Una volta ero a Genova per fare un seminario di letteratura e a me a Genova, non so perché, la gente, mi sembrano tutti un po’ squinternati, e ai ragazzi che facevano il seminario, quando ho letto dei pezzi dal Repertorio dei pazzi della città di Palermo, di Roberto Alajmo, ho chiesto ai ragazzi che facevano il seminario “Ma perché non fate il Repertorio dei pazzi della città di Genova? Paolo Nori Cos’è un repertorio dei matti? A prima vista sembrerebbe un seminario di scrittura creativa. Paolo Nori, il curatore del seminario, sembrerebbe di fronte a semplici aspiranti scrittori, pronti a cimentarsi in nuove prove. Invece, Nori è di fronte a dei cronisti medievali, che racconteranno quello che succede oggi. E ogni scrittore dovrà rinunciare al proprio stile, per dare vita a un prontuario omogeneo dei matti della propria città. Chi sono i matti? Il matto viene prima dello scrittore, dell’astrologo, dell’alchimista; in qualche modo, è la figura archetipa, l’esempio che costoro imitano. È ovvio che non si valuta un matto: non si dice “costui è un matto bravo”, non ci sono matti migliori di altri; un matto è un capolavoro inutile, e non c’è altro da dire. Giorgio Manganelli Chiariamo che non si parla di matti “veri”. Più che veri, non si parla di matti “seri”, ossia quando la pazzia porta serie devianze fisiche e mentali, e altrettante serie conseguenze. I matti di cui si scrive al Repertorio dei matti sono altri. Matti sono coloro che su un attraversamento pedonale con semaforo verde non attraversano se non hanno visto, con i loro occhi, scattare il verde e allora aspettano il giro successivo cercando di darsi un tono. Matti quelli che, per non far vedere che si possono permettere gli abiti griffati, quando noti che ne indossano uno dicono “ah sì , era la sola cosa stirata che avevo nell’armadio”. O quello che in un racconto di Andrea Bajani cerca sempre di pagare con dieci euro falsi e poi, se lo scoprono, si scusa e tira fuori quelli veri. Ne abbiamo tutti un elenco. Siamo sicuri che lo avete anche voi, un vostro elenco personale di matti. Sì, ma quanto si deve scrivere? I Repertori dei matti sono brevi documentari. Cose del tipo: C’era uno che passava le giornate affacciato alle finestre aspettando l’incidente. O un poco più lunghe: C’era uno che tutte le sere andava a sedersi su una panchina davanti al tramonto. Fissava il mare, l’orizzonte e aspettava con pazienza che il sole sparisse. E tutte le sere ci rimaneva male. Comunque non si va mai oltre la pagina. Ma ognuno scrive di più matti, e tutti i matti si mischiano dentro queste magiche antologie che raccolgono gli scarti di ogni città italiana. Gli scarti che forse, come il grasso che cola, sono anche il meglio di quelle città, ciò che le caratterizza. Lo voglio fare. Quando inizia? Il Repertorio dei matti della città di Genova inizia a Gennaio. Il corso si tiene durante due week-end, più un incontro conclusivo. È un’occasione unica e irripetibile; sarebbe da matti, lasciarsela sfuggire. Per tutte le informazioni dettagliate, vi rimandiamo a questa pagina. Uno soffriva talmente tanto doversi alzare presto la mattina che quando poteva dormire rimetteva lo stesso la sveglia, la faceva suonare e poi, con un ghigno di rivalsa, le diceva “Ma vai in culo!” e la spegneva rimettendosi a dormire. Gli estratti presenti in questo articolo sono tratti dal “Repertorio dei Matti della città di Livorno”, a cura di Paolo Nori, edito da Marcos Y Marcos (2016).
Ecco i cinque racconti finalisti! Votate il vostro preferito per mezzo di un like alla foto corrispondente sulla pagina Facebook di Officina entro le ore 12:00 del 10 settembre 2016. L’autore o l’autrice del racconto con il maggior numero di voti vincerà un’iscrizione gratuita al Laboratorio di Primo livello “Grammatica delle Storie” 2016/17. Gli altri quattro finalisti potranno invece usufruire dello sconto del 15% sul costo del Laboratorio. Grazie ai numerosi partecipanti e all’amico Alberto Casiraghy per averci ispirato con il suo incipit. Buona lettura! “Ora di buio su un pianeta intraprendente” (Giulia Badano) Prima o poi entrerò nel cuore del mondo, ma lasciate almeno che mi presenti, così che la mia speranza a tinte fosche e amare abbia il privilegio dell’identità. Sono rinata circa quattro miliardi di anni fa dopo un’esplosione cosmica che ha sconvolto tutto. Non ho memoria di cosa fossi prima, probabilmente un pianeta come adesso, abitata da altri organismi che mi hanno amata e odiata fino al nebuloso collasso. Nella lenta ma costante dilatazione dell’universo ho vagato per lunghi eoni del tempo, senza meta, senza soluzione, in guisa di particella abbandonata a sé stessa ad oscillare per exametri indefiniti. Vita dura, quella della particella. I più massicci residui di materiale cosmico ti prendono a spallate per accaparrarsi il posto ritenuto migliore a loro unica discrezione, senza riuscire ad ammettere di essere più confusi di me. In realtà, in un mare di polveri bollenti, avevamo tutti perso l’orientamento e lo scopo della nostra esistenza, quale che fosse. E’ stato durante questa situazione di profonda incertezza e smarrimento che ho perso particelle a cui sentivo di voler bene. Annichilite dal calore infernale, hanno varcato la linea congelata e abbracciato il ghiaccio, scoprendo quanto quell’elemento possa essere magnifico e terribile e bastare di per sé. Una di loro si è guadagnata il nome di Nettuno. Dal canto mio, vagabonda errante e solitaria, non ho saputo scegliermi un angolo di universo senza prima chiedermi cosa volessi diventare. Ho impiegato meno tempo del previsto: qualche millennio, per sfiorare l’idea della completezza delle forme e dei climi. Nelle infinite pieghe del cosmo ho incontrato un granello brillante, circondato da un alone di argentata luce riflessa e discreta, con cui ho deciso di trascorrere il resto della mia esistenza a tre passi dalla nuova Fiamma che ci intiepidiva senza bruciarci. Io e il granello abbiamo trovato il nostro posto nello stesso isolato e cominciato a formarci al ritmo scandito dai suoi sorrisi un po’ sghembi, un po’ malinconici, dalle sue forme ciclicamente tonde, sbeccate, consumate, frizzanti, stanche. Crescendo accompagnata dai suoi umori mutevoli, ho dato forma all’esistenza, ho partorito terre e mari, ho innalzato montagne spruzzandole di neve, ho sguinzagliato il vento, ho addensato le nuvole e liberato il fulmine, ho rinfocolato il mio cuore con fluidi incandescenti e l’ho protetto avvolgendolo in mantelli solidi e compatti. Ho eretto templi ombrosi con radici, tronchi e rami, ho soffiato la sabbia su vaste distese di deserti ostili, ho generato microrganismi e vegliato sulla loro costante evoluzione. Anche sulla vostra. Così nudi. Senza denti aguzzi né artigli, senza ali per volare né branchie per immergersi, avete costruito armi, inventato scafandri per le profondità abissali e uccelli di ferro per solcare i cieli. Io ho amato la vostra astuzia, ho ammirato il vostro ingegno, ma ho sofferto nel vedervi ergervi a padroni miei e di voi stessi. Ho pianto lacrime di pioggia, mentre i vulcani hanno rovesciato la mia collera rovente. Mi sono spezzata gridando di dolore sotto scosse di terremoti violenti. Ho provato a vegliare su di voi, e quante vite ho visto accendersi e spegnersi, quanti passi ho sostenuto. Ma quante ruote, e chiglie, e rotaie, e trivelle e bombe mi hanno segnata. Quanto sangue ho dovuto bere e nascondere, quant’acqua ho dovuto accogliere per sentirmi pulita. Non so come faccio a essere così stanca e paziente, come sopporto di essere stata divisa in confini, tagliata da muri, frazionata da recinti e cancelli, a perdonare l’arroganza che vi rende indifferenti a ciò che calpestate. Prima o poi entrerò nel cuore del mondo, nel vostro cuore, e ricambierete l’amore che vi ho offerto senza pretese. Ma forse sarà tardi. Prima o poi vi guarderete indietro, e nella triste desolazione che avrete lasciato scoprirete l’impronta indelebile delle vostre colpe. “Orfeo ed Euridice” (Ilaria Carrozzo) Prima o poi entrerò nel cuore del mondo. “Si inizia scavando”, mi dicesti, seduta di fronte a me al tavolo della cucina, palpebre calde, girasoli al tramonto, il profumo di una bambina, le mani tese sopra la tovaglia ruvida come un’anziana cartomante, mostrandomi le unghie, tanto gialle da sembrare l’escrescenza dell’osso. Io cominciai da ragazza, grattando la porta di casa, impaziente di uscire come un cane d’appartamento, scattando fuori con una violenza nuova, la stessa di chi calpesta i gradini per raggiungere il proprio sedile in cima allo stadio. Le dita galleggiavano nell’aria, confuse, in attesa di impulsi. Fissavo atomi annoiati e scintillanti muoversi davanti alle pupille come nubili sospiranti a una festa. “Graffia le persone, i muri, le strade”. Le sillabe si attaccavano tra loro, mescolandosi, il tuo profilo era quello di una madre determinata che parlava con la voce di chi ha fumato l’ansia di essere schiacciata dal corpo morto di una vita che non ha mai sentito sua. Raggiungevo la scuola con l’energia rumorosa di un’onda, mi abbattevo su fiori che volevano essere forti, felpe e camicette orgogliose, ricordo che avevano profumi invincibili. Incidevo lettere sui banchi e li osservavo, rumorosi come canoni in una cattedrale durante una messa di Natale. “Lascia segni su tutto quello che vedi, solleva la superficie, delicatamente, come la corteccia di un albero, poi ruba un pezzetto dell’anima, sbriciolalo sui polpastrelli e usalo per tracciare il tuo rifugio, fuori di qui, perché in fondo scappare è trovare il proprio posto nel mondo, il tuo centro, il suo cuore, pulsante e chiassoso, rumore di zoccoli che ti porta via”, i tuoi occhi grandi, alieni, iridi blu scure ricordavano notti d’agosto sull’asfalto umido, ombre che
Per i nostri primi cinque anni l’amico Alberto Casiraghy di Edizioni Pulcinoelefante ci ha regalato un incipit. Mettete alla prova la vostra creatività e noi vi regaleremo un laboratorio! Regolamento del concorso Si partecipa con un racconto di massimo 4000 battute, a tema libero e che abbia come frase d’incipit: “Prima o poi entrerò nel cuore del mondo” Inviare il racconto all’indirizzo info@officinaletteraria.com, in formato .doc, entro e non oltre il 25 agosto 2016. Oggetto della mail: Partecipazione al concorso. Nel corpo della mail specificare il proprio nome e cognome, il titolo del racconto con cui si partecipa al concorso e la frase “Autorizzo Officina Letteraria a pubblicare il racconto allegato alla presente, nel caso risultasse tra i cinque finalisti”. I cinque racconti selezionati dallo staff di Officina come finalisti verranno pubblicati sulla nostra pagina Facebook, dove saranno votabili da ogni utente per mezzo di un like entro il 10 settembre 2016. Il racconto più votato dalla “giuria social” vincerà un’iscrizione al Laboratorio di primo livello “La Grammatica delle Storie” 2016/17. Agli altri quattro finalisti, lo sconto del 15% sul costo del laboratorio.
Sabato 11 aprile Officina Letteraria ospiterà Barbara Fiorio e la sua ironia per un laboratorio di scrittura ironica. Barbara, che ha fatto dell’ironia la sua cifra stilistica, spiegherà ai partecipanti cosa è l’ironia, come possono usarla al meglio per raccontare le loro storie, e li metterà alla prova con qualche esercizio di scrittura, ovviamente, ironica. Come lanciare meringhe a un Castello – non vi viene già voglia di farlo con un titolo così? – sarà un laboratorio divertente e leggero, e io, che sono già passata tra le mani di Barbara, non posso che consigliarvelo. Nel frattempo, mentre aspettate che arrivi sabato 11 aprile per venire a Officina letteraria e conoscere di persona Barbara, gustatevi l’intervista che le abbiamo fatto. I : Come hai iniziato? B : A scrivere, a sognare di scrivere o a pubblicare? Perché a scrivere ho iniziato da bambina, alle elementari, quando ho anche cominciato a leggere da sola i libri, verso i sette/otto anni. Il sogno di fare, da grande, la scrittrice è nato lì, ma ci son voluti più di trent’anni prima che io ci provassi davvero. Da adulta, ho iniziato con un blog sotto pseudonimo, quando erano ancora poche le persone in Italia che avevano un blog, parlo di tredici anni fa, e quelle poche amavano più scrivere che apparire. Quindi era tutto un po’ carbonaro, le community si creavano per osmosi, ci si sceglieva e leggeva per sintonia. Era molto stimolante, e in quello spazio protetto e portentoso ha preso vita il mio primo libro, C’era una svolta, una raccolta di fiabe classiche raccontate alla mia maniera, ma nella loro versione originale dei Grimm, di Perrault e di Andersen, di cui troverete tracce nel mio prossimo romanzo, Qualcosa di vero. Un amico sapeva dell’esistenza di un piccolo editore nel pavese, mi ha dato l’email, ho mandato il libro e il piccolo editore lo ha pubblicato. Per me era fondamentale che venisse pubblicato da qualcuno che non lo facesse per amicizia e che non chiedesse contributi alle spese. Così è stato, e non ho certo dovuto comprare cinquanta copie del mio libro per assicurare la copertura della stampa. I : Quando hai pensato per la prima volta che avresti potuto scrivere? B : Quando è stato pubblicato il mio primo libro. Fino a quel momento era ancora un mio desiderio che ogni tanto tiravo fuori dal cassetto dei sogni segreti e coccolavo con tenerezza, come si accarezza il vecchio orsacchiotto con cui giocavi da piccola. Quando qualcosa di scritto da me ha preso la forma di un libro vero, ignoti lettori lo hanno comprato, giornalisti che non conoscevo lo hanno recensito con entusiasmo e al mio prof di greco del liceo è piaciuto, ho pensato che forse avrei potuto scrivere sul serio. Avevo già quarant’anni. I :Qual è l’esigenza, il bisogno profondo che ti spinge a scrivere? B : Ho sempre scritto, sempre. Scrivevo da bambina per farmi compagnia e inventarmi storie che mi piacessero, scrivevo lettere, mail, chat con gli amici, persino i lavori che ho fatto si sono basati sulla scrittura: scrivevo presentazioni di spettacoli teatrali, schede di promozione, relazioni, poi comunicati stampa, dichiarazioni, prefazioni. Io comunico scrivendo. Ricordo un colloquio che feci moltissimi anni fa in una grande agenzia pubblicitaria. Era un colloquio come copywriter, stavo facendo un master a Milano, in quel periodo, e un mio professore ha voluto organizzarmi un incontro col direttore creativo di quell’agenzia. Lui, all’incontro, mi ha chiesto di fargli vedere un mio book di testi. Racconti, poesie, fiabe, incipit di romanzi, quel che potevo avere. Ma io non avevo niente di tutto ciò. Non avevo mai pensato di fare la copy finché un professore non aveva deciso che io ero una creativa e dovevo assolutamente scrivere, ma non avevo nulla da far leggere. “Scusa, tu ami scrivere e non hai niente di tuo da farmi leggere?”, mi aveva chiesto stupito il direttore creativo. Gli veniva da ridere, da quanto era assurda la situazione. Gli risposi con un candore che mi imbarazza ancora oggi, e resi ancora più assurdo quel colloquio. “Io scrivo mail, messaggi, post sul mio blog – dissi – ma quelli son privati. Non ho mai scritto racconti o poesie, ho solo scritto fiabe, ma ho smesso da adolescente”. Non ebbi mai quel lavoro, ovviamente, ma tutt’ora sono amica di quel direttore creativo, diventato nel tempo anche un mio lettore. I : Qual è l’aspetto che ti dà più soddisfazione nella scrittura? B : Quando entro nella storia e i personaggi conducono. Perché, sarà bene rivelarlo, scrivere è divertente finché lo fai nel cantuccio della tua stanza e ti fai leggere solo da amici e parenti. Quando diventa un impegno, si aggrava di aspettative, di scadenze, di risultati da raggiungere, di quella professionalità che devi avere per rispetto degli editori e dei lettori. Scrivere è fatica, è ansia di non farcela, è passare un pomeriggio su una frase, è ragionare sul dove mettere le virgole, è rompersi la testa su un aggettivo. Ma è anche, innegabilmente, un privilegio. Riuscire a trasformare la propria passione e il proprio talento in un lavoro è straordinario, ma molto più faticoso e raro di quel che si pensa. Però, quando mi metto davanti al computer, comincio a scrivere e vedo la storia che prende forma, vedo i personaggi muoversi da soli, vedo le parole che scorrono e disegnano un nuovo mondo, in quel momento mio e solo mio, dove io riesco a muovermi con familiarità, dove rido, mi commuovo, mi indigno e partecipo, creo, decido, ecco, quello è il momento in cui sto bene. I : Cosa hai provato quando è uscito il tuo primo libro? B : Quello che ho provato quando è uscito il secondo, poi il terzo e tra pochi giorni il quarto: gratificazione, emozione, trepidazione, paura, ansia. Anche un pizzico di terrore. So che chi è madre potrebbe guardarmi storto – la maternità è intoccabile – però pubblicare un libro è qualcosa che si avvicina molto a ciò che le
“È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio” diceva Albert Einstein. Quando penso ai libri della mia infanzia, a quelli a cui torno puntualmente per salvarmi la vita, a quelli che non mi sono piaciuti, a quelli che non ho capito, a quelli che ho… a cosa penso? Penso… Penso alle parole nere incise sulla pagina. Penso alle frasi che mi hanno fatto sentire che non ero sola, che c’era qualcun altro che era passato di lì, che ci era riuscito, che aveva trovato quello che io stavo cercando. Penso alle voci dei personaggi. Penso ai loro modi di muoversi e di parlare, al tipo di parole che lo scrittore gli ha messo in gola. Penso alle atmosfere in cui mi sono immersa leggendo quelle storie, ogni libro ne ha una. Penso a come spesso mi sia trovata a desiderare di essere un personaggio anche io o a quanto avrei desiderato tirar fuori da quello spazio bidimensionale dell’immaginazione quegli eroi ormai così cari, familiari. Cartacanta. Scendendo le scale e entrando nel Laboratorio creativo di Marta Wrubl riesco a percepire il gusto del pregiudizio sotto la lingua, è un pregiudizio inteso in senso “buono”, è la manifestazione del mio non conoscere e quindi non capire. È quella ruga di stupore, quella “fatica” di aprirsi uno spazio mentale per permettersi di godere di una nuova luce. La carta è quello che manca nella mia percezione del libro. È abbastanza paradossale. Ma è così. La luce mi colpisce dritta in mezzo alla fronte. Flash. C’è un mondo qui dentro, in questo studio, che io non avevo mai considerato. La carta. Cosa ne sarebbe di tutti i personaggi e le parole senza la carta? Ma non è solo questo, c’è di più. Marta Wrubl e molti artisti come lei ne hanno scorto il potenziale, l’hanno messa al centro, le hanno dato la possibilità di essere opera d’arte. La carta bianca è come il silenzio, sembra che non abbia niente da dire. Assenza. L’ho sempre vista come assenza. Al più ho provato quel panico da pagina bianca, quell’ansia da prestazione che mi faceva avere fretta di riempirla, di dimostrare che ero in grado di farlo. Non l’ho mai guardata. Non credevo si potesse. Eccolo il pregiudizio. E invece. E invece lei è viva, sta zitta solo se non la ascolti. Richiede cure, Marta Wrubl lo sa, ha studiato per imparare a farlo, alla Scuola di Restauro di Firenze. Anche lei all’inizio la carta la usava solo come supporto: il suo primo amore è stato la pittura. Nel suo studio artistico fa entrambe le cose: lavora con la carta e dipinge. Cartacanta è il nome del suo spazio, il luogo dove sperimenta e gioca, mescola l’arte al sapere artigiano, studia diverse tecniche per trattare questa materia prima, si divide tra la creazione e il recupero, la conservazione e la trasformazione. Aggiusta libri antichi di quattrocento anni, a volte ci trova dentro piccoli reperti “archeologici”, tracce del passato sotto forma di un capello bianco (di uno studioso del 1600?) o di un insetto ormai bidimensionale, conservato tra le pagine quasi di seta. Un tempo la carta di faceva così: a partire dalle fibre della stoffa. La consistenza è quella di un tessuto, liscio e molto bianco, ancora oggi, oggi pomeriggio, mentre io ci passo sopra i popastrelli delle mie dita. Questa è la parte del lavoro di Marta in cui la carta chiede di essere rispettata, riportata al suo stato originario, il più possibile. E allora lei la cuce, ne riempie gli strappi, le toglie di dosso il tempo. I suoi clienti le portano di tutto: libri, manoscritti antichi, ventagli di carta con sopra dipinte scene bucoliche, tavole da backgammon, fumetti degli anni ’50, copertine di dischi, oggetti vintage. Ci sono persone per cui quella carta è molto importante. La parte più creativa del lavoro di Marta prevede la realizzazione di legature e oggetti in carta. È qui che il mio orizzonte si amplia. La carta può essere tridimensionale e può addirittura muoversi, gli artisti che sperimentano questo tipo di arte lo sanno, Marta li cita sul suo sito, io vado a curiosare e scopro cose meravigliose come questa. Inizio a capire come davvero la carta abbia dei segreti da offrire, come sia importante saper guardare. Gli artisti sono tali proprio perchè hanno occhi diversi, vedono la possibilità, sanno ascoltare la materia silenziosa, usarla in modi nuovi, rendere l’impossibile possibile, ampliare la realtà. Tagliare, piegare, incollare, traforare, sovrapporre e plasmare. Mi giro indietro verso ciò che credevo di sapere, vedo la scrittura farsi sempre più piccola e relativa, una tra le tante alternative. Marta Wrubl sperimenta tecniche di decorazione della carta come la marmorizzazione e il Suminagashi. Mi interessano anche l’arte dell’Origami, il paper cutting, i pop-up e la cartapesta, mi dice. Recentemente ho iniziato a produrre orecchini ed anelli utilizzando perline, ritagli e frammenti di carta marmorizzata o antica, mi piace l’idea che un particolare disegnato o stampato su carta possa diventare un oggetto da indossare. Mongolfiere parigine che “volano” sopra alle tue dite, a centinaia di anni di distanza da quando sono state disegnate su quelle pagine da cui lei le ha ritagliate, questa è la parte del lavoro che chiama “trasformare“, c’è molto rispetto per la carta anche in questo, è solo un altro modo di farla rivivere. Dopo aver ascoltato e guardato, cerco di ricostruire un’immagine di Marta. Mi cade lo sguardo sulla sua produzione di fogli di carta marmorizzati: cangianti, come lei. Marta Wrubl è un sacco di cose insieme: una restauratrice, una pittrice, un’illustratrice, un’artista in cerca di nuove intuizioni, una sognatrice, una che fa magie e contratta con il tempo e gli strappi. Tutto questo fa di lei anche un’insegnante dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Nulla mi appaga di più della gioia condivisa con altri nel creare con la carta. Il Laboratorio. Marta Wrubl terrà un Laboratorio di legatoria a Officina Letteraria dal nome “Il mio libro è un pezzo unico“. L’idea è di creare un oggetto
Sabato 29 novembre, oggi, Pino Petruzzelli terrà ad Officina letteraria un Laboratorio che ha per tema il monologo, intitolato “Viaggiare, ascoltare, interpretare”. Questa mattina ci siamo incontrati e abbiamo fatto una chiacchierata davanti a un caffè e un cappuccino, al riparo dalla pioggia fine che cadeva sulla spianata di Castelletto. Faccio subito mea culpa con Pino e gli dico che non ho mai visto nessuno dei suoi spettacoli e che per cercare di conoscerlo un po’, prima del nostro incontro, ho iniziato a leggere il suo libro “Gli ultimi” , non l’ho ancora finito, però, aggiungo. Pino sorride, e il sorriso è la prima cosa che mi colpisce di lui, prima il sorriso, poi il timbro della voce e i capelli bianchi e cotonosi che fanno venire voglia di accarezzarli tanto sembrano morbidi. Ha tutta l’aria di una persona che sta bene dove sta, che abita comodamente il suo corpo e la sua vita, mi sembra felice, e questo mi piace molto. Ho con me un quaderno sul quale la sera prima ho diligentemente segnato le domande da porgli e che non gli farò; secondo mea culpa, non ho mai intervistato nessuno, e sono agitata, con la testa che mi gira e la lingua allappata. Pino, che, oltre a essere un autore e un attore, si definisce un appassionato ricercatore di geografie umane, se ne accorge e mi viene in soccorso iniziando a parlare. “Pino Petruzzelli si definisce un appassionato ricercatore di geografie umane” Ciò che mi colpisce nella biografia di Pino Petruzzelli è che la maggior parte del suo lavoro è dedicato al racconto di tutte quelle vite che se ne stanno, bistrattate, ai margini della così detta società civile; Pino racconta degli zingari, degli immigrati, di chi prova a farcela onestamente, rimanendo coerente a se stesso, racconta degli ultimi. Gli chiedo perché. Mi risponde che preferisce lavorare così, dedicandosi a ciò che gli interessa davvero, piuttosto che andare in TV, nulla contro la TV o internet, aggiunge, non è il mezzo in sé, ma l’uso scriteriato che ne facciamo. Mi dice che è iniziato tutto per caso, o quasi, e che finito il liceo ad Ancona pensava di iscriversi a Chimica, che il teatro era, allora, solo un attività secondaria, un modo per passare il tempo con gli amici. Invece, su suggerimento di sua madre, provò ad entrare all’ Accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico” e ci riuscì. Mi racconta che dopo l’accademia ci furono i primi lavori a teatro, l’Orestea con Cammilleri, ad esempio, fino all’ingaggio al Teatro della Tosse e il trasferimento a Genova. Nel 1988, insieme a Paola Piacentini, fonda il Centro Teatro Ipotesi che si occupa di tematiche sociali e dell’integrazione tra culture diverse. Pino scrive e porta in scena i suoi spettacoli, “Non chiamarmi zingaro” (2009), “La storia di Tonle” (2010), tratto ad un romanzo di Mario Rigoni Stern, “Di uomini e di vini” (2007) e molti altri ancora. Scrittura e teatro. Come scrivi?, gli chiedo, a mano, con una matita, su fogli di carta semplice, mi risponde, scrivo, scrivo e scrivo, poi, quando ho finito, inizio il lavoro di taglio e cesello. “Come scrivi ?, gli chiedo, a mano, con una matita, su fogli di carta semplice, mi risponde, scrivo, scrivo e scrivo, poi, quando ho finito, inizio il lavoro di taglio e cesello.” È passata un’ora, Pino deve andare, gli faccio un’ultima domanda, di cosa vorrebbe raccontare nei prossimi lavori. Forse, dice, dell’infanzia, mi dice, dei bambini. Fuori dal bar la pioggia continua a cadere, ci stringiamo la mano. Ci vediamo sabato al Laboratorio, gli dico. Mi sorride con il suo sorriso aperto e se ne va. Non so se voglio scrivere un monologo, anzi, al momento direi di no, non voglio scrivere un monologo, ma credo che passare un sabato con Pino Petruzzelli e l’umanità che ha incontrato e che si porta dietro possa essere davvero un bel modo di passare il tempo e di capire quelle vite che sono così diverse dalla mia.
Autunno, è tempo di scrivere. La fine dell’estate, anche quando la stagione è volubile e poco all’altezza delle aspettative, apre sempre a nuove energie, propositi e progetti. È tempo di scrivere. Perché? Perché è ora di tirare fuori un sogno dal cassetto, è ora di cimentarci con uno strumento che sappiamo o pensiamo di possedere, è ora di consolidare una pratica, di confrontarci con qualcuno, è ora di consegnare a una pagina i pensieri che ci attraversano la mente. È tempo di ripresa e di novità. Ecco le novità di Officina Letteraria che troverete su questo sito, ma anche su www.mentelocale.it a partire da settembre. Tre livelli di Laboratori per chi vuole affrontare un percorso graduale di approfondimento delle tecniche di narrazione. Quest’anno li abbiamo identificati con un titolo: La Grammatica delle Storie è il primo, I Ferri del Mestiere il secondo, Una stanza tutta per sé il terzo. A guidare i partecipanti nel viaggio dentro le storie e la scrittura, fino alla realizzazione di un progetto personale, saranno Ester Armanino, Laura Bosio, Emilia Marasco, Bruno Morchio e Sara Rattaro. Per questi laboratori sono previsti anche gli interventi di Federica Manzon, editor Mondadori e scrittrice, e di Elisa Tonani, esperta di punteggiatura. Per chi cerca una situazione meno impegnativa e strutturata, ma ugualmente ricca di stimoli e di incontri, c’è il laboratorio Leggere e Scrivere, con un tutor che coordina tanti interventi di scrittori e professionisti diversi che porteranno un suggerimento di lettura e una proposta di scrittura: Valeria Corciolani, Gaia De Pascale, Barbara Fiorio, Laura Guglielmi, Elena Mearini, Antonio Paolacci e Cesare Viel. Un Laboratorio che prevede alcune sessioni di scrittura anche in spazi diversi dalla sede di Officina, come librerie, caffè, musei. La positiva esperienza, nella passata stagione, del Sabato in Officina dedicato alla scrittura per l’infanzia, ci ha convinti a dedicare uno spazio più ampio a un genere che ha anche fortuna e solidità editoriale, che interessa ai genitori, agli insegnanti e molti aspiranti scrittori. Il laboratorio Oltre le fiabe sarà condotto da Anselmo Roveda e Sara Boero, in collaborazione con la rivista Andersen e con l’associazione Officine narrative, con interventi di illustratori e specialisti del settore. Da ottobre riprende anche il fortunato ciclo Sabato in Officina, una full immersion di sei ore, un sabato al mese, sempre con scrittori e artisti diversi. I primi tre incontri saranno con Gaia De Pascale per Scrivere di viaggi, Pino Petruzzelli per Scrivere un monologo, Giampiero Alloisio per Scrivere una canzone. Si proseguirà con Chicca Gagliardo, Elena Mearini, Antonio Paolacci, Patrizia Traverso e altri autori che porteranno la loro esperienza in un’attività di laboratorio. L’anno nuovo porterà il Corso pratico di editoria e scrittura di Antonio Paolacci, il Laboratorio di lettura consapevole Ad alta voce tenuto da Dario Manera, due workshop, con Giulio Mozzi e Paolo Nori e il Laboratorio di legatoria con Marta Wrubl. A conclusione dell’attività, a maggio, la settimana intensiva sulla Sceneggiatura per il cinema con Federica Pontremoli, un laboratorio di 35 ore. È tempo di scrivere.
Il nostro sito è in fase di aggiornamento, prossimamente pubblicheremo le informazioni sui laboratori di Officina Letteraria che avranno inizio a Ottobre 2014. Nel frattempo vogliamo fare alcune considerazioni sull’esperienza che volge al suo quarto ciclo e anticipare le novità 2014/2015. Cominciamo con un bilancio, riserviamo il prossimo post alle informazioni sui laboratori. Dal primo esperimento avviato nel 2012 da Emilia Marasco e Claudia Priano nel Centro polivalente della Sala Sivori a Genova, Officina Letteraria è cresciuta con un numero di ottanta partecipanti ai laboratori nel 2014 e con una ventina di maestri, tra scrittori continuativamente impegnati nei laboratori e scrittori ospiti. La crescita ha coinciso con il trasferimento nella sede di Via Cairoli 4/B, che oltre ad avere il fascino proprio degli spazi del centro storico di Genova – tre grandi stanze con volte a crociera e un angolo per un caffè o un the e quattro chiacchiere affacciato sul chiostro della chiesa di San Siro – offre la possibilità di ospitare mostre di arti visive, reading, presentazioni di libri, conferenze. Spazi, persone e linguaggi espressivi differenti hanno creato occasioni di incontro, di scambio, di collaborazione moltiplicando l’esperienza di Officina Letteraria: in questi anni abbiamo realizzato un laboratorio di romanzo collettivo che ha prodotto un breve romanzo scritto da dieci persone e occasione di un reading al Festival Suq 2013, un’antologia di racconti pubblicata in ebook dall’editrice digitale Emmabooks con il titolo Senza Amore, un reading con Paolo Nori a Palazzo Ducale e, sempre al Ducale, il laboratorio aperto Scrittura Site Specific con Ester Armanino e Emilia Marasco, una passeggiata letteraria attraverso la città: Genova tra luoghi e parole, la partecipazione con otto racconti e un reading alla mostra e convegno Dimenticare a memoria organizzati quest’anno da Arcigay Approdo alla Commenda di Pré. Negli spazi di Officina Letteraria hanno esposto gli artisti Stefania Boiano, Elena Cavallo, Gregorio Giannotta, Sergio Leta, Mauro Panichella, Patrizia Traverso, Giulia Vasta, Guido Zanoletti. Sono stati presentati i libri di Giuliano Galletta, Marino Magliani, Patrizia Traverso e Luigi Surdich. La filosofia di Officina Letteraria si fonda sulla promozione della scrittura attraverso la lettura, i laboratori di tecniche di narrativa, gli workshop e i seminari tematici. L’esperienza di Officina è un’esperienza di incontro e di scambio di riflessioni, di saperi come, in effetti, avviene nei laboratori artigianali, nelle vere officine. Si sperimenta, si prova insieme, si costruisce pian piano, senza fretta e con il piacere di stare dentro al fare e di fare insieme agli altri. La scrittura è un’esperienza che ha certamente necessità di solitudine ma non di isolamento, confrontarsi con gli altri, dialogare, condividere la stessa passione arricchisce l’esperienza e dà alla crescita individuale un significato che va oltre le eventuali aspirazioni ad un risultato concreto. Anche un reading, l’apertura di un blog ben fatto, la partecipazione a un concorso o a un’antologia sono risultati concreti, tanto più soddisfacenti se conseguiti all’interno o con il sostegno di un gruppo. I gruppi di Officina sono composti da persone di generazioni diverse, differenti per motivazioni e aspirazioni e questo mix finisce per essere prezioso per tutti. Naturalmente c’è attenzione per chi riesce a costruire un progetto personale, a trovare la propria voce. Fa parte di questa attenzione il collegamento che Officina Letteraria mantiene con agenti letterari e editor professionisti, sono già state ospiti, nella sede di Via Cairoli, Giulia Ichino, direttrice della Narrativa Italiana Mondadori, e Maria Paola Romeo della Grandi & Associati. Già tre romanzi di allievi di Officina Letteraria sono stati presentati a importanti editori e presto saremo in grado di annunciare una prima uscita.
In questo breve post, Federica Pontremoli svela lo spirito con cui intende condurre Scrivere un corto, il laboratorio sul cortometraggio in partenza il 16 novembre 2013. Piccolo film, grande impresa. di Federica Pontremoli Un cortometraggio è un piccolo film. Ma piccolo non significa facile, anzi. Fare un piccolo film è una grande impresa! E allora partiamo dalle fondamenta dell’impresa: la scrittura. Prenderemo una storia: una storia che avete dentro e che avreste sempre voluto raccontare, una storia che avete sentito da un amico e pensate che sia una buona idea per un film, una storia rubata dai racconti di nonni, zie, figli e nipoti. Oppure una storia che, semplicemente, vi siete inventati. Insieme faremo un percorso per costruire al meglio la struttura di questa storia, scegliere il miglior punto di vista, descrivere i personaggi e creare un copione che possa diventare un grande piccolo film di dieci minuti. Vedremo film lunghi e corti da cui impareremo a riconoscere la buona scrittura al di là delle immagini, inizieremo a scrivere poche righe per distinguere una buona idea da una meno buona. Poi scriveremo sempre più pagine per definire i nostri personaggi, poi scriveremo ancora più pagine per trovare un buon inizio, un buon finale… fino a quando avremo le migliori dieci pagine di sceneggiatura che mai avremmo potuto immaginare di scrivere. Dimentichiamo le definizioni di scuola, corso, seminario, laboratorio… Il nostro sarà un viaggio nel mondo delle idee in cui la scrittura sarà l’ultimo passo di un processo largo, creativo divertente e intelligente. Vai al laboratorio “Scrivere un corto”