Nel 2010 il quotidiano inglese Guardian ha chiesto ad alcuni celebri autori e autrici di stendere un personale decalogo sulla scrittura. Quello di Zadie Smith è forse uno dei più noti, da allora ha circolato moltissimo su blog letterari e social network. Di padre inglese e madre giamaicana, Zadie Smith è nata nel 1975 e ha pubblicato 5 romanzi e diversi racconti, e lavora tra Londra e New York come docente di scrittura creativa e critica letteraria. Finché sei un bambino/a, fai in modo di leggere tantissimi libri. Dedica più tempo possibile a questo, più che a ogni altra attività. Ora che sei adulto/a, prova a (ri)leggere le cose che scrivi immaginando di essere una persona che non ti conosce, oppure, ancora peggio, qualcuno a cui sai di non piacere per nulla. Non sprecare romanticherie sulla tua “vocazione letteraria”. Puoi essere in grado di scrivere un buon testo, oppure puoi non esserlo. Non esiste lo “stile di vita dello scrittore”: tutto ciò che conta è ciò che lasci sulla pagina. Evita di scrivere in stili o generi in cui ti senti debole, ma fallo senza ripetere a te stesso/a che le cose che non sei in grado di fare non meritano di essere fatte. Non mascherare l’insicurezza con il disprezzo. Lascia passare un certo arco di tempo tra quando scrivi un testo a quando lo riprendi in mano per correggerlo. Evita le bande, i gruppi, le comitive. Essere circondato da una folla non renderà la tua scrittura migliore di quanto non sia già. Quando scrivi al computer, assicurati che sia disconnesso da Internet. Proteggi gli spazi e i momenti che dedichi alla scrittura. Tieni tutto e tutti a distanza, mentre scrivi, incluse le persone più importanti per te. Non confondere gli onori e il successo con l’aver raggiunto il tuo obiettivo. Scrivi la verità, in qualsiasi modo essa ti venga a portata di mano, ma scrivila. Rassegnati alla tristezza – che ti accompagnerà per tutta la vita – che deriva dal non essere mai pienamente soddisfatto/a da ciò che scrivi.
Guest post di Elisa Tonani, Maestra di Officina Si usa a volte, tra le tante locuzioni cristallizzate che quotidianamente accompagnano il nostro eloquio, il sintagma “felicità espressiva”. La felicità data dalla bellezza della lingua, dal trovarsi di fronte a un concetto ben formulato. Felicità non solo di chi legge (e può rinvenire, nel discorso di un altro, sé stesso, qualcosa che lo identifica, in cui può riconoscersi), ma anche di chi scrive (di chi sente maturare in sé e sgorgare fuori di sé – già altre, non più sue – le parole giuste, insostituibili, quelle che definiscono la cosa in modo perfetto). È la ricerca di questa seconda felicità che fa accostare a un percorso di scrittura creativa, è questa la sete che chi scrive cerca di placare nella lettura per poi suscitarne altra tramite l’atto di scrivere. C’è una bellezza nella sfida che ci presenta una materia che ci sfugge eppure ci appartiene, che ci appartiene eppure ci sfugge: la lingua che parliamo, la punteggiatura che usiamo… cose nostre eppure così inclini a scivolare via… Siamo perlopiù abituati a considerare la punteggiatura una costrizione imposta dal di fuori e di cui non si sono mai ben capite le regole; oppure un sistema troppo lasco che sfugge da tutte le parti e di cui è impossibile tenere le fila. O al contrario qualcosa da spargere a caso nel testo, appellandosi al suo valore soggettivo! Ma lo stile è personale, non arbitrario. A volte basta cambiare prospettiva, basta illuminare di una luce diversa, per capire le cose che ci stanno davanti da sempre, che si danno un po’ per scontate, che si considerano addirittura irrilevanti. A volte basta cambiare prospettiva, basta illuminare di una luce diversa, per capire le cose che ci stanno davanti da sempre, che si danno un po’ per scontate, che si considerano addirittura irrilevanti. In un luogo come Officina Letteraria – l’ho sperimentato personalmente – succede qualcosa del genere: entrano in crisi le abitudini consolidate, ci si lascia alle spalle un po’ del bagaglio di certezze che ormai diamo per scontate, ed entra in gioco altro: la creatività, l’immaginazione, l’esplorazione, la possibilità di sperimentare e condividere percorsi nuovi. Un giorno arrivo a Officina letteraria per insegnare (la punteggiatura, questa Cenerentola che vorrei accompagnare fuori dalle grammatiche e dentro alle storie, come in una fiaba), e per prima cosa imparo. Il processo è avviato, e non si arresta: come potrebbe essere altrimenti se lo spirito che anima tutto è quello di Emilia Marasco? Un giorno, una “maestra” di Officina, una scrittrice curiosa e appassionata, mi ascolta, riflette, si confida, mi dice che si sta abituando a pensare anche agli aspetti della grammatica delle storie e della lingua come a dei personaggi che vivono, agiscono, interagiscono con noi; e poi mi coinvolge sulla sua pagina Facebook con domande che sembrano un gioco: “Che cosa mangiano le parentesi? in che stagione si riproducono le virgole? e che cos’è la punteggiatura bianca?”. Dietro questo gioco c’è tutta l’intelligenza arguta e la felicità inventiva di Ester Armanino. Nell’inevitabile torpore in cui, dopo ormai dieci anni di dedizione, giacciono le mie competenze sulla punteggiatura, si accende qualcosa di nuovo, come una piccola scintilla che ne innesca altre, di cui si intravede la potenziale inarrestabilità. A pensarci bene, possiamo immaginare la struttura del discorso come un organismo vivente, naturale A pensarci bene, possiamo immaginare la struttura del discorso come un organismo vivente, naturale, e i segni di punteggiatura, con le loro funzioni caratteristiche, come elementi strutturali di quel mondo vegetale, segni di una foresta. Ecco allora che le parentesi mangiano l’edera che si arrampica (e che se esagera è un parassita mica da poco!) sul tronco del discorso. Le parentesi fagocitano dentro di sé ciò che, se diventa troppo debordante, rischia di cancellare ciò a cui si sostiene, come l’edera tende a soffocare il tronco degli alberi ricoprendolo in modo indiscriminato. Le virgole si riproducono in primavera insieme alle gemme e ai germogli; anzi, sono esse stesse piccoli germogli che permettono al discorso di espandersi. Ma se in autunno il contadino non pota i suoi alberi, questi ramificano troppo. E allora anche le virgole restano lì appese a prolificare. Ma troppi rami non indeboliranno l’albero? Anche in questo caso ci vuole moderazione! Esagerare significa far seccare la pianta: è opportuno potarla. Il punto è la cesoia, la tronchesi del discorso. Bisogna tagliare nei punti giusti, tagliare dove si può, non in corrispondenza dei punti nevralgici della pianta, altrimenti le si impedisce di svilupparsi nel modo giusto. Si può pure voler coltivare un bonsai, ma anche in questo caso non si potranno separare le radici dal tronco, non si potrà recidere ciò che è indivisibile. La punteggiatura bianca, la più enigmatica e affascinante, è una nebbia. Quando ci sei immerso ti sembra il nulla. Ti sembra che abbia cancellato tutte le cose familiari e note. Ma dietro e dentro di lei c’è ancora tutto. Solo che ora per vederlo servono creatività, immaginazione, intuizione… riuscite a vedere l’invisibile?
Scrittrice e giornalista, Rosa Montero è nata a Madrid nel 1951 e ha iniziato a lavorare per il quotidiano El Pais nel 1976. Come molti autori e autrici, prima e dopo di lei, a un certo punto del suo percorso ha avvertito il bisogno di fissare in un’autobiografia quanto ritiene di aver imparato sulla lettura e sulla scrittura. Nel 2004 pubblica La pazza di casa, il cui titolo si ispira al modo in cui Santa Teresa D’Avila definiva la fantasia e l’immaginazione. Questi alcuni brevi assaggi di ciò che Rosa ha voluto trasmetterci. 1- Qualsiasi narratore di professione sa che si scrive soprattutto dentro la testa. Chi scrive non smette mai di scrivere, e la scrittura più produttiva avviene quando si è lontani da penna e tastiera. Rosa lo definisce “ronzio creativo”, ma anche “torrente di parole che ribolle nel cervello”. Quella sensazione che ci accompagna in auto, in ufficio, mentre si cerca di prendere sonno (e in coda alle casse del supermercato, aggiungerebbe David Foster Wallace). Ogni episodio della nostra esistenza, fino al più insignificante, è materia prima per la costruzione di ricordi, sogni e sì, anche e soprattutto menzogne, che un giorno o l’altro potrebbero diventare racconti, poesie, romanzi. 2- Il romanzo è un’autorizzazione alla schizofrenia. La citazione, strappata allo scrittore messicano Sergio Pitol, illustra le conseguenze dirette del “ronzio creativo” di cui sopra. “Lo scrittore sente le voci”. Chi scrive non conosce la solitudine: è costantemente accompagnato dai suoi personaggi, dai loro conflitti, dai loro pensieri e azioni. Osserviamo un luogo, uno qualunque, e lo vediamo popolarsi di anime, di storie. Un pezzettino di noi si stacca e penetra in quel luogo per vedere che succede. Si avvicina, perché solo così può scorgerne i dettagli: un rumore, una macchia su un muro, il colore di un vestito, l’odore in una stanza, la sensazione di bagnato o di asciutto, a seconda. Chi scrive è autorizzato a fare tutto questo: addentrarsi costantemente in altri mondi, in altre vite, e quando non ne ha a disposizione, inventarsele. 3- I romanzi sono organismi viventi. Il lavoro di romanziera è lungo e delicato: Rosa lavora a ogni suo romanzo circa tre o quattro anni. Prima scrive l’intera opera nella sua testa, prende appunti, finché la fusione tra la vita quotidiana e quella che man mano si sviluppa nella sua mente – ricordate, il “sentire le voci” di cui si accennava prima? – diventa sempre più forte, finché non distingue più qual è una vita e qual è l’altra. Rosa la chiama “fase dell’imbuto”: tutto ciò che accade nella vita “reale” cade, come in un imbuto, dentro a ciò che si sta scrivendo mentalmente. Quando è convinta di avere davanti agli occhi la visione d’insieme, fino al numero dei capitoli e al dettaglio di ciascuno di essi, allora inizia la scrittura vera e propria. 4- Ogni scrittore ha i suoi fantasmi, che lo inseguono come cani da caccia lungo tutti i suoi libri In ogni romanzo di Rosa è presente un nano, una nana, una persona di statura più bassa del normale. A volte è stata attentissima, dopo che molte persone glielo avevano fatto notare, e nei tre, quattro anni di scrittura si era premurata di epurare la storia da qualsiasi nano. Niente. Alla fine il nano c’era sempre. Ogni scrittore ha un’immagine di questo genere: un personaggio che, per varie ragioni, soprattutto legate al proprio inconscio e al proprio vissuto, si porta dietro in ogni opera. Sta a te capire qual è il tuo fantasma, accettarlo, lasciarti accompagnare. Infine, più che un consiglio, una domanda. 5- Se dovessi scegliere tra due mutilazioni, non scrivere mai più o non leggere mai più, quale sceglieresti?
Mi piace immaginare un percorso nella punteggiatura come l’attraversamento di un territorio misterioso e seducente, ma a tratti impervio e sdrucciolevole, in cui addentrarsi con curiosità e cautela, come ci si addentra in un bosco. La figura della «foresta di segni» o «di simboli» – in cui risuonano echi di suggestioni baudelairiane («forêts de symboles» della famosa poesia-manifesto Correspondences) – si presta, per la sua potenza evocativa, a suggerire per via metaforica lo spazio della scrittura, fatta non solo di lettere (grafemi) ma anche di elementi che stanno “presso” (in greco parà) i grafemi (segni para-grafematici, più noti come segni di punteggiatura) per sostenerli (puntellarli) e per metterli in comunicazione tra loro (avvicinandoli e separandoli al tempo stesso). Ma anche per gettare sul testo in cui si inseriscono una luce dal fascino particolare. I segni di punteggiatura sono come il tracciato che segnala, scandisce, ritma un territorio altrimenti impenetrabile, inaccessibile, senza confini. Le indicazioni di sentiero nel bosco e i segni di punteggiatura nel linguaggio sono modi per rendere “abitabile”, percorribile, ciò che per eccellenza ci sfugge (la natura, il linguaggio). Tutto qua? Allora sono segni che scattano in automatico e che sono validi una volta per tutte? No. Non sono meccanici e fissi come passaggi a livello. I modi per “abitare” lo spazio sono potenzialmente infiniti e riflettono il nostro stile. Dipende da noi investirlo di creatività e bellezza. Esattamente come succede per la lingua, e per la scrittura (letteraria e non). Nessuno parla o scrive in modo identico a un altro. Sfuggire all’omologazione e conquistare spazi sempre maggiori di libertà, di creatività, di bellezza espressiva, dipende anche dal modo in cui sappiamo usare (dosare, calibrare, piegare duttilmente) la punteggiatura. La punteggiatura è lo stile, anzi la quintessenza dello stile, e quindi un tratto personale, identificativo dell’uomo stesso, come scriveva la scrittrice George Sand: «On a dit “le style, c’est l’homme”. La ponctuation est encore plus l’homme que le style». La punteggiatura rappresenta l’uomo più ancora di quanto non lo faccia lo stile. Dobbiamo abituarci a considerare i segni di punteggiatura come nostri alleati nella scrittura, capaci di attivare la musicalità della lingua: «spiriti amici della cui presenza incorporale si nutre il corpo della lingua» (per usare la felice espressione di un filosofo che è stato, non a caso, un grande musicologo, Theodor W. Adorno). Guest post di Elisa Tonani, Maestra di Officina
Legittimatevi. Per scrivere occorre una motivazione, cioè un desiderio, un’esigenza che ha un’origine profonda dentro di noi. Occorre spazio, dentro e fuori. Uno spazio interiore, la stanza immaginaria dove raccogliamo le esperienze, le emozioni, i pensieri che ritorneranno nelle nostre storie. Uno spazio fisico, anche piccolo, un posto dove stiamo bene e dove possiamo scrivere indisturbati un po’ ogni giorno. Se pensate di non avere questi spazi a disposizione, di non riuscire a trovarli, di non avere abbastanza tempo, chiedetevi se avete risolto la questione più importante: vi legittimate a scrivere? Scrivere è spazio e tempo per sé, qualcosa che si concede a se stessi e che si trasformerà in spazio e tempo anche per qualcun altro, per chi leggerà, fosse anche un solo lettore. Perché non si scrive mai solo per sé. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Non abbiate paura. Saper uscire da una storia non è sempre facile ma, alla fine, con la vostra prima stesura in mano, che fare? Intanto lasciatela sedimentare per qualche giorno. Poi rileggete, correggete i refusi e la punteggiatura. Controllate che non ci siano ripetizioni, scegliete con cura i sinonimi. Verificate le possibili incongruenze. Eliminate gli aggettivi e gli avverbi inutili. Asciugate, pulite, limate. Non abbiate paura di rinunciare a una parola, a una frase. Non abbiate paura di riscrivere. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Stabilite la meta. Se scrivete un racconto dovete scegliere una strada, anche insolita ma dovrete seguire quella, senza deviazioni. Se invece scrivete un romanzo ci sarà la storia principale, poi ci saranno le storie dei personaggi, oltre quella del protagonista, e poi le storie che emergono dal contesto. Vi troverete davanti un reticolo di strade, principali e secondarie. Un romanzo è un viaggio, dovete avere presente la vostra meta e il tempo che stabilite di impiegare, potete concedervi qualche deviazione ma dovrete sempre ritornare sulla strada principale, non perderla di vista. A qualche altra possibile dovrete rinunciare, soprattutto alle scorciatoie perché il lettore non è stupido, se ne accorge. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Dentro la storia. Una storia deve cominciare. Ci sono incipit lenti, descrittivi, che prendono per mano il lettore e lo conducono dentro la storia. Ci sono anche incipit veloci che ci trasportano dentro una storia che abbiamo l’impressione sia cominciata prima del nostro arrivo. Pensate a quali incipit vi catturano di più quando leggete, provate a imitare gli incipit dei grandi scrittori. Incominciate a scrivere la vostra storia, dopo una pagina rileggete e osservate se nel vostro testo non via sia una frase, dopo qualche riga dall’inizio o anche a metà che possa essere riconosciuta come il vero incipit. Riscrivete cominciando da lì. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Viaggiare senza spostarsi. La cornice è la situazione, la circostanza temporale e di luogo della vostra storia. Potete sceglierla attingendo alla vostra esperienza o al vostro mondo interiore. Potete scegliere anche una cornice lontana da voi ma importante per come immaginate la storia. Documentatevi, navigate in Internet, leggete libri, guardate film, parlate con persone che vi aiutino a costruirvi una competenza, viaggiate o createvi le condizioni per viaggiare senza spostarvi, raccogliendo elementi utili alla vostra immaginazione. Tenete un taccuino con gli appunti del vostro viaggio reale o immaginario. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Idee chiare. In genere si comincia scrivendo racconti perché il romanzo implica una struttura complessa da tenere sotto controllo. Il racconto, per certi aspetti, è una prova più difficile, bisogna sapere già quasi tutto prima di cominciare, appena entrati nella storia già si dovrà uscire. Idea e cornice narrativa devono essere chiari fin dall’inizio, spazio e tempo ben definiti. Pochi personaggi. Asciugare molto, non perdersi in dettagli, eliminare tutto quello che non è funzionale alla storia. Cercare un ritmo della narrazione e non perderlo. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Occhi diversi, storie diverse. Per la vostra storia dovrete scegliere un punto di vista. Non è una scelta semplice. Vale la pena divertirsi con qualche esercizio. Per esempio, la vostra nascita raccontata dal vostro punto di vista e poi da quello di vostra madre o dell’ostetrica o di vostro fratello maggiore produrrà storie tutte diverse. Potete farlo con qualunque episodio della vostra vita. Oppure potete farlo con una favola, quella che preferite, per esempio Biancaneve cambierà se raccontata dal punto di vista di Biancaneve o della matrigna o di uno dei sette nani. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Persone e Personaggi. Per scrivere una storia ci vuole un personaggio. Vi verranno in mente persone conosciute, avrete voglia di prelevare una caratteristica da uno, un difetto da un altro, un tic nervoso da un altro ancora. Provate a elencare tutto quello che conoscete del vostro personaggio o che scoprirete di conoscere compilando l’elenco: come si chiama, qual è il suo aspetto esteriore, quanti anni ha, dove vive, forse vorrebbe vivere altrove, se ama qualcuno, ha delle fobie o una patologia, se c’è un segreto o un trauma nel suo passato, se ha un’aspirazione, un progetto. Rileggete l’elenco. Cominciando a scrivere non userete tutto ma solo alcuni aspetti, altri emergeranno a poco a poco. La maggior parte rimarrà nell’elenco, sarà servito solo a voi per stare in compagnia del vostro personaggio prima di cominciare a seguirlo lungo la storia. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Trasformare la realtà. L’immaginazione è la possibilità che abbiamo di trasformare la realtà utilizzando in connessione i nostri sensi e l’intuizione percorrendo in più direzioni la mappa delle nostre esperienze. L’immaginazione si nutre di desiderio e di capacità di gioco. Allora, se siete in coda alle poste, nella sala d’attesa del medico, se siete su un treno o in un aeroporto, scegliete una persona, osservatela senza disturbarla, con discrezione, provate a immaginare perché si trova lì, che lavoro fa, perché e con chi sta parlando al cellulare, cosa sta accadendo nella sua vita. Chissà quante volte l’avrete già fatto. Questa volta però scrivete le vostre osservazioni. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
Ordinare le idee. Ci sono temi che ci interessano e dei quali potremmo parlare raccontando una storia, ci sono storie che abbiamo vissuto o che ci hanno raccontato, ci sembra di avere molto da scrivere ma giunti al dunque è difficile far ordine, è difficile scegliere e ci sembra di non aver più nulla da dire. Il consiglio è scrivere, anche senza un progetto, partire da una scena, da una conversazione per esempio al supermercato o sull’autobus, un incontro, partire da qualcosa di apparentemente banale e quotidiano e scrivere una breve storia, di quindici righe, ogni giorno. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.