazione della donna in ambito letterario. Perché le donne, per quanto si sforzino, non possono che scrivere letteratura femminile. Esatto. Rosa. Lo scrittore, e intendo lo scrittore maschio, può scrivere di tutto. Già. Peccato che non legga di tutto. Gli uomini leggono uomini. Le donne leggono sia donne che uomini. E sarà per questo che ci capiscono un po’ di più, in fatto di relazioni sentimentali. Mentre Silvia Neonato parla, cerco di estraniarmi dal mio confortevole luogo comune. Provo a mettermi dietro agli occhi di tutte queste donne che mi circondano. Provo a sentire dalle loro orecchie. E scopro in effetti una scrittura fatta di sensibilità, di un sottotesto difficile da descrivere, perché spesso contiene anche questa piccola rivincita: sono donna e scrivo. Le donne sono un elemento recente, nella letteratura moderna. Hanno iniziato a leggere, e poi a scrivere, intorno al 1700. Sono nuove quanto gli smartphone, per capirci. E infatti c’è chi ancora non le capisce, in ambito letterario. Per sicurezza le confina nella letteratura di genere. Donne che scrivono gialli. Donne che scrivono di donne. Donne che scrivono di amore carnale molto passionale con qualche sfumatura. Come quando non sai cosa sono le app, e usi il nuovo iPhone solo per le chiamate. Che va benissimo, ma gli altri 500€ che hai speso rimangono sprecati dietro l’indifferenza. Va detto che gli uomini scrivono da sempre, e partono con qualche secolo di vantaggio sulle scrittrici. E anche in fatto di personaggi maschili, la letteratura si spreca. E i personaggi femminili? Esistono? Certo. E se esistono le scrittrici, le infermiere, le avvocate, le architette (anche se questo è un po’ osè), perché non ci sono le personagge? Da oggi ci sono, e ce l’ha insegnato Silvia Neonato. Le personagge sono più complesse dei personaggi. Ai personaggi basta che gli dai il calcetto il venerdì sera, una birra, un po’ di scollatura, e sono a posto. Le personagge vogliono qualcosa di più. “Sono di carta, ma vogliono essere amate come donne in carne e ossa”; amate finché morte non vi separi, e fortunatamente da qualche anno le trame stanno lasciando sopravvivere le nostre protagoniste, troppo spesso vittime di strazianti suicidi nella classicità. Ora che anche i nonni si sono abituati allo schermo touch, le donne sono diventate una realtà letteraria non ignorabile. E infatti le loro personagge vivono, sfidano, osano! Perché “la letteratura, specialmente quella pop che non passerà alla storia, è il ventre molle che rispecchia i cambiamenti del mondo”. Pensiamo a alcune delle più recenti eroine. Lisbeth Salander della saga Millenium di Stieg Larsson, che ci dimostra “quanto possa essere feroce una donna abusata”. Katniss Everdeen degli Hunger Games di Suzanne Collins (personaggia che non mi aspettavo di sentire nominare da una donna che non portasse jeans strappati a vita bassa e maglietta sopra l’ombelico). Questa protagonista che finalmente non è una ragazza che deve farsi maschio, ma diventerà una giovane donna, completa e vincitrice nella sua femminilità, e senza alcuna invidia del pene. Il libro raccoglie anche diverse dichiarazioni sulle personagge più amate dalle diverse interlocutrici. Ester Armanino confessa una passione per Salomè Otterbourne, un’eccentrica, vulcanica e alcolizzata scrittrice di mezz’età di discutibili romanzi del genere rosa-piccante, personaggio minore di Assassinio sul Nilo della celebre Agatha. E una chicca così poteva scovarla solo Ester, che ha uno spirito di osservazione maniacale per le donne in letteratura. Lei, che delle personagge ha fatto sempre le protagoniste (in Storia naturale di una famiglia, primo romanzo, e ne L’arca, appena uscito per Einaudi), ci confessa la sua scoperta: “le mie personagge sono sempre sdoppiate. La mia protagonista, se è donna, non è mai unica, ma è costituita da una traiettoria tra due donne differenti. Come Antigone e Ismene”. Le donne che scrivono donne, non le dipingono mai sole. Sono sempre in amicizia, o in antitesi, comunque in stretto legame. Questo perché le scrittrici portano con loro i ricordi dei rapporti intrecciati con altre donne. Motivo per cui “gli uomini, quando scrivono di una donna, la lasciano sola. E anche motivo per cui i miei uomini (quelli di cui scrive Ester) risultano sempre un po’ dispari”. Il mondo editoriale moderno, per fortuna, sembra riconoscere le potenzialità – meramente commerciali – della scrittura femminile (non rosa!). Pensiamo alla campionessa di traduzioni L’amica geniale e tutti i suoi seguiti. Annamaria Fassio, giallista genovese di successo, ci dice che “è stato il suo editor a chiederle di fare diventare Erica Franzoni, inizialmente personaggio secondario, protagonista assoluta dei suoi gialli”. Meno male. C’è speranza per il mondo maschile, che potrà leggere sempre più scrittrici (con la “ici”) di qualità. E di conseguenza, forse, capire meglio le donne. E sapere cosa a rispondere a “cosa guardi in una donna?”. Un buon libro per aprire nuovi punti di vista. Io non l’ho ancora letto. Sono pur sempre un maschio.   L’invenzione delle personagge a cura di Roberta Mazzanti, Silvia Neonato, Bia Sarasini Iacobelli Editore

NARRAZIONI tra fotografia e scrittura

Valeria Dimaggio, Stefano Isidoro Radoani, Annalisa Pisoni raccontano ognuno con la propria poetica un’esperienza molto privata, attraverso momenti simbolici che rivelano la vita interiore del soggetto. Sono narrazioni di temi che spesso oscillano fra l’elusione e l’esibizione: il cambio d’identità sessuale e la malattia, qui sono affrontati senza ricerca di fascinazione, e con interpretazioni molto personali. Valeria Dimaggio con Io sono Roberto ci conduce con grazia verso la rinascita di Roberto, libero dalla gabbia di un corpo in cui non si riconosceva e che ora mostra con disinvoltura e ironia. Stefano Isidoro Radoani con Exit, parla di sé autoritraendosi e ci mostra la possibilità di poter convivere col dolore fisico, con la paura di non poter più controllare il proprio corpo, trovando una via d’uscita. Annalisa Pisoni con il video, dal linguaggio più onirico, Anatomia di un battito rappresenta come ricordi e pensieri, anche in un fisico esanime, abbiano la forza di modellare le cose della realtà, anche oltre i limiti della vita individuale. In queste narrazioni il corpo è al centro di paure e tabù di noi contemporanei, oggi più che mai alla ricerca dell’eterna giovinezza e di una salute e di una forma perfette, e così davanti a queste immagini è probabile uno smarrimento iniziale destinato a mutarsi in una sottile sensazione benefica, che deriva forse dall’empatia con i soggetti, con la loro intensità che ci fa diventare non più solo spettatori ma anche partecipi della loro storia. Piera Cavalieri