“Scrivi con Baricco”: su D di Repubblica il racconto di Laura di Biase

873 racconti in quattro mesi: sono questi i numeri raggiunti dal concorso proposto per i vent’anni di D, in collaborazione con Alessandro Baricco e la Scuola Holden. L’iniziativa. La vicenda iniziale, scritta da Baricco per D, e lasciata in sospeso per essere continuata, ha dato il via a un susseguirsi di storie, ipotesi, immagini. Più di ottocento, tra lettori e lettrici, hanno raccolto la sfida lanciata, e hanno deciso di partecipare, inviando uno o più racconti. L’incipit. La storia iniziava con un lago, e un padre, che porta il figlio a pescare. Poi una telefonata, una donna che risponde “Amore?“ (la stessa che, a casa, attende il rientro del marito e del figlio? Un’altra?). Da quel momento, uno stacco temporale, un salto lungo vent’anni. Cosa è successo, in quel tempo taciuto? Un’allieva di Officina tra i pubblicati. Il concorso ha raggiunto tutta Italia, ed è stato proposto all’interno delle Case Circondariali di San Vittore e Milano Opera. Tra tutti gli elaborati arrivati, ne sono stati selezionati dieci. Migliori per contenuto, forma, creatività, atmosfera. Tra i pubblicati, anche il racconto di Laura di Biase, affezionata allieva di Officina Letteraria. Di seguito potete leggere il racconto di Laura. Leggi l’incipit di Baricco. Sei sempre stato così. Facevi finta di sapere, volevi dire, volevi insegnare. A quel figlio che ti faceva paura. Più del bosco che hai attraversato quella notte. Avevi paura dell’oscurità di tuo padre, che non avevi conosciuto se non nei momenti più bui, quelli che avresti voluto più accesi di luce. Che lui invece spegneva, ogni volta. Ogni volta che ti avvicinavi. Ogni volta che chiedevi. E lo vedevi sempre più lontano. Lontano fino a nascondersi in un ripostiglio che tenevi nell’angolo più inaccessibile della tua mente, del tuo ricordo, seppellito dalle foglie e dagli stracci della vita. Avevi gettato lontano la chiave, che invece era ritornata tra le tue mani quando ti avevo detto di essere incinta. Avevi paura. Pianificavi tutto quello che avresti fatto, che avresti detto. Poi tutto svaniva, la realtà non è i nostri desideri, i nostri piani. È la realtà, dicevi. E così mi avevi telefonato dal lago, quella sera. Avevi freddo e sudavi. Dovevi tornare e non avevi detto niente a tuo figlio. Non avevi detto niente a te stesso, cioè. Volevi dargli forza e sicurezza, sulla vita, essere un grande padre. Ed eri caduto nella trappola. Tutte quelle parole morivano dentro di te prima di uscire fuori. Troppo grandi, troppo pesanti, per un bambino di dieci anni. E la paura ti aveva morso. Una scossa rovente nella pancia. Ti ho sentito respirare, in quel bosco lontano. Neanche a me sei riuscito a dire niente. Un concentrato d’aria usciva dai tuoi polmoni a fatica. Quella che hai tolto a nostro figlio. L’ho capito dopo, quando non sei rientrato e ho chiamato la polizia. Ti hanno ritrovato nel lago. Poi hanno trovato Jimmy. E io ho perso me. Ho perso la luce e l’ombra, il sangue e la carne. L’ho capito dopo, quando non sei rientrato e ho chiamato la polizia. Ti hanno ritrovato nel lago. Poi hanno trovato Jimmy. E io ho perso me. Ho perso la luce e l’ombra, il sangue e la carne. Non ricordo più, dopo. Un buco, una ragnatela di nulla. Così ho preso un martello e ho distrutto tutto. La mia casa, mattone dopo mattone. Il mio corpo, vene, pelle e budella. Ho vomitato, ho asciugato tutto, mi sono seccata. Sono andata in letargo. Ho aspettato. Atteso silenziosa. Che arrivassero i primi segnali, i primi movimenti sotterranei. Che una piccola radice sentendo l’umidità della notte venisse di nuovo fuori. Ed eccomi qui adesso. In questo posto assurdo, alla soglia dei miei cinquant’anni, che sono arrivati così, alba dopo ogni tramonto. Un posto che nessuno sceglierebbe per festeggiare. Infatti non l’ho scelto, è il posto che ha scelto me e mi ha attirata con la sua voce. Una voce fatta di vento e di foglie marce, le foglie ormai cadute da tempo sulla riva di un lago. Laura Di Biase A questo link potete trovare tutti i racconti pubblicati.