«Genova è una grande città, un punto d’arrivo, il porto di ogni partenza. La verità è che prima di allora non c’ero mai stato e quando l’ho vista l’impressione non è stata delle migliori».
Inizia così Sulla Cattiva strada: con un ragazzo («Mi chiamo Angelo. E sono un viaggiatore»), Genova vista dall’alto e una giornata di pioggia. Ma non si tratta di un momento qualsiasi, lo si capisce dalle persone che riempiono le strade, dai loro volti: è il giorno dei funerali di Don Gallo.
Quando nomini Don Gallo, l’aria attorno si ferma per un attimo. Che sia quella breve sospensione generata dal ricordo, che sia l’apnea momentanea che ci procura il pensiero di chi non c’è più, qualunque cosa sia, accade anche qui, alla Locanda degli Adorno. È sera, chi è seduto ai tavoli ha la posa rilassata di chi ha finito di cenare. Angelo e Roberto si presentano e introducono il loro libro, ma basta dire Don Gallo e qualcosa nell’aria cambia: qualcuno si avvicina dalla sala accanto, i tavoli si fanno silenziosi, una ragazza, rimasta in piedi, inclina la testa verso il muro e si mette in ascolto.
Questo è un fumetto su Don Gallo, dove Don Gallo non compare mai
dice Roberto: lo incontriamo attraverso le parole delle persone che lo hanno conosciuto e attraverso i luoghi che sono stati i suoi. Le parole diventano fumetto, le persone ritratti di volti che ti sembra di conoscere. Attraverso i luoghi e le persone: è questo il miracolo terreno, semplice e potentissimo, che lo tiene in vita.
Roberto non lo ha mai incontrato. Lo rivela nella postfazione al fumetto: di lui non ho mai saputo molto, dice, ma il mio mestiere di illustratore e fumettista mi richiede di documentarmi su ciò che devo disegnare. È così che ha scoperto Don Gallo, è così che ci restituisce l’intensità di questa scoperta.
Angelo, che ha dato il suo stesso nome al personaggio narrante del fumetto, racconta invece di una nottata al Righi, un rave casereccio, come lo definisce, in cui a un certo punto è comparso lui, il prete con il sigaro e il cappello a tesa larga. Gli “inviti” per quel genere di feste erano convocazioni clandestine, non si capisce come il don ne fosse venuto a conoscenza. Fatto sta che si presentò, e…
la presenza di Don Gallo, quella notte al Righi, era come una raccomandazione paterna, come se il don avesse voluto sincerarsi di persona che quei ragazzi non facessero belinate
Io ero un ragazzo della Garaventa, si presenta a un certo punto un personaggio che esce dalla folla a matita di Piazza de Ferrari.
Al Carmine, c’è un murale che ritrae i protagonisti della protesta del 1970, quando allontanarono Don Gallo da quella parrocchia per le sue prediche. Sul murale c’è una frase, “Mi hanno rubato il prete”. Quella frase l’ha detta un bambino che piangeva sui gradini della chiesa. Quel bambino ero io, rivela un altro personaggio.
È così che procede la storia, per incontri casuali ma intensi, sullo scenario vivo di una città mirabilmente disegnata.
Angelo e Roberto chiacchierano, si fanno domande, e a un certo punto si impone una parola: accoglienza.
Don Gallo si prendeva cura delle persone nei guai, ma anche di quelle che dai guai non sarebbero mai uscite
dice Angelo. La parrocchia di San Benedetto al Porto esercita l’accoglienza, la fa concreta. Mi fa pensare per contrasto a quei recinti sociali in cui chiudiamo le persone, per poi decidere a chi interessarci, chi frequentare e chi no, per chi preoccuparci e per chi no.
Perché ci si preoccupa soltanto per chi si ama, è questa la verità, e Don Gallo, che qui compare per un attimo nell’atto significativo di aprire una porta, Don Gallo questo lo sapeva bene.
Sulla cattiva strada. Seguendo Don Gallo – Angelo Calvisi e Roberto Lauciello, Round Robin
Angelo Calvisi https://geometrasbagliato.wordpress.com/
Roberto Lauciello http://robertolauciello.blogspot.it/