Quello che abbiamo scoperto frequentando le maestre delle Scuole dell’Infanzia del Comune di Genova è che vanno sempre a scuola per formarsi su qualcosa di nuovo, si aggiornando di continuo e poi applicano con grande impegno e passione. Dal Laboratorio di formazione sulla narrazione tenuto da Officina Letteraria sono uscite molte storie che le maestre hanno scritto per i loro bambini scegliendo parole e immagini. Ecco un esempio.
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Leo di casa in casa.
La pioggia ticchetta sulla finestra, grosse gocce scendono lentamente lungo i vetri, grosse lacrime scendono dalle guance della maestra.
“Maledetta cipolla!”. La maestra dondola ritmicamente al suono della mezzaluna che batte sul tagliere, a tratti si asciuga gli occhi con la manica sinistra. “Maledetta cipolla!”. La maestra, mentre sminuzza le verdure per il soffritto del ragù pensa ai suoi bambini che, in mattinata a scuola hanno costruito un razzo per arrivare sulla luna e tornare a terra in tempo per il secondo turno del pranzo. “Ci siamo divertiti! ” pensa.
Un rumore ovattato, uno “stump, stump” attira la sua attenzione, abbandona la mezzaluna sul lavandino… “Marco sei tu? o ha bussato qualcuno?” Marco con le cuffie in testa si muove per la stanza ad un ritmo che solo lui riesce a sentire. “Stump, stump!”, “Ma da dove viene questo rumore?” Lo sguardo della maestra inizia a viaggiare per la cucina e prosegue per tutta al casa… Un’ombra, una forma sconosciuta dietro il vetro della portafinestra del terrazzo attira la sua attenzione. C’è qualcuno là fuori, alla pioggia e al vento, qualcuno che la maestra non conosce. Apre la porta, uno scroscio di pioggia entra di prepotenza fermandosi sullo scalino: appena fuori, un piccolo personaggio con criniera e ciuffo della coda arancione, gilet e calze verdi, un grosso nasone su cui brillavano due piccoli occhi neri come il carbone, bagnato anzi inzuppato di pioggia, la osservava dal basso all’alto.
“Ma tu da dove vieni?”, “Giuseppeee!” (il gabbiano reale amico della maestra che racconta storie che solo chi possiede le ali può conoscere)…”sei tu che mi hai portato questo Piccolino?” Alla domanda risponde solo lo scrosciare della pioggia, nel cielo più grigio del porfido solo nuvole pesanti di pioggia.
La maestra accoglie Piccolo, gli prepara un bagno caldo, lo asciuga… “Il soffritto può aspettare e poi non ho voglia di cucinare.” Piccolo tace o forse non conosce la lingua della maestra, ma ormai il senso del dovere le impone di preparare la cena. Piccolo la segue con lo sguardo e lei se lo porta appresso. “Le verdure nel wok sono pronte, vieni che andiamo a scegliere i libri da leggere ai miei bambini a scuola.”
Il cielo ha smesso di piangere mentre le ombre della notte avanzano sui tetti della città. Le ultime nuvole si dissolvono scoprendo un cielo illuminato dalla facciona della luna che sorride mostrando tutti i denti del Mare della Tranquillità. Piccolo, scalando la grande Stella di Natale, riesce a raggiungere il davanzale della finestra e non distoglie lo sguardo dal satellite terrestre.
Il giorno dopo, nevica. La maestra accompagna i bambini in giardino che con la bocca aperta e la lingua di fuori rincorrono i piccoli fiocchi di neve.
Al rientro a casa: “Ti sei annoiato Piccolo? Hai visto la neve? Vieni sul terrazzo. Guarda è bianca, è fredda, presto che si scioglie!”
Piccolo sa ascoltare e la maestra gli racconta dei giochi, delle storie, delle facce sorridenti e imbronciate dei suoi bambini, delle risate e dei pianti, dei nasi moccicosi, delle voci che riempiono la testa e il cuore…
La mattina successiva, sveglia alle 6.30. La scuola aspetta la maestra per aprire il suo portone verde. “Devo sbrigarmi, Piccolo. Che fai qui dalla porta? Vuoi venire anche tu? Ora non posso, ma ti prometto che domani ti porto con me.”
In classe la mattinata trascorre in fretta con il racconto di Piccolo e del suo strano ritrovamento, della sua voglia di venire a scuola, della promessa di portarlo, domani, a conoscere ai bambini.
Il pomeriggio in casa della maestra è denso di preparativi. “Piccolo prova ad entrare nella valigia, ci stai? Devo preparare la busta per le foto, forse un quadernino dove scrivere, disegnare… le proprie emozioni.”
Trillo della sveglia, sono le 6.30 del grande giorno. Piccolo è già prontissimo.
“Andiamo, i bambini ti aspettano.”