Racconto per ragazzi al Premio Anna Osti

Officina Letteraria al Premio Anna Osti

Laura di Biase conquista il podio del Premio letterario Anna Osti, dedicato alla letteratura per l’infanzia e per ragazzi, e lo fa con un racconto che ha iniziato a scrivere durante uno dei nostri laboratori. Ne siamo orgogliosi e vogliamo raccontarvi come è andata, con la voce di Laura. Prologo Quando un maestro di Officina Letteraria parla è sempre bene starlo ad ascoltare. Così quando Anselmo (Roveda, docente di “Oltre le fiabe” ndr) ci ha proposto il gioco “scriviamo una storia con un segreto” ci siamo guardati, abbiamo fatto vagare gli sguardi sul soffitto, per fortuna alto così ci stavano tutti, e poi giù, a scrivere. Una paginetta striminzita, per me. Poi vado a casa, curiosa di vedere come va a finire questa storia fatta di gatti, puntini rossi e peli bianchi. E quando l’ho scoperto decido di inviarla al “Premio Anna Osti“, dedicato alla letteratura per l’infanzia. Incipit “Ciao, mi chiamo Artemisia. Non ditemi niente sul mio nome, non so cosa sia preso ai miei di chiamarmi così. Mi hanno detto che è il nome di una famosa pittrice. Sì, ma di quattrocento anni fa! Così mi faccio chiamare Mimì, non è che mi piace tanto, ma è sempre meglio di Artemisia. Ho nove anni, i capelli neri ricci e gli occhi blu come quelli di nonna Gina. Ho una sorella più grande, si chiama Dafne. Anche lei, che nome… E ho un segreto.” Questo era l’incipit del racconto che ho iniziato a Officina Letteraria durante una lezione di laboratorio. Non sapevo cosa ne sarebbe uscito, e invece? Epilogo E invece sono arrivata finalista al “Premio Anna Osti”: piccoli grandi dispetti tra sorelle e, alla fine, un segreto troppo difficile da raccontare. La buona struttura del testo, l’ottimo utilizzo del linguaggio, il ritmo incalzante, la forza delle emozioni suscitate: ogni aspetto del testo è funzionale ad una narrazione calibrata sullo sguardo tipico dei bambini che evidenzia una chiara capacità di osservazione del vissuto infantile. Questo ha detto di me la giuria. Grazie Officina Letteraria e grazie alla Giuria che ha scelto di giocare insieme a me con un gatto e i suoi peli bianchi! Laura di Biase  

Loro chi? – I cinque finalisti

  Partendo dallo stesso incipit, regalato a Officina Letteraria da Marco Peano, 78 scrittori si sono cimentati in storie tutt’altro che simili. 78 racconti sviluppati in una forma brevissima (appena 2.000 caratteri), ognuno con lo stesso inizio, ma con un finale diverso e sorprendente. Sveliamo ora i cinque finalisti che potranno contendersi l’iscrizione gratuita al laboratorio di 1° livello “La grammatica delle storie”. La cinquina finalista del concorso “Loro chi?”   Questi sono gli autori e i racconti finalisti (in ordine alfabetico): Nicolella Clizia, Lo scatolone La Rosa Dimitri, Il cappello Profumo Giovanna, Gemelli nella notte Schenone Eva, Dietro la porta Scuto Regina, Il salotto accanto al letto   Sulla pagina Facebook di Officina Letteraria potete trovare i 5 racconti finalisti, che verranno ora sottoposti al giudizio del pubblico tramite un “Mi Piace”. Il racconto che avrà ricevuto più “Mi Piace” alle 12:00 del 24 settembre 2017, verrà giudicato vincitore. L’autore del racconto vincitore avrà diritto all’iscrizione gratuita al Laboratorio di scrittura di I livello “La Grammatica delle Storie”, che inizierà martedì 10 ottobre 2017. Gli altri 4 racconti finalisti avranno diritto al 15% di sconto sulla quota di iscrizione del laboratorio “La Grammatica delle Storie”. Grazie a tutti gli altri partecipanti, speriamo di rivedervi tra le pagine di Officina Letteraria, in altre occasioni! [button type=small link_url=”https://www.facebook.com/media/set/?set=a.1670055843056506.1073741846.254331254628979&type=1&l=b0d8e301ee”] VOTA IL TUO RACCONTO PREFERITO [/button]     Lo scatolone di Nicolella Clizia Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4.30 del mattino. Qualcuno si sta avvicinando al suo appartamento le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi erano loro. Loro chi? Se senti dei passi alla tua porta nel cuore della notte le possibilità non sono molte: o sono gli alieni, o sono i tuoi figli madidi di droga e di sesso, o sono gli amici per il compleanno. Ma non è il mio compleanno, almeno credo. La luce del cellulare si spense, per un attimo silenzio, quel rumore incollato alla porta. Riprese a respirare, riprese anche il tramestio cauto, indecifrabile. Non ho figli, potrei essere ancora io quello che torna a casa carico di droga e di sesso, o almeno una delle due. I figli, il sesso. Invece era venuto via da casa di Chiara seguendo una strada semplice, apri la porta, scendi le scale, mandi un messaggio dal contenuto infame, e via, è fatta: basta discussioni sull’amarsi, la casa la spesa il lavoro la biancheria, cosa conta davvero. Basta sindromi premestruali. Ma adesso in quel buio, alle 4:30 del mattino, con qualcuno alla porta, se non fosse stato solo sarebbe stato diverso. Se lei fosse stata lì sarebbe stato tutto diverso. Invece Chiara era sul pianerottolo. C’è tutto, gli disse facendo l’appello delle sue cose con fare svalutativo: vestiti, libri, cianfrusaglie, macchina fotografica, le nostre fotografie. Ma disse nostre al rallentatore, mentre gli consegnava il cane al guinzaglio. Aveva molto insistito per un figlio, ma adesso non avrebbe potuto recapitarglielo con la stessa disinvoltura, un figlio. E mentre Giscardo, il boxer, lo sbavava lui fu rianimato da quel millimetro di esitazione, mi ami ancora, dimmi che è vero. Un figlio, adesso. Poi però la sua esaltazione si estinse. Lo scatolone più grande, quello con il computer, fu appoggiato a terra da Rodolfo, il vicino di sotto, fisico nucleare, talento per la musica, umorismo sottile, sguardo bruciante. Voce un po’ tanto nasale, se vogliamo dire tutto. [button type=small link_url=”https://www.facebook.com/OfficinaLetteraria/photos/a.1670055843056506.1073741846.254331254628979/1670056126389811/?type=3&theater”] Vota il racconto di Clizia [/button]   Il cappello di Dimitri La Rosa Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4:30 del mattino. Qualcuno si stava avvicinando al suo appartamento, le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi: erano loro. Ed erano troppo vicini per poter pensare a qualcosa. Serviva tempo. Guardò tra le sbarre della finestra la strada buia. Lanciò due vasi che spaccandosi parvero spari. Lo scricchiolio leggero delle scale lasciò il posto ai tonfi pesanti della discesa frenetica. Aveva pochi minuti. Prese un coltello dalla cucina e cominciò a lanciare per terra i soprammobili, rovesciare sedie e tavoli, per tutta la casa fino ad arrivare al bagno, divenuto tempio della speranza. Si prese a pugni, si strappò i vestiti, diede una testata sulla vasca e si riempì di altri tagli lungo il corpo. Sudato, sporco, strappò la tendina della vasca e se la mise sulle spalle. Infine si trafisse la spalla e poi la gamba. Il sangue bagnava le piastrelle, mentre nascondeva tremante la lama nel sifone. Si inginocchiò proprio nel momento in cui una voce ovattata fuori dalla porta bisbigliava: mettiti quel cazzo di cappello ed entriamo. Prostrato davanti al cesso, infilò la testa nell’acqua, mentre pisciava sangue dalla spalla e attese. Poco. Un calcio sfondò la porta dell’appartamento. Due uomini entrarono. “No, cazzo!” “Cerchiamolo” I passi percorsero velocemente tutto lo spazio della casa. “L’hai trova…?” “Sono arrivati prima loro” alzando la tavoletta dalla sua testa. “E adesso chi lo dice al capo?” “Nessuno. Diciamo che non c’era,” richiudendola “andiamocene.” Aspettando che se ne fossero andati, pochi minuti dopo ritornò alla dignità. Si mise seduto e premendo con degli asciugamani le ferite pensò che doveva solo non morire dissanguato. Con mano inferma, si alzò appoggiandosi al bordo della vasca ed entrò in salotto, ora tempio della presa per il culo, in cui un uomo con la mano sulla maniglia, osservandolo, gli disse: “Ed io che credevo di aver dimenticato solo il cappello.” [button type=small link_url=”https://www.facebook.com/OfficinaLetteraria/photos/a.1670055843056506.1073741846.254331254628979/1670056243056466/?type=3&theater”] Leggi il racconto su Facebook [/button]   Gemelli nella notte di Giovanna Profumo Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4:30 del mattino. Qualcuno si stava avvicinando al suo appartamento, le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi: erano loro. Ferma tra le lenzuola sudate, era così attenta ai rumori da percepire il brusio prodotto dalla fila di formiche che, ne era certa, marciava tra il lavandino e il barattolo del miele. La sua guerra personale la vedeva sconfitta: loro tornavano sempre. Le voci ora erano lì e non sapeva se fingere di dormire o affrontarle. Soffocò un urlo contro

Loro chi? – Vinci un laboratorio di scrittura

Le storie sono la tua passione? Pensi di avere talento nella scrittura e vuoi migliorare la tua tecnica? Pensi di non averne, ma vorresti cimentarti con la grammatica della narrazione? La scuola di scrittura creativa Officina Letteraria lancia il concorso per vincere il Laboratorio di I livello “La Grammatica delle Storie”, tenuto dalla scrittrice Ester Armanino e arricchito da seminari specifici sul mondo della narrativa. “Loro chi?” – Il concorso Per poter provare a vincere il Laboratorio di scrittura di I livello, ti basta scrivere un racconto di 2.000 battute (spazi inclusi), partendo dall’incipit che ci è stato regalato dallo scrittore Marco Peano. L’incipit Ecco l’incipit da cui dovrai partire per scrivere il tuo racconto! Si svegliò al rumore dei passi sulle scale. Il display del cellulare segnava le 4:30 del mattino. Qualcuno si stava avvicinando al suo appartamento, le voci bisbiglianti appena trattenute. Non aveva dubbi: erano loro. Nota bene: il racconto dovrà includere l’incipit riportato di sopra, e l’incipit dovrà essere calcolato nel limite delle 2.000 battute (spazi inclusi). Come inviare il racconto Invia il tuo racconto (in formato .doc, .docx o .rtf) all’indirizzo laboratori@officinaletteraria.com, specificando nell’oggetto “Racconto per vincere il laboratorio di scrittura” e nel corpo della mail il vostro nome e cognome con la dicitura “Autorizzo Officina Letteraria a pubblicare sui suoi canali di comunicazione il racconto in allegato, di cui sono l’autore, nel caso in cui rientrasse tra i 5 finalisti”. Scadenze e date Il racconto va inviato via mail entro e non oltre le 24:00 del 10 settembre 2017; i racconti inviati oltre questo orario, non verranno presi in considerazione per il concorso. Martedì 12 settembre, in occasione dell’Open Day di Officina Letteraria, verranno annunciati 5 finalisti, selezionati dalla giuria composta dai maestri della scuola di scrittura. Finalisti I 5 racconti finalisti verranno pubblicati sulla pagina Facebook di Officina Letteraria, e su questo sito web. I racconti verranno giudicati dal pubblico tramite un “Mi Piace”. Il racconto che avrà ricevuto più “Mi Piace” alle 12:00 del 24 settembre 2017, verrà giudicato vincitore. L’autore del racconto vincitore avrà diritto all’iscrizione gratuita al Laboratorio di scrittura di I livello “La Grammatica delle Storie”, che inizierà martedì 10 ottobre 2017. Gli altri 4 racconti finalisti avranno diritto al 15% di sconto sulla quota di iscrizione del laboratorio “La Grammatica delle Storie”. Ora non vi resta che scrivere! [button type=small link_url=”mailto:laboratori@officinaletteraria.com?Subject=Invio racconto per concorso Loro Chi”] INVIA IL TUO RACCONTO [/button] Marco Peano è nato a Torino nel 1979. Si occupa di narrativa italiana per la casa editrice Einaudi. L’invenzione della madre (minimum fax 2015, premio Volponi Opera Prima, premio Libro dell’Anno di Fahrenheit) è il suo romanzo d’esordio.

“Scrivi con Baricco”: su D di Repubblica il racconto di Laura di Biase

873 racconti in quattro mesi: sono questi i numeri raggiunti dal concorso proposto per i vent’anni di D, in collaborazione con Alessandro Baricco e la Scuola Holden. L’iniziativa. La vicenda iniziale, scritta da Baricco per D, e lasciata in sospeso per essere continuata, ha dato il via a un susseguirsi di storie, ipotesi, immagini. Più di ottocento, tra lettori e lettrici, hanno raccolto la sfida lanciata, e hanno deciso di partecipare, inviando uno o più racconti. L’incipit. La storia iniziava con un lago, e un padre, che porta il figlio a pescare. Poi una telefonata, una donna che risponde “Amore?“ (la stessa che, a casa, attende il rientro del marito e del figlio? Un’altra?). Da quel momento, uno stacco temporale, un salto lungo vent’anni. Cosa è successo, in quel tempo taciuto? Un’allieva di Officina tra i pubblicati. Il concorso ha raggiunto tutta Italia, ed è stato proposto all’interno delle Case Circondariali di San Vittore e Milano Opera. Tra tutti gli elaborati arrivati, ne sono stati selezionati dieci. Migliori per contenuto, forma, creatività, atmosfera. Tra i pubblicati, anche il racconto di Laura di Biase, affezionata allieva di Officina Letteraria. Di seguito potete leggere il racconto di Laura. Leggi l’incipit di Baricco. Sei sempre stato così. Facevi finta di sapere, volevi dire, volevi insegnare. A quel figlio che ti faceva paura. Più del bosco che hai attraversato quella notte. Avevi paura dell’oscurità di tuo padre, che non avevi conosciuto se non nei momenti più bui, quelli che avresti voluto più accesi di luce. Che lui invece spegneva, ogni volta. Ogni volta che ti avvicinavi. Ogni volta che chiedevi. E lo vedevi sempre più lontano. Lontano fino a nascondersi in un ripostiglio che tenevi nell’angolo più inaccessibile della tua mente, del tuo ricordo, seppellito dalle foglie e dagli stracci della vita. Avevi gettato lontano la chiave, che invece era ritornata tra le tue mani quando ti avevo detto di essere incinta. Avevi paura. Pianificavi tutto quello che avresti fatto, che avresti detto. Poi tutto svaniva, la realtà non è i nostri desideri, i nostri piani. È la realtà, dicevi. E così mi avevi telefonato dal lago, quella sera. Avevi freddo e sudavi. Dovevi tornare e non avevi detto niente a tuo figlio. Non avevi detto niente a te stesso, cioè. Volevi dargli forza e sicurezza, sulla vita, essere un grande padre. Ed eri caduto nella trappola. Tutte quelle parole morivano dentro di te prima di uscire fuori. Troppo grandi, troppo pesanti, per un bambino di dieci anni. E la paura ti aveva morso. Una scossa rovente nella pancia. Ti ho sentito respirare, in quel bosco lontano. Neanche a me sei riuscito a dire niente. Un concentrato d’aria usciva dai tuoi polmoni a fatica. Quella che hai tolto a nostro figlio. L’ho capito dopo, quando non sei rientrato e ho chiamato la polizia. Ti hanno ritrovato nel lago. Poi hanno trovato Jimmy. E io ho perso me. Ho perso la luce e l’ombra, il sangue e la carne. L’ho capito dopo, quando non sei rientrato e ho chiamato la polizia. Ti hanno ritrovato nel lago. Poi hanno trovato Jimmy. E io ho perso me. Ho perso la luce e l’ombra, il sangue e la carne. Non ricordo più, dopo. Un buco, una ragnatela di nulla. Così ho preso un martello e ho distrutto tutto. La mia casa, mattone dopo mattone. Il mio corpo, vene, pelle e budella. Ho vomitato, ho asciugato tutto, mi sono seccata. Sono andata in letargo. Ho aspettato. Atteso silenziosa. Che arrivassero i primi segnali, i primi movimenti sotterranei. Che una piccola radice sentendo l’umidità della notte venisse di nuovo fuori. Ed eccomi qui adesso. In questo posto assurdo, alla soglia dei miei cinquant’anni, che sono arrivati così, alba dopo ogni tramonto. Un posto che nessuno sceglierebbe per festeggiare. Infatti non l’ho scelto, è il posto che ha scelto me e mi ha attirata con la sua voce. Una voce fatta di vento e di foglie marce, le foglie ormai cadute da tempo sulla riva di un lago. Laura Di Biase A questo link potete trovare tutti i racconti pubblicati.

Pelle: racconto di Andrea Fabiani

di Andrea Fabiani Racconto terzo classificato al concorso sulla Mostra CLOSER di Annalisa Pisoni Cimelli. È luglio, l’aria è umida e calda. L’autobus è affollato, l’aria condizionata rotta. Un anziano sale a bordo e dal fondo si lamenta a voce alta dei trasporti pubblici. Lui alza per un attimo la testa da libro che sta leggendo, poi la riabbassa subito. A lei dà soltanto un’occhiata distratta. Nota gli auricolari bianchi che le scendono dalle orecchie. Non sa quando si sia seduta lì accanto. Quando l’autobus riparte lei si appoggia a lui. Indossa una canottiera verde, lui una maglietta a maniche corte: la pelle delle loro braccia aderisce per un istante. Entrambi si ritraggono come punti da una spina, si risistemano sui sedili in modo da essere ognuno nel proprio spazio. Lo fanno senza dirsi nulla, senza voltarsi. Alla fermata successiva accade di nuovo. Lui si ritira, ma meno di prima, stringe semplicemente il braccio contro il costato, sente la punta del proprio gomito premergli sulla pancia. Lei non si muove. La sua pelle è calda, a quella distanza lui riesce a percepirlo distintamente. È una sensazione imbarazzante. Lo spazio che li separa è una gola stretta. Se poi l’autobus ha uno scossone quello spazio si riduce ancora e oltre al calore lui avverte un leggero solletico, piccoli peli invisibili lo accarezzano, strappandogli un brivido. Allora contrae maggiormente i muscoli del braccio e della schiena. Il libro che ha in mano non lo legge più, è concentrato solo sulla difesa della loro distanza. Persevera in questa resistenza per una decina di minuti, poi la spalla e la schiena cominciano a fargli male. Allora rilassa il braccio, che scivola fino a quello di lei. L’aria tra le loro pelli diminuisce, scivola via finché non c’è più. La gola si chiude, aderiscono uno all’altra. Che si sposti lei, pensa. Lei però non si sposta. Anzi, comincia a esercitare una leggera pressione così che la zona di contatto dei loro corpi, lentamente, aumenta. Lui sgrana gli occhi. È sorpreso da quel comportamento, ma ancor più da quanto sia dolce la sensazione di calore che si irradia da lei. Si chiede chi sia quella donna, cos’abbia la sua pelle. Non può vederla in volto. Potrebbe voltarsi, ma non vuole farlo. Ha paura che se lo facesse lei semplicemente si scuserebbe. Allora si scuserebbe anche lui e tra le loro pelli si formerebbe una barriera sottile, ma invalicabile, la pellicola della realtà. Mentre fa questi pensieri, senza rendersene conto, anche lui ha iniziato a spingere il proprio braccio verso l’esterno. La loro superficie di contatto aumenta ancora. Aumenta il calore. Ora ognuno dei due preme la propria pelle contro la pelle dell’altro, senza guardarlo, continuando a fingere di fare quello che stava facendo prima. Nessuno nell’autobus si accorge di niente. Avvicinandosi al capolinea i passeggeri diminuiscono, le strade si fanno periferiche, meno trafficate, più sconnesse. Sarebbero dovuti già scendere entrambi da alcune fermate. Prima lui e poco dopo lei. Ma hanno scelto di restare sull’autobus, seduti, attaccati, pelle a pelle, a gustare quell’imprevisto incontro dei loro confini. Ad ogni buca, curva, frenata sentono la loro zona di contatto modificarsi, aumentare, rimpicciolirsi, farsi di nuovo punto, nuovamente allargarsi in un lago. A volte si staccano e un refolo d’aria si insinua tra loro. Allora ritrovarsi è un sollievo. È un sollievo sentire le loro pelli che si premono, strusciano, si deformano, forse sono una soltanto. Non importa più dove stanno andando, non importa più chi siano. Importa solo il punto d’intersezione delle loro cellule e la percezione chiara che sotto quel punto, invisibile a tutti, perfino a loro stessi, scorre e si tende, e si muove tutta un’intera vita. Al capolinea l’autobus apre le porte e spegne il motore, scendono tutti. L’autista recupera la giacca e esce dal posto di guida, guardando verso l’interno. Scuote la testa, infila la giacca, poi scende anche lui. Loro sono ancora lì, seduti vicini, attaccati. Si guardano adesso e sorridono.

Caro Dottor Jekyll: racconto di Michele De Negri

di Michele De Negri Racconto secondo classificato al concorso sulla Mostra CLOSER di Annalisa Pisoni Cimelli. Caro Dottor Jekyll, ti scrivo la mia prima lettera; la prima di mio pugno. Questa non la potrai bruciare, come fai con le altre che ti inventi. Siamo fogli di carta, Henry, e la pelle è la nostra busta. Siamo lettere in perenne consegna; oppure ne abbiamo una sola, e mai più una risposta dall’altrove. Questa è la sera in cui consegno il mio messaggio, perché sento che tra poco non ci sarò più. Sparirò, come scrivi tu. Così questa notte resto nello studio; rinuncio ad andare a donne, a picchiare i gentiluomini. E tu sai quanto questo mi costi. Ma rinuncio, per scrivere al mio caro Harry la prima e ultima lettera. La mano sinistra.  Mi sono spogliato dei tuoi vestiti larghi e cadenti, sono rimasto nudo nella stanza. Ho cominciato dalla mano, così che tu vedessi subito l’inizio durante le tue perlustrazioni del risveglio. Caro, ho inciso, con il pennino metallico, intingendo l’inchiostro. Mi ha fatto male, lo sai, Jekyll? Non abbiamo ancora inventato niente di meglio che questo; l’inchiostro sotto la pelle brucia un po’. La c di caro non ha ancora smesso di sanguinare. Credo ti verrà un’infezione. Tanto la mano è già infetta, vero Dottore? Così dite voi gentiluomini: mani sporche di sangue. Per me è un bagno caldo; scioglie i nervi, allenta le tensioni. Il braccio sinistro. Quante ne avete voi gentiluomini, di tensioni. Le calze tese, a coprire mezza gamba, e guai se cadono; poi le bretelle, a tendere i pantaloni, a inarcare le schiene. Poi ancora i polsini, a tendere le vene e il sangue; poi il cappello a tendere la dignità, e guai se cade. Siamo fogli di carta, Henry, e siamo fragili. Siamo tesi anche nell’aria più calma, e con un soffio ci strappiamo. Il vento ribalta il cappello, l’inciampo fa scendere la calza. Quanto tempo fa ti sei strappato, Henry? Il torace, necessità dello specchio.  So quando è successo, Henry. È il mio primo ricordo. Avevi ventotto anni, eri un brillante studioso in medicina; promettevi bene. Facevi una delle tue passeggiate, con i tuoi cari amici gentiluomini. Vi scambiavate convenevoli e mutua approvazione. Era una domenica d’autunno, e cominciava presto a imbrunire; i lampioni erano accesi a illuminare fiochi le strade. In quella magnifica penombra del tramonto, incontrasti lo sguardo di quella ragazza. Era talmente giovane da essere proibita, i capelli rossi come il divieto. Le code del vostro sguardo inciamparono in quelle pietre di smeraldo che erano gli occhi della ragazza. Non potevate seguirla, nemmeno con la vista. Ma quanto era bella, Harry, quanto era proibita, lo sappiamo solo io e te. Fu in quel momento che ti strappasti. Come un foglio di carta, ti scindesti in due, contro il vento dello sbattere di quelle ciglia e delle labbra turgide. Strap. Sentii distintamente il suono della tua divisione, mentre l’altra metà, sospinta dal vento della consuetudine, continuava a camminare fianco a fianco ai suoi gentiluomini. I lombi. Ti confesso una cosa, Harry, ora che è tempo di ultime parole. Una notte di qualche settimana fa, ho ritrovato la ragazza che ti strappò in due quella sera. È cresciuta di qualche anno, ma niente in confronto ai tuoi capelli grigi. L’ho presa, Harry. Ho scontrato questa parte di te contro di lei. Ho sentito tutto. Hai sentito tutto. L’inguine. La pelle è una busta di carta, Henry. È fragile e sottile, ci contiene appena. Sai di cosa sto parlando. È bastato qualche sale in una provetta, e sono apparso io. Ma sappiamo che non è stato quello; non avrai mai il coraggio di ammettere che il tuo intruglio non ha avuto alcuna influenza. Un placebo. Io esisto, tu mi hai covato, forgiato come una lama. Questione di tempo, prima che forassi il mio leggero involucro. Sei tu, Harry, il mio leggero involucro. La tua pelle è una busta di carta da strappare. Io sono le parole, sono la lettera da consegnare. Il fianco destro.  Qua fa molto male, hai perso tanto sangue. Perché scriverti in questo modo? Considerala una lettera abbandonata sulla soglia di casa. La pelle è il nostro confine, Harry, ma anche il nostro spazio comune. Dovrai ammetterlo un giorno o l’altro, di avere sentito anche tu. Hai sentito tutto anche tu, Harry, attraverso questo sottile velo: le dita immerse nel sangue caldo, il tuo sesso avvolto da quella donna, le mani sulle carni. Hai sentito tutto, e stai sentendo. È l’unico modo per farti sentire, Harry, per non farti sperare che sia stato tutto un sogno. Sto bussando alla porta, e so che sei in casa. Toc toc, Harry. Il braccio destro.  La fragilità della pelle è necessaria, caro Dottor Jekyll. La pelle è come uno di quei vetri, a proteggere le scuri. Rompere in caso di emergenza. La sua fragilità crea possibilità. La pelle deve rompersi. Io non sono l’errore: sono lo scopo della tua sottile pelle. Tu sei il vetro, io la scure. La mano destra. Cambiare mano non è difficile, la brutta ortografia non mi preoccupa; sono abituato a non badare alle apparenze. Ti ho finito, Henry. Sei sempre stato un foglio troppo corto per scrivere tutto me stesso; per questo ne sono uscito. Il tuo intruglio non c’entra proprio niente. Ora uccidimi, usa questa mano per versare il cianuro nella tua bocca, fai come credi. Illuditi che non mi rivedrai mai più, fingi di non sentire le mie nocche sulla porta. Finirai all’altro mondo con le mani sulle orecchie e le bende sugli occhi. Non mi importa, sei carta straccia, Harry. Ho trovato altre vie, altri fogli da scrivere. Le pelli di voi uomini sono così sottili… vi credete delle isole, ma siete accostati l’uno all’altro; ognuno con le stesse tensioni, ognuno con le stesse voglie. E dietro queste sottili porte, la mia mano bussa, e l’occhio sbircia attraverso, e vi vede uno ad uno. Ci siete tutti in casa, e tutti mi sentite; e

La pelle: racconto di Marianna Soffiantino

di Marianna Soffiantino Racconto primo classificato al concorso sulla Mostra CLOSER di Annalisa Pisoni Cimelli   Ti conosco meglio di quanto tu conosca te stessa, ti conosco da prima per dirla tutta. So come sei dentro e come sembri fuori, da sempre sono la tua ultima frontiera. Non sono nata da una costola biblica, cara mia, e nemmeno da altre frattaglie di scarso pregio, provengo da un minuscolo foglietto mitocondriale, direttamente dal tuo cervello, sono un pezzo di cervello  spianato col mattarello di dio, una lasagna intelligente, se vuoi semplificare. Non è stato semplice piegarmi a te, seguire i tuoi sghiribizzi di seni turgidi e serici da accarezzare per diventare spesso callo a proteggere e poi ancora, monti, pieghe e avvallamenti umidi e vischiosi, calda e tenera, contratta e fredda e altro ancora a seconda dell’umore e del desiderio. Ho segnato la tua ansia di farfalle piccole e delicate, fiori, e merletti che con la punta d’acciaio di mille aghi hai marcato con colori impossibili da cancellare, ho pianto con lacrime di sangue la tua follia ma ho resistito. Cancellare…il mio verbo impossibile , sono la lavagna della tua anima, non aver paura di dimenticare, io resto, abbracciata a te per sempre e anche dopo, forse. Pelle di pesca, di ceramica, di alabastro, di luna: sono la tua bellezza e la tua sventura. Sono io la causa di tutto questo… anche tu però… Al primo incontro Mr Jonas Wright ci aveva dato sensazioni contrastanti, un bell’uomo, per carità, un po’ trascurato magari, aspetto dimesso, tutto molto beige, tutto tranne gli occhi , mi viene la pelle d’oca solo a pensarci, uno giallo ambra come di lupo e uno azzurro cielo. Lo fissavi ipnotizzata e sentivo il tuo cuore battere,  il tuo cervello secernere dopamina e adrenalina,  stomaco leggermente contratto,  è stato l’innesco dell’ossitocina il dannato ormone delle coccole che ci ha perdute per sempre. Persona interessante Mr Wright non faceva che parlarti e accarezzarci, sussurrava dei suoi libri, che poi suoi non erano mica. Il bibliotecario dell’Università di Harvard e tu sgranavi gli occhioni belli e ti lasciavi incantare dagli antichi Sutra orientali su foglie di palma con bulini metallici che profumavano ancora d’incenso, di libri arabi cuciti con fili di seta con una copertura di nervi fragranti, dorature Rinascimentali a motivi geometrici in rilievo su copertine rigide e poi aroma di colla naturale, legature monastiche e gotiche, le vite eccentriche dei rilegatori nel periodo Liberty, ci accarezzava dentro e fuori. A pensarci ora quello sguardo doppio faceva accapponare la pelle, ma io ti seguii fino in fondo come sempre. Lui lisciava, vezzeggiava, lusingava e blandiva e tu, bella mia , c’hai rimesso letteralmente la pelle. Primo ad arrivare è stato il freddo,  ho propagato sulla tua schiena i brividi e provveduto a tener stabile la tua temperatura, ho risposto con sollecitudine smuovendo i muscoli in un tremolio continuo ma è solo dall’odore che ho finalmente capito. Odore di animale braccato, senza via di fuga,  in allarme, di tutto il nostro raffinato sistema di comunicazione a volte rimane solo questo : il rancido e folle puzzo del terrore. Nella mia memoria  cellulare sento lo strappo secco con cui Mr Wright ci ha separate per sempre. Da qualche tempo il settore “Libri rari”dell’Università di Harvard è stato arricchito da una minuscola collezione donata alla fondazione da uno dei più autorevoli restauratori dell’illustre ateneo,  Mr Jonas Wright da poco deceduto. Si tratta di un piccolo numero di tomi pregiati, rilegati in sottilissimo cuoio dallo studioso stesso.  Uno in particolare ha attirato l’attenzione e la curiosità dei colleghi commossi dall’inusuale lascito. Pare che uno dei testi “Des destinèes de l’ame” (I destini dell’anima) scritto dal poeta francese Arsene Houssayeè , abbia incise sulla copertina delle piccole e graziose farfalle.

Il Chiodo di Asso: racconto di Massimiliano Maestrello

di Massimiliano Maestrello Racconto primo classificato al concorso letterario “Il mio vestito, una seconda pelle” di Officina Letteraria e Lo Spaventapasseri Ci volle un incidente, perché Asso si liberasse del vecchio chiodo. Quella giacca di pelle ce l’aveva sempre addosso, anche in estate. Arrotolava le maniche fino ai gomiti, e nelle serate più calde – quando l’afa schiacciava la campagna e non c’era un filo d’aria che attraversasse la terra piana e secca – portava solo quella. A petto nudo, con le costole appuntite che spingevano da sotto la pelle, sembrava una versione più giovane di Iggy Pop, magari di quello fotografato sulla copertina di Raw Power. E Iggy era apparso – in versione di toppa – anche su una manica del chiodo nero: un profilo in stoffa accompagnato dalla scritta The Idiot. Era durato qualche mese, Iggy, come succedeva a quasi tutte le toppe che finivano sulla giacca di Asso, in una sorta di rotazione continua che seguiva i suoi umori e le nuove scoperte musicali. Il mio migliore amico era Ale, il fratello di Asso, e le nostre frequenti incursioni in camera sua, alla ricerca di fumetti e dischi di band che non avevamo mai sentito nominare, mi aveva permesso, in alcuni casi, di prevedere cosa Asso si sarebbe fatto cucire sulla giacca. C’erano vinili che per lunghi periodi rimanevano fissi sul piatto, le custodie con i testi abbandonate sul letto sfatto; oppure cassette che – nei pochi pomeriggi in cui Asso stava a casa, rinchiuso in camera, mentre io e Ale facevamo i compiti in cucina, aspettando che se ne andasse per andare a frugare tra le sue cose – si sentivano andare di continuo. I Doors, i Ramones, gli Iron Maiden, gli Exploited e poi, ancora, i Clash, i Sex Pistols e  i Black Flag, io e Ale li scoprimmo in camera sua. E i loghi di queste band andarono a coprire, a turno, gli spazi liberi sulla giacca. Solo due toppe non cambiarono mai: la A cerchiata di anarchia, sulla manica sinistra del chiodo (che andò a sostituire la fugace apparizione dell’immagine di un hippy, visto di schiena, con la chitarra e un sacco a pelo arrotolato a tracolla: qualcosa che Asso dovette interpretare presto come troppo gentile per i suoi gusti) e quella che occupava tutta la schiena: un gigantesco dito medio sollevato, accompagnato da un esplicito Fuck You!

Premio Letterario La Giara: il bando 2014

Segnaliamo che sono aperte le iscrizioni per la IV edizione del Premio Letterario La Giara, concorso per romanzi inediti in lingua italiana scritti da autori di età inferiore ai 39 anni. La scadenza del bando è il 31 dicembre 2014. Regolamento del concorso Il concorso è riservato a scrittori, residenti in Italia, di età compresa tra i 18 e i 39 anni compiuti alla data di inizio del Premio (ossia il 7 aprile 2014). I partecipanti devono inviare entro il 31 dicembre 2014 una sola opera di narrativa in prosa, scritta in lingua italiana, originale e inedita. La lunghezza complessiva dell’opera deve essere uguale o superiore a 180.000 caratteri (spazi inclusi). Sono escluse dal Premio le raccolte di racconti. Le opere dovranno essere inviate in 6 copie cartacee (più 1 in formato elettronico) all’indirizzo postale del Premio corrispondente alla propria Regione di residenza. Per la Liguria, l’indirizzo cui inviare l’opera è “Premio La Giara – C/O Sede regionale Rai per la Liguria – corso Europa, 125 – 16132 Genova”. Una prima selezione avviene su base regionale, in funzione della Regione di residenza dell’autore. Le opere saranno valutate dunque in due fasi, da altrettante giurie di esperti in ambito letterario nominate da Rai. Il Premio consiste nella pubblicazione dell’opera vincitrice a cura di RAI Eri, con vendita nelle principali librerie nazionali e opzione per l’eventuale trasposizione cinematografica e televisiva. Il contratto di edizione prevede il riconoscimento all’autore di una quota pari al 7%, calcolata sul prezzo di copertina al netto dell’Iva. La premiazione si terrà alla fine di luglio 2015, nel corso di un evento televisivo trasmesso sui canali RAI dalla Valle dei Templi di Agrigento. Per ulteriori informazioni rimandiamo al sito web del Premio Letterario La Giara 2014.