Scrittrice e giornalista, Rosa Montero è nata a Madrid nel 1951 e ha iniziato a lavorare per il quotidiano El Pais nel 1976. Come molti autori e autrici, prima e dopo di lei, a un certo punto del suo percorso ha avvertito il bisogno di fissare in un’autobiografia quanto ritiene di aver imparato sulla lettura e sulla scrittura. Nel 2004 pubblica La pazza di casa, il cui titolo si ispira al modo in cui Santa Teresa D’Avila definiva la fantasia e l’immaginazione. Questi alcuni brevi assaggi di ciò che Rosa ha voluto trasmetterci. 1- Qualsiasi narratore di professione sa che si scrive soprattutto dentro la testa. Chi scrive non smette mai di scrivere, e la scrittura più produttiva avviene quando si è lontani da penna e tastiera. Rosa lo definisce “ronzio creativo”, ma anche “torrente di parole che ribolle nel cervello”. Quella sensazione che ci accompagna in auto, in ufficio, mentre si cerca di prendere sonno (e in coda alle casse del supermercato, aggiungerebbe David Foster Wallace). Ogni episodio della nostra esistenza, fino al più insignificante, è materia prima per la costruzione di ricordi, sogni e sì, anche e soprattutto menzogne, che un giorno o l’altro potrebbero diventare racconti, poesie, romanzi. 2- Il romanzo è un’autorizzazione alla schizofrenia. La citazione, strappata allo scrittore messicano Sergio Pitol, illustra le conseguenze dirette del “ronzio creativo” di cui sopra. “Lo scrittore sente le voci”. Chi scrive non conosce la solitudine: è costantemente accompagnato dai suoi personaggi, dai loro conflitti, dai loro pensieri e azioni. Osserviamo un luogo, uno qualunque, e lo vediamo popolarsi di anime, di storie. Un pezzettino di noi si stacca e penetra in quel luogo per vedere che succede. Si avvicina, perché solo così può scorgerne i dettagli: un rumore, una macchia su un muro, il colore di un vestito, l’odore in una stanza, la sensazione di bagnato o di asciutto, a seconda. Chi scrive è autorizzato a fare tutto questo: addentrarsi costantemente in altri mondi, in altre vite, e quando non ne ha a disposizione, inventarsele. 3- I romanzi sono organismi viventi. Il lavoro di romanziera è lungo e delicato: Rosa lavora a ogni suo romanzo circa tre o quattro anni. Prima scrive l’intera opera nella sua testa, prende appunti, finché la fusione tra la vita quotidiana e quella che man mano si sviluppa nella sua mente – ricordate, il “sentire le voci” di cui si accennava prima? – diventa sempre più forte, finché non distingue più qual è una vita e qual è l’altra. Rosa la chiama “fase dell’imbuto”: tutto ciò che accade nella vita “reale” cade, come in un imbuto, dentro a ciò che si sta scrivendo mentalmente. Quando è convinta di avere davanti agli occhi la visione d’insieme, fino al numero dei capitoli e al dettaglio di ciascuno di essi, allora inizia la scrittura vera e propria. 4- Ogni scrittore ha i suoi fantasmi, che lo inseguono come cani da caccia lungo tutti i suoi libri In ogni romanzo di Rosa è presente un nano, una nana, una persona di statura più bassa del normale. A volte è stata attentissima, dopo che molte persone glielo avevano fatto notare, e nei tre, quattro anni di scrittura si era premurata di epurare la storia da qualsiasi nano. Niente. Alla fine il nano c’era sempre. Ogni scrittore ha un’immagine di questo genere: un personaggio che, per varie ragioni, soprattutto legate al proprio inconscio e al proprio vissuto, si porta dietro in ogni opera. Sta a te capire qual è il tuo fantasma, accettarlo, lasciarti accompagnare. Infine, più che un consiglio, una domanda. 5- Se dovessi scegliere tra due mutilazioni, non scrivere mai più o non leggere mai più, quale sceglieresti?