Alcune domande a Yasmin Incretolli, giovanissima autrice di Mescolo Tutto, ultima pubblicazione di Tunuè Edizioni. “Non è affar mio, far finta che non esisto.” Quello che ho letto non è un libro “tipico”. L’ultima pubblicata dalla giovane casa editrice Tunué è un’autrice ancora più giovane: Yasmin Incretolli, classe 1994, nel suo Mescolo Tutto si esprime in modo inusuale. Inusuale, ma necessario; perché la lingua di Maria (la sua protagonista) è programmatica alla storia. Facciamo alcune domande a Yasmin, per addentrarci maggiormente in questo strano mondo racchiuso nel suo romanzo. Officina Letteraria: Mescolo Tutto fu menzione speciale al Premio Italo Calvino del 2015. Quanto è cambiata la stesura del romanzo dal concorso letterario all’edizione con Tunué? Yasmin Incretolli: Assieme a Vanni Santoni [curatore della collana “Romanzi” di Tunué n.d.r.] abbiamo escluso subito un’eventuale e importante alterazione della natura sperimentale dell’opera, che a suo avviso andava anzi mantenuta. Ero diffidente a causa di offerte editoriali arrivate in precedenza, che richiedevano come condizione la ‘‘commercializzazione’’, e quindi semplificazione a livello di lingua e struttura, nonché edulcorazione a livello di contenuti, del testo. Il romanzo è stato emendato gradualmente, attraverso scambi d’email durati alcuni mesi. Sebbene io sia molto giovane, Vanni ha accettato di buon grado le proposte e tenuto conto delle obiezioni che avanzavo. Quello che lo premeva di più era sopratutto far emergere la storia, che nella stesura iniziale accusava un po’ l’intransigenza dello stile. Inoltre il libro era più scarno nella seconda metà, che mi ha chiesto di ampliare. Ho sposato all’istante la prospettiva, lavorando su nuovi testi da integrare. “[…] l’amore, proprio mai l’avevo immaginata tale. Malgrado ne dicessero, a proposito, ch’era strozzafiato e ti metteva in ginocchio, come un’esecuzione. Alla domanda di cosa fosse la sostanza percepita riversarsi a fiotti lungo la gola, «Marmellata», rispose, pizzicandomi il mento.” OL: Nel tuo libro le parole hanno una grande importanza. Quelle che vengono scelte da Maria, la tua protagonista, sono studiate e meditate. Quale sforzo ti ha richiesto la scelta di un titolo per questo lavoro? Quali erano le motivazioni del primo titolo, Ultrantropo(rno)morfismo, con cui concorresti al Premio Italo Calvino, e quali sono state le ragioni del cambio in Mescolo tutto? Yasmin: L’evoluzione del titolo del libro è stata particolarmente faticosa, prima d’arrivare a quello finalmente scelto c’è stato un furoreggiare di brutture: questo già in prima stesura, tant’è che arrivata all’esasperazione le ho fatte implodere ottenendo: Ultrantropo(rno)morfismo. Chiaramente questo titolo non potevo lasciarlo, Vanni allora mi ha chiesto di stilarne una lista di una ventina diversi, e tra quelli a spuntarla è stato Mescolo tutto. Ispirato all’azione omonima dell’artista pioniera della body art Gina Pane. OL: Come hai scelto questa performance di Gina Pane, e qual è la relazione con la storia che racconti? Yasmin: Come Maria, la protagonista di Mescolo tutto, Gina Pane ha utilizzato il corpo nel tentativo di stabilire un dialogo con l’altro. Nel 1972 lambisce il suo viso con una lametta nell’azione Il bianco non esiste, dimostrando come la faccia sia il tabù dell’estetica umana. Molte delle sue performance cercano infatti di destrutturare un certo principio assai diffuso nella società: ‘‘non mettere in discussione’’. Anche Maria opera sulla propria pelle una personale verità fatta di stimoli violenti: di fatto, preferisce essere definita dalle ferite autoinflitte, piuttosto che dall’etichettamento sistematico (donna-corpo-figlia di madre single, etc.) in cui vogliono confinarla, un’immagine sulla quale non ha ne controllo né respiro. Mi piace ricordare anche un’altra azione di Gina Pane, Escalade non anesthésiée, dove s’arrampica su una scala chiodata: trovo che anche quella sia riconducibile alla postura che Maria assume durante la storia, ovvero quella di procedere malgrado il dolore. “I tagli, nient’altro che incantate fessure, ante socchiuse: spioncini dai quali è concesso sbirciare un pezzo d’archè.” OL: Come hai sentito il bisogno di raccontare di Maria, una diciannovenne autolesionista? Hai sentito necessaria una vicinanza di età con il tuo personaggio? Hai sentito la necessità, o semplicemente la voglia, di raccontare il dolore adolescenziale in una forma nuova? Yasmin: Scrivo da quando ho sette anni. Maria e la sua storia sono il risultato della mediazione tra un’adolescenza piegata all’elaborazione/proiezione di figure di donne forti (si scrive del resto anche per provare a ridisegnare il mondo e noi stessi), e la realtà dei fatti nella nostra contemporaneità, che vede la donna sempre come corpo o vittima, o le due cose assieme. Ho deciso d’introdurre una protagonista ‘‘cutter’’ perché è una forma fortemente simbolica di introiettamento della sofferenza, e anche perché si dice che l’autolesionismo sarebbe tipico nelle persone di talento, magari non riconosciuto, alla costante (e spesso ossessiva) ricerca del consenso da parte di chi non gli vuole bene (ahimè). Era un tratto particolarmente adatto, quindi, per caratterizzare una ragazza in continuo contrasto con una società sempre tesa a limitarla e incasellarla: perché donna, perché portatrice d’un aspetto che riconduce a una determinata condizione sociale, perché proveniente da una storia familiare travagliata, verso cui, come sempre accade, la comunità assume un ruolo inquisitorio, gioca a fare il tribunale invisibile. Quest’anno è giunto un nuovo alunno, espulso dall’antecedentemente frequentato I.P.S. Il suo nome è Jesus Fernando Rodriguez, si fa chiamare Chus. […] Nonna spifferò che un buon modo per regolarsi sulla cattiveria delle persone è controllare la storia traumatica del loro mento: Chus l’ha rotto due volte.” OL: Maria è il nome della protagonista, Jesus il nome del suo amato. Si tratta di un accostamento casuale? Yasmin: Sono emersi in modo naturale, scrivendo, e non credo che le dimensioni simboliche debbano emergere troppo o imporsi sulla storia. Maria è un nome comune in Italia, e Jesus in America latina non è inusuale. Verso la fine del romanzo la protagonista si paragona alla Maria Maddalena, la peccatrice penitente che attraverso la devozione al Cristo vuole espiare le sue colpe. Si potrebbe dire che nella ‘‘mia’’ Maria scatti qualcosa di molto simile con Jesus/Chus, il ragazzo argentino appena trasferito nella sua classe, e che in qualche modo diventa una sorta di incarnazione d’un purgatorio sociale – anche perché in lui non c’è niente di
La Chinaski Edizioni è una casa editrice indipendente fondata a Genova nel 2004 e lentamente affermatasi come una delle più importanti in Italia nell’ambito della saggistica musicale. In questa intervista a Federico Traversa, direttore editoriale e socio fondatore di Chinaski, si parla di avventure imprenditoriali, percorsi umani, consigli ad aspiranti scrittori, crisi e ricette per uscire dalla crisi. Come nasce Chinaski Edizioni? Il nucleo originario eravamo io e un gruppo di amici: all’epoca facevamo tutti dei lavori pessimi, precari e sottopagati. Io ad esempio lavoravo in una fabbrica: scaricavo delle latte e non avevo idea di dove andassero a finire. Però tutti avevamo un sogno, il sogno di occuparci di letteratura e di far sentire la nostra voce. Io scrivevo: avevo pubblicato un libro per pura fortuna, così mi è venuta la voglia di provare a riunire tutti questi miei amici un po’ disgraziati come me in una realtà solida, di fare qualcosa di diverso. A Genova non c’era molto. Abbiamo tentato e le cose sono arrivate. Per noi è stato tutto magicamente casuale. Io ho scritto un romanzo, questo romanzo è finito nelle mani di Tonino Carotone, tramite Tonino Carotone sono stato in Spagna e ho conosciuto Manu Chao, tramite Manu Chao sono tornato a Genova sono arrivato da Don Gallo, e da lì sono nati libri importanti che hanno permesso alla casa editrice di consolidarsi… è stata una cosa un po’ pionieristica. E fatta a nostro modo. Accennavi ad alcune importanti collaborazioni, come quella con Don Andrea Gallo… Beh, è un po’ difficile parlare di Don Gallo, lui era un gigante… Quando andai da lui la prima volta, proprio mandato da Manu Chao, lui aveva appena pubblicato con Mondadori il libro “Angelicamente anarchico”, che era stato un bestseller. Dopo un po’ che chiacchieravamo io, quasi scherzando, o forse con l’imprudenza della giovane età, gli dissi “dovremmo fare un libro insieme”. E lui mi disse di sì. Non ero assolutamente pronto a questo sì. Però iniziai ad incontrarlo, ad andarlo a trovare, di settimana in settimana, e ad entrare in quella sua umanità senza confini. Un trafficante di sogni a tutto tondo… il frutto di quegli incontri è stato il libro scritto con Andrea, ma anche l’evolversi del progetto Chinaski. Noi siamo un’attività commerciale, che deve vendere libri per campare e pagare gli stipendi, ma dentro abbiamo anche questa voglia di conoscere e camminare con gli altri. Ci sono state altre collaborazioni importanti, con gli Africa Unite ci siamo divertiti, Tonino Carotone è diventato per me un fratello, idem il rapper Vacca, Fabri Fibra, tanta gente. Però Don Gallo… è Don Gallo. In questo momento stiamo vivendo una grande crisi economica mondiale. Quanto viene avvertita nel mondo dell’editoria e che influenza ha? Si sa, tutte le volte che c’è crisi la prima cosa che si va a toccare è la cultura… già così si parte male. Se poi aggiungiamo il fatto che l’Italia è uno dei paesi europei in cui si legge meno il quadro è allarmante. Le grosse catene sono in crisi, le piccole librerie io le chiamo librerie partigiane perché fanno una resistenza incredibile, ma ormai è dura. In Italia tutti scrivono e pochissimi leggono, c’è una situazione disarmante. Però va bene, nessuno ci ha detto che sarebbe stato facile. Io parlo per Chinaski ma anche per tanti amici editori piccoli che conosco… noi sappiamo di essere in trincea e di lottare, e che nessuno di noi si comprerà mai le piscine e le ville, ma neanche ci importa molto. Il fatto però di dare testimonianza di questi tempi, di far sentire le voci interessanti che escono e si alzano oggi è sicuramente di per sé appagante. Detto questo, speriamo che ci mettano una pezza. A proposito delle “voci interessanti” di cui parlavi prima: c’è qualche autore emergente che sei particolarmente orgoglioso di avere pubblicato? In realtà io credo che l’opera sia sempre più importante di chi la crea, fondamentalmente sono orgoglioso di tutti i libri che abbiamo pubblicato. Anche perché mi sono reso conto – ragionando anche sul mondo della musica – che molte volte un musicista ti conquista per un disco ma il successivo è deludente. La stessa cosa per la scrittura o per qualsiasi forma d’arte. Quindi in realtà mi piace pensare all’universo della cultura come a un luogo in cui è sempre più importante l’opera di chi l’ha creata. Anche perché poi, con la mercificazione delle immagini che viviamo oggi, appena qualcuno diventa un “personaggio” viene subito inglobato dal sistema televisivo. Finisce che ti dimentichi perché ci sei arrivato, cioè scrivere libri o fare musica. Ne ho visti troppi ed è un peccato. Ricette, idee per uscire da questa crisi – da un punto di vista editoriale? Dal mio punto di vista non è più una crisi del mondo editoriale, è una crisi di sistema e purtroppo dalla crisi di sistema non si esce tanto facilmente. Bisognerebbe ripartire, per così dire, dall’ABC. Far innamorare di nuovo la gente della letteratura , della buona musica. Far innamorare di nuovo la gente della letteratura , della buona musica. E questo non può andare a braccetto con un rilancio economico immediato.. Una “ripartenza”, se ci sarà, verrà dalle nuove leve, che vanno educate a riscoprire la bellezza e gli insegnamenti che ti può dare un buon lavoro artistico.Andrebbe anche ripensata la filiera editoriale: persistono situazioni veramente insensate. Faccio un esempio: escono valanghe di libri ogni mese. Questo cosa implica? Implica che la libreria è talmente “dopata” da tutte queste uscite che poi è costretta a rendere in tempo zero. Il libro non ha modo di maturare: non c’è neanche il tempo del passaparola, come si faceva una volta. Per il semplice fatto che un libro in libreria – se vendicchia qualcosa – resta che vada bene un paio di mesi. Se parte male quindici giorni e te lo rendono. Addirittura ci sono dei libri che non vengono neanche sballati. Altro problema è la questione che ormai il libraio fa gli ordini in relazione alla popolarità