Domenica 28 ottobre 2014 si è svolta al Count Basie Jazz Club di Genova la prima serata di Non sparate allo scrittore!, contest di racconti brevi e musica nato in collaborazione con Elisa Traverso e il Collettivo Linea S. La squadra vincitrice, il cui tema era Accordi, è composta da Federica Kessisoglu, Paolo Gerbella e Annamaria Frigerio. Pubblichiamo il racconto Accordi, di Paolo Gerbella. DO-MI-SOL sono note. Note musicali, sono sette, che poi non è vero se consideriamo i diesis e i bemolle, ma quelle sette sono universalmente riconosciute. Le note sono anche appunti su un foglio, moniti di un insegnante a un allievo ribelle, note sono le cose che pensiamo di conoscere bene, rilievi a margine di una pagina con testi complessi. Note sono le mie paure quando non so cosa devo fare, me lo si legge in faccia che non so cosa fare, eppure non posso fare a meno di essere spaventato. Le note spese sono quelle che mi entusiasmano maggiormente, fanno sentire ricco e poco importa se ho solo anticipato qualcosa che altri pagheranno, dopo, per me. In ogni caso serve armonia, ogni singolo elemento deve incastrarsi bene con quello che segue, precede o sovrasta. DO-MI-SOL, sono note di un accordo di DO. Cioè, tu le suoni simultaneamente e quel suono, quell’armonia, si chiama DO. Eppure sono note differenti tra loro, ma insieme, tant’è, funzionano. L’accordo cioè è andare in armonia, insieme, con la stessa altezza sulla stessa strada, perché se pizzico maggiormente, su una chitarra, per dire, il SOL, allora non è più un accordo ma solo una nota che attende compagnia, del DO e del MI, se voglio fare un accordo di DO. Ma se io voglio stare con te, si proprio con te, amico, amante o chi ti pare, se penso di suonare solo la mia nota senza far suonare pure la tua, come possiamo muoverci insieme, armonicamente, senza rischiare un suono stonato, un non accordo, un disaccordo? Accordo e disaccordo, armonico o disarmonico, nulla è possibile senza una regola. Eppure, tu mi dici che non servono le regole, che, si è vero, siamo diversi, però ci capiamo. Ma non basta capirsi, cazzo! Se io sono un DO e mi metto con un RE e un SI non sarò mai un accordo di DO ma semmai, tu che sei un SOL, perché si vede che sei sol, con quei due li, i fottutissimi SI e RE, ti potrai armonizzare benissimo in un accordo di SOL. E non mi dire che in fondo siamo solo tutti delle note e come tali dobbiamo essere comunque suonate, perché non mi basta e soprattutto…chi mi suonerà, che forza metterà? Ci va pure lì un accordo, un buon equilibrio tra pressione sulle note e le note suonate. Come ci va un accordo tra noi e questo mondo che non ci somiglia e che lasciandolo fare, ci schiaccia come pulci di cane randagio. Siamo d’accordo? Ricordiamo che il prossimo appuntamento con Non sparate allo scrittore! è domenica 30 novembre. Tema della serata: malattie esantematiche.
Domenica 28 ottobre 2014 si è svolta al Count Basie Jazz Club di Genova la prima serata di Non sparate allo scrittore!, contest di racconti brevi e musica nato in collaborazione con Elisa Traverso e il Collettivo Linea S. La squadra vincitrice, il cui tema era Accordi, è composta da Federica Kessisoglu, Paolo Gerbella e Annamaria Frigerio. Pubblichiamo il racconto Sento, di Anna Maria Frigerio. Fino a un attimo fa i suoni erano diversi. Battiti profondi e ricorrenti, fruscii, lo scorrere continuo di qualcosa, colpi improvvisi, gorgoglii strozzati. Suoni che arrivavano ogni tanto e altri sempre lì, a farmi compagnia, legati tra loro in qualche modo o isolati, ritmati o disordinati. Poi ce n’erano alcuni che arrivavano da lontano, attutiti dall’abbraccio d’acqua e carne in cui ero immerso. Sopra a tutti una voce, il più delle volte tranquilla, sussurrata, dolce. Solo a momenti il tono si alzava, diventava stridulo e io sobbalzavo per quella perdita di armonia. Cercavo rifugio nell’angolo più profondo della calda profondità in cui stavo. A volte la voce taceva, ma mi arrivavano ondate silenziose, emozioni che mi facevano tremare, nonostante la temperatura costante del luogo in cui ero. Poi la voce tornava a parlare e a cantare, circondata da altri suoni sconosciuti. Quando sentivo che parlavano con me, muovevo mani e piedi nel poco spazio che mi era dato, in un inizio di comunicazione istintivo ed entusiasmante. C’erano già suoni che mi piacevano, altri che non mi dicevano niente o di cui avevo paura. In un tempo lungo e spaventoso è cambiato tutto. Da uno spazio sempre più stretto ma calmo, circondato dai suoni che conoscevo, ho cominciato a essere spinto altrove. Contratto e tremante, andavo avanti, mi fermavo in una morsa e tornavo indietro, capendo che era inutile, trovandomi di nuovo spinto in avanti. I suoni, dentro e fuori, si erano moltiplicati e intensificati, in un frastuono intenso, dominato dalla confusione e dal disordine. Andavo avanti, mi fermavo e tornavo indietro, riafferrato da una pace che non volevo perdere. Potevo lottare contro, ma anche lottare insieme per arrivare non sapevo dove; sperimentare la disarmonia o trovare l’armonia di un movimento comune. Sono fuori, sono arrivato. Non sento più i battiti profondi e ricorrenti, i fruscii, lo scorrere continuo di qualcosa, i colpi improvvisi e i gorgoglii strozzati. Riconosco quei suoni che prima mi arrivavano da lontano e ora mi stanno addosso. Non c’è più niente che mi protegga da loro. Scopro un rumore nuovo, esce dal mio corpo, è stridulo e forte. Protesto con il pianto per il freddo, la paura e l’improvvisa solitudine. Ritrovo il calore appena perso appoggiato, per un attimo, sul corpo di mia madre e sento la sua voce. E’ diversa, non rimbomba, ma è quella che conosco da sempre. Mi placo. Mani decise mi afferrano, mi strofinano e mi frugano. Vengo immerso in qualcosa che evoca il luogo da cui vengo e, per un attimo, grazie alla ritrovata protezione dell’acqua, ritorno in quel mondo di suoni, che ho appena perso per sempre. Ricordiamo che il prossimo appuntamento con Non sparate allo scrittore! è domenica 30 novembre. Tema della serata: malattie esantematiche.
Domenica 28 ottobre 2014 si è svolta al Count Basie Jazz Club di Genova la prima serata di Non sparate allo scrittore!, contest di racconti brevi e musica nato in collaborazione con Elisa Traverso e il Collettivo Linea S. La squadra vincitrice, il cui tema era Accordi, è composta da Federica Kessisoglu, Paolo Gerbella e Annamaria Frigerio. Pubblichiamo il racconto L’accordo perfetto, di Federica Kessisoglu. Diario di bordo AD 4554 giorno 255 Oggi ascolto e aspiro e distinguo e canto. Oggi come ieri, come nel giorno 59, come non ricordo più da quanto … Oggi voglio scrivere di me, di quello che è successo, di quello che succede, perché forse sto per diventare pazzo e invece devo mantenermi lucido, devo tenermi aggrappato alle parole, ai suoni che sento nella testa, distinti, precisi. Oggi scrivo la fine che è domani o tra un minuto o tra milioni di anni. Il mio nome non è importante. Sono un musicista o, per meglio dire, lo ero. Passavo le giornate a combinare note, a fissare tempi e sospensioni, a inventare accordi, ad ascoltare i suoni dei pianeti. In un giorno del passato tutto questo ha cessato di essere. In quel giorno del passato, non so come, il mondo allora conosciuto è stato violentato da un rumore lancinante, intollerabile. L’unica cosa che so è che questo rumore è l’insieme di tutti i suoni prodotti dal big bang a oggi. È come se i suoni non si fossero mai estinti. È come se si fossero accumulati da qualche parte. Forse si sono solidificati, si sono fatti stella e poi supernova invadendo lo spazio, ogni angolo della terra, insinuandosi dappertutto, formando una cappa di note impazzite, di frastuono, di parole tutto attorno e dentro e fuori, diventando insopportabili all’orecchio umano e non umano. Gli animali sono stati i primi a impazzire. La sordità precoce è divenuta la patologia più diffusa, rifugio sicuro dalla follia. In quel giorno del passato e in quelli successivi, a quel rumore riuscii a trovare un senso. Riuscii a distinguere delle note, dei suoni che potevano essere combinati in accordi, in armonie. Si trattava solo di trovare il modo di isolarli, perché altri oltre a me sentissero quella musica meravigliosa. Con l’aiuto di un amico ingegnere costruii una macchina che intercettava le famiglie di frequenze e le traduceva in suoni armonici: lo strumento li registrava isolandoli dal resto. Ma tutto questo è stato inutile. Sono stato accusato di alimentare la “cacofonia cosmica”, così l’hanno chiamata. La commissione disciplinare interplanetaria mi ha condannato a cinque anni di lavori socialmente utili. Sono rinchiuso da due anni in una navicella di due metri per quattro, sperduto nel vuoto cosmico a ripulire lo spazio dall’inquinamento acustico. Aspiro i suoni, come potrei aspirare la polvere, da più di seicento giorni. Qualcuno, se ci sarà ancora qualcuno, forse leggerà queste righe, forse capirà, forse giudicherà, ma saprà ascoltare? Ora riesco a distinguere un sol, il rumore della pioggia sulle foglie di un platano, il risolino acuto di alcuni bambini che giocano a rincorrersi. Ascolto e aspiro e distinguo e canto. E poi ascolto e aspiro e distinguo e canto. Ecco, non sono pazzo! Di nuovo un sol ma questa volta minore e il canto del cuculo e una mezza frase tra due innamorati… prima o poi troverò l’accordo perfetto e allora rimarrà solo luce. La fine capirà come ascoltare. Non sono pazzo… ascolto e aspiro e distinguo e canto… ascolto e aspiro e distinguo e canto… Ricordiamo che il prossimo appuntamento con Non sparate allo scrittore! è domenica 30 novembre. Tema della serata: malattie esantematiche.
Dedico alle donne, in questa giornata, la riflessione di un uomo, grande scrittore, Giuseppe Pontiggia, tratta dal suo libro “Prima persona” (Mondadori, 2002). Vi si parla in particolare di stupro, della sua infamia, ma vale per ogni violenza. Laura Bosio Ideologia e pratica dello stupro Giuseppe Pontiggia Per frenare l’aumento di diffusione, se non di popolarità, di questa infamia del maschio umano, forse occorrerebbe sottolinearne l’abiezione che manifesta, l’inferiorità che cela, la sconfitta che esprime. Se c’è un gesto in cui l’uomo annienta nel loro contrario tutte le qualità di cui si è tradizionalmente fatto vanto è proprio la violenza immotivata e impunita contro una innocente indifesa. Forse occorrerebbe insistere sulla viltà dello stupratore, simmetrica alla connivenza inconfessata di certi giudici che erogano pene miti, anziché condanne durissime. Perché tanto riguardo? L’indulgenza, in alcuni casi, è criminale come lo sfregio inferto per sempre alla persona. Bisognerebbe togliere al gesto ogni alibi psicologico che pure, in modi trasversali, evidentemente sussiste. L’indulgenza, in alcuni casi, è criminale come lo sfregio inferto per sempre alla persona. Bisognerebbe togliere al gesto ogni alibi psicologico che pure, in modi trasversali, evidentemente sussiste. Io credo non tanto alla efficacia dello sdegno, che spesso si compiace di sé, quanto a un movimento di idee cui tutti – dalla scuola alla chiesa, dalla stampa allo spettacolo – diano un contributo per coprire di disprezzo lo stupro. E i comici potrebbero coprire di ridicolo chi vede in quell’atto una affermazione di sé. Sappiamo che l’appello etico viene talora degradato a moralistico per poterlo ignorare. Ma lo scherno e l’irrisione hanno radici più profonde nella psiche. Contro l’ingiuria si può combattere, ma contro il disprezzo e il ridicolo no. Causano ferite che non si cicatrizzano. È su questa nevralgia della interiorità che occorre agire. Essenziale è negare allo stupro quella complicità occulta che ancora suscita presso molti uomini e restituirlo alla sua natura miserabile.
“La porta” di Barbara Fiorio. L’urlo di suo marito, una fitta al torace, il freddo del marmo e quel denso bisogno di lasciarsi scivolare nel buio della perdita dei sensi. Poi il pianto di suo figlio lì, sul pianerottolo, e la forza sufficiente per alzarsi e sorridere a quei cinque anni a piedi nudi, con gli anatroccoli sul pigiama azzurro e il viso di lacrime e muco. Inghiottì il sapore del pugno, recuperando il fiato per confortare il bambino. Andava tutto bene, gli sussurrò abbracciandolo, stringendo gli occhi per contenere il dolore. Papà era solo nervoso, e lei non sarebbe andata via. Lo aveva detto ma non lo pensava davvero. Andava tutto bene. Il vicino richiuse la porta.
“Debole” di Sara Rattaro. Il debole sei tu. Lo sei mentre mi tratti male, mentre usi la tua unica lingua, la violenza, mentre credi che la mia paura sia la tua più intima alleata. Lo sei mentre fai finta di nulla quando siamo tra gli amici o quando cambi canale alla televisione se si parla di qualcuno che potremmo essere noi. Lo sei quando mi minacci di non fiatare e mi colpisci solo dove non si può vedere, lo sei mentre sfuggi agli sguardi dei nostri figli e ti chiedi perché mai loro ti stiano così lontani o mentre cerchi di allontanarmi da chiunque credi mi possa aiutare. Ma lo diventi soprattutto quando credi che ciò che fai sia giusto e che se non me ne vado è solo perché tu sei più importante di tutto. Ma lo diventi soprattutto quando credi che ciò che fai sia giusto e che se non me ne vado è solo perché tu sei più importante di tutto. Non è così, lo faccio solo perché ho paura che qualcun altro possa pagare la tua ira, tutta la tua fragilità perché il debole sei tu. Io ho visto l’inferno e ora non c’è nulla che mi possa fermare, nulla davanti al quale io mi senta di dover abbassare lo sguardo. Per questo motivo tutti sapranno che il debole sei solo tu.
Idee chiare. In genere si comincia scrivendo racconti perché il romanzo implica una struttura complessa da tenere sotto controllo. Il racconto, per certi aspetti, è una prova più difficile, bisogna sapere già quasi tutto prima di cominciare, appena entrati nella storia già si dovrà uscire. Idea e cornice narrativa devono essere chiari fin dall’inizio, spazio e tempo ben definiti. Pochi personaggi. Asciugare molto, non perdersi in dettagli, eliminare tutto quello che non è funzionale alla storia. Cercare un ritmo della narrazione e non perderlo. Cosa sono i consigli di Officina. Queste pillole sulla scrittura creativa, ora divisi in dieci brevi post, sono nati da una collaborazione tra Officina Letteraria e Radio19, la radio de Il Secolo XIX.
“Fantasma” di Angela Tenca. È un’ombra che si avvicina in mezzo ai banchi del mercato, vedo chiaramente una grossa borsa di cuoio, color cuoio, messa a tracolla su spalle robuste e su una giacca rossa. I capelli sono legati con un elastico colorato ma le ciocche più corte scappano ai lati delle orecchie. Piccole, quasi invisibili orecchie dalle quali pendono semplici orecchini di perle a goccia. La mia testa è ovattata come se non sentissi bene. I suoni che mi giungono sono incomprensibili. C’è tanto colore, tanto movimento a terra ma se alzo gli occhi vedo qualcosa che assomiglia alle quinte di un teatro abbandonato. Tutto grigio, tutti i lati uguali e noi, forse, sul palcoscenico. Sto dormendo? Sto sognando? È tutto surreale. Sono venuta fino qui per rovistare tra vestiti usati e cimeli di eserciti inesistenti? La mia sindrome da shopping compulsivo mi ha portato a questo mercato e ora, come stordita, vedo questa figura che avanza verso di me. È una donna? È straniera? Non è polacca, gesticola con i venditori che non la capiscono e compra, compra e riempie la borsa di cuoio e poi tira fuori un sacchetto e riempie anche quello. Questa bancarella vende grandi specchi. È sola, è arrivata sola, viaggia sola, ha coraggio. Per un attimo vedo la sua figura sovrapposta alla mia nello specchio, quasi scompare dietro di me. Ma chi è? Dove va? Ora la seguo, sale sul tram e scende in centro, va a sedersi su una delle famose panchine da cui esce la musica di Chopin. Mi siedo di fronte a lei ma dalla mia panchina la musica non esce. S’incammina per Uliça Krakowskia Predmiescie (via del borgo di Cracovia,dice la guida), si ferma a un angolo ed entra in un bar, Prezekaski Zakaski è scritto sull’insegna ma questo proprio non so cosa vuol dire. Dalla porta esce un forte odore di cibo. La guardo dalla vetrina. Appoggiata a un bancone semicircolare mangia un piatto con pezzetti di pesce e cipolle e beve da un piccolissimo bicchiere un liquido trasparente. Sorride e soddisfatta continua la sua passeggiata. Non si accorge di me. Io sono stanca, sto per rinunciare ma la curiosità è tanta e proseguo il mio pedinare. Instancabile arriva alla città vecchia, alla piazza della Sirenetta. All’improvviso si gira, cambia direzione e mi passa accanto senza vedermi, come se io fossi un fantasma. Lei cammina, cammina è quasi buio prende una strada in discesa,attraversa un parco, io mi sento persa non so più dove sono, guardo il nome della via: Uliça Lipowa (via dei tigli), attraversa e varca la soglia di un locale con l’insegna ben comprensibile SAM. Qui non voglio restare a guardare dalla vetrina, entro e mi siedo. Lei ordina e dopo poco arriva una ciottola piena di un liquido fucsia, domando alla cameriera cos’è? Chlodnik e lo mangio scoprendo una minestra fredda di barbabietole rosse e panna acida. Mangio in fretta perché non voglio perderla. Va a finire che entra nel mio stesso albergo, nella mia stessa stanza e svanisce. Cosa sono i Racconti di Varsavia. Maggio 2013. Un gruppo di viaggiatori di Officina Letteraria, insieme a Emilia Marasco e Elena Mearini, vola a Varsavia per fare l’esperienza di un laboratorio di scrittura. Cinque giorni per un racconto ambientato a Varsavia, per misurare la distanza tra la città immaginata e quella reale, per ascoltare storie, immagazzinare impressioni sperando che diventino tracce. Un’esperienza di incontro con Zuzanna Krasnopolska, ricercatrice all’Università di Varsavia del Dipartimento Artes Liberales, con i docenti e soprattutto con gli studenti di Italianistica che hanno organizzato una passeggiata letteraria per Varsavia e hanno scritto il loro racconto in italiano.