Abbiamo chiesto a Pier Mario Giovannone e Giua, di spiegarci cosa condivideranno nel prossimo Sabato in Officina. Ecco quello che ci hanno raccontato. — Nel seminario di scrittura creativa di sabato 9 aprile condivideremo la nostra esperienza di compositori e parolieri. Rifletteremo su che cos’è una canzone. Quali sono i suoi elementi costitutivi? Il testo e la musica, certo. Ma che ruolo gioca un arrangiamento? E il timbro di voce di chi la interpreta? Proveremo a rispondere alla domanda delle domande: nasce prima un testo o una melodia? E in che modo testo e parte musicale comunicano, s’intrecciano, si fondono? Cercheremo di capire l’importanza del ritmo (colonna vertebrale della musica) e della metrica (colonna vertebrale del testo), e vedremo come ritmo e metrica si leghino e si accordino. Non tutte le parole suonano allo stesso modo. Ci sono parole adatte ad essere lette a mente, parole adatte ad essere pronunciate e parole adatte ad essere cantate. Le sperimenteremo insieme. De André era un cantautore o un poeta? Ci chiederemo se c’è una differenza (in ogni caso, non qualitativa) tra poesia e canzone e tra cantautori e poeti. Il cantante spagnolo Paco Ibáñez dice che «le canzoni sono poesie con le ruote», perché la musica permette al testo di circolare, di diffondersi, di divenire “popolare”. E a cosa serve scrivere una canzone? Non solo a vincere il Festival di Sanremo. Le canzoni fanno parte degli spettacoli teatrali, diventano sigle di trasmissioni televisive, colonna sonora di film e pubblicità, e a volte (a noi è successo) si trasformano in libri per bambini. Faremo molti esempi pratici, attingendo alla storia della musica d’autore, al folklore e alla contemporaneità. Ascolteremo canzoni suonate e cantate dal vivo da Giua. Concluderemo la giornata con una canzone che non è ancora stata scritta, perché la scriveremo insieme, a partire da una melodia, da un’armonia e da un ritmo dati.
di Annalisa Soldà Oggi è una giornata di marzo che ricorda ancora l’inverno. Lui è appena uscito. In casa è rimasto l’odore del suo dopobarba. Apro le persiane della camera da letto, cigolano. Mi affaccio e sento gli otto rintocchi della campana e il lamento dei freni degli autobus. Guardo in su, l’azzurro del cielo è interrotto solo dal bianco di un gabbiano. Stringo la vestaglia attorno al corpo e torno in cucina al mio caffè. Sono seduta al tavolo, curva e con le gambe strette, non ho ancora acceso i caloriferi. Guardo l’orchidea bianca sulla credenza e conto per la prima volta i suoi fiori, sono sette. La sposto al centro del tavolo, per ricordarmi che c’è. Separo i bianchi dai colorati e carico la lavatrice, sparecchio, lavo le stoviglie, mi guardo in giro e vedo della polvere sul frigo e sulle mensole che ieri non c’era o che, forse, non avevo visto. Apro il freezer e decido cosa scongelare. Vada per un trancio di merluzzo. Mi siedo alla scrivania e accendo il computer, controllo le email, faccio il punto della situazione. Sono le 10.30, mi dirigo verso l’hotel. Lo trovo facilmente, è in un palazzo d’epoca. Salgo le scale sino al terzo piano, alla reception c’è il titolare. Esordisco con un “Buongiorno” che viene cordialmente contraccambiato. L’uomo ha l’aria di chi è di buonumore per dovere. “Ho chiamato ieri per fare una prenotazione, ho parlato con una sua collega.” Continuo io. Lui mi fa domande: il nome dell’ospite, le date. Gli spiego che l’ospite è un insegnante della scuola di scrittura a cui sono iscritta e che ieri ho inviato un’email. Mi dice che aveva incaricato un suo dipendente di rispondermi e si affretta a cercare fra le email inviate. “Hmm, vediamo se devo fare strage di dipendenti.” Si gratta la testa, si aggiusta gli occhiali mentre controlla la cartella Posta Inviata. “Vediamo… nessuna email indirizzata a lei. Oggi mi sento cattivo, lei cosa dice devo essere severo con i miei dipendenti?” Intanto scrive. “Credo che si debba essere clementi. Capita a tutti di sbagliare”. Rispondo con un cliché e mi levo d’impaccio. “A posto così, le ho confermato personalmente la prenotazione, controlli fra le sue email.” Ringrazio, saluto e vado via. Ore 11.00, arrivo al supermercato. Le corsie si percorrono velocemente, ci sono poche persone che fanno la spesa a quest’ora, per lo più pensionati, prendo dalla borsa il volantino dove avevo annotato le offerte del mese e inizio la caccia al tesoro. Il carello si sta riempiendo pericolosamente, cerco di calcolare mentalmente il peso totale di ciò che ho scelto e aggiungo solo poche cose. Pago ed esco. Cammino facendo attenzione a mantenere la schiena dritta per distribuire uniformemente il peso delle borse su entrambe le spalle e cercando di ricordare a che ora passerà il prossimo 35. Passo accanto all’entrata del teatro diretta verso la fermata dell’autobus. Sotto il porticato, seduto sui gradini c’è un uomo che suona la chitarra. Ha il cappuccio della giacca sulla testa ed è curvo sulle corde. Le note mettono in disordine i miei pensieri e mi costringono a fermarmi ad ascoltarlo. Il brano ha il ritmo della musica Andalusa, è una musica veloce, malinconica e calda. Lui termina il brano, io cerco gli spiccioli e li lascio cadere nel piatto. Lui mi guarda e io gli dico: “Bravo.” Inizia un nuovo brano. Io appoggio le borse a terra e resto in ascolto. Terminata anche questa esecuzione, mi fissa in silenzio, allora gli chiedo: “È un insegnate di musica?” “No. Facevo il camionista, ora sono rimasto senza lavoro. Ho sempre amato suonare e mi sono detto perchè non provare a fare l’artista di strada.” Non dice più nulla, allora io incalzo: “Suona bene, è molto bravo.” L’uomo si scosta dalla testa il capuccio. Mi racconta che ha due figli e che è un esodato, io gli tendo la mano, gli dico il mio nome e gli auguro una buona giornata. Mentre sto per sollevare le borse mi fermo un istante e gli chiedo: “Come si intitola il brano che stava suonando quando sono arrivata?” “Ah, questo?” Accenna qualche nota e poi sorride come se un ricordo piacevole gli avesse appena riempito la mente: “Si chiama Recuerdos de la Alhambra”. A casa è la routine: padella, olio, merluzzo. Mangio, sparecchio, pulisco piatti e fornelli, decido cosa cucinare per cena. Ritiro la biancheria asciutta, stendo quella bagnata. Guardo di nuovo la polvere sul frigo e le mensole e penso che la leverò domani. Ripasso il Simple Past e il Present Perfect che in italiano traducono entrambi il passato prossimo. Sono le 17.30 scendo le scale del mio palazzo. Al piano terra incontro la ragazza che si è trasferita qui il mese scorso, mentre esce di casa con un rastrello, una pala e una scatola di semi. Credo che sia Olandese e spero che abbia intenzione di coltivare dei tulipani nel suo giardino. La saluto e suono il campanello dell’interno accanto al suo, mi apre la porta Alessandro. “Ciao”. Mi dice e si scosta per farmi entrare. “Ciao Ale, come è andato oggi il compito in classe di matematica?”. Gli chiedo mentre sono già nell’ingresso di casa sua. “Mah. Difficile. Vedremo.” Chiude la porta con una leggera spinta. “Hai già iniziato a fare gli esercizi di inglese?” Continuo seguendolo lungo il corridoio. “No. Ti stavo aspettando per iniziare”. Sua madre è in cucina, la saluto, lei mi chiede se può lasciare la TV accesa, le risponde suo figlio, borbottandole di abbassare il volume e chiudendo la porta. Siamo nella sua stanza, mi siedo accanto a lui, alla sua scrivania, e iniziamo. Dopo il primo esercizio mi è chiaro che è necessario ritornare sulla grammatica. Quest’anno, mentre io percepivo il passare delle stagioni attraverso i cambi di guardaroba, Alessandro si è allungato, ha cambiato voce e ha iniziato a farsi la barba. Dopo due ore mi congedo: “Ci vediamo martedì prossimo.” Sono davanti alla porta di casa
Quando incontro Francesca, non so se la porta si aprirà sull’ingresso di casa sua o sulle stanze del suo atelier. “Tutte e due”, mi dice, e vengo accolta in una casa-studio luminosa, sui toni del bianco e del grigio. Francesca Biasetton è un’illustratrice e una calligrafa, non una grafologa, sottolinea sorridendo e facendo allusione alla scarsa conoscenza che ancora esiste in Italia attorno alla materia, nonostante l’Associazione Calligrafica Italiana, di cui è Presidente dal 2011, sia attiva da più di vent’anni. La calligrafia è argomento sfuggente, semplice e complesso al tempo stesso. Bella scrittura che si manifesta nel rispetto di regole di proporzione, codice di segni, che sono anche suono e significato, non esclusiva forma, né semplice contenuto, regolarità e caso. Il segno che il tiralinee lascia sul foglio non è del tutto controllabile mi spiega Francesca, perciò, anche se si interviene sulla pressione esercitata sulla pagina o sull’inclinazione dello strumento, il risultato finale non è completamente prevedibile. Questo argomento mi incuriosisce, e mi incuriosisce anche il tiralinee, oggetto di cui ho forse un vago ricordo scolastico: “è quello strumento che si trova nelle scatole dei compassi e che nessuno sa come usare”, chiarisce Francesca. Un rapido sorriso – mi accorgo in quell’istante che tutta la casa è intonata ai suoi occhi grigi, nero inchiostro più bianco pagina, mi piace pensare – e sparisce nella stanza accanto. Ritorna con un tiralinee e diversi pennini, per mostrarmeli. L’unità di misura è lo strumento mi spiega, perciò se si scrive con un pennino a punta tronca o con un calamo arabo, le proporzioni cambiano. Per imparare si lavora in trasparenza, utilizzando la falsariga, cioè un foglio rigato posto sotto al foglio bianco sul quale si intende scrivere. Spesso gli allievi trovano scuse per non prepararla, ma è un passaggio essenziale. Penso che questo deve avere a che fare con l’abitudine alla velocità, con l’aspettarsi subito il risultato facile, quell’aderenza quasi perfetta tra intenzione e risultato cui ci hanno viziati tasti, leve e interruttori. Ma la Calligrafia è una disciplina che ha a che fare con la lentezza, con la cura, con le mani; nella lettera scritta a mano si compie e si rinnova la perfezione del gesto che si fa parola, prima parlata, poi disegnata sulla carta. Ma che cosa accade quando, progressivamente, la scrittura ritorna al puro segno? Francesca Biasetton si è dedicata anche all’asemic writing, particolare forma d’arte che pone chi osserva tra il leggere e il guardare. Forma d’arte astratta?, chiedo, o espressione pregrafica? Omaggio alla scrittura illeggibile-magica, all’indecifrabile, o ricerca di un modo altro della comunicazione? Tutte queste cose insieme, risponde, e mi racconta il suo metodo Io parto dal testo e procedo per trasformazioni successive. Lavoro per via di togliere, finché non resta che il segno Non posso fare a meno di visualizzare una lunga fila di rapidissimi fotogrammi, che riportano le scritture, i loro diversi alfabeti, al seme iniziale, a quel segno primigenio, comune forse, che trasformò per la prima volta un pensiero pensato in una scrittura scritta, un’idea nella sua orma. Francesca mi mostra i suoi taccuini, alcuni dei quali saranno esposti in Officina Letteraria in occasione della sua personale. Ne ha sempre uno con sé, su cui annota frasi, parole, immagini. Non sono i classici “taccuini d’artista”, mi spiega, non li ha mai compilati pensando che un giorno qualcuno potesse sfogliarli. Contengono idee in seguito diventate concrete, spunti rimasti tali e molti disegni realizzati con la penna a sfera, strumento semplice e versatile, cui è molto affezionata. Lì dentro ci sono probabilmente gli elementi primi di tutte le sue opere, dalle illustrazioni agli abiti scritti a mano per Midali, dall’Abbecedario, Premio Andersen 2003, agli appunti per logotipi, lettering per film, video, libri… Parliamo ancora dell’Iran, dove in occasione di “Incontri”, a Teheran, ha conosciuto la calligrafa Golnaz Fathi: dieci giorni di straordinaria sintonia e di lavoro a quattro mani, che Francesca descrive come un dialogo sulla stessa tela. “Mia nonna era di Alessandria d’Egitto, parlava l’Arabo”, aggiunge. “Mi ha lasciato questo”, indica un mobile accanto al tavolo dove siamo sedute, “insieme alla curiosità per quella lingua e il suo alfabeto”. Lingua e scrittura che ha poi studiato per anni. La conversazione ha qualche pausa – due diverse forme di riservatezza, o forse è la naturale punteggiatura di un discorso che sta per chiudersi: tre gocce di inchiostro che il foglio accoglie. Ringrazio Francesca e ci salutiamo. Un sorriso, occhi grigi: nero inchiostro più bianco pagina, mi piace pensare. In occasione della mostra personale Appunti, tra lettere e figure, che inaugura in Officina Letteraria sabato 12 dicembre, Francesca Biasetton terrà il laboratorio Scrivo (a mano) quindi sono (io), per ritrovare il tempo e il piacere della scrittura manuale, e per un primo approccio alla calligrafia. http://www.biasetton.com/biasettonwebsite/ http://www.officinaletteraria.com/maestri/francesca-biasetton/
Avreste mai desiderato leggere un libro che si adattasse ai vostri gusti del momento? Una storia con un finale leggero, se la cena vi fosse rimasta ancora sullo stomaco. O un incipit piccante, se non avete più voglia del solito “C’era una volta”. Bene, noi l’abbiamo fatto; e con noi intendo il Collettivo Caratterimobili. Ma andiamo per gradi. Tutto comincia alla lezione di Officina Letteraria di un lontano maggio, in cui ci viene segnalata l’iniziativa: è la Biennale dei Giovani Artisti, che ha una sezione Letteratura alla quale ci si poteva candidare come artisti della Liguria. Abbiamo detto perché no, partecipiamo. Sulla scia dell’entusiasmo formiamo un collettivo: lungimiranti, lo chiamiamo Caratterimobili (sì, metà va scritta in corsivo). Al via del progetto, il collettivo conta una decina di membri entusiasti di condividere le proprie opinioni su un gruppo di messaggistica istantanea. Lentamente l’incantesimo si spezza: l’incombente esame di maturità per alcuni, gli sbalzi umorali, la pubertà, l’Estate. Sono tutti sintomi tipici dell’under 35, età sotto la quale ogni membro del gruppo doveva stare. Per fortuna c’è chi si sente vecchio dentro, e i pochi matusa rimasti affrontano la partenza del progetto al tavolino di un locale, davanti a un piatto di lasagne al pesto e a una parmigiana. Al tavolo ci siamo io; Irene Buselli: “grammatica” da studi classici che vuole fare la matematica; Ester Armanino: architetto, scrittrice, maestra di Officina Letteraria — ma principalmente capogruppo del Collettivo Caratterimobili; Tilahun Bertocci, giovane grafico che ha conosciuto l’approssimativa struttura del progetto circa un’ora prima della consegna, e ha dovuto dargli una forma. Il concept di questa edizione era chiaro e semplice, No food’s land. Ovvero: no, cibo, di, terra; Goggle Translator ci dà suggerimenti random. Expo 2015, il pianeta Terra, ma soprattutto: quando si mangia? Siamo partiti dal metabolismo. Si è pensato a un libro da mangiare (magari stampato su carta da zucchero), poi in ordine sparso: calorie, chilocalorie, la differenza tra una caloria e una chilocaloria, libro-gioco, bestiari magici, lasagne alla parmigiana, consegna entro Luglio, estate. Qualcosa, in un modo o nell’altro, ne è uscito fuori. Il risultato è una piccola antologia di short-stories a forma di menù. Il titolo è Restoryant, e anche qui c’è il corsivo in mezzo al nome. Restoryant è un ristorante letterario, dove non si serve cibo, ma storie: che sono poi il cibo della nostra mente. Così il menù si articola nelle classiche portate: antipasti, primi, secondi, contorni, dessert, caffè o amari per concludere. Ogni portata può avere 4 diversi sapori, scelti in base ai gusti del commensale. E sono queste scelte che comporranno la storia in base alle ordinazioni prese dal cliente. Un antipasto piccante è certamente un rimedio contro gli stereotipi, ma può comunque condurre a un secondo insipido, se la suspence non è ben dosata. 4 gusti di storie, in un certo senso storie d’amore, che si intrecciano in 6 diverse portate, con la possibilità (tuttora inesplorata) di 4.096 combinazioni di intreccio. E così, il 19 Ottobre, Restoryant (ricordatevi il corsivo in mezzo) ha debuttato in Sala Dogana a Palazzo Ducale, insieme ad altre 3 opere degli artisti selezionati a rappresentare la Liguria: Nuvola Ravera, Leonard Sherifi, Stefano Tirasso. Se vi sbrigate, fate ancora in fretta a vederlo. Ci è venuto anche in mente di girare un video per presentare il progetto, perché 4.096 storie che collimassero dall’antipasto al caffè non ci sono bastate. Dopo l’inaugurazione in Sala Dogana, la sera del 20 Ottobre al Count Basie Jazz Club di Genova, riservata ai 100 artisti dall’Europa e dal Mediterraneo ospiti della Pre-Biennale di Genova. Qui si sono tenuti i reading di tutte le opere letterarie partecipanti alla Biennale dei Giovani Artisti. Due copie di Restoryant deliziosamente confezionate dalla case editrice dei sogni Pulcinoelefante, sono poi in viaggio verso Milano; e se non hanno trovato traffico in tangenziale, sono già appoggiate a un tavolino sopra una tovaglia rossa alla Fabbrica del Vapore. Le porte hanno aperto il 22 Ottobre, dove Mediterranea 17 Young Artists Biennale sarà visitabile fino al 22 novembre. Per il progetto Restoryant si ringrazia: Emilia Marasco e Officina Letteraria. Edizioni Pulcinoelefante di Osnago, Alberto Casiraghy e Roberto Bernasconi. Per il video: Sara Sorrentino, Renato Carpi, Alessandro Bellagamba SDAC Genova. Grazie a Sara Fedele, Martina Bavastro, Letizia Castellazzi per esserci “state”, anche solo con il cuore.
Cara amica, benvenuta al Women’s Fiction Festival. Così leggo nella lettera contenuta nella cartellina rosa che mi consegnano all’ingresso della sala stampa delle Monacelle, via Riscatto numero 9/10. È il 24 settembre 2015. I miei occhi sembrano aver compiuto un salto spazio temporale sulla Luna: tutto qui è sorprendentemente bianco e un pò remoto. Io e le mie compagne di viaggio siamo sbarcate a Matera, la città dei Sassi. Staremo qui quattro giorni, assisteremo alla kermesse letteraria che da dodici anni riunisce decine di agenti letterari, editor, traduttrici, scrittrici e aspiranti scrittrici. Una collettività della lettura, come la definisce Alessandra Casella durante la serata conclusiva del festival. Una magnifica polarizzazione di addetti al mestiere del libro provenienti da tutto il mondo. Elizabeth Jennings, Maria Paola Romeo e Mariateresa Cascino sono le autrici di tutto questo, tre donne che lavorano nel mondo del libro e che credono che il futuro passi proprio da lì: aprite i libri, aprite il futuro. “Pochi libri cambiano una vita. Quando la cambiano è per sempre, si aprono porte che non si immaginavano, si entra e non si torna più indietro.” Christian Bobin Gli incontri. Panels. Quelli che trovo più interessanti sono le tavole rotonde con gli agenti letterari. Sono venuti qui da varie parti del mondo, specialmente da Inghilterra e Stati Uniti e sono tutti decisamente donne: Julia Churchill (AM Health Literary Agency), Penelope Holroyde (Penelope Holroyde Literary Agency), Vicky Satlow (Vicky Satlow Literary Agency), Christine Witthohn (Book Cents Literary Agency). A moderare le discussioni è la nostra agente italiana, direttrice editoriale del festival, Maria Paola Romeo (Grandi & Associati). Assisto munita di cuffiette per la traduzione, sono presenti in sala, infatti, le interpreti: lo scambio è così stimolante anche per via di questo colore e sapore internazionale. Si discute dell’attuale situazione del mercato editoriale italiano ed estero, di self publishing con case editrici digitali, da soli o assistiti da un agente letterario, di editoria tradizionale, di contratti editoriali, del futuro: ebook o carta stampata? Nel panel intitolato “Il nuovo mercato digitale in continuo cambiamento” si discute di come l’editoria oggi sia in trasformazione e di come sia difficile fare delle previsioni su quali saranno gli esiti di questo cambiamento. Gli ospiti a confronto sono Porter Anderson (giornalista specializzato nell’industria editoriale), Meghan Farrell (editor della Tule Publishing), Ricardo Fayet (Reedsy), Jane Friedman (consulente editoriale e esperta di digital media), David Gaughran (autore e esperto di digital media), Camille Mofidi (Kobo) e Maria Paolo Romeo (Grandi e Associati). Tra le altre cose, si parla di un articolo, uscito qualche giorno fa sul New York Times e intitolato: “La fine della rivoluzione digitale”. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, si può leggere, la previsione per cui nel 2015 le vendite di ebook avrebbero superato quelle del libro cartaceo non si è avverata, anzi. Gli ospiti del WFF mettono a confronto le loro idee a riguardo, le posizioni sono eterogenee e articolate, ma su un punto sembrano concordare: la rivoluzione digitale non è finita. Il mercato editoriale è molto frammentato e sta cercando nuovi modi di declinare se stesso. Inoltre sfuggono alle statistiche, usate per sostenere la tesi della fine della rivoluzione digitale, gli ebook di editori indipendenti e degli autori che si auto pubblicano su Internet, nonché i dati di Amazon, che notoriamente restano blindati. Focus. Ci sono, poi, incontri focus su “Come proteggere la tua privacy sui social media” con Adam Firestone. “Come promuovere il tuo libro su web” con Porter Anderson e Jane Friedman: lo scrittore diventa partner dell’editore nel processo di promozione del suo libro pubblicato, può sembrare un duro lavoro ma è così che funziona. “Come utilizzare Kobo writing life”, la piattaforma internazionale per auto pubblicare in digitale il proprio libro. Storie sull’editoria non occidentale. Particolare è l’incontro che viene spostato all’ultimo giorno con Manjiri Prabhu. Manjiri è una scrittrice indiana, è qui a WFF per parlare dell’industria editoriale in India. Manjiri è una donna sorridente e tenace: per tre anni ha provato a organizzare in India un Festival della letteratura a Pune al quale inizialmente partecipò solo una decina di persona. Ci mostra le foto della sala quasi completamente vuota nel 2013. Ci dice che se si cercano le persone offrendo loro eventi culturali di qualità, quelle prima o poi risponderanno. Ci mostra la foto del 2015: un applauso e molti sorrisi si accendono nella sala del WFF. Manjiri ce l’ha fatta. Ha portato quello che noi tutte qui amiamo anche a casa sua. Anche se è stato difficile. In India fino a poco tempo fa il numero di lettori era molto basso a causa della povertà e della scarsa alfabetizzazione. Oggi il mercato editoriale indiano è in forte crescita. Pitching! Durante le sessioni pomeridiane del WFF si svolge La borsa del libro, le aspiranti scrittrici possono prendere appuntamenti con gli editor e gli agenti letterari, dialogare con loro, illustrare il loro progetto di romanzo. Gli incontri non durano più di dieci minuti, in gergo sono chiamati pitch.A noi italiani sembra una parola strana, nella pratica si tratta di coppie di donne che dialogano sedute su grandi divani sparsi per i corridoi e le sale delle Monacelle. Molto suggestive a vedersi per chi passa di lì come me, un p0′ meno per chi sta esponendo il suo primo romanzo alla signora editor di turno! Ma si sa, dopo l’adrenalina, a volte, arrivano molte gioie. Sono presenti, sedute sui divani, editor di alcune delle maggiori case editrici italiane e sono state scoperte qui molte aspiranti scrittrici che hanno ricevuto proposte per un contratto editoriale a seguito di questo incontro. Workshop. Sempre durante il pomeriggio è possibile per gli iscritti al Women’s Fiction Festival partecipare a Workshop di scrittura creativa tenuti dalle due scrittrici e sceneggiatrici Flumeri e Giacometti: tre incontri di tre ore ciascuno tenuti in una bella sala abitata da poltrone bianche, due simpatiche e avvincenti conduttrici, slides illustrative e spezzoni di film, molte donne partecipanti e molti spunti per la costruzione di un personaggio. Le due autrici sono anche membri di EWWA ,
Ha lunghi capelli biondi, l’arabo del futuro, una boccuccia di rosa, occhi profondi e tondi. Si chiama Riad e nonostante i suoi due anni di età, questo nome gli è stato assegnato da molto tempo. Perché in Siria funziona così: i ragazzi, prima ancora di essere uomini, possono decidere il nome del loro primogenito maschio, prima ancora che esista, in una proiezione in avanti precoce e tutta al maschile. Così suo padre si faceva chiamare Abu Riad, “il padre di Riad”, prima di andare a studiare alla Sorbonne, prima di conoscere sua madre Clémentine alla mensa dell’università, prima di innamorarsene, prima, molto prima dei suoi occhi tondi, della sua boccuccia di rosa e di tutto il resto. Ci sono grandi aspettative che lo riguardano. Qualche volta Riad sogna di camminare in un lungo corridoio giallo senza soffitto e all’improvviso compaiono due tori che lo inseguono. Quando la speranza di salvarsi lo abbandona, una mano gigante lo afferra e lo porta in salvo: è la mano di suo padre. Si affida, Riad, come tutti i bambini. Cos’altro potrebbe fare? L’arabo del futuro di Riad Sattouf è uscito da pochissimo per Rizzoli Lizard in traduzione italiana, dopo aver venduto 200.000 copie in Francia ed essersi aggiudicato il Fauve d’or d’Angouleme 2015 come migliore opera. Lo cerco sullo scaffale, lo trovo (copertina nera e rossa, inequivocabile Gheddafi su sfondo di bandiere verdi) e come succede ad Alice con la tana del bianconiglio, ci cado dentro a capofitto. In Siria ero un francese, in Francia ero un arabo con un nome bizzarro dice di sé l’autore, e ci racconta proprio questa storia, una storia complessa di estraneità e di appartenenza, di regole apprese e sovvertite, di andate e ritorni tra la Francia, la Libia di Gheddafi e la Siria di Hafiz Al-Asad. E tutta questa materia complicata, intessuta di differenze culturali, di incomprensioni, di piccole e grandi violenze, ci arriva diretta come avessimo la pelle sottile dei bambini, senza spiegazioni, senza la possibilità di formarsi un’opinione univoca sulle cose, con quello spaesamento meraviglioso e terribile che accompagna le esperienze dell’infanzia. Ci arriva con forza e con leggerezza, grazie all’ironia che Sattouf, “scuola” Charlie Hebdo, riesce a trovare nell’ombra delle cose, anche quando non sembra possibile. E invece no, è possibile eccome. E si trova in libreria, comodamente tradotto nella nostra lingua. Io sono contenta di averlo letto. Riad Sattouf, L’arabo del futuro. Rizzoli Lizard 2015
Diamo i numeri. L’attività 2014/15 di Officina Letteraria si è conclusa da poco con la settimana estiva ad Apricale; è giunto il momento dei bilanci, della riflessione su tre anni di lavoro, dei nuovi programmi e dei progetti per il futuro. Per prima cosa concediamoci di dare un po’ i numeri. I Laboratori previsti dal programma 2014/15 si sono svolti quasi tutti: 18 su 22. A compensazione dei Laboratori non realizzati sono stati proposti, nel corso dell’anno, grazie anche alle richieste e agli interessi specifici dei soci di Officina Letteraria, un seminario sulla punteggiatura e uno sull’editing. In totale circa 300 ore di laboratorio. Da 30 a 135. Abbiamo cominciato nel 2012 con 30 iscritti, quest’anno hanno partecipato ai laboratori 135 persone, chi ha frequentato un seminario di un giorno, chi un laboratorio di sei mesi, in 27 hanno frequentato da due a cinque laboratori. 96 sono donne e 39 sono uomini, l’età varia dai 12 ai 65 anni. Il gruppo di Officina Ragazzi era composto da 13 ragazzi tra i 12 e i 14 anni. Sono insegnanti, medici, ingegneri, avvocati, psicologi, impiegati, casalinghe, studenti, assistenti sociali, attori, educatori, tecnici di vari ambiti, pensionati. Grandi soddisfazioni. Due romanzi saranno pubblicati nel 2016, uno da Mondadori e uno da Frassinelli. Altri due sono in giro per agenzie letterarie ed editori. I collettivi, i concorsi, le collaborazioni, le persone. Officina ha generato, in questi tre anni, incontri che hanno portato alla costituzione di due collettivi: il collettivo Linea S e il collettivo Caratteri mobili. Linea S, con Elisa Traverso, ha dato vita alla gara letteraria Non sparate allo scrittore che, quest’anno, al Count Basie Jazz Club, una domenica al mese per nove mesi, ha riscosso un grande successo di adesioni e di pubblico. Caratteri mobili, coordinato da Ester Armanino, ha partecipato al Bando per la Biennale Giovani Artisti del Mediterraneo, sezione Narrazione, con un progetto che è stato selezionato e a ottobre sarà esposto a Milano Expo 2015 e in ottobre nella Sala Dogana di Palazzo Ducale. Gli autori, gli artisti visivi e i professionisti dell’editoria che hanno contribuito alla qualità del lavoro di Officina Letteraria sono stati in tre anni più di 30. In tre anni Officina Letteraria ha portato Laboratori alla libreria Feltrinelli, al Suq Festival, a Palazzo Ducale. Un e-book, un’antologia di racconti d’amore, è stato pubblicato dalla casa editrice digitale Emmabooks. Sono stati banditi due concorsi letterari, uno con le edizioni Pucinoelefante e uno con l’atelier Lo spaventapasseri. È cominciata quest’anno anche una bella collaborazione con il gruppo Augenblick. Nello spazio di Officina sono state allestite 10 mostre e si sono svolte 7 presentazioni di libri. Cosa raccontano i numeri. I numeri, oltre a fornire informazioni, producono narrazioni. I numeri di Officina raccontano che le donne scrivono più degli uomini (e leggono più narrativa), ma questa è solo una conferma; raccontano che per scrivere un romanzo e poter sperare di pubblicarlo ci vuole talento, ma non solo, ci vogliono tempo e lentezza, dedizione e disciplina, ci vuole la disponibilità a sacrificare molto per il progetto. I numeri raccontano che la scrittura non è solo una pratica solitaria e spesso frustrante, ma è una possibilità di scambio, di condivisione, di crescita e divertimento, raccontano che incontrarsi e lavorare insieme fa ancora la differenza, raccontano che a Genova ci sono tante persone che hanno storie da tirare fuori dai cassetti e dal cuore, raccontano che a Genova ci sono persone che hanno sogni. 1 e-book 1 romanzo collettivo 1 gruppo di scrittura su Skype. 2 bandi di concorso 2 collettivi 2 autori esordienti 2 settimane ad Apricale 2 viaggi in Polonia 3 anni di attività 4 il numero civico della sede 7 presentazioni di libri 10 mostre realizzate 13 ragazzi 14 Cartoline Cartastorie 18 Laboratori 30 autori 96 donne 39 uomini 135 iscritti 300 ore di Laboratorio in un anno
Appena entri nel Padiglione 1 del Salone Internazionale del libro a Torino, un fiume di gente ti scorre intorno, voci rimbombano dagli altoparlanti e lo sguardo si perde tra un caos di piedi che, a varie velocità, pestano la moquette rossa. C’è chi si dirige sicuro da un punto all’altro, chi schiva correnti contrarie, chi gironzola incuriosito tra i vari “mercanti”. Sono gli editori, espositori di pagine di carta stampata, diventano qui loro stessi i personaggi della storia: sono i creatori di tutto ciò che può essere sfogliato o, senza troppi romanticismi, i produttori del prodotto “libro”. “Cinque giorni, 340.000 visitatori, migliaia e migliaia di libri, 1.000 editori, 1.500 incontri, presentazioni e spettacoli con i più grandi scrittori e intellettuali del nostro tempo. Tema del Salone 2015 è “Le Meraviglie d’Italia”. Paese ospite la Germania con i suoi autori e la sua cultura. Un intero padiglione dedicato ai bambini e ragazzi, l’editoria digitale, i fumetti, i libri del gusto di CookBook… Non perderti il Salone delle Meraviglie!” si legge sul sito del Lingotto Fiere. Eppure da perdersi c’è eccome, in mezzo a tutti gli stand e gli incontri e i gadgets che poco hanno a che fare con il libro. Venire qui senza sapere bene cosa cercare, rischia di diventare una passeggiata molto stancante e priva di meta. Cosa dovrebbe differenziare una visita al Salone del Libro da una mera puntata in una di quelle grandi librerie di catena che si trovano oggi nelle nostre città?
Lo spazio del sogno, per abitarlo, non hai bisogno degli occhi. Puoi tenerli chiusi, oppure aperti, puoi lasciare che si incantino senza guardare davvero, lasciarli posare su un ramo invisibile, avanti a destra. Cresceranno case sulla tua testa, spunteranno scale dai tetti per toccare il cielo, mentre un vento leggero mulina in aria pesci, foglie e cucchiaini da tè, a un passo dalle tue orecchie. C’è una donna che afferra una forchetta come fosse un’asta da atleta. Dove la porterà il salto? Sogno quindi sono, si intitola così la personale di Cinzia Ratto, in mostra in Officina dal 14 Maggio. Sogno quindi esisto: non basta il pensiero, sembra suggerirci, è il pensiero fantastico che ci rende vivi la reale esistenza in questo mondo è garantita solo dalla capacità di immaginare mondi altri. Cinzia Ratto è architetto, illustratrice, designer e insegnante, e anche se non la conosco – ci sfioriamo per un attimo in Officina Letteraria e l’attimo dopo è sparita – credo di averla vista in una sua tavola (si dice che a volte gli artisti nascondano ritratti di sé nelle loro opere). L’ho vista in sella a un monociclo, in equilibrio su una fune tesa tra le case come una corda da stendere, sotto i piedi la vertigine. Gli equilibristi sono creature in perenne movimento. Cinzia Ratto ha seguito corsi di illustrazione editoriale a Sarmede, Venezia, Torino, Milano, Macerata, confrontandosi con illustratori diversi. Ha pubblicato principalmente con editori esteri, come Nord Sud, Grimm Press e Templar Publishing. Quando tira forte il vento capita che i suoi personaggi volino via dalle illustrazioni insieme alle arance mature. O che le mongolfiere sollevino le case. O che alcune foglie, se sono leggere al punto giusto, non tocchino più terra e si inseguano in volo, gialle, aprendo nella pagina la terza dimensione. Quando i riquadri delle illustrazioni hanno le porte solo socchiuse, allora i personaggi possono entrare e uscire a loro piacere: è così che li trovi a vagare in mezzo al libro. Chissà che succede a tenere i libri aperti. Il mondo ci è dato in prestito scrive Cinzia parlando di sé, quindi è un luogo da abitare con cura, la cura che si riserva a ciò che si ama. Si può percorrerlo a piedi, in barca a vela, in compagnia di umani e di animali. Si può attraversarlo volando. La vita è sogno, diceva qualcuno. Sogno quindi esisto. Mostra personale di Cinzia Ratto, in Officina Letteraria dal 14 Maggio al 13 Giugno.
Quando Herbert George Wells nel 1938 scrisse la sua lecture “The brain organization of the modern world”, non solo ipotizzò un enorme cervello artificiale, una “World Encyclopaedia” nella quale confluissero le conoscenze di tutti gli uomini; non solo auspicò che si realizzasse un’interpretazione integrata della realtà, ma disse che senza tale processo, l’uomo non avrebbe avuto speranze. Molti hanno intravisto nelle sue parole la lungimirante visione di quello che oggi chiamiamo World Wide Web. È il primo argomento di cui mi capita di parlare con Livia Napolitano. Livia cura la rubrica Nottetempo di Radio Libriamoci Web, una webradio no-profit che promuove iniziative di carattere sociale ed umanitario, e produzioni artistiche indipendenti. Tra le rubriche: Copertine (su libri e autori), Nottetempo…Racconti On the Road a Onde Road, Mondo recluso (le voci dal carcere) e molto altro. Il web è uno spazio di libertà, è un veicolo di informazioni molto potente, ma non mi sento di demonizzarlo, mi spiega Livia: si tratta come sempre di utilizzare al meglio uno strumento, di metterlo al servizio di contenuti di qualità. Radio Libriamoci, “la radio che ama chi legge”, è un’associazione culturale nata dall’incontro fortunato e casuale di persone affini, accomunate dall’impegno nel sociale e dall’amore per la lettura. La mancanza di confini della rete crea sinergie al di là delle distanze geografiche, unendo creatività e passione di persone che non si sono mai incontrate nella vita reale Quando si dice cultura libera e indipendente, si dice questo. Proprio attorno alla passione per la lettura, sta prendendo forma il prossimo progetto per Radio Libriamoci. Che cosa ha significato per te partecipare a #ioleggoperché ? Sicuramente la possibilità di raccogliere le più diverse testimonianze sul rapporto con la lettura, mi risponde. Se una delle finalità dell’iniziativa è quella di avvicinare alla lettura chi ancora si tiene a distanza, Livia ne ha fatto un modo di operare, scegliendo di registrare le testimonianze in luoghi e contesti non convenzionali, e andando ad incontrare anche chi nei libri ha appena messo il naso, come i bambini della scuola del Consolato Francese. Livia mi racconta della sua esigenza di comunicare, e lo fa partendo da una passione, adesso messa da parte ma non dimenticata, il canto. Non è la prima volta che mi capita di sentirla parlare di questo, in relazione alla sua esperienza in radio. Che cosa hanno in comune la parola cantata e la parola detta? C’è la musica. La musica diventa un elemento importante per veicolare il messaggio, per creare suggestioni La musica di strumenti e voci che consuonano, ma anche quella quotidiana, emessa dalle cose che accadono, perché per dirla con Erri De Luca “la macchina mondo è un’orchestra musicale”. E poi c’è la musica della parola, vibrare di corde vocali, quelle frequenze impercettibili che la voce segue, il moto ondoso della parola detta, l’alzarsi e l’abbassarsi, il procedere e il ritirarsi del discorso. Radio Libriamoci è soprattutto una talk radio, una realtà molto più diffusa in Inghilterra, Stati Uniti, Germania, mi racconta Livia. Qui in Italia siamo un po’ pionieri, ma è un buon momento adesso, sembra di rivivere quello che accadde negli anni ’70 con le prime radio libere. E proprio le onde, le frequenze del discorso ci portano a parlare di Radio Aut e di Radio Cento Passi, della comunicazione libera come esigenza di verità, come forma di resistenza. Al Sud, quando cresci devi scegliere i tuoi eroi. Il mio era Peppino Impastato Radio Libriamoci è anche uno spazio per dare voce a chi non ce l’ha. Chiedo a Livia di raccontarmi di Marina Garaventa, scrittrice e poetessa che da tredici anni vive grazie ad un respiratore e non potendo parlare né muoversi, comunica attraverso il suo pc. Livia le ha prestato la voce e l’ha ospitata in radio con la lettura dei suoi racconti. Mi piace meravigliarmi, continuare a trovare meraviglia. La radio mi rende felice mi dice, e sorride con la bocca e con gli occhi: impossibile non crederle. Lunedì 20, alle ore 17.oo, Livia Napolitano, messaggera della lettura di #ioleggoperché, sarà in Officina Letteraria per permettere a chi lo vorrà di condividere la propria passione per la lettura. Tutte le testimonianze confluiranno in una trasmissione radiofonica che verrà trasmessa su Radio Libriamoci Web.
Resistere Sempreverdi. Nonostante il vento contrario, nonostante la pioggia, anzi nella pioggia e nel vento: crescere sempre nuove foglie. Perché l’ostinazione è la speranza in atto. Jacopo Oliveri. X Si intitola così, Sempreverdi (malgrado la stagione avversa), la mostra collettiva di illustrazione che inaugura sabato 21 Marzo in Officina Letteraria. Mi è venuto da pensare all’illustratore come una pianta Mi spiega Matilde Martinelli, giovane illustratrice e curatrice del progetto: una pianta che non avvizzisce ma che si reinventa, che reagisce alle carenze (non solo economiche, ma anche culturali) conservando, anzi rendendo quasi più fulgido e potente, il contenuto del proprio immaginario Matilde si è laureata all’ISIA di Urbino, dove ha conosciuto la maggior parte degli illustratori in mostra, con i quali ha condiviso una precedente esperienza espositiva in occasione della scorsa edizione dell’Andersen Festival di Sestri Levante. “I vestiti nuovi di H.C.”, la mostra collettiva di allora: per interpretare, ciascuno con la propria personalità, le più celebri fiabe di Andersen. Olga Tranchini. La prima consegna del postino Giulio Questa volta invece non c’è un tema di riferimento, non c’è una regola né percorsi comuni nell’elaborazione che possano essere poi recuperati da chi guarda. Sospensione dell’incredulità, mi viene in mente. Letizia Iannaccone. Desiderio N2 Quella felice espressione che Samuel Taylor Coleridge inventò per descrivere la deliberata astinenza dal dubbio, la volontaria rinuncia a cercare un filo conduttore, una congruenza, quell’incondizionata fede poetica attraverso la quale si riesce a godere di un’opera di fantasia. È con questa fiducia che ci è chiesto di guardare. Giorgia Marras. Wunderland Così la luna ci mostra la sua faccia nascosta, con crateri mai visti prima d’ora, da far sbuffare i precisi. Qualcosa è accaduto: una diversa rotazione, all’improvviso? Che ne sarà delle maree? E delle biglie perdute tra le onde? E del nostro riflesso allo specchio? Uno specchio rotondo, come una biglia di vetro, come la luna, come rotondo è il cerchio. Ma poi che cosa? Cosa cerchi? Matilde Martinelli. Grafite su carta. La luna, se vuoi, è qui sopra: puoi stringerle la mano. Ti occorrono una scala e uno zainetto-casa dove mettere il cuore. Meglio tenerlo già pronto, il cuore nello zaino, perché quando la luna ti invita bisogna partire subito: Senz’attesa. Daniele Nitti. Tecnica mista. Daniele Nitti. Senz’attesa Aspetta! Lascia che ti dica, poi ti dirò io, ed io. Non vorrò fare di testa mia anche questa volta? Sono una, siamo quattro. Valentina Lorizzo. Stampa su carta. Valentina Lorizzo. Sono una, siamo quattro Adattarsi? si può? Quattro mura di griglia sono una gabbia per chiunque. Come vedi ho messo una cresta conforme, l’ho ridimensionata, le ho smussato gli angoli perché fosse perfetta per i fori di questa prigione: del tutto adatta. Silvia Venturi. OH, Rapidograph + tecnica digitale. Silvia Venturi. OH, Se non stiamo attenti, con le correnti che corrono, finirà che al luna park, al posto dei pesci rossi, nelle bocce di vetro ci saranno le sirene. Così, centrando uno di quei vasi tondi pieni d’acqua, ogni bambino potrà vincere la sua sirena e portarsela a casa in un sacchetto di plastica gonfio d’acqua e di malinconia. Correnti. Ste Tirasso. Tecnica mista. Ste Tirasso. Correnti Alla deriva, un piccolo naviglio in una grande porzione di mondo. Misura la sua traiettoria, si da una direzione, ma più di tutto cerca di fare piano, di diminuire il suo disturbo nel mondo. Sia mai che da questi blocchi di ghiaccio, maestosi e perfetti, si sveglino a un tratto giganti contro i quali nulla si può… Silenzioso. Senza meta. Un piccolo naviglio. Luca Tagliafico. Tecnica mista. Luca Tagliafico. Un piccolo naviglio In mostra: Letizia Iannaccone, Valentina Lorizzo, Giorgia Marras, Matilde Martinelli, Daniele Nitti, Jacopo Oliveri, Luca Tagliafico, Ste Tirasso, Olga Tranchini, Silvia Venturi, Arianna Zuppello. Sempreverdi (nonostante la stagione avversa). In Officina Letteraria, sabato 21, ore 18.00. In occasione della mostra, laboratorio Ping Pong – La semantica del rimando, a cura di Silvia Venturi e Matilde Martinelli, per indagare le possibilità espressive insite nel rapporto tra parola e immagine. Sabato 18 e domenica 19 Aprile, presso Officina Letteraria. Per informazioni: info@officinaletteraria.com
Pelle. È chiaro al primo sguardo. Non perché l’informazione dai tuoi occhi sia arrivata al cervello, non perché la vista ti abbia realmente informato di qualcosa, niente di tutto questo. Perché si sente e basta, perché la tua carne ha riconosciuto la carne. È un tocco, è conoscenza preverbale. Guardiamoci, sembrano dire. Facciamolo da vicino. Annalisa arriva al nostro appuntamento un po’ trafelata, come avesse fatto la strada di corsa. È lei a riconoscermi per prima. Ci sediamo a un tavolino all’aperto – sono una fumatrice incallita, mi informa – e incominciamo a chiacchierare. Che cosa voglio sapere? Non so. Le curiosità sono tante dopo aver curiosato nel suo sito, ma ogni domanda mi sembra invadente: la lascio parlare. E Annalisa mi racconta di Ettore (ti faccio un esempio, mi dice). C’è un passo dell’Iliade in cui Ettore viene colpito con la lancia da Achille. Ettore è protetto dalla sua armatura, è quasi invulnerabile. Quasi: “…vi era una fessura dove le clavicole dividono le spalle dalla gola e dal collo, e quello è un punto di rapida morte. Qui Achille lo colpì…”. C’è un varco in quell’esoscheletro di bronzo, una fessura che scopre una piccola porzione di pelle. La lancia affonda in quel punto esatto, mi è sembrato di sentire il dolore qui, indica, per molto tempo. Le persone non amano essere guardate da vicino, ma io ne sento l’esigenza. Osservo la mia pelle, quella degli altri, fino a distinguerne i pori Fino a vederci attraverso, penso io, fino a che le pieghe di una mano, le pieghe di pelle di un pugno chiuso, diventano (o tornano ad essere?) un paesaggio che si può abitare. E in quelle cavità che spingono gli occhi nel profondo, risuonano echi di voci perdute, di una vita intrauterina, forse, di cui abbiamo perso il ricordo cosciente, ma non la memoria. Perché la memoria è nel corpo. La memoria è il corpo. Guardiamoci. Facciamolo da vicino. Che cosa sappiamo di noi? Annalisa lavora con la tecnica dell’olio su tela, ci impiega moltissimo a fare un quadro, bisogna aspettare che il colore asciughi per metterne un altro, mi spiega. Utilizza anche fotografia e video, talvolta indagando lo stesso soggetto attraverso tutti questi linguaggi. Mi dicono che faccio troppo, ma capita che una tecnica sia lo studio per un’altra. A volte sono necessari molti linguaggi per dire compiutamente qualcosa. Nella mia testa si formano le parole: cantiere di un corpo. Parliamo della body art, che ha affascinato Annalisa, ma sarebbe volgare adesso, dice. Nel mio lavoro il corpo è mostrato per quello che è, come a dire che non c’è bisogno di un intervento, di una sovrapposizione di segni, perché sia portatore di senso. Lo si può mostrare così, con fascinazione e rispetto. Guardiamoci, facciamolo da vicino, sembrano suggerire. Guardo e recupero il mistero della prima ferita, risento sapore di sangue (pelle graffiata, sbucciata, pelle cambiata milioni di volte). Recupero la memoria prima, del primo contatto (labbra premute, un dito nell’ombelico, un pollice che esplora una bocca tutta nuova). La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo, l’unico organo di senso di cui non possiamo fare a meno (mani sul viso, fai piano, mani che ti insegnano a dosare le carezze). Senza pelle non possiamo sopravvivere. Ci protegge, ci espone. Avviciniamo lo sguardo. Non cerchiamo di indovinare, di interpretare. Lasciamoci sentire, abbandoniamo a terra le parole: è stato allora, quando ancora non avevamo un nome per tutte le cose, che ne abbiamo fatto esperienza. Con il tatto, e da vicino. Closer. Closer, di Annalisa Pisoni Cimelli. Presso Officina Letteraria, dal 6 Dicembre al 24 Gennaio
Capita di incontrarla quando il cielo è rosso. Le case, in basso, hanno lo stesso colore del cielo, e la balena bianca – eccola, enorme, la vedi? – nuota nell’aria lasciando come una scia d’aeroplano: ma sono le ciminiere e i comignoli della città che ha sul dorso, a fumare quel fumo sottile. A volte invece si muovono in gruppo, lo intuisci da una pinna che spunta a bordo quadro, o forse è un’unica balena che ha messo davanti la coda, che ha detto, aspetta, prima di muovermi tutta, mando avanti una pinna in esplorazione. eccola, enorme, la vedi? – nuota nell’aria lasciando come una scia d’aeroplano Prima la coda poi il capo, prima il carro, prima la matassa. Prima i cetacei o le città? La verità è che questo – il nostro? – è un mondo di contraddizioni, di compresenze, in cui i fumi urbani si mischiano ai fumetti, in cui i sogni, alati, natanti, galleggiano nell’aria come mongolfiere: non dirigibili, non prevedibili. Ancora, e sempre. Gregorio Giannotta vive e lavora qui, a Genova. Si è diplomato all’Accademia Ligustica di Belle Arti e se siete curiosi di conoscere i suoi lavori, scoprirete che ha fatto di tutto: illustrazioni, disegni, quadri, animazione… Nel 2006, insieme a Paola Rando, ha aperto “AnimArs”, un atelier situato nel cuore del centro storico genovese, dove potete vedere rinoceronti cannone, navi con le gambe, leviatani che sorvegliano le città o soltanto le sovrastano, che guardano il mondo dall’alto e al contempo lo portano sulla testa. i sogni, alati, natanti, galleggiano nell’aria come mongolfiere: non dirigibili, non prevedibili Come si traccia la mappa di un mondo così? Che cos’è Atlante? C’è un omino con i baffi lunghissimi, orizzontali, a cui forse si può chiedere. Compare e riappare, ma non sappiamo se dica il vero: i suoi occhi sono nascosti dietro un paio di occhiali rotondi, e quei baffi, che per primi sfuggono alla forza di gravità, sembrano promettere più ironia che competenza sulle cose del mondo. Come si traccia la mappa di un mondo così? Che cos’è Atlante? Che cos’è Atlante? C’è una mano che disegna un tratteggio, ci sono monti che sembrano giganti svenuti per terra. Di nuovo l’omino baffuto, di profilo (assomiglia, assomiglia a qualcuno…) che guarda lontano e sembra suggerire: Atlante è ciò che puoi disegnare del mondo. Non un tentativo d’ordine, sembra dire, non una necessità di controllo: piuttosto il desiderio di tracciare strade per l’ognidove. Atlante, mostra personale di Gregorio Giannotta, in Officina Letteraria dall’8 al 29 novembre.
Questo terzo post sui lavori in corso a Officina Letteraria è dedicato a un’attività cominciata nell’estate 2012, la settimana nota come Scrivere ad Apricale. Un laboratorio di scrittura e una settimana di vacanza nel paese medievale della Val Nervia, un luogo ricco di suggestioni per chi ama scrivere: non isolato, ma appartato e abbarbicato sulla pendice al sole di una collina, escluso alle automobili, un paese di pietra, circondato dal verde e dagli ulivi e dalla natura aspra e ruvida tipica della Liguria e in particolare delle zone di confine. Il laboratorio, condotto da Emilia Marasco, Bruno Morchio e Claudia Priano, ha favorito una relazione tra i partecipanti e il luogo attraverso l’incontro con gli abitanti e le loro storie. Il Comune di Apricale ha messo a disposizione la Biblioteca, Atelier A si è aperto per l’affollato reading finale, il tempo libero è stato utilizzato da ciascuno per la scoperta del paese e l’esplorazione dei dintorni. Durante il laboratorio si sono lette le pagine di Calvino, Biamonti, Orengo. L’esperienza ci ha confermato il valore del viaggio come proposta per i laboratori di scrittura. Spaesarsi, cambiare punto di vista, acquisire consapevolezza di un proprio modo di percepire e vivere gli spazi e trasformare tutto questo in parole, raccogliere storie, lasciarsi attraversare dalle storie, raccontarle. In un tempo in cui si è in ogni dove senza muoversi da casa, in cui si è insieme agli altri stando ben fermi nella propria solitudine, in cui è possibile documentarsi su luoghi, persone e storie con un clic, ogni tanto è importante prendersi una vacanza, respirare una boccata d’aria, toccare con mano ed essere davvero da qualche parte con qualcuno. Dobbiamo creare momenti di scambio tra i due binari sui quali corre il nostro tempo. Così è nato SCRIVERE A… Dopo Scrivere ad Apricale ci sono stati Scrivere a Varsavia e Scrivere a Cracovia. Grazie alla SIL (Società Italiana Letterate) è entrata a far parte del gruppo di Officina Letteraria Zuzanna Krasnopolska, ricercatrice dell’Università di Varsavia specializzata in Italianistica, che ha organizzato i viaggi di Officina a Varsavia nel 2013 e a Cracovia nel 2014 e che, nel 2015, ci accompagnerà a Praga. Abbiamo scritto a Varsavia dopo aver incontrato alcuni giovani studiosi di Lingua Italiana all’Università, dopo aver percorso la città sulle orme dei protagonisti di alcuni romanzi, dopo aver ascoltato poesie e canzoni, visto film. I racconti scritti dai partecipanti al viaggio e dagli studenti dell’Università sono stati letti nella sala del Museo della Letteratura di Varsavia, in ogni racconto c’era una traccia dell’incontro con Varsavia e dell’incontro con le persone. Abbiamo scritto a Cracovia dopo un seminario sulle antiche leggende cracoviane, dopo la visita alla città e al suo ghetto, alla Kricoteka di Thadeus Kantor, ad Auschwitz e Birkenau, alle miniere di sale. Con la nuova stagione di Officina, per arricchire e diversificare l’attività e offrire esperienze accessibili a tutti, scriveremo a Praga a giugno 2015 ma, nel corso dell’anno, scriveremo a Milano con Elena Mearini in collaborazione con Art in the City, scriveremo In cammino con Laura Guglielmi, Giacomo Revelli e Marino Magliani in un percorso di trekking e nell’estate 2015 ci sarà una Summer School ad Apricale. Nel frattempo scriveremo ( e leggeremo) nella sede di Officina Letteraria in via Cairoli4/B, nei caffè, nelle librerie, nei musei, in giro per la città e al Palazzo Ducale di Genova, in un laboratorio aperto al Festival L’Altra metà del libro.
Autunno, è tempo di scrivere. La fine dell’estate, anche quando la stagione è volubile e poco all’altezza delle aspettative, apre sempre a nuove energie, propositi e progetti. È tempo di scrivere. Perché? Perché è ora di tirare fuori un sogno dal cassetto, è ora di cimentarci con uno strumento che sappiamo o pensiamo di possedere, è ora di consolidare una pratica, di confrontarci con qualcuno, è ora di consegnare a una pagina i pensieri che ci attraversano la mente. È tempo di ripresa e di novità. Ecco le novità di Officina Letteraria che troverete su questo sito, ma anche su www.mentelocale.it a partire da settembre. Tre livelli di Laboratori per chi vuole affrontare un percorso graduale di approfondimento delle tecniche di narrazione. Quest’anno li abbiamo identificati con un titolo: La Grammatica delle Storie è il primo, I Ferri del Mestiere il secondo, Una stanza tutta per sé il terzo. A guidare i partecipanti nel viaggio dentro le storie e la scrittura, fino alla realizzazione di un progetto personale, saranno Ester Armanino, Laura Bosio, Emilia Marasco, Bruno Morchio e Sara Rattaro. Per questi laboratori sono previsti anche gli interventi di Federica Manzon, editor Mondadori e scrittrice, e di Elisa Tonani, esperta di punteggiatura. Per chi cerca una situazione meno impegnativa e strutturata, ma ugualmente ricca di stimoli e di incontri, c’è il laboratorio Leggere e Scrivere, con un tutor che coordina tanti interventi di scrittori e professionisti diversi che porteranno un suggerimento di lettura e una proposta di scrittura: Valeria Corciolani, Gaia De Pascale, Barbara Fiorio, Laura Guglielmi, Elena Mearini, Antonio Paolacci e Cesare Viel. Un Laboratorio che prevede alcune sessioni di scrittura anche in spazi diversi dalla sede di Officina, come librerie, caffè, musei. La positiva esperienza, nella passata stagione, del Sabato in Officina dedicato alla scrittura per l’infanzia, ci ha convinti a dedicare uno spazio più ampio a un genere che ha anche fortuna e solidità editoriale, che interessa ai genitori, agli insegnanti e molti aspiranti scrittori. Il laboratorio Oltre le fiabe sarà condotto da Anselmo Roveda e Sara Boero, in collaborazione con la rivista Andersen e con l’associazione Officine narrative, con interventi di illustratori e specialisti del settore. Da ottobre riprende anche il fortunato ciclo Sabato in Officina, una full immersion di sei ore, un sabato al mese, sempre con scrittori e artisti diversi. I primi tre incontri saranno con Gaia De Pascale per Scrivere di viaggi, Pino Petruzzelli per Scrivere un monologo, Giampiero Alloisio per Scrivere una canzone. Si proseguirà con Chicca Gagliardo, Elena Mearini, Antonio Paolacci, Patrizia Traverso e altri autori che porteranno la loro esperienza in un’attività di laboratorio. L’anno nuovo porterà il Corso pratico di editoria e scrittura di Antonio Paolacci, il Laboratorio di lettura consapevole Ad alta voce tenuto da Dario Manera, due workshop, con Giulio Mozzi e Paolo Nori e il Laboratorio di legatoria con Marta Wrubl. A conclusione dell’attività, a maggio, la settimana intensiva sulla Sceneggiatura per il cinema con Federica Pontremoli, un laboratorio di 35 ore. È tempo di scrivere.