“Ho il piacere di leggere per voi stasera”, così Charles Dickens introduceva i suoi Readings in giro per l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Leggeva a teatro, ma anche in contesti meno formali come i circoli culturali, a partire dagli anni ’50 dell’Ottocento e fino alla fine della sua vita. Premesso che queste performances gli fruttavano più denaro di quanto ne ricavasse dalla pubblicazione dei libri, è indubbio che Dickens traesse molto piacere dalle sue letture ad alta voce, vere e proprie interpretazioni di alcune parti dei suoi romanzi, da lui riadattate per il teatro. E il pubblico rispondeva con entusiasmo. Perché questo bisogno di ritrovare la voce che sta dietro la parola scritta, di recuperarne il suono?Lo chiedo ad Aldo Viganò, critico cinematografico e teatrale, curatore de Le Grandi Parole, gli appuntamenti con la lettura di grandi autori che il Teatro Stabile di Genova propone ormai da molti anni.
La dimensione orale appartiene all’essere umano
mi risponde, e anche considerando che ai tempi di Dickens l’analfabetismo era una realtà diffusa, il fascino della “parola detta” resta intatto, trasversale ai secoli e agli strumenti culturali. “L’attore” continua Aldo Viganò “offre sempre una chiave di lettura” anche quando il testo è annotato, come nel caso di Dickens, anche quando l’autore ha segnato sulla carta le parole cui voleva dare maggior risalto, i punti in cui la voce si alzava, forse, o si faceva più incisiva.
All’attore è riservata l’interpretazione: si sceglie un registro, un’intonazione, tra le diverse possibilità lasciate aperte dalla parola scritta. Charles Dickens si serviva di una scenografia, se così può essere definita, molto scarna. Aldo Viganò mi racconta che quando è stato a Londra a visitare la casa dell’autore, nella stanza dedicata ai Readings ha potuto vedere il piccolo tavolino che Dickens era solito portarsi a teatro e il frac che indossava per le letture. Sul palco del Teatro della Corte si recupera questa scenografia minima, mi spiega, e si lascia pieno spazio alla “dimensione teatrale della parola”.
I prossimi appuntamenti saranno il 16 Febbraio con i testi tratti da Il Circolo Pickwick e Oliver Twist, letti da Eros Pagni e introdotti da Melania Mazzucco, e il 23 Febbraio con Dombey e figlio, interpretato da Massimo Popolizio con l’introduzione di Giorgio Bertone.Il filo rosso che lega letteratura e teatro, e tutte le nostre chiacchiere fino a qui, mi fa esprimere ad alta voce una curiosità. Ho letto un’intervista di molti anni fa in cui Aldo Viganò, parlando della nuova drammaturgia, sosteneva che il vero problema è la riluttanza del pubblico a provare interesse per ciò che è nuovo. Chiedo, è ancora così? Perché? Lo stesso discorso pensa si possa applicare anche alla letteratura? “Credo che questo giudizio sia estensibile, soprattutto per quanto riguarda il teatro e soprattutto in Italia”. Le persone preposte all’insegnamento hanno una responsabilità in questo senso, perché tradizionalmente e con poche eccezioni nel nostro Paese
il classico è bello, il contemporaneo crea sovente diffidenza.
Ma il teatro è sempre stato contemporaneo, continua Viganò, “lo scrivere e il rappresentare erano coincidenti”, erano e sono state per molto tempo descrizioni contigue della realtà presente. Qualcosa di simile accade anche in letteratura e “questo fatto appartiene al problema della diffidenza”, ancora una volta.
Tra le intenzioni che hanno promosso l’iniziativa Le Grandi Parole c’è anche questa: offrire al pubblico qualcosa di nuovo, contribuendo a quell’operazione ardua ma doverosa che è la demolizione della diffidenza. “Non rassegnamoci a diventare come l’opera lirica!” stigmatizza con un sorriso.E i nuovi cantastorie, chi sono? chiedo.
I cantastorie stanno scomparendo, ma forse al loro posto ci sono i grandi attori di monologhi
come Paolini, Celestini, Petruzzelli. Anche loro, come i cantastorie, lavorano per migliorare la conoscenza”. Ma si tratta più spesso di cantori di cronaca, e Viganò vorrebbe ci fosse spazio anche per il mito. Una nuova mitologia, contemporanea, che sappia parlare di oggi nell’oggi. E dall’altra parte del palco (e anche fuori dai teatri, per le strade) il contrario della diffidenza: se non addirittura la fiducia, almeno la curiosità.
Grazie ad Aldo Viganò per la piacevolissima chiacchierata.