Giulio Mozzi, maestro di Officina per il Laboratorio di Stile, ci presenta il suo workshop con quattro interventi introduttivi che pubblicheremo a cadenza settimanale. Ecco il secondo.
C’è chi dice che la punteggiatura serva soprattutto a indicare pause e sospensioni del discorso scritto (la virgola è una “pausa breve”, il punto è una “pausa lunga”, ecc.), come se fosse una notazione delle pause che facciamo nel discorso parlato (legate alla respirazione, alle esigenze espressive ecc.). E c’è chi dice che la punteggiatura serva soprattutto a rendere visibile l’articolazione sintattica e logica del discorso scritto, come le parentesi tonde quadre graffe delle espressioni matematiche.
In realtà la punteggiatura fa entrambe le cose, e nessuna delle due fino in fondo. Provate a registrare una conversazione a tavola e poi a trascriverla: vi accorgerete che le pause non hanno nulla che fare con la sintassi e la logica – e assai poco con l’espressività.
D’altra parte, molti dei testi che leggiamo recano una punteggiatura non necessariamente coerente con le intenzioni dell’autore (pensiamo ai testi tradotti da lingue che abbiano un’articolazione sintattica diversa dall’italiano: e non serve pensare al giapponese, bastano l’inglese o il tedesco). Altri testi che leggiamo, addirittura, recano una punteggiatura inventata: né Omero né Virgilio punteggiavano – ma anche Petrarca e Boccaccio avevano un sistema di punteggiatura completamente diverso dal nostro.
La lezione sulla punteggiatura non fornirà regole e regolette: cercherà piuttosto di far sviluppare una sensibilità per la punteggiatura e, soprattutto, per gli effetti di senso che la punteggiatura produce (provate a confrontare: “Luisa lavora, Antonio dorme” e “Luisa lavora. Antonio dorme”: vi pare che le due battute dicano esattamente la stessa cosa?).
Si lavorerà con esercizi semplici e (si spera) divertenti; ci si confronterà con la punteggiatura dei classici e dei contemporanei; si farà qualche approfondimento storico; si getterà uno sguardo nel campo della poesia, dove l’a capo alla fine del verso è un formidabile e specialissimo segno di punteggiatura (confrontate: “Di che reggimento siete, fratelli?” e “Di che reggimento / siete / fratelli”: non è la stessa cosa!).